Responsabilità dell’hosting provider e diffusione non autorizzata di contenuti protetti dal diritto d’autore

In tema di diritto d’autore, la violazione del diritto di esclusiva determina un danno da lucro cessante restando a carico del titolare l’onere di dimostrarne l’entità. Vimeo opera come hosting attivo”, e deve sottostare ai generali principi della responsabilità civile in base ai quali risulta responsabile per non aver impedito il caricamento di contenuti protetti da copyright sulla propria piattaforma e per non averli rimossi tempestivamente

Mediaset RTI aveva acquistato in via esclusiva i diritti di trasmissione in diretta tv relativi a molte squadre calcistiche a pagamento. Vimeo l.l.c., titolare di una piattaforma telematica , forniva la possibilità agli utenti di aderire a un disciplinare che prevedeva l'obbligo di registrazione e disponeva che attraverso il caricamento su tale piattaforma era possibile effettuare copie, trasmettere, distribuire pubblicamente nonchè creare opere derivate a partire dal video caricato non soggetti al pagamento di alcun corrispettivo. RTI aveva appurato, mediante l'incarico di un tecnico, che in un breve lasso temporale erano stati diffusi da Vimeo 385 brani audiovisivi per una durata complessiva di 4.439 minuti erano stati ampiamente utilizzati i marchi oggetto di privativa e che la medesima piattaforma possedeva sofisticati strumenti tecnici per l'individuazione e l'immediata rimozione dei contenuti illeciti tramite la creazione di un contenuto campione con cui confrontare quelli caricati dagli utenti. La parte attrice deduceva la violazione dei diritti esclusivi riconosciuti dall' articolo 78- ter e 79 l. n. 633/1941 LDA da parte di Vimeo, qualificandolo come hosting attivo, la conseguente inapplicabilità dell'esenzione di cui al d.lgs. 70/2003 affermando altresì la responsabilità extracontrattuale della convenuta attesa l'integrazione dell'ipotesi di reato di cui agli artt. 171 e 171- ter LDA. RTI chiedeva che fosse ordinata la rimozione dei contenuti illecitamente presenti sulla piattaforma Vimeo, che fosse vietato per il futuro il caricamento e utilizzo dei video a questa riferiti e agli eventi calcistici sopra indicati, che fosse emessa condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito, che fosse fissata una penale per ogni giorno di ritardo nell'adempimento dell'ordine, che fosse disposta la cancellazione o sospensione delle utenze che avevano caricato i contenuti, che fosse ordinato alla controparte di comunicarle i dati identificativi degli utenti e che la sentenza fosse pubblicata su alcuni quotidiani. Il Tribunale ordinava a VIMEO LLC la rimozione dalla piattaforma di tutti i contenuti audiovisivi riproducenti estratti dei programmi Mediaset. Vimeo proponeva ricorso in appello avverso la predetta sentenza. I giudici di seconde cure, con il provvedimento in oggetto, hanno rigettato il ricorso, confermando la condanna a risarcire il danno patito da Mediaset a causa della diffusione non autorizzata dei propri contenuti protetti dal diritto d'autore. Secondo la Corte d'appello, Vimeo opera come hosting attivo ” e deve pertanto sottostare ai principi della responsabilità civile in base ai quali è responsabile per non aver impedito il caricamento di contenuti protetti da copyright sulla propria piattaforma e per non averli rimossi tempestivamente dopo aver ricevuto le diffide da parte di RTI. L'hosting attivo deve fornire prova specifica dell'impossibilità tecnica o dell'inesigibilità di verificare la violazione del copyright, bloccando il caricamento illecito dei video o rimuovendoli successivamente inoltre in caso di diffida, l'hosting attivo deve predisporre strumenti idonei a rimuovere le informazioni o disabilitarne l'accesso sulla base dei dati forniti da RTI anche senza indicazione dell'URL”. La Corte d'appello ha, inoltre, accertato che la scelta imprenditoriale di avere un ridotto il numero di dipendenti non può essere di per sé motivo per escludere l'esigibilità di idonei strumenti di controllo del copyright. E' stato confermato nuovamente che non può gravare sul soggetto leso l'onere di indicare con netta precisione gli url relativi ai video illecitamente caricati, essendo sufficiente l'indicazione dei titoli e non avendo d'altro canto allegato e provato che lo staff di Vimeo, con riferimento ai circa 500 file indicati, abbia provato ad effettuare con i propri mezzi un'attività in tal senso . In merito al risarcimento del danno patrimoniale si è accertato che il prezzo del consenso costituisce quindi il criterio minimo da adottare e la Corte di Cassazione ha evidenziato come in buona sostanza vi sia una gerarchia tra i parametri di cui all'articolo 158 LDA correttamente applicato nel caso di specie non si può utilizzare altro criterio che diminuisca ulteriormente il risultato. In tema di diritto d'autore, la violazione del diritto di esclusiva determina un danno da lucro cessante che esiste in re ipsa”, restando a carico del titolare solo l'onere di dimostrarne l'entità sempre che l'autore della violazione non fornisca la dimostrazione dell'insussistenza, nel caso concreto, di danni risarcibili . Tale pregiudizio è suscettibile di liquidazione in via forfettaria mediante l'utilizzo del criterio del prezzo del consenso di cui all' articolo 158, comma 2, terzo periodo, l. n. 633 del 1941 , che costituisce la soglia minima del ristoro spettante . Nel caso analizzato Vimeo non ha fornito alcuna prova dell'inesistenza del danno e anzi, attesa la risonanza internazionale della piattaforma e comunque, riguardo al mercato italiano, la notorietà di gran parte dei programmi ed eventi da cui sono stati tratti i video, vi è piuttosto la prova contraria inoltre la valutazione del prezzo del consenso deve necessariamente essere proposta in via equitativa non essendoci precedenti specifici tra le parti.

Presidente Thellung de Courtelary – Relatore Tucci Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato e successivamente iscritto a ruolo r.g. 62343/2015 RTI s.p.a. conveniva in giudizio V. dinanzi al Tribunale di Roma, sezione specializzata imprese e deduceva in sintesi quanto segue 1 RTI, concessionaria delle reti televisive omissis , omissis , omissis , omissis , omissis , omissis , omissis , titolare dei diritti allo sfruttamento economico dei relativi marchi e di molteplici programmi ivi trasmessi, fino al primo luglio 2015 forniva il servizio omissis per il campionato di calcio di Serie A stagioni 2012/2013, 2013/2014 e 2014/2015 aveva acquistato in via esclusiva i diritti di trasmissione a pagamento relativi a molte squadre e in precedenza stagioni 2010/2011 e 2011/2012 i diritti per la trasmissione in diretta di eventi calcistici 2 V. era titolare di una piattaforma telematica, accessibile tramite web, che consentiva di pubblicare contenuti audiovisivi, memorizzati permanentemente su server cui sono collegati annunci pubblicitari tramite banner gli utenti dovevano aderire a un disciplinare che prevedeva l'obbligo di registrazione e disponeva tra l'altro, testualmente ”attraverso il caricamento garantisci a V. e ai suoi partner una licenza limitata, non esclusiva, non soggetta al pagamento di alcun corrispettivo e il diritto di effettuare copie, trasmettere, distribuire, eseguire e mostrare pubblicamente attraverso qualunque strumento di condivisione allo stato conosciuto o di qui in avanti creato e creare opere derivate a partire dal tuo video era inoltre stabilito il divieto di caricamento di contenuti lesivi del diritto di terzi, compreso quello di autore nonché la possibilità per l'host di esaminare i brani e rimuovere quelli violativi di detto divieto 3 il quattro luglio 2011 era stata inviata a controparte una diffida con cui era stato chiesto di interrompere l'illecita diffusione, seguita da un'azione giudiziaria 4 il quindici giugno 2015 RTI aveva conferito a un proprio tecnico l'incarico di verificare la situazione e aveva così appurato che tra il quindici giugno e l'otto luglio 2015 erano stati diffusi 385 brani audiovisivi per una durata complessiva di 4.439 minuti, erano stati ampiamente utilizzati anche i marchi oggetto di privativa e V. possedeva sofisticati strumenti tecnici per l'individuazione e l'immediata rimozione dei contenuti illeciti tramite la creazione di un contenuto campione con cui confrontare quelli via via caricati dagli utenti cd finger printing” . L'attrice deduceva la violazione dei diritti esclusivi riconosciuti dall' articolo 78 ter e 79 della L. numero 633/1941 LDA da parte di V., qualificandolo come hosting attivo, la conseguente inapplicabilità dell'esenzione di cui al d. lgs. 70/2003 e comunque la non ricorrenza dei presupposti di cui all'articolo 16 del suddetto d. lgs e all' articolo 14 direttiva 31/2000/CE . Affermava poi la responsabilità extracontrattuale della convenuta attesa l'integrazione dell'ipotesi di reato di cui agli artt. 171 e 171 ter LDA. Sosteneva anche la violazione degli artt. 1, 20 e 131 del codice della proprietà industriale riguardo al diritto allo sfruttamento economico dei marchi nonché la slealtà del comportamento concorrenziale ex articolo 2598 c.comma Chiedeva che fosse ordinata la rimozione dei contenuti illecitamente presenti sulla piattaforma, che fosse vietato per il futuro il caricamento e utilizzo dei video riferiti a RTI e agli eventi calcistici sopra indicati, che fosse emessa condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito, che fosse fissata una penale per ogni giorno di ritardo nell'adempimento dell'ordine, che fosse disposta la cancellazione o sospensione delle utenze che avevano caricato i contenuti, che fosse ordinato alla controparte di comunicarle i dati identificativi di detti utenti, che la sentenza fosse pubblicata su quotidiani. La convenuta si costituiva, affermava di aver prontamente rimosso tutti i contenuti di cui l'attrice aveva fornito l'URL, eccepiva in rito il difetto di giurisdizione del Giudice Italiano rispetto alle domande di inibitoria e rimozione sostenendo la sussistenza di quello statunitense affermava poi nel merito che parte attrice non aveva provato la titolarità dei diritti di autore rivendicati ex articolo 78 ter e 79 LDA sosteneva di essere hosting passivo, l'inidoneità della diffida di RTI a far conoscere effettivamente i contenuti asseritamente illeciti per mancata indicazione di gran parte degli URL, l'insussistenza di un obbligo di predisporre a proprie spese un sistema di filtraggio preventivo senza limiti di oggetto e di tempo riteneva poi l'infondatezza delle domande di inibitoria e rimozione, l'insussistenza di atti di concorrenza sleale e contraffazione, l'inammissibilità e contrarietà alla privacy policy della domanda di comunicazione dei dati degli utenti, l'infondatezza e comunque l'esorbitanza della domanda di risarcimento del danno. Il Tribunale, sulla base dei documenti prodotti ed espletata CTU con sentenza 14760/2019 così stabiliva accerta e dichiara che la società V. ha pubblicato brani estratti dai programmi RTI s.p.a. in violazione dei suoi diritti autorali di sfruttamento commerciale e conseguentemente ordina a V. la rimozione e la disabilitazione all'accesso dalla piattaforma denominata V.” e dai suoi sottodomini o derivazioni di tutti i contenuti audiovisivi riproducenti estratti dei Programmi RTI oggetto di causa, così come individuati da RTI e dal CTU in corso di causa inibisce a V. ogni ulteriore violazione, perpetrata in qualunque forma e con qualunque mezzo, avente ad oggetto brani audiovisivi estratti dai Programmi RTI per come indicati in corso di causa inibendone ogni uso e sfruttamento commerciale fissa una somma di euro 5.000,00/die dovuta da V. per ogni violazione e/o inosservanza successivamente constatata condanna la convenuta in persona del proprio rappresentante legale pro tempore al risarcimento di tutti i danni patrimoniali subiti dalla società attrice quantificati in euro 4.746.273 oltre rivalutazione ed interessi dal giorno della sentenza ordina che il dispositivo della presente sentenza sia pubblicato con carattere grassetto Times New Roman numero 14”, nelle edizioni cartacee e nelle edizioni on-line, a cura di RTI ma ad esclusive spese della convenuta, sulla prima pagina dei seguenti quotidiani omissis ”, omissis ”, omissis ”, nonché nella pagina principale homepage del portale della V. condanna V. a rifondere a RETI TELEVISIVE ITALIANE s.p.a. le spese di lite per complessivi euro 75.500,00 di cui euro 12.000 ,00 per lo studio, euro 8.000,00 per la fase introduttiva, euro 35.000 ,00 per la fase istruttoria ed euro 20.500,00 per la fase decisoria. Iva al 22% spese generali e CPA.” V. proponeva appello domandando la sospensione degli effetti esecutivi della sentenza, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'UE, in via istruttoria la formulazione di quesiti ulteriori al ctu e prova per testi. Concludeva chiedendo in via pregiudiziale accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del Giudice italiano rispetto alle domande formulate da Reti Televisive Italiane S.p.a. di inibitoria e rimozione dei video oggetto di contestazione dai server di V. formulate nel corso del giudizio di primo grado nel merito respingere, in quanto infondate in fatto e in diritto, tutte le domande proposte da Reti Televisive Italiane S.p.a. nei confronti di V. nel corso del giudizio di primo grado e conseguentemente assolvere l'esponente società da ogni domanda formulata nei suoi confronti in via subordinata nell'ipotesi di conferma anche solo parziale della condanna di V. nei confronti di Reti Televisive Italiane S.p.a. accertare e dichiarare l'erroneità e l'ingiustizia della sentenza impugnata ove ha liquidato il risarcimento dei danni in complessivi € 4.746.273 e, per l'effetto, ridurre l'ammontare di quanto dovuto a Reti Televisive Italiane S.p.a. da parte di V. medesima per le ragioni esposte o per quanto ritenuto di giustizia. L'appellata si costituiva, sosteneva l'inammissibilità dell'appello principale e la sua infondatezza nel merito proponeva appello incidentale riguardo all'entità e voci di risarcimento. Concludeva chiedendo A. in via preliminare accertare e dichiarare, per le ragioni tutte meglio espresse in narrativa, l'inammissibilità dell'appello proposto da V. B. in via principale, in tutti i casi rigettare tutti i motivi d'appello proposti da V. in accoglimento del primo motivo di appello incidentale di Reti Televisive Italiane S.p.A., rideterminare in aumento la quantificazione del risarcimento dei danni disposta in primo grado, e per l'effetto condannare V., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, subiti e subendi da Reti Televisive Italiane S.p.A., liquidandoli nella maggiore somma che sarà ritenuta dovuta in base agli atti ovvero secondo giustizia in via equitativa dall'Ecc.ma Corte, oltre interessi e rivalutazione in accoglimento del secondo motivo di appello incidentale, accertare e dichiarare che la condotta dedotta in atti posta in essere da V. costituisce violazione e/o lesione dei diritti di proprietà industriale di Reti Televisive Italiane S.p.A. ai sensi del D.lgs. 30/2005 CPI , e conseguentemente -confermate anche in base a tali norme per le ragioni dedotte in atti tutte le misure di pubblicazione, rimozione e/o disabilitazione all'accesso e inibitoria, nonché l'astreinte adottata, rideterminare in aumento la quantificazione del risarcimento dei danni disposta in primo grado tenendo conto anche di dette violazioni, e per l'effetto condannare V. , in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, subiti e subendi da Reti Televisive Italiane S.p.A., liquidandoli nella maggiore somma che sarà ritenuta dovuta in base agli atti ovvero secondo giustizia in via equitativa dall'Ecc.ma Corte, oltre interessi e rivalutazione in accoglimento del terzo motivo di appello incidentale, in parziale riforma della Sentenza Impugnata, accogliere la domanda di RTI in punto di risarcimento dei danni non patrimoniali e per l'effetto condannare V., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali, subiti e subendi da Reti Televisive Italiane S.p.A., liquidandoli secondo giustizia in via equitativa dall'Ecc.ma Corte, oltre interessi e rivalutazione in accoglimento del quarto motivo di appello incidentale, condannare V., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, a fornire a Reti Televisive Italiane S.p.A. tutte le informazioni nella sua disponibilità, necessarie o utili per identificare gli utenti che tramite i propri account hanno immesso sul Portale di V. i brani audiovisivi estratti dai Programmi RTI e dai Prodotti Calcio oggetto di causa in accoglimento del quinto motivo di appello incidentale, condannare V., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, a rifondere Reti Televisive Italiane S.p.A. di tutte le spese liquidate al CTU con provvedimento del 19.10.2017 per l'importo complessivo di euro 23.000,00 cfr. doccomma 39 e 39 bis alla presente comparsa oltre interessi e rivalutazione. -B. in via subordinata e condizionata -nella non creduta ipotesi di accoglimento dell'appello avversario con negazione della condotta di hosting provider attivo” di V., accertare e dichiarare la responsabilità della stessa quale hosting passivo”, in accoglimento delle deduzioni proposte in atti da Reti Televisive Italiane s.p.a. ed occorrendo del quinto motivo di appello incidentale proposto in via condizionata sempre da Reti Televisive Italiane S.p.A. -in tutti i casi accolti i motivi di appello incidentale proposti in via principale da quest'ultima e fermi gli ordini di rimozione e/o disabilitazione all'accesso, inibitoria, pubblicazione e l'astreinte rideterminata comunque in aumento la quantificazione del risarcimento dei danni disposta in primo grado, condannare V. ., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, subiti e subendi da Reti Televisive Italiane S.p.A., liquidandoli nella maggiore somma che sarà ritenuta dovuta in base agli atti ovvero secondo giustizia in via equitativa dall'Ecc.ma Corte, oltre interessi e rivalutazione e comunque ricalcolando il complessivo risarcimento dei danni in aumento, anche in accoglimento dei motivi primo, secondo, terzo e quinto di impugnazione incidentale proposti in via principale da RTI il tutto in base agli atti ovvero in via equitativa, sempre oltre interessi e rivalutazione. -C. in tutti i casi, condannare V. alle spese del doppio grado, incluse le spese della CTU sopportate da RTI nel I grado di giudizio, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario 15 % come per legge. La Corte con ordinanza depositata il venticinque febbraio 2020 respingeva la richiesta di sospensione degli effetti della sentenza e all'esito dell'udienza del dodici dicembre 2022 tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge per comparse conclusionali e repliche. Proposta ritualmente istanza di discussione orale la stessa era tenuta in data ventisei giugno 2023 e la Corte riservava la decisione. Motivi della decisione L'appello è ammissibile in quanto le doglianze sono analiticamente indicate e fondate in parte. Non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non essendovi dubbi interpretativi della normativa regolante la fattispecie sulla base di quanto di seguito indicato. APPELLO PRINCIPALE Primo motivo. Erroneità della sentenza ove ha riconosciuto la giurisdizione del giudice italiano rispetto alle domande di inibitoria e di rimozione dei contenuti contestati da RTI per il motivo che l'ordine di inibitoria sarebbe comunque inutiliter datum considerato che i server di V. si trovano al di fuori del territorio nazionale”. Il motivo è infondato. La sentenza di primo grado ha sul punto affermato …A detta dell'attrice non vi è spazio per l'identificazione in Italia di un luogo fisico ove eseguire misure cautelari richieste, sicché l'eventuale provvedimento di inibitoria e rimozione dei dati sarebbe inutiliter datum, in quanto non eseguibile al di fuori del territorio nazionale, come peraltro fugacemente affermato in giurisprudenza si veda per tutti Trib. Perugia, 29 settembre 2011, caso Amanda Knox/Google Italy srl, . L'obiezione di parte convenuta non sembra quindi riguardare la competenza del giudice italiano ad emettere la misura competenza , bensì l'attuabilità pratica della misura. Pur nella consapevolezza della difficoltà di eseguire all'estero una forma di inibitoria osserva questo collegio come, da un lato, ai sensi dell'articolo 5 della direttiva Enforcement il Tribunale non può esimersi dal conferire efficacia pratica alla statuizione di diritto gli Stati membri assicurano che la competente autorità giudiziaria possa ordinare, su richiesta dell'attore, le misure adeguate da adottarsi per le merci riguardo alle quali esse ha accertato che violino un diritto di proprietà intellettuale e che per quanto riguarda la sua materiale eseguibilità la stessa può essere adeguatamente sostenuta anche mediante esecuzione indiretta articolo 614 c.p.comma e 163 LDA . Analogo discorso vale per quanto concerne la pubblicazione della sentenza…” Il ragionamento seguito dal Tribunale è condivisibile anche se con le seguenti precisazioni. La legge 218 del 1995 articolo 3 stabilisce in materia civile e commerciale la sussistenza della giurisdizione sulla base dei criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 e resa esecutiva con la legge 21 giugno 1971 numero 804 e ciò anche se il convenuto è estraneo all'Unione Europea. Detto rinvio deve essere aggiornato e riferito a quello che ratione temporis era il regolamento UE applicabile in particolare il numero 1215/2012 cd Bruxelles 1bis nel settore civile e commerciale Cass. 18299/2021 e 19571/2023 . Ebbene, l'articolo 7 del regolamento citato stabilisce che in materia di illeciti civili dolosi e colposi il criterio è quello del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire. Deve di conseguenza essere affermata la giurisdizione italiana essendo la violazione extracontrattuale del diritto di autore dedotta da RTI s.p.a. avvenuta in massima parte con riferimento al mercato di utenti in Italia. Per quanto riguarda poi l'inibitoria si tratta di una delle possibili statuizioni emesse all'esito del processo che non può essere parcellizzata e sottratta ex se alla giurisdizione italiana come conseguenza dell'asserita ineseguibilità in concreto. I due concetti infatti operano su piani diversi, il primo sull'accertamento dei presupposti per l'emanazione dell'ordine e il secondo sull'attuazione dell'ordine stesso. La giurisdizione è in particolare stabilita ratione materiae e, sulla base della normativa sopra indicata, non vi è alcuna esclusione per gli ordini di inibitoria per il futuro e per la rimozione dei dati e pubblicazione della sentenza. L'esecuzione coattiva poi non è l'unica strada ma solo quella, eventuale, nel caso in cui V. non decida di adeguarsi spontaneamente. Come infine ha correttamente indicato il Tribunale, l'articolo 5 della direttiva Enforcement stabilisce gli Stati membri assicurano che la competente autorità giudiziaria possa ordinare, su richiesta dell'attore, le misure adeguate da adottarsi per le merci riguardo alle quali ha accertato che violino un diritto di proprietà intellettuale” e nella materia specifica esistono anche mezzi indiretti che ne consentono l'attuazione quali quelli disciplinati dall' articolo 163 LDA. Secondo motivo Si sostiene l'erroneità, ingiustizia e contraddittorietà della sentenza ove è stata ritenuta V. responsabile di attività manipolativa dei dati, in quanto ciò sarebbe incompatibile con la qualifica di internet service provider passivo ai sensi dell' articolo 16 D.lgs. numero 70/2003 il Tribunale avrebbe in particolare mancato di considerare che V. opera tramite processi automatici e comunque senza mai intaccare il contenuto dei video caricati dall'utente finale”. Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che non potesse trovare applicazione per l'attività svolta da V. il regime di responsabilità previsto per gli internet service provider dalla direttiva 31/2000/ce e dal decreto attuativo D.lgs. numero 70/2003 poiché dalla ctu resa in corso di causa sarebbe emersa un'evidente attività di manipolazione da parte della società convenuta sui contenuti caricati sull'omonima piattaforma”. Il motivo è infondato. Costituendosi in primo grado e ribadendo la tesi in appello V. sostiene ” La procedura di caricamento c.d. upload” di video su V. è effettuata dagli utenti. V. si limita a rendere i video caricati visualizzabili mediante processi del tutto automatici che non comportano alcun intervento o partecipazione da parte del personale di V. Inoltre, il personale di V. non visualizza o controlla alcun video prima che questo sia caricato e reso disponibile sul portale. Gli utenti devono necessariamente registrarsi e creare un proprio account V. prima di poter caricare qualsiasi video. …. Durante il caricamento dei loro video, gli utenti possono anche inserire titoli, descrizioni e parole chiave relativi ad esso. L'utente non è tuttavia tenuto a completare questi campi …” Si tratta infatti di funzioni che consentono agli utenti di cercare i video, altri utenti, canali, gruppi, forum, o di utilizzare una funzione di ricerca avanzata per limitare la ricerca a specifici titoli, descrizioni, tag, eccomma V. permette inoltre a motori di ricerca esterni come Google di indicizzare le pagine web pubblicamente disponibili. Tutte le informazioni sulla pagina di un video possono quindi essere indicizzate, compresi il nome dell'utente, commenti su un video, o una delle informazioni fornite dall'utente. Ancora una volta, non vi è alcun intervento del personale V. nell'ambito di questi processi. L'associazione dei contenuti caricati dagli utenti sia a video correlati sia a link o messaggi pubblicitari è effettuata autonomamente da Google sulla base di sua tecnologia proprietaria. Anch'essa è un'attività che non comporta alcun controllo da parte di V. sui contenuti che di volta in volta vengono associati ai link sponsorizzati forniti da Google. In particolare, la visualizzazione di links sponsorizzati in risposta alle ricerche di contenuti da parte degli utenti su V. avviene così il sistema informativo di V. trasmette le stringhe” di ricerca inserite dagli utenti a Google che, in maniera del tutto autonoma e indipendente, e sulla base del suo sistema di ricerca interno, restituisce a V. i link sponsorizzati. V. non ha quindi alcun controllo su quali sono i link sponsorizzati che vengono restituiti da Google sul suo portale, né a quali video questi link vengono collegati. In ogni caso, V. non consente mai la visualizzazione di annunci pubblicitari all'interno dei video”. Ebbene, è in primo luogo condivisibile la premessa in diritto del Tribunale riguardo alla specialità dell'esenzione prevista dal d.lgs 70/2003 rispetto alla generale responsabilità per danno aquiliano si consente infatti alla società di informazione di non rispondere a parte eccezioni disciplinate singolarmente a titolo risarcitorio della diffusione di opere di terzi coperte da diritto di autore, sacrificando entro detti limiti gli interessi di quest'ultimo è altrettanto condivisibile, in quanto conseguenziale logicamente, l'affermata necessità di interpretazione restrittiva del suddetto D.lgs. e l'esistenza di un onere della prova a carico di V. ai fini dell'esenzione. Altrettanto corretto è il ragionamento seguito dal Tribunale laddove ha ritenuto significativo verificare se, in relazione ai soli specifici files oggetto di esame, V. abbia agito come hosting passivo o attivo l'inibitoria concessa dal Giudice di primo grado ha infatti anch'essa avuto ad oggetto solo i brani RTI per come indicati in corso di causa” e non altri. Il Giudice in particolare non è stato chiamato né avrebbe potuto esserlo a indicare politiche aziendali o scelte demandate unicamente all'imprenditore ma a verificare se e in quale misura l'inserimento nella piattaforma dei files RTI menzionati in atti sia stato oggetto o meno di interferenze manipolative che indichino V. come hosting attivo alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale. Atteso quanto detto ben potrebbe essere che la gran maggioranza dei video caricati da V. provengano unicamente da chi li inserisce e quindi senza alcuna violazione del diritto di autore ma ciò non è dirimente ai fini della presente fattispecie in cui sono stati caricati video di terzi. Parimenti non dirimente è il fatto che V., in generale, non controlli singolarmente i video e non lo abbia fatto in precedenza per cui tutto procederebbe in via automatica perché l'obbligo di controllo e l'esigibilità di utilizzo di mezzi tecnici idonei anche con riferimento ai costi aziendali ha come presupposto la manipolazione da parte di V. dei soli video di RTI di cui al presente giudizio e quindi la qualificazione dell'appellante come hosting attivo per i files in questione che sono quasi 500, la gran parte dei quali inseriti poco tempo prima della diffida. Il Giudice di primo grado ha basato il proprio convincimento e ha qualificato V. hosting attivo utilizzando alcuni dati rilevati in base alla CTU e ha affermato Il consulente tecnico d'ufficio ha…potuto verificare come, almeno per quanto riguarda i contenuti autoriali di titolarità dell'attrice, vi sia stato nel periodo immediatamente antecedente l'atto di citazione un massiccio caricamento sulla piattaforma di parte convenuta di contenuti autoriali altrui RTI con diffida del 10 luglio 2015 ha denunciato la presenza esemplificativa di 107 titoli, corrispondenti ad altrettanti brani video questi brani sono diventati 385 comprensivi dei 107 precedentemente indicati con atto di citazione del 28 settembre 2015. In corso di causa, e segnatamente nella memoria ex 183 VI c.p.c., è stata denunciata la presenza di ulteriori 113 video. Complessivamente quindi è stata accertata la presenza sulla piattaforma video di parte convenuta di 498 contenuti autoriali riferibili alla società attrice”. Il caricamento dei suddetti video RTI sottoposti a privativa costituisce un dato storico come anche il fatto che la visione su V. degli stessi fosse gratuita da parte degli utenti. Per quanto riguarda poi l'attività di V. svolta su detti files parimenti incontestata e risultante documentalmente è la mission in generale dell'appellante ossia quella di promuovere lavori di autori giovani e filmakers indipendenti, facendoli conoscere ai professionisti del settore e al grande pubblico. La piattaforma è quindi utilizzata per caricare video o per visionarli. Gli utenti, come indicato dal CTU sono divisi in quattro profili l'account base, gratuito, che permette di caricare una quantità limitata di video al mese circa 500 MB con forti limitazioni anche sulla qualità sono a pagamento invece gli altri tre tipi di account, il Plus, Pro e Business, il primo aumenta lo spazio disponibile al mese per i caricamenti circa 5GB , mentre il secondo ed il terzo, oltre a dare spazio illimitato, concedono anche una serie di priorità per la conversione di video e una serie di personalizzazioni utili a rendere il video ancora più unico e ben costruito, oltre a permettere la vendita/affitto dei video pubblicati a fronte di un corrispettivo economico…. I canali attraverso i quali V. incamera utili sono gli introiti derivanti dalle iscrizioni e dalle transazioni associate alla commercializzazione dei video, le inserzioni pubblicitarie…” Gli utenti interessati solo a visionare i video devono registrarsi senza pagare alcunché e possono accedere ai files in parte gratuitamente e in parte a pagamento laddove si tratti di video inseriti con tale finalità da utenti Pro e Business . Ebbene, proprio nella modalità con cui possono essere ricercati i video che l'intervento di V., come evidenziato dal Tribunale, esula significativamente dalla mera attività di hosting descritta dal D.lgs. 70 del 2003 . Cass. 7708/2019 ha in motivazione enucleato alcuni indici, a titolo esemplificativo e non necessariamente compresenti le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati…”. Il CTU ha a tale proposito consentito di verificare Nella pagina di accesso ai contenuti è possibile selezionare il canale Staff Pick” https //V.com/watch, https //V.com/channels/staffpicks , ossia fruire di quei contenuti che sono stati selezionati come i più interessanti da parte di un gruppo di collaboratori del portale Watch human-curated Staff Picks” – Guarda i video selezionati dallo staff tramite attività umana” . Pertanto, oltre all'utilizzo di strumenti automatici di catalogazione e/o di attività di tagging da parte degli utenti …. il Portale impiega del personale con funzione di team editoriale” per le selezioni di video da proporre attivamente agli utenti…. Le proposte sono suddivise in categorie… La funzionalità di ricerca consente di digitare un testo libero, anche ottenendo suggerimenti per completare la frase di ricerca, e quindi visualizzare i risultati che il Portale ordina per rilevanza consentendo di limitare ulteriormente i risultati selezionando alcune proprietà associate ai video. I contenuti sono precisamente catalogati ed indicizzati in categorie dettagliate…. In conclusione, osserviamo dunque che i contenuti del Portale sono categorizzati per mezzo di tre modalità in seguito all'attività di tagging degli utenti che caricano i contenuti attraverso processi automatizzati di catalogazione per mezzo dell'impiego di personale dedicato alla selezione e catalogazione dei brani”. Ebbene, la notorietà di gran parte dei video oggetto del presente giudizio riguardanti trasmissioni televisive molto seguite nonché eventi sportivi di sicura risonanza , il fatto che siano stati catalogati in gruppi di sub categorie, definite da V., l'esistenza di video consigliati dallo staff e di un motore di ricerca sono tutti elementi che a contrastano decisamente con l'assunto dell'appellante, gravato del relativo onere probatorio, di essere hosting passivo e b provano anzi l'assunto contrario in quanto attestano un'attiva indicizzazione e profilazione dei files. Per quanto riguarda la profilazione Cass. 39763/2021 ne ha affermato la particolare pregnanza in generale in quanto ha affermato va rammentato che i servizi prestati on line e, segnatamente, l'attività di hosting hanno subito nel corso degli ultimi anni un'evoluzione radicale. La cernita ed il riordino dei contenuti, lungi dall'essere assorbiti dalla nozione di mera memorizzazione, sono invece oggigiorno il cuore dell'attività economica di un hosting provider. Grazie a sistemi di data mining insieme di tecniche e metodologie che hanno per oggetto l'estrazione di informazioni utili da grandi quantità di dati attraverso metodi automatici o semiautomatici e il loro utilizzo scientifico, aziendale, industriale o operativo e di elaborazione massiva di big data, questi prestatori di servizi sono in grado di trarre enormi guadagni dalla loro attività di hosting. Attraverso complessi sistemi di profilazione dell'utenza, gli operatori hanno la capacità di intercettare le preferenze dell'utenza, in modo da variare l'offerta dei contenuti a seconda dei destinatari e di aumentare a dismisura le visualizzazioni, di fatto contribuendo, in modo causalmente determinante, alla diffusione o meno di prodotti illeciti Terzo motivo. L'appellante sostiene l'erroneità e ingiustizia della sentenza ove è stato affermato che V. non avrebbe posto in essere i necessari e disponibili adeguamenti tecnici per la tutela dell'altrui diritto d'autore, a lei disponibili sia per mezzi che per conoscenze, sia perché compatibili con il motore di ricerca già attivo sulla piattaforma”. Il Tribunale avrebbe mancato di considerare, anche sulla base delle risultanze della CTU e delle memorie tecniche di V., l'inadeguatezza, ai fini di una rimozione sicura ed efficiente di contenuti individuabili sulla base dei soli titoli dei programmi, delle tecniche di ricerca e individuazione automatica di contenuti audio/video pubblicati su piattaforme online di condivisione disponibili all'epoca del caricamento dei contenuti in contestazione, con particolare riferimento alle tecniche citate dal CTU e in sentenza basate sul rilevamento di finger print, sul sistema Audible Magic e ContentID. Quarto motivo L'appellante sostiene l'erroneità e ingiustizia della sentenza ove ha affermato che risulterebbero superflue le considerazioni relative alla sufficienza/tempestività delle diffide inoltrate da parte attrice nei confronti della convenuta, poiché, come precedentemente affermato, le diffide, al fine dell'eventuale responsabilità dell'isp hanno ragione di essere solo nel contesto della qualifica dell'isp quale passivo” il Tribunale avrebbe omesso ogni valutazione in merito all'effettiva conoscenza di V. di fatti che rendessero manifesta l'illiceità dei contenuti pubblicati dai terzi, come invece ritenuto dalla Cassazione nella sentenza sopra indicata 7708/2019 anche in caso di qualificazione dell'internet service provider come hosting attivo. I motivi, da trattare insieme in quanto strettamente connessi, sono infondati. Occorre premettere come, classificata parte appellante hosting attivo e dovendosi applicare i principi generali, costituisce preciso onere della suddetta fornire prova specifica dell'impossibilità tecnica o dell'inesigibilità di verificare la violazione del copyright, bloccando il caricamento illecito dei video o rimuovendoli successivamente. Deve disattendersi l'affermazione pag. 23/24 atto di appello secondo cui sarebbe pacifico che fondamento ineludibile della responsabilità degli hosting provider, siano attivi o passivi, debba essere la conoscenza della manifesta illiceità dei contenuti trasmessi e/o caricati dai terzi. Con particolare riferimento alla manifesta” illiceità del contenuto, la Corte di Cassazione ha precisato come l'aggettivo vale, in sostanza, a circoscrivere la responsabilità del prestatore alla fattispecie della colpa grave o del dolo”…. cass. 7708/ 2019 pag. 28 ….”. Valgono a tale proposito i seguenti rilievi. L' articolo 16 D.lgs. 70/2003 in linea con l'articolo 14 della direttiva 2000/31/CE prevede Il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore a non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione b non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso.”. Come indicato ormai costantemente nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE tali limitazioni di responsabilità non sono applicabili nel caso in cui un prestatore di servizi della società dell'informazione svolga un ruolo attivo 7 agosto 2018, Coóperative Vereniging SNBREACT U.A. comma Deepak Mehta, C-521/17, punti 47 e 48 . La stessa Cassazione nella sentenza 7708/2019 definisce detta interpretazione un approdo acquisito in ambito comunitario e segnala come La Comunicazione della Commissione europea COM 2017 555 del 28 settembre 2017, intitolata Lotta ai contenuti illeciti online. Verso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme online , abbia preso parimenti atto dell'orientamento della Corte di Giustizia, secondo cui la deroga alla responsabilità di cui all'articolo 14 della direttiva è disponibile solo per i prestatori di servizi di hosting che non rivestono un ruolo attivo . Con la successiva Cass. 39763/2021 è stata confermata la sentenza di merito che aveva qualificato il provider un hosting attivo, aveva ritenuto l'attività di profilazione un concorso parimenti attivo nell'illecito commesso da chi aveva caricato i video ed è stata ribadita l'inapplicabilità dell'esenzione da responsabilità di cui all'articolo 16 D.lgs. 70/ 2003. Ebbene, nel caso di specie si tratta, per i motivi sopra evidenziati, di hosting attivo per cui sono esclusi tout court i casi di esenzione sopra indicati e il profilo di eventuale inesigibilità riguarda la possibilità per V., in concreto e con riferimento ai files oggetto di causa, di individuare la violazione del diritto di autore all'atto del caricamento o comunque in tempi brevi nonché, in caso di diffida, di predisporre strumenti idonei a rimuovere le informazioni o disabilitarne l'accesso sulla base dei dati forniti da RTI anche senza indicazione dell'URL. La risposta è nel senso dell'esigibilità sulla base dei seguenti rilievi. La stessa appellante costituendosi in primo grado ha attestato la risonanza pressochè mondiale della piattaforma con milioni di utenti e riferito di numerosi riconoscimenti avuti da autorità pubbliche e da organizzazioni private. Ebbene, una diffusione di tal fatta e le conseguenti, intuitive, vaste potenzialità lesive del diritto autoriale esigono da parte dell'imprenditore un'adeguata predisposizione di mezzi a tutela dei terzi il modesto numero dei dipendenti e la consistenza dei costi fanno infatti parte dell'analisi finalizzata alla remuneratività effettiva di detta piattaforma e quindi influiscono sulle scelte aziendali ma non possono essere di per sé motivo per escludere l'esigibilità di idonei strumenti di controllo del copyright. Detti strumenti esistono e sono stati identificati dal CTU con riferimento a a due tecnologie di finger printing usate su vasta scala per individuare ex ante video lesivi del diritto di autore in quanto il legittimo proprietario carica in un data base l'impronta digitale del video originale e la piattaforma di condivisione può confrontarlo automaticamente con il video che l'utente vuole inserire , in particolare Copyright Matching” utilizzata dalla stessa V. per le colonne sonore dei video e basata su tecnologia Audible Magic, e ContentID” di Google che individua quasi la totalità dei caricamenti illeciti b a un software realizzato dal medesimo perito ad hoc a titolo sperimentale e riproducibile dall'azienda per individuare i video tramite una ricerca automatizzata con le parole chiave fornite dagli utenti in fase di caricamento ciò ha consentito, già con una progettazione embrionale del sistema, di individuare 98 files di cui ben 48 rientranti nella violativa del copyright di RTI. Deve di conseguenza essere disatteso il profilo di doglianza con cui si sostiene, testualmente l'inadeguatezza, ai fini di una rimozione sicura ed efficiente di contenuti individuabili sulla base dei soli titoli dei programmi, delle tecniche di ricerca e individuazione automatica di contenuti audio/video pubblicati su piattaforme online di condivisione disponibili all'epoca del caricamento dei contenuti in contestazione, con particolare riferimento alle tecniche citate dal CTU e in sentenza basate sul rilevamento di fingerprint”, sul sistema Audible Magic” e ContentID”. Parimenti, attesa la mancata applicabilità della limitazione di responsabilità di cui all' articolo 16 D.lgs. 70/2003 citato, non può gravare sul soggetto leso l'onere di indicare con netta precisione le url relative ai video illecitamente caricati, essendo comunque sufficiente tecnicamente, per i motivi già visti, l'indicazione dei titoli e non avendo d'altro canto allegato e tantomeno provato che lo staff di V., con riferimento ai circa 500 files indicati, abbia finanche provato ad effettuare con i propri mezzi un'attività in tal senso. Quinto motivo. L'appellante afferma l'erroneità, ingiustizia e contraddittorietà della sentenza ove è stata condannata V. al risarcimento dei danni liquidati nella complessiva somma di €4.746.273,00 oltre rivalutazione e interessi dal giorno della pronuncia il Tribunale non avrebbe considerato l'assenza di responsabilità a tale titolo dell'appellante, avendo essa rimosso i contenuti contestati non appena avutane conoscenza e in ogni caso non avendo RTI fornito la prova del danno effettivamente patito inadeguatezza, rispetto alle circostanze del caso di specie, dell'adozione del solo criterio del prezzo del consenso per la quantificazione e in ogni caso erroneità del parametro utilizzato essendo state considerate a tale fine transazioni molto diverse in termini di soggetti economici e pubblico coinvolti, il tutto in assenza di motivazione al riguardo errori di calcolo per duplicazione nel computo del minutaggio dei contenuti e conseguente errata liquidazione del danno” L'appellante sostiene in primo luogo l'erroneità della sentenza essendo stata emessa condanna risarcitoria nonostante la rimozione dei files non appena acquisita effettiva conoscenza dell'illecito. In via subordinata sostiene l'erroneità della sentenza in quanto avrebbe proceduto a una liquidazione in via equitativa nonostante la totale assenza di prova del danno e finanche di allegazione, a parte un riferimento, ritenuto generico e irrilevante, al prezzo medio del consenso di € 700,00 per minuto e per anno. Si lamenta poi il fatto che il Tribunale abbia utilizzato unicamente e senza motivazione detto criterio mentre l'articolo 158 LDA prevede anche quello alternativo dei profitti del contraffattore. Si sostiene inoltre che l'utilizzo per la quantificazione della royalty annua presunta in € 700 per minuto costituisca un coefficiente di calcolo del tutto sproporzionato rispetto all'entità della violazione anche in quanto è lo stesso individuato nelle transazioni tra RTI e soggetti quali RAI e RCS che hanno una platea generalista di spettatori e risonanza sul mercato italiano molto maggiore si ritiene inoltre l'omessa considerazione del fatto che i guadagni pubblicitari ottenuti da V. a seguito del caricamento dei video in questione siano stati di soli settecento dollari. Si afferma infine che comunque vi sarebbero dei consistenti errori di calcolo avendo il Tribunale 1 duplicato il computo dei video di RTI. Testualmente Il calcolo del Tribunale corrisponde alla somma della durata dei 107 brani individuati tramite URL di cui alla diffida ante causam 1.760,70 minuti, docomma 17 RTI , della durata dei 385 brani 4.164,81 minuti di cui alla relazione allegata sub docomma 16 RTI e dei 135 brani 854,88 minuti di cui al docomma 42 RTI. Il Tribunale, però, ha del tutto omesso di considerare che l'elenco degli URL dei 385 brani del docomma 16 RTI allegato all'atto di citazione ricomprende tutti i 107 contenuti i cui URL erano già stati elencati in diffida docomma 17 RTI e rimossi da V., oltre a 278 nuovi brani. E' del tutto evidente dunque, l'errore del Tribunale che ha computato due volte il minutaggio dei medesimi 107 contenuti menzionati da RTI sia nel docomma 17 avv. che nel docomma 16 avv. E' del tutto evidente, dunque che i minuti complessivi dei brani oggetto di contestazioni da parte di RTI nel presente giudizio sono 5.019,69 e non 6.780,39 ” 2 computato video tratti dai Prodotti Calcio mai oggetto di contestazione prima dell'instaurazione del giudizio 3 calcolato il danno anche con riferimento a contenuti che all'atto della contestazione di RTI non erano presenti sul portale di V. Testualmente I. 10 video elencati nel docomma 17 RTI, in data 10 luglio, all'atto dell'invio della diffida da parte da RTI non erano presenti sul portale di V., essendo stati precedentemente rimossi. Si tratta dei video identificati nell'Allegato numero 21 della Relazione del CTU con RowId nnumero 13, 23, 36, 65, 74, 75, 90, 101, 103 e 104, per la complessiva durata di 230,15 minuti 13.809secondi II. 132 video elencati nel docomma 16 RTI allegato all'atto di citazione, non erano più presenti all'atto dell'instaurazione del presente giudizio. Si tratta di tutti i 107 contenuti già riportati nella lettera di diffida di cui al docomma 17 RTI e di ulteriori 25 video identificati nell'Allegato 22 della Relazione del CTU con RowId nnumero 53, 82, 92 93, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 317, per la complessiva durata di 1.813 minuti 108.780 secondi III. 1 video tra quelli elencati nel docomma 42 RTI allegato alla memoria ex articolo 183 comma 6 numero 1 c.p.comma del 6 giugno 2016 non era presente a tale data sul portale V. La circostanza risulta dalla disamina dell'Allegato 23 della Relazione del CTU con RowId numero 59, della durata di 2,81 minuti 169 secondi . Il minutaggio complessivo considerato dei brani in contestazione pari a 6.780,39 minuti dovrà essere decurtato di 1.815,81 minuti, corrispondenti alla durata dei brani che all'atto delle contestazioni di RTI non erano presenti sul portale. La quantificazione del danno calcolata dal Tribunale con riferimento a tali brani, sulla base della liquidazione operata dal Tribunale pari € 700/minuto, corrisponde a € 1.271.067 che è stata così erroneamente imputata a V.” L'appello deve essere accolto limitatamente al punto sub 1, sussistendo un'effettiva duplicazione. La circostanza è pacifica, rilevata da V. negli atti del giudizio di primo grado, accertata dal CTU cfr. Relazione CTU, pp. 7 e 107 , mai contestata da RTI e altresì riconosciuta dal Tribunale in Sentenza cfr. p. 18 anche se poi nel conteggio finale è stato commesso l'errore di calcolo la circostanza è infine ammessa dall'appellata a pag.110 della comparsa di costituzione nel presente grado. I minuti da considerare devono pertanto essere ricalcolati e sono pari a 6.780,39 – 1.760,70 = 5.019,69. L'importo complessivo è così rideterminato € 700,00 X 5.019,69 = € 3.513.783,00 Per quanto riguarda il resto si ribadisce quanto già indicato con riferimento a Cass. 39763/2021 che, richiamando cass. 7708/2019 , individua l'hosting provider attivo in quel prestatore dei servizi che svolge un'attività esulante rispetto a quella di ordine meramente tecnico e pone in essere una condotta attiva, concorrendo con altri nella commissione dell'illecito in tal caso, indica la Cassazione, egli resta sottratto al regime generale di esenzione di cui all' articolo 16 del D.lgs. numero 70 del 2003 e la sua responsabilità civile si atteggia secondo le regole comuni ossia nel caso di specie secondo i criteri generali in materia di violazione del diritto di autore. Il prezzo del consenso costituisce quindi il criterio minimo da adottare e la Corte di Cassazione ha evidenziato come in buona sostanza vi sia una gerarchia tra i parametri di cui all' articolo 158 LDA correttamente applicato nel caso di specie non si può utilizzare altro criterio che abbassi ulteriormente il risultato. Il principio è stato confermato da Cass. 39763/2021 che ha stabilito In tema di diritto d'autore, la violazione del diritto di esclusiva determina un danno da lucro cessante che esiste in re ipsa , restando a carico del titolare solo l'onere di dimostrarne l'entità sempre che l'autore della violazione non fornisca la dimostrazione dell'insussistenza, nel caso concreto, di danni risarcibili tale pregiudizio è suscettibile di liquidazione in via forfettaria mediante l'utilizzo del criterio del prezzo del consenso di cui all' articolo 158, comma 2, terzo periodo, l. numero 633 del 1941 , che costituisce la soglia minima del ristoro spettante.” Nella medesima sentenza è specificato Questa Corte Sez.1, numero 21833 del 29.7.2021 ha recentemente ribadito che l'articolo 158 l.d.a. prevede il duplice criterio della retroversione degli utili conseguiti e del prezzo del consenso, sempre nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex articolo 1226 cod.civ. che la legge non esprime un precetto rigido di preferenza per i due criteri suggeriti, ma con l'espressione utilizzata quanto meno lascia intendere che quello del prezzo del consenso rappresenta la soglia minima della liquidazione che quindi i due criteri si pongono come cerchi concentrici, avendo il legislatore indicato come il secondo sia quello che permette una liquidazione minimale, mentre il primo, dall'intrinseco significato anche sanzionatorio, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l'autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l'eventuale costo riferibile all'acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell'opera, ma ulteriormente maggiorati dai ricavi conseguiti dall'autore della violazione sul mercato che l'articolo 158 l.d.a. indica espressamente i parametri su cui fondare la liquidazione equitativa del danno, consistente negli utili conseguiti dal responsabile dell'illecito grazie all'utilizzo indebito dell'opera altrui che anche il criterio del prezzo del consenso richiama la valutazione equitativa del danno in via forfettaria , offrendo un'indicazione minimale sul quantum da liquidare quanto meno secondo il metro del prezzo per la cessione dei diritti di utilizzazione economica di quell'opera che tale criterio va inteso come individuazione, pur sempre in via di prognosi postuma, del presumibile valore sul mercato del diritto d'autore de quo, nel tempo della operata violazione che si tratta di una valutazione media ed ipotetica, tenuto conto dei prezzi nel settore specifico, dell'intrinseco pregio dell'opera, dei guadagni dalla medesima conseguiti nel periodo di legittima utilizzazione da parte dell'autore medesimo per il tempo in cui ciò sia avvenuto, e di ogni altro elemento del caso concreto. D'altro canto, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela del diritto d'autore, la violazione di un diritto di esclusiva integra di per sé la prova dell'esistenza del danno, restando a carico del titolare del diritto medesimo solo l'onere di dimostrarne l'entità Sez. 3, numero 8730 del 15.4.2011, Rv. 617890 – 01 Sez. 1, numero 14060 del 7.7.2015, Rv. 635790 – 01 a meno che l'autore della violazione fornisca la prova dell'insussistenza nel caso concreto di danni risarcibili, nei limiti di cui all' articolo 1227 cod.civ. ” V. poi non ha fornito alcuna prova dell'inesistenza del danno e anzi, attesa la più volte richiamata risonanza internazionale della piattaforma e comunque, riguardo al mercato italiano, la notorietà di gran parte dei programmi ed eventi da cui sono stati tratti i video, vi è piuttosto la prova contraria. La valutazione del prezzo del consenso deve necessariamente essere proposta in via equitativa non essendoci precedenti specifici tra le parti. Per quanto riguarda il criterio utilizzato il Tribunale ha moltiplicato il prezzo al minuto per i minuti di durata dei video che, considerando i secondi indicati nella tabella a pag. 80 della ctu ossia 301.182 e dividendo per 60 porta a 5.091,7 minuti . Non è stato considerato il tempo di permanenza effettivo dei files sulla piattaforma e sono stati inglobati interessi e rivalutazione. Il criterio in una situazione, come la presente, in cui vi è una forte discrepanza nell'ambito di quasi cinquecento video considerati, sia per durata, sia per numero di visualizzazioni, sia per le pubblicità ad esse collegate, è del tutto congruo sono state infatti conglobate e contemperate in un unico parametro le diverse conseguenze dannose collegate a ciascun file, evitando parcellizzazioni inutili che avrebbero portato a valutazioni maggiori per alcuni video e minori per altri, violando ovvi e consolidati principi di economia processuale. Detto parametro è infatti in primo luogo, al contrario di quanto ritenuto dall'appellante e, con rilievi contrari, dall'appellata, allineato rispetto alla qualità delle parti è stato utilizzato un criterio medio ricavato da atti transattivi che, pur essendo stati stipulati tra RTI e soggetti svolgenti attività diverse rispetto a V. e di maggiore risonanza sul mercato italiano, tuttavia sono decisamente inferiori al prezzo del consenso ricavato con altri operatori, come dedotto e documentato dall'appellata e non contestato. In secondo luogo l'appetibilità di molti video immessi sulla piattaforma V., essendo sempre a visione gratuita come appurato dalla ctu , risulta molto più alta in concreto rispetto alla pubblicazione su siti a pagamento. In terzo luogo nel coacervo vi sono peraltro anche video con pochissime visualizzazioni, di modesta permanenza e di rilevanza sicuramente secondaria. In buona sostanza si tratta di un congruo contemperamento tra i contrapposti interessi unificando, sempre al fine di consentire una valutazione complessiva, anche le diverse durate di stazionamento dei singoli video sulla piattaforma. Di contro il criterio della revenue sharing, cui l'appellante fa riferimento in relazione ad altra causa pendente in primo grado tra le stesse parti e oggetto di quesiti dati al ctu detto parametro non rileva sia in quanto comunque si tratta di controversia riguardante altri files, sia in quanto ancora pendente in primo grado, sia in quanto, come già visto, il criterio in concreto adottato dal Tribunale resiste alle doglianze sia dell'appellante principale, sia, come si vedrà in seguito, a quelle dell'appellante incidentale sia in quanto il prezzo del consenso costituisce il livello minimo sotto cui non si può scendere. Per quanto riguarda la doglianza relativa al fatto di considerare anche brani già rimossi al momento della diffida o comunque rimossi al momento dell'instaurazione del giudizio si rileva come, alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, deve essere considerato il danno alla luce dei criteri generali per cui l'insorgere dell'illecito e la sua durata è legato all'inserimento dei video sulla piattaforma, essendo irrilevante la data della diffida, anche alla luce dell'esistenza all'epoca, come sopra indicato, di sistemi utili al fine di verificare l'esistenza del danno al copyright nel caso concreto, come correttamente indicato dal Tribunale. In buona sostanza laddove, come nel caso di specie, si tratta di hosting attivo, non va applicata tout court la disciplina relativa alle società di informazione di cui al d.lgs 70/2003 . Sesto motivo L'appellante sostiene l'erroneità e contraddittorietà della sentenza riguardo all'inibitoria in quanto, in assenza di tecnologie idonee a identificare preventivamente i contenuti violativi del diritto d'autore, detto ordine comporterebbe un'attività di controllo preventivo della totalità dei contenuti caricati dagli utenti, invero vietata dalla legge e con obbligo di rimozione in tempo reale, il tutto implicante modifiche antieconomiche del modello di business di V.”. Il motivo è infondato. L'inibitoria in primo luogo è stata emessa con riferimento ai soli files oggetto di causa per cui gli stessi sono facilmente individuabili da V. In secondo luogo, per i motivi già sopra esaminati, i mezzi per individuare il caricamento illecito sussistono mentre l'aspetto della convenienza economica non riguarda l'oggetto del giudizio. Settimo motivo L'appellante sostiene la necessaria conseguente riforma del capo di condanna alle spese e alla pubblicazione. La pubblicazione della sentenza risulta un mezzo idoneo a risarcire il danno e, attesa la violazione del diritto di autore, ne sono provati i presupposti per cui la doglianza sotto detto profilo è infondata. Per quanto riguarda le spese di lite si provvede come indicato alla fine della motivazione. APPELLO INCIDENTALE Primo motivo Si sostiene che, pur essendo corretto il criterio del prezzo del consenso, sarebbe errata la determinazione del valore economico di riferimento poiché l'importo di € 700,00 al minuto sarebbe stato utilizzato solo in atti transattivi con cui, nell'ottica delle reciproche concessioni volte ad evitare una controversia, si sarebbe scesi ben al di sotto del prezzo di mercato avrebbe invece dovuto essere utilizzato come parametro il prezzo medio per gli accordi di utilizzo stipulati con terzi, significativamente più alto. Non avrebbe poi considerato il Tribunale il fatto che diversi video sono stati presenti sulla piattaforma più di un anno per una media di 2,5 anni mentre il prezzo di € 700/minuto è il corrispettivo di un solo anno. Viene allegata una valutazione resa da un consulente di fiducia a supporto. Il motivo è infondato. Si rileva in primo luogo come nell'atto di citazione da pag 29 a pag 40 in primo grado la quantificazione del danno è operata unicamente sul valore del minuto, senza distinzione tra inserimento annuale o pluriannuale come anche in sede di memorie conclusionali, pur riferendosi RTI a precedenti corrispettivi valutati minutariamente per trasmissioni infrannuali comunque non viene effettuata una specifica disamina e differenziazione per i video con caricamento oltre l'anno. Si è poi già visto nell'esame dell'appello principale sul punto come la valutazione equitativa abbia condivisibilmente utilizzato, al corretto fine di contemperare i contrapposti interessi, un criterio unitario per tutti i video, a prescindere dal loro rilievo e quindi anche sopravvalutando files che avevano avuto scarsissima visualizzazione e che, riguardando trasmissioni di poco successo, comunque avrebbero avuto ben poche possibilità di essere piazzate sul mercato e quindi con un prezzo del consenso molto più basso di contro sono stati sottovalutati altri files che avevano opposte caratteristiche. La mancata considerazione della media annua di permanenza rientra in questa ottica e il ragionamento dell'appellante incidentale non è dirimente in quanto, applicando il criterio proposto, risulterebbe altrettanto congruo andare a verificare quali dei video rimasti più di un anno rientrino in quelli magari meno appetibili e con un prezzo del consenso sensibilmente inferiore rispetto a €700/minuto/anno e così via. Secondo motivo Si sostiene Il Tribunale non si è pronunciato sulle domande proposte da RTI in base al CPI , incorrendo in violazione dell' articolo 112 c.p.comma perché anche tali domande dovevano essere esaminate ed accolte. Come emerge dalle conclusioni trascritte nella stessa pronuncia di primo grado e dalla sua narrativa, RTI non aveva fondato le sue domande soltanto su violazioni dei propri diritti previsti dalla l.d.a. e dell' articolo 2598 c.comma , perché aveva prospettato anche violazioni del CPI in relazione ai propri segni distintivi, presenti sui file illecitamente caricati.” Effettivamente il Tribunale non ha espressamente trattato detta asserita illegittimità ma ciò non comporta l'accoglimento dell'appello. A prescindere infatti dall'accertamento della violazione il Giudice ha emesso gli ordini di rimozione e di divieto di futuro caricamento dei video e una penale per gli inadempimenti che comunque garantiscono la tutela in forma specifica anche del diritto in questione. Riguardo al danno patrimoniale poi si rileva come lo stesso, sempre in un'ottica equitativa e per i motivi sopra indicati, è comunque da ricomprendersi in quello già sopra determinato. Valgono a tale proposito e in aggiunta i seguenti rilievi che costituiscono ulteriore riscontro al rigetto sul punto dell'impugnazione. Nell'atto di citazione di primo grado pagine da 29 a 40 è stato unicamente fatto riferimento al prezzo del consenso già sopra esaminato senza alcuna differenziazione per l'asserita violazione del marchio parimenti in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado dopo la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale, riferito a calcoli sempre basati sul prezzo del consenso utilizzato in materia di violazione del diritto di autore, RTI si è limitata a chiedere in subordine un danno equitativamente determinato sempre richiamando solo ed esclusivamente la LDA e omettendo del tutto di quantificare separatamente un danno per la violazione del marchio. Testualmente è stato domandato condannare la convenuta in persona del proprio rappresentante legale pro tempore al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, subiti e subendi dalla società attrice che si quantificano i in via principale, in riferimento alla pubblicazione dei 385 brani audiovisivi di cui è stata accertata la presenza sul Portale all'atto dell'introduzione del presente giudizio, e agli ulteriori 113 brani audiovisivi di cui è stata accertata la presenza sul Portale V. con i documenti nnumero 16 e 42 e rispettivi allegati in Euro 4.750.000,00 + 900.000,00 5.650.000,00 oltre interessi e rivalutazione ii in via subordinata, in riferimento ai 240 brani audiovisivi che non sono stati rimossi dal Portale neppure successivamente alla ricezione della diffida trasmessa da RTI in data 10.7.2015 cfr. doccomma 17/17 bis , e agli ulteriori 113 brani audiovisivi di cui è stata accertata la presenza sul Portale con la relazione tecnica allegata sub docomma 42 e allegati alla memoria ex articolo 183 numero 1 c.p.comma , in Euro 2.400.000,00 + 900.000,00 = 3.300.000,00 iii nella maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa, anche a seguito di valutazione equitativa che sin d'ora si sollecita ex articolo 158 della L. 633/1941 ”. Terzo motivo Si contesta il rigetto della domanda risarcitoria derivante dal danno non patrimoniale. Il Tribunale ha ritenuto di non riconoscerlo affermando che non fosse stato provato il danno all'immagine. Il motivo è fondato nei limiti che seguono. Nell'atto di citazione di primo grado RTI non aveva compiuto riferimento solo alla violazione dell'immagine commerciale ma aveva anche espressamente affermato La condotta di V. integra gli estremi delle fattispecie di reato previste dagli articoli 171, comma 1 , lett. a , a-bis , f , 171-ter, comma 1 , lett. a , b c , 171-ter, comma 2, lett. a , a-bis , c LDA nonché dall' articolo 127, comma 1, CPI .” Nel caso di specie la diffusione dei video su piattaforma integra la fattispecie di reato di cui all' articolo 171 ter lda richiamato a carico delle persone fisiche operanti per V. e quindi della società come responsabile civile, dovendosi far risalire il presupposto soggettivo dalla diffida in atti il danno, considerata la fattispecie come sopra delineata, le diverse durate di permanenza dei video e la diversa risonanza mediatica degli stessi, è equitativamente determinata nel 10% dell'importo in linea capitale liquidato a titolo di danno patrimoniale € 351.378,30 somma da ritenersi comprensiva di rivalutazione e interessi fino alla pubblicazione della presente sentenza oltre interessi legali successivi fino al saldo. Non può essere liquidato, in conformità a quanto ritenuto dal Tribunale, un'ulteriore somma a titolo di danno all'immagine poiché l'allegazione è del tutto generica e in quanto non risulta provato in concreto. Quarto motivo Si contesta l'omessa condanna di V. all'ostensione dei dati nella sua disponibilità ai fini della identificazione dei soggetti che hanno immesso sul portale di V. i brani audiovisivi estratti dai programmi rti e dai prodotti calcio oggetto di causa”. Il motivo è infondato in quanto l'appellante ha già ottenuto pieno ristoro dei danni lamentati senza che ne vengano evidenziati di ulteriori ascrivibili ai privati che hanno caricato i video. Quinto motivo Si afferma Il primo Giudicante, pur avendo liquidato all'Ing. D'U. la complessiva somma di euro 23.000,00 cfr. docomma 39 alla presente comparsa ha poi omesso di porre tali spese, nella loro interezza, a carico della parte soccombente i.e. l'appellante principale. Contrariamente a quanto chiede la controparte, quindi, le spese della CTU dovranno essere poste definitivamente a carico integrale di V.…” Il motivo è fondato. Sulla base della CTU infatti il Tribunale, con motivazione che è stata confermata nel presente grado, ha accolto la tesi di RTI sulla natura di hosting attivo di V. per cui le relative spese, secondo il generale principio della soccombenza, devono essere poste definitivamente a carico per la totalità dell'appellante. Spese di lite L'accoglimento seppure parziale delle rispettive impugnazioni comporta la necessaria riconsiderazione delle spese legali anche relative al giudizio dinanzi al Tribunale che unitamente a quelle del presente grado, sono a carico dell'appellante e liquidate come in dispositivo sulla base dell'entità della condanna ridotta rispetto al primo grado e della complessità delle questioni trattate, considerando anche in appello il sub procedimento di inibitoria. P.Q.M. La Corte, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, condanna V. Limited Liability Company al risarcimento dei danni patrimoniali subiti da RTI s.p.a. quantificati in linea capitale in euro € 3.513.783,00 condanna V. Limited Liability Company al risarcimento dei i danni non patrimoniali, quantificati in € 351.378,30 oltre interessi dal giorno della pubblicazione della presente sentenza al saldo Pone definitivamente a carico di V. le spese di CTU di primo grado. Condanna V. a pagare a RTI s.p.a. le spese di entrambi i gradi di giudizio liquidate per il primo grado in € 50.000,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA e per il presente grado in € 35.000,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA.