Irrilevante, chiariscono i Giudici, il fatto che il carabiniere, che era fuori servizio, non abbia provveduto a fermare l'uomo. Ciò non mette in discussione la corretta identificazione effettuata dal militare.
Sufficiente il riconoscimento a distanza operato dal militare fuori servizio per certificare l'evasione compiuta dall'uomo costretto ai domiciliari. Scenario della vicenda è la provincia milanese. A finire sotto processo è un uomo che, costretto ai domiciliari, è stato sorpreso per ben due volte fuori casa. Per i giudici di merito il quadro probatorio è chiarissimo consequenziale, quindi, la condanna, sia in primo che in secondo grado, per il delitto di evasione. Questa decisione viene contestata in Cassazione dalla difesa, che prova a fornire una differente chiave di lettura dei due episodi contestati al ricorrente. Nello specifico, il legale osserva che in un caso il suo cliente «è stato riconosciuto, mentre era alla guida della sua bicicletta, in assenza di formale identificazione, da un agente fuori servizio» e in un altro caso «si è allontanato dal domicilio per andare a buttare la spazzatura». Secondo il legale, è illogico qualificare i due episodi come evasione, posto che «nel primo caso è difettata l'identificazione» mentre «nel secondo caso l'uomo non intendeva contravvenire alle prescrizioni dell'autorità giudiziaria», avendo portato fuori la spazzatura poiché «unico membro del nucleo familiare». Chiara la tesi difensiva l'uomo sotto processo non ha agito con dolo. Anche per questo, viene chiesto almeno il riconoscimento della particolare tenuità dei fatti, anche tenendo presenti «le condizioni psicopatologiche dell'uomo e le motivazioni che ne imposero l'allontanamento da casa». Per i Giudici di Cassazione, però, non vi sono i presupposti per mettere in discussione la pronuncia di condanna emessa in Appello. Per quanto concerne il primo episodio, «l'uomo era stato notato da un maresciallo dei carabinieri mentre percorreva una via in bicicletta e in orario diverso da quello in cui era autorizzato ad allontanarsi dal domicilio». Vero che in quell'occasione «il militare si trovava fuori servizio, a bordo della sua autovettura privata, e che non provvedeva a fermare l'uomo in bici», ma, osservano i Giudici, «tali circostanze non sono idonee a inficiare la corretta identificazione dell'uomo, posto che il maresciallo lo conosceva bene, essendo l'uomo sottoposto agli arresti domiciliari nel Comune in cui il militare prestava servizio». Non a caso, «l'uomo era stato più volte controllato dal militare dell'Arma», annotano i Giudici. Per quanto concerne il secondo episodio, viene respinta la giustificazione proposta dall'uomo, ossia «la necessità di buttare la spazzatura». A questo proposito, difatti, «tale circostanza non soltanto non emerge dalla relazione di servizio stesa dai militari nell'immediatezza del fatto, ma contrasta, anzi, con essa», poiché «da tale relazione risulta che l'uomo, avvedutosi della presenza dei carabinieri, simulava di aver smarrito le chiavi di casa, il giorno prima, durante l'orario di permesso, riferendo ai militari di trovarsi fuori dall'abitazione proprio alla ricerca delle chiavi» mentre «i militari constatavano che la porta era regolarmente chiusa a chiave». Palese, quindi, il dolo di evasione nelle condotte tenute dall'uomo. Impensabile, poi, aggiungono i Giudici, ipotizzare la non punibilità per particolare tenuità dei fatti, soprattutto tenendo presenti «la vicinanza temporale dei due episodi, i precedenti e la pericolosità sociale dell'uomo».
Presidente Di Stefano – Relatore Di Giovine Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la condanna dell'imputato, disposta in primo grado, a seguito di giudizio abbreviato, per il delitto di evasione articolo 385 c.p., commi 1 e 3 . . 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso B.A.N., per il tramite del suo difensore, avvocato Verdini Valentina. Il ricorrente premette che il capo d'imputazione contemplava due distinti episodi. L'imputato, in uno, era riconosciuto, in assenza di formale identificazione, da un agente fuori servizio alla guida del suo velocipide nell'altro, si allontanava dal domicilio per andare a buttare la spazzatura. 2.1. Ciò precisato, con il primo motivo di ricorso è dedotto vizio di motivazione in merito alla qualificazione dei fatti come evasione, posto che nel primo caso, è difettata l'identificazione dell'imputato nel secondo, l'imputato non intendeva contravvenire alle prescrizioni dell'autorità giudiziaria essendo l'unico membro del suo nucleo familiare , sicché non avrebbe agito con dolo. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto articolo 131-bis c.p. , in considerazione delle condizioni psicopatologiche da cui il ricorrente era affetto al momento dei fatti e delle motivazioni che ne imposero l'allontanamento da casa, nel secondo episodio. 2. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, numero 137, articolo 23, comma 8, conv. dalla L. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e comunque generico, in quanto non si confronta con la motivazione, completa e logica, del provvedimento impugnato. In relazione al primo episodio di evasione, scrivono infatti i giudici che l'imputato era notato da un maresciallo dei carabinieri di […] mentre percorreva una via in bicicletta, in orario diverso da quello in cui era autorizzato ad allontanarsi dal domicilio. È vero - si aggiunge - che, in quell'occasione, il militare si trovava fuori servizio, a bordo della sua autovettura privata, e che non provvedeva a fermare l'imputato. Tuttavia - e la motivazione appare sul punto compiuta e coerente - tali circostanze non sono idonee a inficiare la corretta identificazione dell'imputato, posto che il maresciallo ben conosceva B., che era sottoposto agli arresti domiciliari nel Comune in cui il militare prestava servizio e, per questo, dallo stesso più volte controllato. Persuasivamente motivato risulta, nel provvedimento impugnato, anche il rigetto delle deduzioni volte a giustificare il secondo allontanamento dell'imputato dal domicilio, in rapporto al quale il ricorrente rileva la necessità di buttare la spazzatura. In sentenza si precisa, infatti, come tale circostanza non soltanto non emerga dalla relazione di servizio stesa dai militari nell'immediatezza del fatto, ma contrasti, anzi, con essa. Da tale relazione risultava, infatti, che il B., avvedutosi della presenza dei Carabinieri, simulava di aver smarrito le chiavi di casa, il giorno prima, durante l'orario di permesso, riferendo agli operanti di trovarsi fuori dall'abitazione proprio alla ricerca delle medesime spiegazione ritenuta non credibile, avendo i militari constatato che la porta era regolarmente chiusa a chiave . Correttamente, dunque, i giudici inferiscono la sussistenza del dolo di evasione e, in generale, la configurabilità del delitto. 1.2. Pur nella sua sinteticità, compiutamente e logicamente motivata appare la sentenza impugnata pure in relazione al secondo motivo di ricorso, e cioè al mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto articolo 131-bis c.p. , richiamandosi in essa la vicinanza temporale dei due episodi contestati, tra cui è ravvisata continuazione che, tuttavia, non sarebbe stata di per sé sola sufficiente Sez. U, numero 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 , nonché i precedenti dell'imputato e desumendosi, oltretutto, dalla pronuncia di primo grado, la sussistenza di gravi profili di pericolosità sociale in capo all'imputato. 3. Alla valutazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'articolo 616 c.p.p. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196, articolo 52 che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.