L’avvocato deve dimostrare di aver subito un attacco hacker per chiedere la rimessione in termini

Nell’ambito del giudizio disciplinare, l’avvocato non può chiedere la rimessione in termini adducendo un attacco hacker subito dal proprio PC in assenza di una apposita certificazione tecnica.

Un avvocato era stato sospeso con decisione del competente Consiglio Distrettuale di Disciplina per plurime violazioni disciplinare. La decisione è stata impugnata dinanzi al CNF tardivamente , adducendo un attacco hacker che gli avrebbe impedito di verificare le PEC ricevute e dunque anche la decisione del CDD. Sulla base di questa motivazione, l’avvocato ha chiesto la rimessione in termini. Il CNF, dichiarando inammissibile il ricorso, ha specificato che la PEC di trasmissione della decisione disciplinare all’incolpato risulta correttamente trasmessa e consegnata. Infatti nell’avanzare richiesta di remissione in termini, e al fine di giustificare quanto sostenuto il ricorrente allega varia documentazione . Non vi è però traccia alcuna di una certificazione tecnica che attesti l’intrusione informatica, circostanza questa che impedisce una valutazione favorevole della richiesta di remissione in termini . In altre parole, l’avvocato avrebbe dovuto corredare la richiesta di rimessione in termini con una consulenza tecnica specifica a dimostrazione dell’attacco hacker subito.

CNF, sentenza n. 147/2023