Familiari abili al lavoro: niente autorizzazione al detenuto per un impiego

Respinta l'istanza avanzata da un uomo condannato a oltre cinque anni di reclusione e ora costretto ai domiciliari. I Giudici precisano che va considerata la presenza, all'interno del nucleo familiare, di altri soggetti abili al lavoro. Disattesa la tesi difensiva secondo cui il detenuto deve essere posto in condizione di provvedere alle proprie esigenze di vita, senza gravare sul bilancio familiare.

Stop all'ipotesi di un impiego per il detenuto agli arresti domiciliari se si appura che nel suo nucleo familiare vi sono altre persone abili al lavoro. Riflettori puntati sulla richiesta avanzata da un uomo condannato in secondo grado a oltre cinque anni di reclusione per partecipazione ad un'associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti e detenuto agli arresti domiciliari, richiesta mirata all'ottenimento dell'autorizzazione a svolgere un'attività lavorativa per poter provvedere ai bisogni dei propri familiari. Per i giudici di merito, però, non vi sono i presupposti per accogliere l'istanza del detenuto, soprattutto tenendo presenti i redditi e le capacità lavorative dei suoi familiari. Col ricorso in Cassazione, però, l'avvocato che rappresenta il detenuto contesta la valutazione compiuta in Tribunale, sostenendo che «molteplici elementi - non valutati dal Tribunale - dimostrano l'esiguità dei redditi dei familiari conviventi» del detenuto e «la conseguente loro inidoneità a fronteggiare le esigenze di vita del detenuto, esigenze non riducibili al mero sostentamento alimentare e alle spese domestiche ad esso correlate». E, sempre in questa ottica, il legale aggiunge che «i redditi del nucleo familiare» del suo cliente «sono insufficienti a garantire condizioni di vita dignitose e il soddisfacimento delle esigenze di vita», anche perché «le necessità collegate allo stato di assoluta indigenza non si esauriscono nella fisica sopravvivenza vitto, vestiario ed alloggio , ma comprendono ogni altra necessità ritenuta quotidiana grazie all'elevazione degli standards di vita». In conclusone, secondo il legale «la misura degli arresti domiciliari non può sopprimere i diritti inviolabili del soggetto, pregiudicandone gravemente la qualità di vita». Prima di esaminare le obiezioni difensive, però, i Magistrati di Cassazione ribadiscono, in premessa, che «il giudice della cautela può autorizzare chi sia ristretto agli arresti domiciliari, e versi in una situazione di assoluta indigenza, ad assentarsi dall'abitazione per svolgere attività lavorativa». Ma «la condizione di assoluta indigenza va riferita ai bisogni primari dell'individuo e dei familiari a suo carico, ai quali non può essere data soddisfazione se non attraverso il lavoro. E la nozione di bisogni primari si carica di significati concreti con l'evolversi delle condizioni sociali, dovendo ritenersi in essi comprese, a titolo esemplificativo, le spese per le comunicazioni, per l'educazione e per il mantenimento della salute», osservano i Giudici. Di conseguenza, «non opera un'interpretazione analogica o estensiva, vietata dal carattere eccezionale della norma, il giudice che rifiuti una concezione pauperistica dell'assoluta indigenza, comprendendo nelle esigenze cui sopperire anche necessità ulteriori rispetto a quelle della fisica sopravvivenza vitto, vestiario e alloggio ». Nell'ottica di tale valutazione, però, «non possono essere considerate esclusivamente le condizioni economiche» del soggetto, occorrendo invece valutare anche «la compatibilità dell'attività lavorativa proposta rispetto alle ragioni dell'imposizione della misura, al grado e alla natura delle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva». Delineato il quadro generale, i Magistrati si soffermano sul singolo caso e sulla specifica istanza del detenuto e riconoscono la correttezza della valutazione compiuta dal Tribunale. Ciò significa, ovviamente, che è negata al detenuto «l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo di arresto per esercitare un'attività lavorativa», e in questa ottica viene considerata negativamente «la presenza, all'interno del nucleo familiare, di altri soggetti abili al lavoro» e viene disattesa la tesi difensiva secondo cui «il detenuto deve essere posto in condizione di provvedere alle proprie esigenze di vita, senza gravare sul bilancio familiare». Per chiudere il cerchio, infine, viene sottolineata «l'impossibilità di salvaguardare le esigenze cautelari mediante il regime attenuato di arresti domiciliari con autorizzazione al lavoro a causa dell'elevato spessore criminale del soggetto, condannato alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione per la partecipazione ad un'associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti».

Presidente Serrao – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, ai sensi dell'articolo 310 c.p.p. ha confermato l'ordinanza della Corte di appello di Napoli del 27 dicembre 2022 di rigetto della richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa, proposta da R.M. detenuto agli arresti domiciliari in relazione al reato di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74 partecipazione ad associazione dedita al traffico di stupefacenti , vicenda in relazione alla quale era stato condannato con sentenza di secondo grado alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione. 2. Il R., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la suindicata ordinanza per violazione degli articolo 274,275 e 284 c.p.p. e per omessa motivazione. Si deduce che molteplici elementi - non valutati dal Tribunale del riesame - dimostravano l'esiguità dei redditi dei familiari conviventi e la conseguente loro inidoneità a fronteggiare le esigenze di vita del R., non riducibili al mero sostentamento alimentare e alle spese domestiche ad esso correlate. I redditi del nucleo familiare erano insufficienti a garantire condizioni di vita dignitose e il soddisfacimento delle esigenze di vita, aldilà del ristretto catalogo elaborato in passato dalla giurisprudenza. Le necessità collegate allo stato di assoluta indigenza, infatti, non si esauriscono nella fisica sopravvivenza vitto, vestiario ed alloggio , ma comprendono ogni altra necessità ritenuta quotidiana grazie all'elevazione degli standards di vita. La misura degli arresti domiciliari non può sopprimere i diritti inviolabili del soggetto, pregiudicandone gravemente la qualità di vita. Emergeva, peraltro, una carenza motivazionale in ordine alla persistenza delle esigenze cautelari, in quanto l'ordinanza impugnata non contiene indicazioni in ordine alla concretezza e all'attualità richieste dall'articolo 274 c.p.p. nonché alla proporzionalità e all'adeguatezza della misura imposte dall'articolo 275 c.p.p. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Con riferimento all'unico motivo di ricorso, va osservato che, ai sensi dell'articolo 284 c.p.p., comma 3, il giudice della cautela può autorizzare chi sia ristretto agli arresti domiciliari e versi in una situazione di assoluta indigenza ad assentarsi dall'abitazione per svolgere attività lavorativa. Peraltro, sul rilievo dell'eccezionalità della previsione di cui all'articolo 284 c.p.p., comma 3 - dimostrata dalla configurazione dei presupposti dell'autorizzazione in termini di indispensabilità e assolutezza - si è costantemente ribadito che la valutazione degli stessi presupposti deve essere improntata a criteri di particolare rigore Sez. 5, numero 27971 del 01/07/2020, G., Rv. 279532 Sez. 2, numero 53646 del 22/09/2016, Condorelli, Rv. 268852 Sez. 2, numero 9004 del 17/02/2015, Prago, Rv. 263237  Sez. 2, numero 12618 del 12/02/2015, Bosco, Rv. 262775 . La condizione di assoluta indigenza va riferita ai bisogni primari dell'individuo e dei familiari a suo carico, ai quali non può essere data soddisfazione se non attraverso il lavoro Sez. 3, numero 24995 del 13/02/2018, Osmani, Rv. 273205 . La nozione di bisogni primari si carica di significati concreti con l'evolversi delle condizioni sociali, dovendo ritenersi in essi comprese, a titolo esemplificativo, le spese per le comunicazioni, per l'educazione e per il mantenimento della salute Sez. 4, numero 10980 del 29/01/2007, Pagliari, Rv. 236194 . Ne consegue che non opera un'interpretazione analogica o estensiva, vietata dal carattere eccezionale della norma, il giudice che rifiuti una concezione pauperistica dell'assoluta indigenza, comprendendo nelle esigenze cui sopperire anche necessità ulteriori rispetto a quelle della fisica sopravvivenza vitto, vestiario e alloggio Sez. 4, numero 10980 del 29/01/2007, Pagliari, Rv. 236194 Sez. 4, numero 9109 del 10/12/2004, dep. 2005, Sgroi, Rv. 230933 Sez. 6, numero 2530 del 01/07/1999, Gessetto, Rv. 214929 . Nel compiere tale valutazione, non possono essere considerate esclusivamente le condizioni economiche dell'indagato o dell'imputato , occorrendo invece valutare anche la compatibilità dell'attività lavorativa proposta rispetto alle ragioni dell'imposizione della misura al grado e alla natura delle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva Sez. 2, numero 9004 del 17/02/2015, cit. Sez. 6, numero 12337 del 25/02/2008, Presta, Rv. 239316 Sez. 4, numero 45113 del 15/03/2005, Haris, Rv. 232820 . Al fine di valutare la condizione di assoluta indigenza dell'imputato, peraltro, va sempre esaminata la situazione reddituale del suo coniuge convivente o del convivente more uxorio quanto al primo caso Sez. 3, numero 34235 del 15/07/2010 quanto al secondo caso, implicitamente Sez. 2, numero 53646 del 2016, cit. . Con riguardo all'onere probatorio gravante sull'imputato che richieda l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo di arresto, occorre un particolare rigore, da parte del giudice, nella valutazione della sussistenza dello stato di assoluta indigenza , da tale onere, tuttavia, non può spingersi sino al punto di pretendere una sorta di prova legale di detto stato, mediante la produzione di autocertificazione attestante l'impossidenza dei redditi necessari a soddisfare le esigenze di vita Sez. 2, numero 53646 del 2016, cit. Sez. 2, numero 12618 del 2015, cit. . 2. Tanto premesso, il Tribunale del riesame, con motivazione coerente ed adeguata, ha negato al R. l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo di arresto per esercitare un'attività lavorativa, considerando negativamente la presenza all'interno del nucleo familiare di altri soggetti abili al lavoro e disattendendo la tesi difensiva, secondo la quale il detenuto dovesse essere posto in condizione di provvedere alle proprie esigenze di vita, senza gravare sul bilancio familiare. Nella sentenza impugnata si è poi evidenziato che il R. è stato condannato alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione per la partecipazione ad un'associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti. Tale motivazione appare sufficiente, sicché si sottrae a censure nella presente sede di legittimità, in quanto i giudici della cautela si sono allineati ai predetti principi, evidenziando correttamente quanto segue a la necessità di valutare con estremo rigore la sussistenza del presupposto dell'assoluta indigenza b l'indefettibilità di un'analisi congiunta della consistenza delle condizioni economiche dell'imputato e dei suoi familiari c l'impossibilità di salvaguardare le esigenze cautelari mediante il regime attenuato di arresti domiciliari con autorizzazione al lavoro a causa dell'elevato spessore criminale del soggetto, emergente dalla vicenda in oggetto. 3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali articolo 616 c.p.p. . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.