L’intervento della Riforma Cartabia per la riapertura delle indagini: basta l’esigenza di nuove investigazioni

Protagonista della vicenda in esame è un maresciallo della Guardia di Finanza, accusato di essersi introdotto abusivamente nella banca dati Sogei, al fine di eseguire alcune interrogazioni ad un magistrato in servizio presso una Procura della Repubblica siciliana.

L'imputato lamenta in giudizio il fatto che la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciare sentenza di improcedibilità ex art. 529 c.p.p. dal momento che era stato emesso decreto di archiviazione nei suoi confronti, oltre che la violazione del ne bis in idem , in quanto il decreto cit. seguiva un altro decreto di archiviazione nei confronti del medesimo indagato e per il medesimo fatto. La doglianza è infondata. Alla luce dei principi della giurisprudenza di legittimità relativi all' art. 649 c.p.p. e della Riforma Cartabia in relazione all' art. 414 c.p.p. , il Collegio ha ritenuto che anche un provvedimento di archiviazione pronunciato sulla base di una istruttoria completa e ridiscutibile solo entro i limiti dell'art. 414 cit. possa considerarsi un provvedimento definitivo . I magistrati sottolineano, inoltre, per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, l'inoppugnabilità del provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari autorizza la richiesta del PM di riaprire le indagini a seguito della disposta archiviazione Cass. n. 14991/2012 . Sempre per ciò che riguarda l' art. 414 c.p.p. , non è richiesta quale condizione necessaria per l'autorizzazione alla riapertura delle indagini che siano già emerse nuovi fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, essendo invece sufficiente l' esigenza di nuove investigazioni , circostanza quest'ultima che è configurabile anche nel caso in cui si prospetti la rivalutazione, in un'ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo delle precedenti acquisizioni Cass. n. 16401/2021 , Cass. 13802/2020 . Pertanto, per tutti questi motivi, la S.C. dichiara inammissibile il ricorso in oggetto. Per comprendere meglio le novità introdotte dalle ultime importanti riforme in tema di processo civile, processo penale, crisi d'impresa e contratti pubblici scopri IUS Guida alle riforme.

Presidente Zaza – Relatore Pilla Ritenuto in fatto 1.Con sentenza del 13 luglio 2022 la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la pronuncia del 9 settembre 2021 dal Tribunale cittadino in composizione monocratica nei confronti di C.F. con la quale l'imputato era stato condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di giustizia condizionalmente sospesa oltre statuizioni civili per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 61 comma 1 n. 10, 615 ter commi primo, secondo n. 1 e terzo c.p., per essersi, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di maresciallo della GdF presso la stazione di … , introdotto abusivamente nella banca Dati , per eseguire una serie di interrogazioni relative a P.R. magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di … . 2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, contenente i seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione di legge processuale con riferimento agli artt. 414, 649 c.p.p. . In particolare, lamenta il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunziare sentenza di improcedibilità ex art. 529 c.p.p. dal momento che nei confronti del C. era stato emesso decreto di archiviazione in data 14 febbraio 2017. Il provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini emesso dal Gip in data 22 gennaio 2018 sulla base della informativa della GdF del 17 gennaio 2018 risulta illegittimo rappresentando una vera e propria fictio iuris. Le indagini compendiate nella richiamata informativa erano già state compiute prima della autorizzazione alla riapertura ex art. 414 c.p.p. . Sussiste altresì violazione del principio del ne bis in idem dal momento che il decreto di archiviazione del 14 febbraio 2017 seguiva un altro decreto di archiviazione del 20 aprile 2016 emesso nei confronti del medesimo indagato e per il medesimo fatto. Sul punto, infatti, può ritenersi -alla luce dei principi della giurisprudenza convenzionale relativi all' art. 649 c.p.p. e della riforma Cartabia in relazione all' art. 414 c.p.p. - che anche un provvedimento di archiviazione pronunciato sulla base di una istruttoria completa e ridiscutibile solo entro i limiti dell' art. 414 c.p.p. possa considerarsi un provvedimento definitivo. 2.2.Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla responsabilità dell'imputato quanto alla valutazione della prova. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato le censure difensive avanzate sin dall'atto di appello quanto alla inutilizzabilità dei documenti TXT ed EXCEL allegati alla informativa più volte richiamata perché acquisiti in assenza di un legittimo provvedimento di riapertura delle indagini. Nè l'inutilizzabilità genetica può considerarsi superata, come pure sostenuto dalla sentenza impugnata, dall'espresso richiamo ai documenti operato dal teste di Polizia giudiziaria nel corso della istruttoria dibattimentale. 2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all'applicazione dei principi fissati dagli artt. 192 e 533 c.p.p. . In particolare, contraddittoria e manifestamente illogica appare la motivazione laddove la Corte territoriale ha ritenuto provata la penale responsabilità attraverso una ricostruzione puramente indiziaria in punto di identificazione del ricorrente quale soggetto autore dell'accesso, ben potendosi configurare un ragionevole dubbio quanto alla riconducibilità al C. della condotta contestata. 2.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato. Lamenta la difesa che la Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi fissati dalle Sezioni Unite in relazione alla interpretazione dell'art. 615 ter comma 2 n. 1 c.p. che riconosce la sussistenza del reato solo qualora l'accesso al sistema avvenga per ragioni ontologicamente estranee o comunque diverse rispetto a quelle per le quali soltanto la facoltà di accesso gli è attribuita . L'odierno ricorrente era autorizzato all'accesso alla Banca dati. Inoltre, non risulta provato che l'accesso sia stato effettuato per fini illeciti dal momento che non solo l'accesso è avvenuto unicamente in relazione a dati anagrafici, liberamente ricavabili anche da fonti aperte, ma anche per appena 38 secondi, convalidando la possibile ipotesi di un accesso avvenuto per errore. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1.Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato non confrontandosi con le argomentazioni della sentenza impugnata e con le indicazioni di questa Corte sul tema. 1.1. Quanto alla censura relativa alla violazione dell' art. 414 c.p.p. questa Corte ha chiarito che è inoppugnabile, per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari autorizza la richiesta del pubblico ministero di riaprire le indagini a seguito della disposta archiviazione. Sez.5, n. 14991 del 12/01/2012, Rv. 252323 . Peraltro, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità l' art. 414 c.p.p. non richiede quale condizione necessaria per l'autorizzazione alla riapertura delle indagini che siano già emerse nuove fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, essendo invece sufficiente l'esigenza di nuove investigazioni, circostanza quest'ultima che è configurabile anche nel caso in cui si prospetti la rivalutazione, in un'ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo, delle precedenti acquisizioni. Sez. 2, n. 16401 del 17/2/2021, Rv.281124 Sez. 5, n. 13802 del 17/02/2020, Rv. 278991 . La sentenza impugnata ha con motivazione immune da vizi illogici evidenziato che il decreto di archiviazione del 14 febbraio 2017 era stato emesso dal Gip non perché mancasse la prova degli accessi al sistema, quanto piuttosto per la ritenuta impossibilità di attribuire la paternità degli accessi al ricorrente dal momento che i suoi codici risultavano utilizzati da più postazioni in alcune occasioni anche contestualmente, conclusione questa sconfessata dal successivo accertamento che ha consentito di chiarire quale sia il significato da attribuire all'espressione campo postazione . 1.2. Quanto alla censura relativa alla violazione dell' art. 649 c.p.p. il provvedimento di archiviazione è atto per sua natura non suscettibile di passare in giudicato e l'effetto preclusivo è sottoposto alla condizione dall'assenza dell'autorizzazione del giudice alla riapertura delle indagini a norma dell' art. 414 comma 1 c.p.p. . Appare, dunque, inapplicabile al caso di specie il principio contenuto nell' art. 649 c.p.p. che presuppone la sussistenza di un provvedimento giurisdizionale che abbia accertato in via definitiva un fatto. 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato non confrontandosi anche in tal caso con la sentenza impugnata e con i principi fissati in tema di utilizzabilità. Esclusa la inutilizzabilità degli atti di indagine per le suindicate ragioni, la sentenza impugnata chiarisce p.4 che i dati acquisiti siano transitati nella fase processuale del giudizio dibattimentale attraverso l'assunzione della prova orale e documentale. Nel caso di specie risulta, inoltre, che nel corso del giudizio di primo grado, con il consenso delle parti, sono state acquisite, tra le altre, la scheda anagrafica con l'indicazione della matricola attribuita all'imputato, le stampe dei files Excel e Txt trasmessi dalla unitamente alla nota di chiarimento che li accompagnava. 3. Il terzo motivo risulta manifestamente infondato non confrontandosi con le principali argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessinnone, Rv. 207944 . Al riguardo la Corte territoriale ha in maniera esaustiva, con motivazione immune da vizi logici, argomentato in proposito richiamando sul punto anche le specifiche e complete indicazioni della sentenza di primo grado ipotesi di doppia conforme quanto alla corretta identificazione del ricorrente quale autore degli accessi abusivi. 4. Manifestamente infondato il quarto motivo. Le censure operano un espresso richiamo alla interpretazione che questa Corte, attraverso le Sezioni Unite, ha offerto della fattispecie relativa all'accesso abusivo ai sistemi informatici di cui all' art. 615 ter c.p. , aggravata dalla circostanza di essere stato l'accesso commesso da un pubblico ufficiale con abuso di potere art. 615 ter comma 2 n. 1 c.p. . Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che integra il delitto previsto dall' art. 615-ter, comma 2, n. 1, c.p. la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita S.U., n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 271061 . Nella prospettazione del ricorrente gli accessi effettuati sarebbero sempre avvenuti in un rapporto di piena compatibilità con la funzione dallo stesso svolta. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, le risposte fornite dalla sentenza impugnata fanno buon governo dei principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte. È evidente che gli accessi a quei dati si connotassero delle caratteristiche dell'abusività, sicché la Corte di appello ha coerentemente fondato l'affermazione di responsabilità nel rispetto dei principi formulati dalle Sezioni Unite, considerando l'azione dell'imputato quale operazione non ispirata ai canoni della correttezza e della lealtà, siccome ontologicamente incompatibile e diversa rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli era attribuita. 5.Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresì, a norma dell' art. 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso, nella misura di Euro tremila e la condanna al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza processuale sostenute dalla parte civile da liquidarsi come da parte dispositiva. PQM Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge.