Medico perfora l’utero ad una paziente: il giudice non può valutare il nesso di causalità “su semplici congetture”

Protagonista della vicenda in esame è un medico, accusato di aver cagionato ad una paziente, la perforazione dell’utero e dell’intestino, in occasione di un intervento di revisione della cavità uterina a seguito ad un aborto. La pronuncia si concentra sul nesso di causalità.

La Corte territoriale ha erroneamente fondato il giudizio di responsabilità nei riguardi dell'odierno imputato surrogandosi in un giudizio tecnico che non può essere rimesso al giudicante e ha, inoltre, richiamato le dichiarazioni della persona offesa e del ricorrente prova dichiarativa palesemente affetta da inutilizzabilità data la posizione del dichiarante nel caso di specie , al fine di collegare la lesione subita dalla paziente al primo intervento. Il Collegio per dirimere la controversia in oggetto sottolinea quindi che il giudizio rimesso al giudice circa il nesso di causalità tra la condotta del medico e l'evento nella maggior parte dei casi non potrà prescindere dal dato scientifico fornito dal contributo degli esperti . In tale prospettiva, il sapere scientifico acquisito nel processo mediante le conclusioni di periti e consulenti dovrà necessariamente essere utilizzato dal giudice di merito secondo un approccio metodologico corretto che presuppone la indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto, dovendosi precisare che l'esame dei dati che caratterizzano il fatto storico, ai fini del giudizio di tipo induttivo, riguardante l'indagine controfattuale, non potrà mai essere basato su valutazioni di ordine congetturale , vale a dire sfornite di una adeguata base scientifica o esperienziale . Occorre piuttosto che di tali basi il giudice dia adeguato conto, al fine di offrire una motivata valutazione in ordine all'attitudine degli elementi indiziari caratterizzanti il caso concreto ad incidere sul coefficiente di probabilità statistica , in maniera tale da elevarlo” fino a giungere ad un motivato giudizio di alta probabilità logica in ordine all'efficacia salvifica della condotta dovuta, al di là di ogni ragionevole dubbio . E' poi noto che il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire . Pertanto, non essendosi attenuta la Corte territoriale ai suddetti principi, ne consegue l'annullamento della pronuncia impugnata.

Presidente Di Salvo – Relatore Cirese Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 2.11.2022 la Corte d'appello di Messina ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale aveva ritenuto E.S. , nella qualità di ginecologo in servizio presso l'Ospedale in , colpevole del reato di cui all'art. 590 in relazione all' art. 583 c.p. , comma 1 per aver cagionato alla paziente Q.R. la perforazione dell'utero e dell'intestino con conseguente insorgenza di un'ileite acuta virulenta gangrenosa che culminava nella resezione di 25 cm di ileo, condannandolo alla pena di mesi tre di reclusione nonché al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile Azienda Ospedaliera , in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede, oltre alla condannai sempre in solido con il responsabile civile/al pagamento di una provvisionale pari ad Euro 8.000,00 in favore di Q.R. e di Euro 2000,00 in favore di C.G. . 2. Il fatto oggetto del procedimento, come ricostruito dalle sentenze di merito/e il seguente in data 26.1.2016 Q.R. veniva sottoposta presso l'Ospedale di ad un intervento di revisione della cavità uterina per un aborto intervenuto alla quinta settimana, intervento eseguito dal Dott. E.S. . La sera stessa la paziente lamentava forti algie pelviche che inducevano il Dott. A.S. , medico di turno, a differire le dimissioni della paziente disposte dal Dott. E. e ad effettuare un nuovo controllo ecografico che evidenziava il persistere di materiale abortivo nell'utero. La Q. veniva quindi sottoposta il giorno successivo, ovvero il OMISSIS , ad un nuovo intervento di revisione della cavità uterina eseguito dal Dott. F. in presenza del Dott. E. il quale tuttavia non operava. La sera stessa la Q. veniva dimessa senza alcun controllo ecografico malgrado lamentasse ancora intense algie pelviche e nausea. In data 30.2.2016 la Q. veniva quindi visitata da un medico di famiglia e condotta con urgenza presso l'ospedale dove veniva sottoposta a Tac che evidenziava la perforazione dell'intestino. La stessa veniva quindi sottoposta ad intervento chirurgico di laparatomia longitudinale e asportazione di 25 cm di ileo terminale, eseguito dal Dott. L.V. . Il decorso post operatorio si complicava per l'insorgenza di linfedema degli arti inferiori ed infezione della ferita chirurgica oltre che per il persistere delle algie. Dai controlli successivi alle dimissioni emergeva un quadro ecografico di dilatazione delle tube oltre che il persistere di materiale abortivo in utero. Infine il controllo ecografico del 22.6.2016 evidenziava tube morfologicamente normali. Il giudice di primo grado sulla scorta della consulenza del P.M. e della parte civile e delle prove testimoniali assunte, ha affermato il nesso di causalità tra l'intervento di revisione della cavità uterina eseguito dal Dott. E. il 26.1.2016 e la perforazione dell'utero e dell'intestino con conseguente insorgenza di un'ileite acuta gangrenosa conseguente alla omessa tempestiva diagnosi della lesione intestinale che culminava nella resezione di cm 25 di intestino. Quanto all'elemento soggettivo, ha ritenuto che la condotta dell'E. fosse connotata da imperizia nell'esecuzione dell'intervento e da negligenza per aver omesso di porre in essere i dovuti esami in fase di esecuzione del medesimo previsti dalle linee guida e comunque dalle buone pratiche clinico-assistenziali in particolare per aver omesso la dilatazione farmacologica consigliata per le caratteristiche anatomiche della paziente utero retroverso nonché un adeguato monitoraggio dell'intervento e del decorso post-operatorio e per l'omessa diagnosi tempestiva della lesione occorsa accompagnata dalla sottovalutazione della sintomatologia della paziente e dall'omessa prescrizione di accertamenti strumentali a fini diagnostici. La sentenza di appello ha confermato l'impianto motivatorio della sentenza di primo grado/recependone la ricostruzione sia in fatto che in diritto. 3. Avverso detta sentenza l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Con il primo motivo deduce la violazione dell' art. 192 c.p.p. in relazione all' art. 590 e all'art. 583 c.p. e all' art. 606 c.p.p. , lett. b , c , d ed e . Rileva che la struttura e l'articolazione della sentenza impugnata non appaiono conformi alla regola di giudizio dell' oltre ogni ragionevole dubbio sotto il profilo della ritenuta sussistenza dell'indispensabile nesso causale tra la condotta tenuta dal Dott. E. e le lesioni occorse alla persona offesa. Pone in rilievo come l'accertamento del nesso causale richieda la formulazione del c.d. giudizio esplicativo nonché del giudizio controfattuale. In particolare,. al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l'evento lesivo, non si può prescindere dall'individuazione degli elementi rilevanti in ordine alla causa dell'evento stesso. Si sottolinea che il consulente del Pubblico Ministero, Dott.ssa G. , aveva concluso che non era possibile stabilire in quale dei due interventi di revisione della cavità uterina si fosse verificato il danno tanto che l'Ufficio di Procura aveva avanzato la richiesta di archiviazione. Con il secondo motivo deduce la motivazione illogica e contraddittoria in relazione al meccanismo di determinazione della pena laddove il giudice d'appello non ha inteso diminuire la pena irrogata in primo grado. 4. Il Procuratore della Repubblica presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui chiede il rigetto del ricorso. 5. Le parti civili hanno depositato memoria e conclusioni. Considerato in diritto 1. La prima censura avanzata dal ricorrente, nella parte in cui evidenzia vizi logico-giuridici della sentenza impugnata in tema di accertamento del nesso di causalità, coglie nel segno per le ragioni che si andranno ad esplicitare. Giova premettere che, secondo la giurisprudenza ormai granitica di questa Corte, in tema di responsabilità medica, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento lesivo per il paziente, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l'analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario onde effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo per il paziente sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio vedi tra le ultime Sez. 4, n. 37193 del 15.9.2022 . In tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale - imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento, o, in ipotesi di condotta commissiva, l'assenza della condotta commissiva vietata, avrebbe potuto evitare l'evento - richiede preliminarmente l'accertamento di ciò che è accaduto cosiddetto giudizio esplicativo per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta. Per effettuare il giudizio controfattuale è quindi, necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall'agente, l'evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o posticipato Sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012, Albiero, Rv. 25500801 . L'importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica è stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si è affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l'evento lesivo, non si può prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla causa dell'evento stesso, giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine ed il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto Sez. 4, n. 25233 del 25/05/2005, Lucarelli, Rv. 23201301 . Le Sezioni unite, con impostazione sostanzialmente confermata dalla giurisprudenza successiva, hanno enucleato, per quanto attiene alla responsabilità professionale del medico, relativamente al profilo eziologico, i seguenti principi di diritto il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica - si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l'evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, cosicché, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto grado di credibilità razionale . L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese . Ne deriva che, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014, Jann, Rv. 26223901 . Il giudizio rimesso al giudice circa il nesso di causalità tra la condotta del medico e l'evento nella maggior parte dei casi , non potrà prescindere dal dato scientifico fornito dal contributo degli esperti. In tale prospettiva, il sapere scientifico acquisito nel processo mediante le conclusioni di periti e consulenti dovrà necessariamente essere utilizzato dal giudice di merito secondo un approccio metodologico corretto che presuppone la indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto/ dovendosi precisare che l'esame dei dati che caratterizzano il fatto storico, ai fini del giudizio di tipo induttivo, riguardante l'indagine controfattuale, non potrà mai essere basato su valutazioni di ordine congetturale, vale a dire sfornite di una adeguata base scientifica o esperlenziale. Occorre, piuttosto, che di tali basi il giudice dia adeguato conto, al fine di offrire una motivata valutazione in ordine all'attitudine degli elementi indiziari caratterizzanti il caso concreto ad incidere sul coefficiente di probabilità statistica, in maniera tale da elevarlo fino a giungere ad un motivato giudizio di alta probabilità logica in ordine all'efficacia salvifica della condotta dovuta, al di là di ogni ragionevole dubbio. È poi noto che il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. 2. Nel caso di specie la Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi fin qui enunciati. L'addebito colposo mosso all'odierno imputato, secondo l'ipotesi accusatoria delineata nel capo di imputazione, è quello di avere, in occasione di un intervento di revisione della cavità uterina a seguito di aborto, cagionato alla paziente Q.R. la perforazione dell'utero e dell'intestino con conseguente insorgenza di un'ileite acuta virulenta gangrenosa culminata poi in un intervento di resezione di 25 cm di ileo per colpa consistita nell'aver omesso un adeguato monitoraggio del raschiamento e del decorso post operatorio. Ebbene, nel pervenire a formulare il giudizio di responsabilità nei riguardi dell'odierno imputato, la sentenza impugnata si è fondata sulle conclusioni espresse dal consulente del Pubblico Ministero, Dott.ssa G. e dal consulente delle parti offese, Prof. A. La prima, stando a quanto si legge nella sentenza impugnata, pur riconoscendo il nesso di causalità tra l'intervento di revisione della cavità uterina e la perforazione dell'intestino ha tuttavia aggiunto che è difficoltoso stabilire quale dei due medici il Dott. E. o il Dott. F. che hanno eseguito i due interventi abbia cagionato la lesione, pur precisando che la presenza di tensione addominale e la nausea manifestatasi dopo il primo intervento lascerebbe propendere per una possibile complicanza legata alla revisione eseguita il 26.1.2016 dal Dott. E. . Ad analoghe conclusioni giunge il secondo consulente che, dopo aver ampiamente stigmatizzato che l'intervento eseguito dal Dott. E. non era stato preceduto da un accurato esame clinico, ha ritenuto che diversi dati clinici inducono a ritenere che la perforazione sia stata prodotta nel corso del primo intervento . A completare il quadro dei pareri tecnici, la sentenza dà atto altresì che il Dott. L. , ovvero il medico che aveva sottoposto la Q. all'intervento di laparatomia per porre rimedio alla perforazione intestinale, aveva evidenziato che la lesione era senza dubbio iatrogena così confutando la tesi ventilata secondo cui la perforazione potesse derivare dal morbo di Chron. Nella specie, quindi, non è stato accertato il nesso di causalità tra l'intervento effettuato dall'odierno imputato e la perforazione dell'intestino subita dalla Q. , giudizio che invece è stato espresso espresso in termini meramente probabilistici dai consulenti tecnici nei termini già evidenziati. La Corte territoriale, a fronte di tali pareri tecnici, ha ritenuto di fondare il giudizio di responsabilità nei riguardi dell'odierno imputato surrogandosi in un giudizio tecnico che non può essere rimesso al giudicante e, a corroborare la tesi secondo cui la lesione andava collegata al primo intervento, ha richiamato le dichiarazioni della persona offesa che ha riferito della insorgenza di dolori nel post operatorio, nonché de relato le dichiarazioni che lo stesso imputato avrebbe reso al collega F. , prova dichiarativa palesemente affetta da inutilizzabilità anche per la posizione del dichiarante nella vicenda di cui si controverte. Il secondo motivo di ricorso è assorbito. 3. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte d'appello di Messina, altra sezione, per un nuovo giudizio. Alla stessa deve essere altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Messina, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.