Il riconoscimento fotografico a mezzo “Facebook”

In tema di reati sessuali il riconoscimento fotografico da parte della persona offesa, trattandosi strumento probatorio atipico, non richiede particolari cautele da parte degli operatori di P.G. nella formazione del fascicolo fotografico che può avvenire anche tramite l'estrapolazione di fotografie dal profilo Facebook dell'imputato.

La Suprema Corte con la sentenza de quo ribadisce la natura atipica dello strumento probatorio del riconoscimento fotografico anche con l'utilizzo di metodi inconsueti nella formazione del fascicolo fotografico. E inoltre la sentenza precisa che la testimonianza resa nel corso del dibattimento dall'operatore di P.G., che ha avuto «diretta ed immediata percezione» dell'attività di riconoscimento da parte della persona offesa, può sopperire alla mancata acquisizione, ovvero alla stessa redazione, del processo verbale. La sentenza si sofferma inoltre sulla verifica dell'imputabilità per i reati commessi da soggetti minorenni maggiori di quattordici anni in ordine a reati di particole gravità come la violenza sessuale di gruppo. I fatti La Sezione minorile della Corte di Appello di Bari, in riforma al giudizio di prime cure, aveva condannato alla pena ad anni 1 e mesi 8 di reclusione due minorenni imputati del delitto di cui all'articolo 609-octies c.p., applicando agli stessi la circostanza attenuante di cui comma 4 del medesimo articolo. Ricorre per Cassazione uno degli imputati rilevando i vizi di forma del riconoscimento fotografico eseguito nel corso delle indagini preliminari e l'assenza di prova di uno dei minori della partecipazione alla vicenda delittuosa. Secondo la difesa, non sarebbero stati rispettati i requisiti attinenti alla formazione del fascicolo fotografico da sottoporre al riconoscimento della persona offesa dal momento che la foto dell'odierno imputato era stata estratta dal profilo “Facebook” dello stesso e si distingueva nettamente da quelle raffiguranti altri soggetti precedentemente sottoposti a fotosegnalazione. Una metodologia atipica per uno strumento probatorio atipico A dire della Suprema Corte la prova poteva ritenersi perfettamente acquisita e utilizzabile nonostante le suindicate modalità del riconoscimento fotografico «non appaiono essere le più limpide» e sebbene tale strumento probatorio atipico imponga pur sempre l'adozione di opportune cautele. E infatti discostandosi esplicitamente da quell'orientamento giurisprudenziale rappresentato dalla sentenza numero 28391, Cassazione penale, sez. II, 8/06/2017, che impone neutralità metodologica in sede di riconoscimento fotografico cosicché «il giudicante sia posto in grado di apprezzare compiutamente l'affidabilità del risultato probatorio, verificando in particolare il numero e la qualità delle fotografie sottoposte al dichiarante e le caratteristiche fisionomiche sia della persona riconosciuta che delle altre», la sentenza in commento si allinea alle altre pronunce che hanno riconosciuto l'assenza di ogni formalismo nel riconoscimento fotografico. La “libertà delle forme” nel riconoscimento del reo La sentenza sembra ripercorrere il differente solco ermeneutico ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità che tende a legittimare ogni riconoscimento fotografico effettuato in assenza di qualsivoglia garanzia. Sicché quand'anche manchi il processo verbale di formazione della prova e anche se la fotografia sottoposta alla persona offesa sia differente nella forma e nella composizione a quelle di precedenti fotosegnalazioni, il riconoscimento operato dalla vittima del reato vale di per sé a fondare un giudizio di penale responsabilità va da sé se suffragato da ulteriori elementi . Costituisce ormai insegnamento consolidato inoltre che il riconoscimento effettuato nel corso delle indagini preliminari si distingue dalla ricognizione personale disciplinata espressamente nelle sue forme dall'articolo 213 c.p.p., che non devono essere necessariamente osservate nella metodologia di assunzione dell'individuazione personale o fotografica Cass. Penumero , Sez. Penumero II, Sent. numero 27097/2023 . Sull'imputabilità del minorenne ex articolo 98 c.p. La Cassazione affronta inoltre il tema della verifica dell'imputabilità del minorenne che al momento del fatto ha già compiuto i quattordici anni di età per i reati di violenza sessuale. In particolare, a dire della Suprema Corte, poteva dirsi integrato l'elemento soggettivo del minorenne secondo le caratteristiche del dolo generico, poiché lo stesso «si deve intendere sussistere ogni qual volta l'individuo abbia la piena consapevolezza che, attraverso il suo agire e la sua presenza, egli stia coadiuvando altre persone nel compimento di un reato di violenza sessuale». E infatti, correttamente i Giudici di legittimità hanno sottolineato come la mera compiacenza verso gli atti delittuosi commessi da altri soggetti complici al reato di violenza sessuale, i.e. concorso morale, parametrate con le condotte poste in essere dallo stesso imputato, costituisce un chiaro indice della consapevolezza del disvalore delle proprio condotte. Le motivazioni della sentenza e il “Decreto Caivano” La sentenza de quo in parte sembra in linea con gli obiettivi sottostanti al recente Decreto-Legge numero 123/2023, c.d. “Decreto Caivano”, entrato in vigore il 15 settembre 2023, “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa, alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”. È noto come la riforma legislativa cerchi di rafforzare il contrasto dei reati commessi dai minori e in particolare per quelli commessi da soggetti di età superiore ai quattordici anni. Per tale categoria generazionale è stato disposto a la riduzione da nove a sei anni di reclusione per la pena massima richiesta per procedere con la custodia cautelare per delitti non colposi, l'arresto in flagranza e il fermo b l'abbassamento da cinque a quattro anni come limite di applicabilità delle misure diverse dalla custodia cautelare c la previsione che fermo, arresto e custodia cautelare nei confronti del minore vengano essere disposti anche per nuove e specifiche ipotesi di reato. Rilievi critici Tale inasprimento sanzionatorio e l'utilizzo di strumenti ancor più repressivi per il contenimento del crescente aumento di reati violenti commessi da minorenni non sembra però rappresentare un'adeguata risposta alla problematica. Se è pur vero che la pregnanza di forme delittuose giovanili “non occasionali” ha dimostrato l'inadeguatezza degli strumenti processuali fino ad oggi previsti dal nostro ordinamento, deve in tutti modi scongiurarsi il rischio di stigmatizzare una presunta, radicata e irrecuperabile connotazione delinquenziale per alcuni minori. Al contrario l'azione repressiva criminale, come è stato autorevolmente sostenuto, dovrebbe fondarsi «nel pacchetto di strumenti di contenimento e rieducativi» sicché i rafforzamenti all'attività formativa e risocializzante dei «soggetti minori deviati» possa riportare maggiori risultati degli strumenti penal-processualistici G. SPANGHER, Il decreto legge Caivano, in Il penalista, Giuffrè, Milano, 2023 .

Presidente Ramacci – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Sezione minorile della Corte di appello di Bari ha, con sentenza pronunziata in data 4 marzo 2022, riformato la sentenza con la quale, il precedente omissis , il Tribunale per i minorenni di Bari aveva dichiarato G.C.D. e R.D. oltre a P.V., la cui posizione ora non rileva colpevoli dei reati loro ascritti, aventi ad oggetto sia la commissione di una violenza sessuale di gruppo che un sequestro di persona, commessi in concorso anche con altri soggetti che, in quanto maggiorenni, sono stati sottoposti ad altro giudizio, in danno di tale M.F. , anche lei minorenne all'epoca dei fatti, e li aveva, pertanto, condannati, esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-octies c.p., comma 3, riuniti i reati sotto il vincolo della continuazione ed applicate le circostanze attenuanti generiche, alla pena, sospesa in favore del solo G., oltre che del P. , comprensiva della diminuente per la minore età di anni 2 e mesi 9 di reclusione ciascuno. Nel riformare la sentenza emessa dal giudice di primo grado la Sezione specializzata della Corte territoriale, ha assolto i due prevenuti dal reato di sequestro di persona, per insussistenza del fatto, ed ha ritenuto sussistere in favore degli imputati la circostanza attenuante di cui all'articolo 609-octies c.p., comma 4, conseguentemente riducendo la sanzione loro inflitta in complessivi anni 1 e mesi 8 di reclusione, confermandone la sospensione condizionale oltre che per il P. per il G. Avverso detta sentenza hanno interposto ricorso per cassazione, tramite i propri difensori il R. ed il G., affidando le proprie doglianze sia il primo che il secondo a 4 motivi di impugnazione. L'uno ha censurato, col primo motivo di ricorso, la sentenza osservando che la motivazione della stessa sarebbe carente e, comunque, contraddittoria in quanto in essa non sarebbe stato chiarito in che termini il prevenuto, del quale è indiscussa la mancata diretta realizzazione di condotte sussumibili nella nozione di atto sessuale, avrebbe cooperato nella perpetrazione del reato de quo. Il secondo motivo concerne egualmente la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in quanto, pur essendo stato dato atto della esistenza di un contrasto fra le dichiarazioni della persona offesa e quelle di alcuni testi di accusa, tale distonia istruttoria non è stata risolta. Anche il terzo motivo di ricorso attiene ad un vizio della motivazione, che è indicata come carente in ordine alla giustificazione da dare al contrasto logico esistente fra la ricostruzione dei fatti resa dalla persona offesa e l'utilizzo che è stato fatto, per come risultante dai tabulati telefonici, della sua utenza cellulare, non essendo ad avviso del ricorrente compatibile il tempo in cui l'apparecchio ad essa collegato è rimasto inutilizzato con la durate della condotte delittuose cui la stessa sarebbe stata sottoposta. Infine, con il quarto motivo di ricorso è lamentata la contraddittorietà motivazionale della sentenza in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio applicato al R. Quanto al ricorso del G., il primo dei motivi di cui lo stesso si compone ha ad oggetto il vizio riguardante il riconoscimento fotografico del G. come di uno dei soggetti che ha partecipato alla vicenda delittuosa il secondo, connesso col precedente, attiene alla mancanza di motivazione in punto di attribuzione soggettiva del reato all'imputato in esame. Il terzo motivo riguarda la erronea applicazione della disposizione incriminatrice essendo stata questa ascritta a carico dell'imputato pur in mancanza di elementi dimostrativi della sua partecipazione ai fatti per cui è processo. Infine, con il quarto motivo, articolato con riferimento al trattamento sanzionatorio, si censura l'errata applicazione dell'articolo 98 c.p. e la mancanza di motivazione sul punto, riguardo alla capacità dell'imputato, soggetto circa quindicenne al momento dei fatti, di rendersi conto dell'effettiva antigiuridicità del proprio comportamento. Con atto sottoscritto presso l'Ufficio matricola della Casa circondariale di omissis ed ivi debitamente autenticato quanto alla firma dell'interessato, il R., in data omissis , dichiarava espressamente di rinunziare al ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza depositato in ordine alla sentenza emessa dalla Sezione minorile della Corte distrettuale barese nel suo interesse dall'avv. Altomare Maurizio. Considerato in diritto Mentre il ricorso proposto da R.D. è inammissibile stante la assorbente ragione costituita dall'avvenuta rinunzia ad esso, a firma dell'interessato, prevenuta in data omissis , di tal che in ordine a tale statuizione non vi è luogo, difettando all'evidenza le ragioni per una pronunzia di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., ad alcuna ulteriore disamina, il ricorso presentato dal G.C.D. e, per le ragioni che saranno di seguito illustrate, infondato ed esso, pertanto, deve essere rigettato. Osserva, infatti, il Collegio, quanto al profilo, dedotto col primo due motivi di ricorso, riguardante la conducenza della ricognizione fotografica del G., come di uno dei soggetti che hanno preso personalmente parte all'episodio di violenza sessuale di gruppo perpetrato ai danni delle M,, che le ragioni impugnatorie, riposanti sulla circostanza, diligentemente riassunta dalla stessa parte ricorrente nella parte finale della esposizione del motivo di ricorso, che non può essere utilizzata quale prova decisiva ai fini dell'affermazione della responsabilità del prevenuto il riconoscimento fotografico compiuto dalla persona offesa se di tale operazione, eseguita presso gli uffici della Pg, manca il verbale e se la stessa emerge solamente tramite il resoconto di essa riportato in sede di esame dibattimentale dall'ufficiale dei Pg che ha sovrainteso allo svolgimento delle operazioni ricognitive. Per come riportato il motivo di ricorso è inammissibile. Rileva, infatti, il Collegio che alla identificazione del G. come uno dei soggetti partecipanti all'episodio per cui è processo si è giunti non contestualmente alla identificazione degli altri coimputati infatti, secondo quanto riportato in sentenza, in termini non oggetto di contestazione, una volta emerso nei suoi tratti essenziali l'episodio di violenza di gruppo subito dalla persona offesa, questa, esaminato il fascicolo fotografico che le veniva sottoposto dalle forze dell'ordine, riconosceva in prima battuta, in data omissis , alcuni dei soggetti successivamente imputati, per la precisione tali R.A., R.D., P.D. e M.C. mentre il giorno successivo, essendole stato sottoposto un ulteriore fascicolo fotografico, riconosceva anche un altro imputato, tale T.N. per ciò che concerne la posizione del G., questi era oggetto di ricognizione fotografica, secondo quanto emergente dalla sentenza di primo grado, in un secondo momento, allorché, in evasione ad una specifica delega di indagini loro rilasciata dal Pm procedente volta alla identificazione di un ulteriore individuo menzionato dalla persona offesa fra coloro i quali avevano partecipato alla sua aggressione, e dalla stessa indicato solo con il nome di […] , i c.c. di […], sottoposero alla ragazza un ulteriore fascicolo fotografico esaminando il quale ella riconobbe nell'effigie riproducente il G. il soggetto da lei indicato come […]. Ciò posto va effettivamente rilevato che le modalità attraverso le quali siffatto riconoscimento non appaiono essere le più limpide, posto che, secondo quanto emergente dalla sentenza di primo grado, a differenza delle altre immagini esaminate dalla M., la fotografia ritraente il G., il quale non risultava essere stato mai in precedenza fotosegnalato, era stata estrapolata dal suo profilo Facebook, di tal che è del tutto lecito presumere cha la stessa si distinguesse rispetto alle altre immagini, frutto, invece, di precedenti fotosegnalazioni, di diversi soggetti che erano state sottoposte alla persona offesa. Al riguardo, tuttavia, pare significativo segnalare che, sebbene sia vero che il riconoscimento fotografico costituisce uno strumento probatorio atipico la cui efficacia è condizionata dall'adozione di opportune cautele - fra le quali va annoverata, previa acquisizione del fascicolo fotografico in base al quale è stato effettuato il riconoscimento, la disponibilità delle immagini in tale occasione utilizzate Corte di cassazione, Sezione II penale, 8 giugno 2017, numero 28391 - che consentano al giudice di eseguire la necessaria verifica postuma del grado di attendibilità di colui che abbia operato il riconoscimento Corte di cassazione, Sezione VI penale, 7 aprile 2017, numero 17747 , nella occasione la doglianza fatta dalla difesa dell'imputato in sede di gravame, come da lui stesso compendiata nel proprio ricorso, aveva ad oggetto non la impossibilità di operare da parte del Tribunale la verifica in ordine alla affidabilità della prova espletata in sede di indagini preliminari, ma il fatto che della operazione di ricognizione fotografica non vi fosse processo verbale e del fatto che dei suoi esiti la dimostrazione sarebbe stata data dalle dichiarazioni rese in tale senso dall'ufficiale di Pg che vi aveva sovrainteso. Sul punto, rileva la Corte che, quanto al processo verbale della prova in questione, non vi sono motivi per ritenere che lo stesso, non essendo stato celebrato il processo a carico del G. in primo grado nelle forme del rito abbreviato nè essendo stato in qualche modio acquisito con il consenso delle parti, non vi è ragione per ritenere che un tale atto dovesse transitare Afel fascicolo del dibattimento ed essere annoverato fra gli atti utilizzabili ai fini della decisione nel senso della ordinaria acquisibilità in caso di giudizio abbreviato Corte di cassazione, Sezione V penale, 22 ottobre 2015, numero 42577 ed in caso di accordo delle parti Corte di cassazione, Sezione V penale, 15 aprile 2015, numero 15624 , mentre per quanto attiene alla inutilizzabilità della dichiarazione dell'ufficiale di Pg, in quanto la stessa avrebbe ad oggetto quanto dichiarato da un teste in violazione di quanto previsto dall'articolo 195 c.p.p., comma 4, ritiene il Collegio che la prospettiva ermeneutica da cui prende le mosse la censura mossa dal ricorrente sia fallace, posto che nell'occasione il teste di Pg non ha riferito su circostanze che egli ha appreso attraverso le propalazioni di altro teste in altre parole egli non è un teste de relato , ma riferisce su un fatto, l'avvenuto riconoscimento di uno dei colpevoli operato, nella ipotesi ora in esame, dalla persona offesa, avvenuto in sua presenza e del quale egli ha avuto diretta ed immediata percezione per una fattispecie perfettamente aderente e sovrapponibile alla presente, si veda, infatti Corte di cassazione, Sezione V penale 20 giugno 2018, numero 28550 . Va, d'altra parte segnalato il dato - non oggetto di contestazione da parte della difesa del ricorrente, e tale da concentrare su di lui degli ulteriori elementi indizianti idonei a fornire un riscontro al suo riconoscimento effettuato dalla persona offesa - che il prevenuto non solo è o quanto meno era all'epoca dei fatti noto con il nomignolo di […], quello cioè con il quale la persona offesa aveva a priori designato il soggetto che avrebbe poi riconosciuto nel G., ma anche che lo stesso era anche intraneo all'ambiente dei due R., cioè altri due soggetti riconosciuti responsabili del reato ora in discorso. Venendo ai due successivi motivi di ricorso, argomentati in funzione della ritenuta violazione di legge con riferimento alla ricorrenza nella condotta del G. degli elementi costitutivi del concorso nel reato di cui all'articolo 609-octies c.p. e nel difetto di motivazione in ordine alla dimostrazione della rilevanza penale di tale condotta. Anche in questo caso la doglianza è priva di pregio ove si rifletta sul dato che, ai fini della responsabilità in ordine al reato in questione non vi è la necessità che ciascuno dei concorrenti tenga dei comportamenti qualificabili astrattamente in termini di compimento di atti sessuali violenti, ma è sufficiente che tale condotta tipica sia commessa anche da uno solo dei concorrenti e il concorrente, materialmente presente sul luogo del fatto, abbia tenuto un qualunque atteggiamento coadiuvante tale da facilitare, anche solo moralmente, la condotta del correo nel presente caso è emerso - non solo che il G. al momento in cui la ragazza riuscì ad allontanarsi scappando dai suoi aguzzini, si stava avvicinando a lei col preciso intento di pretendere dalla medesima, essendo giunto il suo turno , quanto sino a quel momento aveva visto conseguire dagli altri correi, condotta di per sé atta a rafforzare, attraverso l'atteggiamento, verrebbe da dire di vigile attesa , sino a quel momento tenuto, l'intento predatorio dei sodali, ma anche - che nella fase precedente al suo diretto intervento egli si era adoperato, con gli altri sinistri individui presenti alla scena, nel deridere e schernire la povera ragazza che, invece, sperava in un qualche loro aiuto comportamento quello tenuto dal ricorrente indubbiamente idoneo ad incitare ed eccitare la parossistica esaltazione criminale da cui erano presi gli altri correi. Nessuna carenza nè sul versante applicativo della vigente disciplina nè su quello dimostrativo della rilevanza penale del comportamento dell'imputato è, pertanto, riscontrabile nella sentenza impugnata che fatto adeguato e buon governo delle regole che presiedono alla materia in questione. Nè, infine, può ritenersi, scrutinando l'ultimo motivo di impugnazione, che abbia difettato nel G. l'elemento soggettivo del reato a lui ascritto non sono emersi, nè per il vero sono stati allegati, fattori che possano avere inciso sulla capacità dell'imputato di liberamente autodeterminarsi nè di apprezzare convenientemente il significato dei propri gesti considerato che al momento dei fatti il G. , sebbene minorenne, era sicuramente imputabile, e sebbene egli si sia, per tale ragione, potuto giovare del beneficio sanzionatorio derivante dalla applicazione dell'articolo 98 c.p., comma 1, con congrue argomentazioni i giudici del merito hanno ritenuto pienamente integrato l'elemento soggettivo del reato in discorso, posto che lo stesso, avente le caratteristiche del dolo generico, si deve intendere sussistere ogni qual volta l'individuo abbia la piena consapevolezza che, attraverso il suo agire e la sua presenza, egli stia, nel caso del G., coadiuvando altre persone nel compimento di un reato di violenza sessuale circostanza questa che, sempre con riferimento al caso di specie, le concrete forme di manifestazione dell'operato degli altri correi i quali hanno palesemente coartato la volontà della persona offesa imponendole con la forza umilianti pratiche erotiche e il descritto comportamento personale dell'imputato hanno, del tutto correttamente, determinato i giudici del merito a ritenere. In definitiva, tirando le fila di quanto sin qui esposto, mentre il ricorso del R. va, per le indicate ragioni, dichiarato inammissibile, quello del G., risultato infondato, va, invece, rigettato. La condizione di minorità degli imputati al momento del fatto esclude che gli stessi debbano essere condannati sia al pagamento delle spese processuali sia, per ciò che attiene al R., al pagamento di alcuna somma in favore della Cassa delle ammende. Egualmente non vi è luogo alla condanna degli imputati al ristoro delle spese in favore della persona offesa, essendo una tale pronunzia giudiziale prevista esclusivamente in favore della costituita parte civile, figura processuale che nel giudizio minorile non è consentita ai sensi del D.P.R. numero 448 del 1988, articolo 10, salva restando la possibilità, nell'eventuale giudizio civile risarcitorio derivante dalla presente pronunzia, di allegare anche tali spese quali elementi costituenti un'autonoma voce di danno patito per effetto dell'illecito subito. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di R.D. e rigetta il ricorso di G.C.D. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.