Sì al cumulo della domanda di separazione consensuale a quella di divorzio congiunto

Con la sentenza numero   28727 del 16 ottobre 2023, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione si è pronunciata, in sede di rinvio pregiudiziale ex articolo 363 bis cpc, affermando l’importantissimo principio di diritto per cui «In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all'articolo 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio».

Tale decisione pone fine al contrasto che il tema della cumulabilità in un unico procedimento delle domande congiunte di separazione e divorzio aveva causato, con prese di posizioni divergenti da parte dei giudici di merito e della dottrina. Come è noto, la c.d riforma Cartabia, all'articolo 473-bis.49, ha espressamente previsto il cumulo delle due domande solo nel rito contenzioso. La Suprema Corte evidenzia che il cumulo oggettivo di domande anche tra loro non connesse per titolo o petitum esiste da sempre nell'ordinamento processual-civilistico e che il citato articolo «ha normativizzato, in subiecta materia, il cumulo condizionale cd. successivo». Si tratta di cumulo oggettivo di domande connesse in relazione alla causa petendi, in quanto finalizzate a regolare la crisi matrimoniale, che le parti ritengono essere irreversibile, all'interno di un percorso che conduce allo scioglimento del vincolo coniugale. Il cumulo anche tra domande “non altrimenti connesse” realizza quel “risparmio di energie processuali”, inteso come concentrazione in un unico processo delle attività volte alla trattazione e alla decisione di diverse domande. Invero i coniugi, al momento in cui si separano, hanno certamente interesse a definire per il futuro e, quindi, anche dopo il divorzio i rapporti economici e patrimoniali tra loro e quelli di ciascuno di essi e i figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti. Quando vi sia accordo, con la proposizione di un unico ricorso le parti hanno la possibilità di avere fin da subito dati certi sulla loro reciproca condizione personale, patrimoniale ed abitativa, anche di lungo periodo. Inoltre, in tal modo, si dovrebbe evitare che possano sorgere motivi per iniziare un successivo giudizio contenzioso. Un unico giudizio, quindi, per definire tutte le domande relative alla separazione e al divorzio. Si persegue così quell'intento deflattivo che sta a cuore al legislatore come pure agli avvocati che si occupano della crisi familiare, tenendo presente che, con il cumulo di domande, il tempo di permanenza della coppia davanti al giudice viene ridotto, con ricadute certamente positive anche nella vita dei figli, non più coinvolti nel conflitto genitoriale. Come sostenuto da autorevole dottrina, un ricorso congiunto per separazione e divorzio, nel quale le domande relative al divorzio e alle questioni accessorie diventano procedibili, decorso il termine di legge a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione, non è qualificabile come patto in vista del divorzio, perché l'accordo delle parti è contestuale al deposito della domanda in tribunale la giurisprudenza, che, ad oggi, considera nulle le pattuizioni di separazione in previsione del futuro divorzio non può incidere in senso negativo sull'ambito di applicabilità di una norma di legge, come interpretata dalla stessa Corte di Cassazione. Potrebbero quindi esserci conseguenze importanti nelle prassi, laddove le parti potranno raggiungere, al momento della separazione, un accordo che varrà in quello successivo al divorzio. Si tratta di un'innovazione positiva, nella prospettiva di favorire il raggiungimento di accordi relativi alla crisi del matrimonio, in ogni modo favorita dal legislatore della riforma. La Corte di Cassazione, nel contempo, non nasconde i problemi che si potrebbero porre in caso di revoca del consenso al divorzio, ovvero di sopravvenuto mutamento di circostanze, richiamando all'uopo la propria precedente giurisprudenza ed i principi espressi dalla riforma. Ci si è chiesti se un coniuge possa revocare il consenso al divorzio durante il tempo occorrente perché la relativa domanda e quelle accessorie diventino procedibili. La revoca del consenso rispetto alle condizioni concordate nel ricorso introduttivo non può essere ammessa in quanto, secondo il disposto dell'articolo 473-bis.51, comma 3, c.p.c., all'udienza di comparizione i coniugi non sono tenuti a rinnovare il loro consenso su dette condizioni. Trova applicazione, anche in questo caso come per il 473-bis.49 l'articolo 473-bis.19, comma 2, c.p.c., che legittima ciascuna parte a formulare domande nuove in presenza di fatti nuovi. All'udienza di comparizione fissata per il divorzio, trascorsi 6 mesi dalla sentenza di separazione, la parte potrà modificare le proprie conclusioni e quindi revocare il consenso rispetto alla domanda congiunta di divorzio solo allegando la sussistenza di circostanze nuove. In tal caso, non potendo il Tribunale effettuare un'istruttoria su quanto dedotto, la domanda di divorzio dovrà essere rigettata, mancando il requisito dell'accordo sulle questioni accessorie, requisito necessario perché la procedura ex articolo 473-bis.51 c.p.c. sia seguita, come prevede espressamente il comma 2.   Per comprendere meglio le novità introdotte dalle ultime importanti riforme in tema di processo civile, processo penale, crisi d'impresa e contratti pubblici scopri  IUS Guida alle riforme.