Il provvedimento del Garante Privacy è utilizzabile come prova?

La mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza, qualora il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell'onere sancito all'articolo 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo, se il mezzo stesso sia diretto a dimostrare aspetti decisivi della controversia.

Tizio propose reclamo innanzi al Garante privacy per illegittima divulgazione di dati personali ai docenti dell'Università degli studi internazionali di Roma, con e-mail del preside di economia  contenente la notizia del rigetto, da parte del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale del ricorso intrapreso contro il MIUR, che aveva negato alla stessa Università il nulla osta necessario alle procedure di stabilizzazione del ricorrente come professore universitario ordinario. La notizia era stata inviata sebbene il Consiglio di Stato, nella sua pronuncia, avesse disposto l'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'istante. Tizio ha proposto ricorso innanzi al Tribunale di Roma, chiedendo la condanna dell'Università al risarcimento del danno alla reputazione e alla salute per la diffusione della predetta e-mail. Il Tribunale ha ritenuto il ricorso infondato, poiché l'invio per posta elettronica del testo integrale della pronuncia del Consiglio di Stato non era rivolto «a t utti i docenti della facoltà di economia» ed anche «al di fuori dell'Ateneo», come dedotto dal ricorrente, ma ai soli «componenti il Consiglio di facoltà ristretto», giudicati legittimati a conoscere la sentenza del Consiglio di Stato dal Tribunale. Pertanto il Tribunale ha dedotto la liceità della comunicazione, che fu una mera «comunicazione», quale conoscenza dei dati personali ad uno o più soggetti determinati, diversi dall'interessato, ma non integrante una diffusione, nella quale invece la conoscenza dei dati personali è rivolta a soggetti indeterminati, in qualunque forma avvenga. Avverso tale sentenza Tizio ha proposto ricorso per cassazione ed ha resistito con controricorso l' Università. Secondo gli Ermellini ha errato il ricorrente sia a ritenere che il provvedimento del Garante, da lui stesso depositato in giudizio, non fosse utilizzabile come prova, sia ad interpretare la sentenza impugnata ritenendo che la stessa abbia valutato il provvedimento del Garante, prodotto nel corso del processo innanzi al Tribunale, come avente valore di “prova legale”. Il rito del lavoro è caratterizzato , grazie ai poteri officiosi del giudice ex articolo 421 e 437 c.p.c., collegati ai principi del giusto processo di cui agli articolo 111 Cost. e 6CEDU, dal contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della predetta verità materiale e dal fine di garantire una tutela differenziata ai diritti in esso azionati, in ragione della loro natura. Principi, altresì, completati dalla ulteriore affermazione, secondo cui nel rito del lavoro, proprio in virtù di quella esigenza della ricerca della «verità materiale», nel caso in cui il giudice abbia tenuto conto di documenti irritualmente prodotti da una parte, idonei a provare fatti dalla stessa dedotti ritualmente e sottoposti – pur tardivamente – al contraddittorio delle parti, la parte che intende censurare tale operato deve dedurre non solo l'irritualità della utilizzazione del materiale probatorio, ma anche la inutilità dei documenti ai fini della verità materiale, restando altrimenti priva di decisività la questione processuale sollevata. Nella pronuncia de qua una volta prodotto il documento, esso era parte del materiale istruttorio di causa, non potendo il depositante limitarne il valore a taluni effetti, ossia «al solo fine di dimostrare l'intervenuta comunicazione di tale provvedimento», come deduce nel ricorso secondo un principio condiviso dalla Corte non è ammesso alla parte, la quale abbia prodotto un documento in giudizio, di scinderne il contenuto, per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lei contrari, a meno che, al momento della produzione, abbia fatto presente di voler invocare il documento solo in parte e abbia dedotto prove idonee a contestare le circostanze sfavorevoli da esso desumibili ciò perché la rituale acquisizione al processo di un mezzo di prova comporta la conseguenza che esso debba essere integralmente utilizzato dal giudice, sia a favore, sia contro la parte che ha prodotto il documento o chiesto l'ammissione del mezzo istruttorio. Mentre, più in generale, vige il noto principio di acquisizione processuale nel processo civile, secondo cui giudice deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, perché le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice, per l'impossibilità per le parti di disporre degli effetti delle prove, le quali possono giovare o nuocere all'una o all'altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte. Secondo i principi consolidati in Cassazione resta il fatto che il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento delle pronunzie, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo ogniqualvolta le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base. In altri termini, la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza, se il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell'onere sancito all'articolo 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo, se il mezzo stesso sia diretto a dimostrare aspetti decisivi della controversia. Nella specie, con i capitoli articolati, il ricorrente mirava a provare quali fossero stati i destinatari della comunicazione operata dei propri dati, oltre che le conseguenze patite. La circostanza si presentava decisiva, al fine di vagliare se la vicenda integrasse la fattispecie di una delle ipotesi relativa ai «dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, fermi restando i limiti e le modalità che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria stabiliscono per la conoscibilità e pubblicità dei dati», oppure della lett. d , richiamata dal Tribunale, che legittima, con esclusione della diffusione, il trattamento dei dati personali allorquando esso sia necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di un terzo destinatario dei dati trattati fattispecie che spetta a chi ha divulgato il dato invocare. Sul punto la sentenza impugnata risulta del tutto carente della motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali articolate nel ricorso innanzi a sé, e riprodotte, nel loro tenore testuale, nel ricorso per cassazione, miranti a dimostrare che destinatari della comunicazione non furono soltanto quelli dedotti dalla resistente, o comunque resi necessari dal principio della proporzionalità e doverosità della divulgazione dei medesimi ossia su circostanze decisive ai fini della richiesta risarcitoria formulata.

Presidente – Relatore Antonio Fatti di causa M.A.  propose, in data 8 marzo 2019, reclamo innanzi al Garante per la protezione dei dati personali per illegittima divulgazione di dati personali ai docenti della UNINT, Università degli studi internazionali di Roma, con e-mail del preside di […] spedita il omissis , contenente la notizia del rigetto, da parte del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, con decisione del 19 febbraio 2019, numero 1136, del ricorso intrapreso contro il MIUR, che aveva negato alla detta Università il nulla osta necessario alle procedure di stabilizzazione del ricorrente come professore universitario ordinario nel settore IUS/01, notizia inviata sebbene il Consiglio di Stato, nella sua pronuncia, avesse disposto D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196, ex articolo 52, comma 1, a tutela dei diritti o della dignità dell’interessato, l’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo a identificare l’istante. Nel silenzio del Garante, il ricorrente ha proposto ricorso innanzi al Tribunale di Roma, chiedendo la condanna dell’Università al risarcimento del danno alla reputazione e alla salute per la diffusione della detta e-mail. Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso, ai sensi del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 152 con sentenza del 20 gennaio 2022, numero 840. Premesso che la resistente non aveva avuto accesso al fascicolo telematico da parte della Cancelleria ed è stata quindi rimessa in termini per la sua costituzione, producendo anche il provvedimento del Garante omissis , nel frattempo sopraggiunto, che è stato prodotto anche dal ricorrente, il Tribunale ha ritenuto il ricorso infondato, per essere avvenuto l’invio per posta elettronica del testo integrale della pronuncia del Consiglio di Stato non a tutti i docenti della facoltà di […] ed anche al di fuori dell’Ateneo , come dedotto dal ricorrente, ma ai soli componenti il Consiglio di facoltà ristretto , dal Tribunale giudicati legittimati a conoscere la sentenza del Consiglio di Stato perché portatori di un interesse qualificato riconducibile alla composizione dell’organo collegiale dell’Ateneo, come eccepito dalla resistente ed emerso anche in sede di provvedimento adottato dal Garante che non è stato oggetto di reclamo , ed essendo stati, peraltro, tali soggetti già informati dallo stesso ricorrente della precedente sentenza di accoglimento da parte del T.a.r. del Lazio. Pertanto, ne ha dedotto la liceità della comunicazione, che non fu una diffusione generalizzata della sentenza amministrativa ma, ai sensi del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 1 una mera comunicazione , quale conoscenza dei dati personali ad uno o più soggetti determinati, diversi dall’interessato, ma non integrante una diffusione, nella quale invece la conoscenza dei dati personali è rivolta a soggetti indeterminati, in qualunque forma avvenga. Ed i componenti del Consiglio di Facoltà ristretto sono soggetti determinati, portatori di un interesse qualificato alla conoscenza del provvedimento nella sua integrità. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione il soccombente, sulla base di cinque motivi, cui resiste con controricorso l’intimata Università. Le parti hanno depositato la memoria. Ragioni della decisione 1. - Il ricorso formula cinque motivi, che possono essere così riassunti 1 violazione e falsa applicazione dell’articolo 416 c.p.c., in quanto il giudice ha utilizzato per la decisione il provvedimento del Garante, sebbene esso fosse stato tardivamente prodotto in giudizio dalla controparte, rimessa in termini per la sola produzione di note scritte sostitutive della discussione, ed avendo il tribunale proprio su quel provvedimento fondato in convincimento della pretesa comunicazione della email ai soli professori ordinari della facoltà di […], quali componenti il consiglio di facoltà, e non già a tutti i professori, di ruolo e non di ruolo, della stessa 2 violazione e falsa applicazione degli articolo 24 e 111 Cost., articolo 115, 116, 177, 187, 188, 244, 420 e 421 c.p.c., per non avere il tribunale ammesso la prova testimoniale, volta a provare i destinatari effettivi della email, con ordinanza in corso di causa 3 violazione dell’articolo 112 c.p.c., con nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4, per avere il tribunale ritenuto tempestiva la costituzione della controparte, quando invece l’istanza era volta solo alla rimessione in termini al fine di depositare le note di trattazione scritta 4 violazione degli articolo 115 e 116 c.p.c., per avere la sentenza impugnata considerato come avente valore di piena prova il provvedimento adottato dal Garante, attribuendo allo stesso valore di prova legale, e avendo invece commesso un errore di percezione e sorvolato su quanto documentato dal ricorrente in ordine alla comunicazione della sentenza numero 1136/2019 del Consiglio di Stato a tutti i docenti della facoltà di […] della UNINT da parte del Preside della facoltà di […] con email del omissis , agli indirizzi omissis e omissis che la controricorrente rileva essere correttamente da scrivere come omissis , indirizzi propri a tutti i docenti della facoltà di […], che sono ben settantadue, tra accademici, funzionari di varie istituzioni ed esperti 5 omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, consistente nell’avere il ricorrente allegato e provato documentalmente che il preside della facoltà di […] aveva trasmesso a sentenza agli indirizzi suddetti - riferibili a tutti i docenti della facoltà di […] e non soltanto ai docenti di ruolo i quali componenti del Consiglio di facoltà ristretto - come si evince dalla mera lettura dei suddetti indirizzi, l’uno riferibile, per l’appunto, ai docenti di ruolo e l’altro riferibile ai docenti non di ruolo. 2. - Il primo ed il quarto motivo sono infondati, con assorbimento del terzo. Erra il ricorrente sia a ritenere che il provvedimento del Garante, dal ricorrente stesso depositato in giudizio, non fosse utilizzabile come prova, sia ad interpretare la sentenza impugnata ritenendo che la stessa abbia valutato il provvedimento del Garante, prodotto nel corso del processo innanzi al Tribunale, come avente valore di prova legale . 2.1. - Sotto il primo profilo, una volta depositato in giudizio il 13 marzo 2021, da parte dell’Università, ed il 16 marzo 2021, da parte dello stesso ricorrente, il medesimo provvedimento del Garante di rigetto del reclamo - comunicato all’istante dall’autorità proprio il 16 marzo 2021 - deve invero ritenersi che il Tribunale, col farne uso, abbia implicitamente reputato ammissibile e da disporsi anche tale produzione, in quanto documento formatosi successivamente allo scadere delle preclusioni ed indispensabile per decidere la controversia innanzi a lui. È noto principio nel rito del lavoro quello secondo cui, se l’omessa indicazione nell’atto introduttivo dei documenti e l’omesso deposito contestuale degli stessi determinano la decadenza dal diritto di produrli, tuttavia un siffatto rigoroso sistema di preclusioni trova contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della verità materiale cui tale rito è funzionalizzato - nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’articolo 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse Cass. civ., sez. VI, 15-12-2016, numero 25928 Cass. civ., sez. lav., 06-10-2016, numero 20055 Cass. civ., 22-09-2015, numero 18664, non massimata Cass. sez. lav. numero 2577 del 2/2/2009 Sez. lav., Sentenza numero 23882 del 09/11/2006 Cass., Sez. Unumero 20 aprile 2005 numero 8202 v. pure Cass. civ., sez. lav., 24-10-2017, numero 25148 e, in altri settori dove pure il rito si applica, per gli stessi concetti, Sez. 3, Ordinanza numero 17683 del 25/08/2020 . Ciò in quanto il rito del lavoro è caratterizzato, grazie ai poteri officiosi del giudice ex articolo 421 e 437 c.p.c., collegati ai principi del giusto processo di cui agli articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU, dal contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della predetta verità materiale Cass. SU 11353/04 e 22305/07 e dal fine di garantire una tutela differenziata ai diritti in esso azionati, in ragione della loro natura Cass. SU 8202/05 Cass. 2577/09 Cass. 14696/07 Cass. 27286/06 Cass. 23882/06 . Secondo i concetti propri anche del rito ordinario - accolti quindi, tanto più, con riguardo al rito del lavoro - potrebbe ben darsi che la produzione documentale sia giustificata appunto dal tempo della formazione dell’atto, successiva al ricorso o alla memoria di costituzione cfr. Cass. civ., sez. lav., 25-06-2007, numero 14696 Cass. civ., sez. lav., 21-12-2006, numero 27286 . Principî, altresì, completati dalla ulteriore affermazione, secondo cui nel rito del lavoro, proprio in virtù di quella esigenza della ricerca della verità materiale , nel caso in cui il giudice abbia tenuto conto di documenti irritualmente prodotti da una parte, idonei a provare fatti dalla stessa dedotti ritualmente e sottoposti - pur tardivamente - al contraddittorio delle parti, la parte che intende censurare tale operato deve dedurre non solo l’irritualità della utilizzazione del materiale probatorio, ma anche la inutilità dei documenti ai fini della verità materiale, restando altrimenti priva di decisività la questione processuale sollevata Cass. civ., 22-09-2015, numero 18664, non massimata Cass. civ., 28-08-2015, numero 17284, non mass. Cass. civ., sez. lav., 20-07-2015, numero 15157 . E della inutilità del provvedimento del garante non si fa qui parola da parte del ricorrente. In definitiva, la censura resta non decisiva e priva di supporto argomentativo circa la lamentata violazione dell’articolo 416 c.p.c. e del sistema delle preclusioni, che regola l’ammissione delle prove costituite e costituende, nel rito del lavoro, per il fatto che, ad onta dell’eccezione di decadenza sollevata con riferimento alla produzione di tale documento, il Tribunale, preso atto del deposito del medesimo documento anche da parte del ricorrente, abbia ritenuto di utilizzarlo nel processo. In tale contesto processuale, dunque, il giudice di merito si è conformato al sistema di c.d. circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, che caratterizza il rito del lavoro, valutando, nell’ambito dei poteri ad esso riservati, il rilevante documento de quo. E, una volta prodotto il documento, esso era parte del materiale istruttorio di causa, non potendo il depositante limitarne il valore a taluni effetti, ossia al solo fine di dimostrare la intervenuta comunicazione di tale provvedimento , come deduce nel ricorso secondo principio qui condiviso, invero, non è ammesso alla parte, la quale abbia prodotto un documento in giudizio, di scinderne il contenuto, per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lei contrari, a meno che, al momento della produzione, abbia fatto presente di voler invocare il documento solo in parte e abbia dedotto prove idonee a contestare le circostanze sfavorevoli da esso desumibili Cass. civ., 02-08-1990, numero 7726 più di recente, in motivazione, v. Cass. civ., sez. I, 19-11-2008, numero 27510 . Ciò perché la rituale acquisizione al processo di un mezzo di prova documento, testimonianza, informazioni della P.A. ecc. comporta la conseguenza che esso debba essere integralmente utilizzato dal giudice, sia a favore, sia contro la parte che ha prodotto il documento o chiesto l’ammissione del mezzo istruttorio Cass. 16.5.1983, numero 3383 id. 24.8.1981 numero 4993 . Mentre, più in generale, vige il noto principio di acquisizione processuale nel processo civile, secondo cui giudice deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, perché le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice, per l’impossibilità per le parti di disporre degli effetti delle prove, le quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte Cass. 27 ottobre 2020, numero 23490 Cass. civ., sez. II, 04-06-2018, numero 14284 Cass. civ., sez. II, 12-07-2011, numero 15300 Cass. civ., sez. II, 04-07-2017, numero 16415, non mass. . 2.2. - Sotto il secondo profilo, dalla pronuncia impugnata emerge che il giudice del merito abbia semplicemente ritenuto di valutare il provvedimento del Garante alla stregua del suo apprezzamento, quale documento proveniente da terzi e, in particolare, da un’autorità amministrativa. Nessun elemento della motivazione della sentenza impugnata, infatti, induce a ravvisare la pretesa considerazione di esso come prova legale inconfutabile nel suo contenuto, di cui il ricorrente si duole. 3. - Il secondo motivo, che rispetta il principio di autosufficienza avendo il ricorrente riprodotto i capitoli testimoniali richiesti e che, nonostante l’invocazione formale del solo vizio di violazione di legge, risulta dal suo svolgimento riconnesso alla doglianza di mancata ammissione di un mezzo di prova quale elemento decisivo del giudizio e della motivazione, è fondato. Va disatteso, anzitutto, l’assunto della controricorrente, secondo cui la sentenza impugnata non menziona il profilo in questione, per il fatto che sulle prove provvide l’ordinanza del 7 luglio 2021 dalla medesima controricorrente riportata ritenuto che le richieste istruttorie formulate da entrambe le parti vertono su circostanze generiche, documentate e/o documentabili respinge le richieste istruttorie e fissa per la discussione invero, posto che con la sentenza il giudice ha il potere di tornare su tutte le ordinanze emesse nel corso dell’istruttoria cfr. articolo 178 c.p.c. , non rileva se la valutazione sulle prove sia stata emessa, con un rigetto, nel corso di causa, avendola il Tribunale fatta propria in sede di decisione finale. Ora, è vero che, secondo i principî consolidati, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, nei limiti in cui detto sindacato è tuttora consentito dal vigente dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge Cass. 4 agosto 2017, numero 19547 Cass. 4 novembre 2013 numero 24679 Cass. 16 novembre 2011, numero 27197 Cass. 6 aprile 2011, numero 7921 Cass. 21 settembre 2006, numero 20455 Cass. 4 aprile 2006, numero 7846 Cass. 9 settembre 2004, numero 18134 Cass. 7 febbraio 2004, numero 2357 , e il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, non è tenuto a un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti ad es. Cass. 7 gennaio 2009, numero 42 Cass. 17 luglio 2001, numero 9662 . Ma resta il fatto che il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo, ogniqualvolta le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base Cass. ord. 13/04/2021-10/06/2021, numero 16435, non massimata 17 giugno 2019, numero 16214 29 ottobre 2018, numero 27415 7 marzo 2017, numero 5654 Cass. 24 ottobre 2013, numero 24092 Cass. 12 luglio 2007, numero 15604 Sez. 3, Sentenza numero 11457 del 2007 Cass. 21 aprile 2006, numero 9368 , onde, in altri termini, la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza, se il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell’onere sancito all’articolo 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo, se il mezzo stesso sia diretto a dimostrare aspetti decisivi della controversia cfr. Sez. 3, Ord. numero 18285 del 25/06/2021 Cass., 8/2/2021, numero 2904 Cass., 5/5/2020, numero 8466 Cass., 3019/2019, numero 24205 . Nella specie, con i capitoli articolati, il ricorrente mirava a provare quali fossero stati i destinatari della comunicazione operata dei propri dati, oltre che le conseguenze patite. La circostanza si presentava decisiva, al fine di vagliare, in un contesto di divieto di diffusione disposto dal giudice amministrativo D.Lgs. numero 196 del 2003, ex articolo 52 se la vicenda integrasse la fattispecie di una delle ipotesi previste dall’articolo 24 del decreto, quali quella della lett. c , relativa ai dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, fermi restando i limiti e le modalità che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria stabiliscono per la conoscibilità e pubblicità dei dati , oppure della lett. d , richiamata dal Tribunale, che legittima, con esclusione della diffusione, il trattamento dei dati personali allorquando esso sia necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di un terzo destinatario dei dati trattati fattispecie che spetta a chi ha divulgato il dato invocare. Ma la sentenza impugnata risulta, pur valutata congiuntamente alla ordinanza istruttoria, per come riferita dalla controricorrente, del tutto carente della motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali articolate nel ricorso innanzi a sé, e riprodotte, nel loro tenore testuale, nel ricorso per cassazione, miranti a dimostrare che destinatari della comunicazione non furono soltanto quelli dedotti dalla resistente, o comunque resi necessari dal principio della proporzionalità e doverosità della divulgazione dei medesimi ossia su circostanze decisive ai fini della richiesta risarcitoria formulata. 4. - Il quinto motivo è assorbito. 5. - In relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, perché provveda a nuova valutazione degli elementi istruttori richiesti ed offerti dalle parti al medesimo si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, disattesi il primo e il quarto e assorbiti il terzo e il quinto cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.