Vittima infraquattordicenne: l’induzione all’atto sessuale è “presunta”

In relazione al delitto di violenza sessuale, non è necessario accertare l'esistenza di una condotta induttiva dell'imputato, tale da viziare il consenso della minore, quando la vittima è infraquattordicenne in questa ipotesi, infatti, la vittima non è considerata in condizione di prestare un valido “consenso sessuale”.

Lo ha stabilito la terza Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 41577, depositata in cancelleria il 13 ottobre 2023. L'istruttore di pallavolo e l'allieva tredicenne Nel caso di specie, un uomo - istruttore di pallavolo - è stato sottoposto a procedimento penale, tra vari capi di imputazione, in relazione ai reati di “atti sessuali con minorenne” articolo 609-quater, c.p. , riqualificato in appello come “violenza sessuale” articolo 609-bis, comma 2 e 609-ter, c.p. . Secondo l'accusa, l'istruttore avrebbe indotto una minore, all'epoca dei fatti tredicenne, ad inviare all'imputato varie fotografie e video che la ritraevano nuda, materiale rinvenuto, archiviato e all'interno dell'applicazione WhatsApp. In esito al giudizio di primo grado, il Tribunale ha accertato la responsabilità penale dell'imputato. Tanto ha confermato anche la Corte d'appello. Il ricorso in Cassazione manca la prova dell'induzione L'imputato ha proposto ricorso per Cassazione, formulando due principali motivi. Il primo, in particolare, merita attenzione. Segnatamente, la difesa ha dedotto la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p , censurando la sentenza della Corte territoriale laddove afferma che l'autoproduzione di materiale pedopornografico da parte della minore fosse ascrivibile all'opera di induzione dell'imputato. La condotta induttiva, sempre secondo la ricostruzione difensiva, sarebbe discesa da alcuni messaggi isolati, senza considerarne altri di segno opposto che, peraltro, deponevano nel senso di una relazione amorosa tra i due. L'irrilevanza della prova dell'induzione in relazione agli infraquattordicenni Ebbene, la Suprema Corte, nel rigettare la prospettazione dell'imputato, ha confermato la sentenza gravata, sottolineando come il consenso sessuale, ad invarianza di legislazione, può essere espresso solo da persona che abbia già compiuto quattordici anni, beninteso previo accertamento sull'eventuale vizio dello stesso consenso. Al contrario, laddove il minore sia infraquattordicenne, sussiste la presunzione per la quale il minore non è in grado di prestare un valido consenso sessuale, con la conseguenza che finisce per risultare del tutto inutile l'indagine volta a verificare eventuali vizi del consenso che, per tabulas, non è già validamente prestato. In definitiva, data l'età inferiore a quattordici anni della minore al momento dei fatti, non era affatto necessario accertare l'esistenza – da parte dell'imputato – di una condotta induttiva, tale da viziare il consenso della minore, perché la medesima non aveva raggiunto l'età per prestare un valido consenso sessuale. Nelle parole della Corte «La vittima era una ragazzina di neanche tredici anni, mentre l'imputato era un uomo di quasi trent'anni, in una posizione di evidente superiorità, sia per età, che per il ruolo di allenatore di pallavolo, sia per l'esperienza assai diversa da quella della ragazzina, che davvero era poco più di una bambina». La condotta di reato sussunta nel concetto di “violenza sessuale” A margine della pur complessa questione inerente alla rilevanza del “consenso sessuale” in relazione alla condotta materiale di induzione, gli Ermellini hanno colto l'occasione per ricordare che «Integra il reato di violenza sessuale la condotta di chi, per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, induca la stessa al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale».  Ne consegue - si spiega nella sentenza in esame - che, al fine della definizione di atti sessuali ex articolo 609-bis c.p., non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, bensì è sufficiente che l'atto coinvolga la corporeità sessuale della persona offesa e risulti idoneo a compromettere, quale bene primario, la libertà dell'individuo a fronte del soddisfacimento o eccitamento sessuale. Sempre nelle parole della Corte «Coerentemente alla natura del bene tutelato e alla centralità della persona offesa, unica titolare del diritto, né il dolo specifico “al fine di”, né alcun movente esclusivo al solo scopo di contribuiscono alla tipizzazione dell'offesa, la quale è soggettivamente ascrivibile all'agente a titolo di dolo generico». Talché, anche ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è necessario che la condotta sia specificatamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale del soggetto agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto, indipendentemente dallo scopo perseguito. In definitiva, per la consumazione del reato non è indispensabile che l'agente sia presente o assista, anche mediante videochiamate, nel momento in cui il minore, in ciò indotto dalla sua richiesta, compie su di sé atti sessuali.

Presidente Di Nicola – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza, in parziale riforma della pronuncia emessa dal G.u.p. del Tribunale di Brescia all'esito del giudizio abbreviato e appellata dall'imputato, la Corte di appello di Brescia, previa riqualificazione del fatto di cui al capo 2 - originariamente contestato come violazione dell'articolo 609-quater c.p. - ai sensi dell'articolo 609-bis c.p., comma 2, articolo 609-ter c.p., riduceva a due anni e dieci mesi di reclusione la pena inflitta a carico di C.A., nel resto confermando la decisione impugnata, la quale aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato per i delitti di pornografia minorile capo 1 e di detenzione di materiale pornografico capo 3 . Va precisato che la riduzione di pena non deriva dall'indicata riqualificazione del fatto di cui al capo 2 , bensì, come emerge dalla motivazione p. 21 - ma non anche dal dispositivo -, dal fatto che la Corte d'appello ha ritenuto la sussistenza del delitto di cui al capo 3 unicamente in relazione alla ragazzina certamente minorenne raffigurata a foglio 197 e al bambino che mostra i genitali a foglio 188, con esclusione delle altre foto effigianti ragazze, in relazione alle quali, secondo la Corte d'appello, non vi è certezza che siano minorenni. 2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. 2.1. Con il primo, articolato, motivo si deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e . Cominciando dal delitto di cui all'articolo 600-ter c.p., comma 1, numero 1 contestato al capo 1 , espone il difensore che la sentenza impugnata, laddove afferma che l'autoproduzione di materiale pedopornografico da parte della minore sia ascrivibile all'opera di induzione da parte dell'imputato, è viziata sotto vari profili. In primo luogo, rappresenta il difensore che il messaggio sms in cui l'imputato aveva rivelato alla minore che, dopo un allenamento, nel vederla si era eccitato e a casa si era masturbato - messaggio che, secondo la Corte di merito, spiegherebbe la metamorfosi del rapporto tra l'imputato e la minore da superficiale a una vera a propria relazione - non è presente nella copia forense estrapolata dalla polizia postale di conseguenza, ad avviso del difensore, si sarebbe in presenza di un travisamento della prova, sotto il profilo dell'utilizzo di una prova inesistente. In secondo luogo, la Corte d'appello ha ravvisato una condotta induttiva sulla base di taluni messaggi intercorsi nel periodo tra omissis , ma senza considerarne altri che, per contro, sconfessano l'induzione, come quelli del omissis e dei mesi di marzo-aprile 2000 ampiamente riportati nel ricorso p. 16-23 , il che integra il vizio sia di omessa motivazione, sia di violazione di legge. Sotto altro profilo, la Corte di merito ha accolto una nozione di induzione che è stata riferita dalla giurisprudenza di legittimità all'articolo 600-bis c.p. e che, quindi, secondo il difensore, non sarebbe pertinente in relazione al delitto in esame. Dopo aver riportato ampi brani della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite numero 16207 del 2019, espone il difensore che non si possa estendere il concetto di induzione, elaborato in tale sentenza in relazione alla prostituzione minorile, alla produzione di materiale pedopornografico, pena una vietata estensione analogica dell'articolo 600-bis c.p. In relazione al capo 2 , nel riprendere argomentazioni illustrate in relazione al delitto di cui al capo precedente, evidenzia il difensore che la Corte di merito è incorsa in un vizio di motivazione e di travisamento della prova, in quanto attribuisce valore determinante a un sms tra l'imputato e la minore che non è presente agli atti e, inoltre, non considera lo sticker del omissis , marcatamente di natura erotica, inviato dalla ragazza. Aggiunge il difensore che, in ogni caso, non vi è alcuna prova della simultaneità tra gli eventuali atti di autoerotismo e la realizzazione delle fotografie costituenti la produzione di materiale pornografico che si assume essere stato inviato all'imputato, requisito, quello della simultaneità, richiesto da Sez. 3 numero 41591 del 2020 ad avviso del difensore, non avrebbe senso ravvisare il delitto in esame se, oltre a non esservi il contatto fisico, non vi sia neppure un contatto video, che consenta al soggetto inducente di fruire, nella comunicazione telematica, delle immagini della vittima nel compimento di atti che coinvolgano la corporeità sessuale della stessa, aventi lo scopo di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale. In ogni caso, la Corte di merito, nel riqualificare il fatto, originariamente contestato ai sensi dell'articolo 609-quater c.p., nella più grave ipotesi di cui all'articolo 609-bis ha violato sia il principio di correlazione tra accusa e sentenza, sia l'articolo 6 CEDU. Con riguardo, infine, al delitto di cui al capo 3 , lamenta il difensore che la Corte di merito si è limitata alla verifica dell'elemento oggettivo del reato, senza accertare anche la sussistenza del dolo. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b , in relazione all'ipotesi della minore gravità in relazione a tutti i reati in esame. In particolare, quanto ai delitti di cui ai capi 1 e 2 , la Corte di merito non avrebbe considerato una serie di elementi, quali la sussistenza di un legame sentimentale, la condotta provocatoria della minore, la mancanza di contatto fisico, l'assenza di una tendenza predatorio quanto, invece, al delitto di cui al capo 3 , evidenzia il difensore che si tratta di due sole immagini. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. In primo luogo deve essere rigettata l'istanza di rinvio dell'odierna udienza. 2.1. Va premesso che, con ordinanza del 25 maggio 2023, la Corte di appello di Brescia ha rigettato l'istanza di accesso ai programmi di giustizia ripartiva ex D.Lgs. numero 150 del 2002, articolo 44 ss. in relazione all'articolo 129-bis c.p.p. e articolo 45-ter disp. att. c.p.p., presentata dal difensore dell'imputato, sul presupposto che le norme sulla giustizia ripartiva entreranno in vigore il 30 giugno 2023, sicché, sino a tale data, non è possibile accedere a detti programmi, non essendo neppure operative le relative strutture, e che, essendo pendente il ricorso per cassazione, non è nemmeno possibile, in assenza di una norma che lo preveda espressamente, la sospensione o il differimento del processo, come pure richiesto dal difensore in via subordinata. 2.2. Ciò posto, non può essere accolta l'odierna istanza di rinvio, in quanto, come già correttamente rilevato dalla Corte di appello, le norme in esame entreranno in vigore il 30 giugno 2023. Non è nemmeno ipotizzabile, come prospettato dal difensore, pena una ventilata questione di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento, una lesione dei diritti di difesa, i quali sono adeguatamente tutelati dalla disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. numero 150 del 2022, articolo 94, comma 2-bis, come introdotto dalla L. 30 dicembre 2022, numero 199, a tenore del quale le disposizioni in materia di giustizia ripartiva si applicano nei procedimenti penali e nella fase dell'esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto . Il che significa che, entro sei mesi dal 30 giugno 2023, possono avanzare istanza di accesso ai programmi di giustizia ripartiva ex D.Lgs. numero 150 del 2002, articolo 44 ss. anche i condannati, posto che, come emerge dalla disposizione appena indicata, essa si applica anche alla fase dell'esecuzione della pena locuzione che evidentemente evoca i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, il che fuga ogni sospetto di illegittimità costituzionale, in relazione all'articolo 3 Cost., della disposizione transitoria. 3. Venendo al merito della vicenda, la materialità dei fatti non è messa in discussione. Secondo quanto concordemente accertato dai giudici di merito, è pacifico che la minore, all'epoca tredicenne, nel periodo febbraio-agosto 2020 abbia inviato all'imputato, aiutante istruttore del corso di pallavolo frequentato dalla ragazzina, varie fotografie e diversi video che la ritraevano nuda, in varie pose e con modalità indicate dall'imputato medesimo, materiale poi rinvenuto, archiviato, all'interno dell'applicazione whatsapp scaricata sul telefono cellulare del C. 4. Con il primo motivo, quanto al delitto di cui al capo 1 , la difesa contesta, sotto più profili, la sussistenza di una condotta induttiva, posto che la Corte di appello non solo avrebbe dato un peso decisivo a un messaggio che non sarebbe presente agli atti, ma avrebbe omesso di valutare una serie di messaggi intercorsi tra i due, ampiamente riportati nel ricorso, che, per contro, smentirebbero la ritenuta induzione e che accrediterebbero, invece, la tesi del consenso, da parte della minore, degli atti sessuali e del successivo invio all'imputato delle foto che la ritraevano in pose erotiche, anche in considerazione della relazione amorosa che, a dire della difesa, era insorta tra i due. 4.1. Si tratta di una prospettiva errata, in ciò sviata dalla motivazione laddove, dopo aver fatto ampio richiamo alla giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, alla sentenza delle Sezioni Unite numero 4616 del 28/10/2021, argomenta la sussistenza di una condotta induttiva quale elemento costitutivo del delitto di cui all'articolo 600-ter c.p., comma 1, numero 1, e ciò sul presupposto che, per effetto di quella condotta, il consenso della minore sia viziato e, quindi, non sia stato validamente prestato. I giudici di merito, invero, non si sono avveduti che, all'epoca dei fatti febbraio-agosto 2000 , la persona offesa, nata il 2 luglio 2007, al momento dei fatti era certamente minore di anni quattordici, con la conseguenza che nemmeno era in grado di esprime alcun valido consenso sessuale. 4.2. Come osservato dalla Sezioni Unite nell'indicata sentenza numero 4116 par. 4.2.1. , la disposizione principale per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale è rappresentata dall'articolo 609-quater c.p., norma che assume carattere di generalità per i reati di pornografia e di prostituzione minorile articolo 600-ter c.p., comma 5, articolo 602-ter c.p., comma 6, articolo 609-undecies c.p. . In particolare, il comma 1, recita così Soggiace alla pena stabilita dall'articolo 609-bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto 1 non ha compiuto gli anni quattordici . Orbene, il dato di partenza è che il consenso sessuale può essere espresso da un soggetto che abbia compiuto i quattordici anni se così è, occorrerà poi accertare se quel consenso è viziato se, invece, il minore è soggetto infraquattordicenne, egli non è in grado di prestare alcun valido consenso sessuale sicché è ultronea l'indagine diretta a verificare eventuali vizi di formazione di un consenso che, per legge, non è validamente prestato. 4.3. Ne segue che, poiché, pacificamente, la minore, al momento dei fatti per cui è processo, era soggetto infraquattordicenne e che la richiesta di materiale pornografico proveniva altrettanto pacificamente dall'imputato, non era affatto necessario accertare la sussistenza, da parte dell'imputato medesimo, di una condotta induttiva, tale da viziare il consenso della minore, per l'assorbente ragione che la medesima non aveva ancora raggiunto l'età per prestare un valido consenso sessuale. 5. Infondate sono le censure relative al capo 2 . 5.1. Va premesso che la Corte di merito, immutato il fatto, lo ha solo diversamente qualificato nella fattispecie di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, aggravata ai sensi dell'articolo 609-ter c.p., per essere la violenza stata commessa in danno di persona infradiciottenne, senza che ciò abbia comportato alcuna conseguenza sul terreno sanzionatorio. 5.2. Orbene, la decisione della Corte di appello è conforme all'univoco indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non sussiste la violazione del divieto di reformatio in peius qualora, ancorché sia proposta impugnazione da parte del solo imputato, il giudice di appello, senza aggravare la pena inflitta, attribuisca al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica a condizione, tuttavia, che si tratti di un punto della decisione al quale si riferiscano i motivi di gravame cfr., da ultimo, sez. IV, 3 16/03/2023, numero 17192 Sez. 6, numero 47488 del 17/11/2022, F., Rv. 284025 . Si rammenta, inoltre, che per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione dell'articolo 521 c.p.p., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va di conseguenza esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione per tutti, cfr. S.U., 17 maggio 2010 numero 36551, Carelli, Rv.248051 conf., ex plurimis, Sez. 4, numero 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042 Sez. 4, numero 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423 Cass. Sez. 3, numero 35225 del 28/06/2007, Dimartino, Rv. 237517 Sez. 3, numero 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866 Sez. 4, numero 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946 Sez. 5, numero 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 271607 . La nozione strutturale di fatto contenuta nelle disposizioni di cui agli articolo 521 e 522 c.p.p. va perciò coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata oggetto di un potere del pubblico ministero e decisione giurisdizionale oggetto del potere del giudice , risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi Sez. 1, 18 giugno 2013 numero 35574, Rv. 257015 Sez. 4, 15 gennaio 2007 numero 10103, Rv. 236099 , il che non è dato riscontrare nel caso in esame. 5.3. La questione, invero, involge anche quella della prevedibilità di un simile sviluppo per l'imputato. Secondo l'orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall'articolo 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell'istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione cfr., ex plurimis, Sez. 5, numero 11235 del 27/02/2019, Rv. 276125 Sez. 2, numero 39961, del 19/07/2018, Rv. 273922 Cass. Sez. 2, numero 38049 del 18/07/2014 Rv. 260585 . Nel caso di specie, la Corte di appello ha correttamente spiegato che il fatto di avere posto in essere un'attività di induzione allo scopo di intrecciare una relazione amoroso sessuale con la minore, anche mediante invio di fotografie e video, non è diverso da quello contestato e sulle circostanze fattuali non vi è dubbio che l'imputato ha avuto modo di difendersi ed argomentare le proprie ragioni p. 20 della sentenza impugnata . 5.4. Nel merito, la Corte di appello, con motivazione ampia e priva da aporie logiche, ha spiegato le ragioni della qualificazione del fatto ai sensi dell'articolo 609-bis c.p., comma 2, e articolo 609-ter c.p. La Corte di merito, infatti, ha evidenziato che la vittima era una ragazzina di neanche 13 anni , mentre l'imputato era un uomo di quasi trent'anni, in una posizione di evidente superiorità, sia per età, che per il ruolo di allenatore di pallavolo di R., sia per l'esperienza assai diversa da quella della ragazzina, che era davvero poco più di una bambina . La Corte d'appello non ha mancato di evidenziare, all'esito di un giudizio di merito che non pare sindacabile nella sede di legittimità, come nella ragazzina fosse costante la preoccupazione di assecondare i desiderata dell'imputato forse per non deluderlo e certamente anche per il trasporto che nutriva per lui . Questa premessa, accertata nel corso del giudizio di merito, ha costituito la corretta chiave di lettura dei numerosissimi messaggi intervenuti tra l'imputato e la vittima e ha permesso al collegio di merito di ravvisare l'esistenza di una condotta di vera e propria induzione, di persuasione insistente, fatta anche di blandizie, di paroline amorevoli allo scopo di determinare la minore alla decisione di fotografarsi nuda e di compiere su di sé atti sessuali, assecondando le richieste dell'imputato. La ricostruzione operata dalla Corte di merito appare pienamente conforme all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui integra il reato di violenza sessuale la condotta di chi, per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, induca la stessa al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non la mera tranquillità Sez. 3, numero 41951 del 05/07/2019, Rv. 277053 nello stesso senso, Sez. 3, numero 25822 del 09/05/2013, T., Rv. 257139, relativa a fattispecie di condotta perfezionatasi mediante una comunicazione telematica, attraverso la quale il reo aveva indotto le vittime minorenni a compiere su sé stesse atti sessuali di autoerotismo . Si è, infatti, affermato Sez. 3, numero 11958 del 22/12/2010 - dep. 2011, C., Rv. 249746 che ai fini della definizione di atti sessuali di cui all'articolo 609-bis c.p. non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, ma è sufficiente che l'atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato e idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell'individuo nella prospettiva dell'agente di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale. Di conseguenza, sono state ritenute punibili quelle condotte in cui, anche a distanza, il reo aveva costretto o indotto la vittima a compiere su sé stessa atti sessuali di autoerotismo o giochi erotici Sez. 3, numero 11958 del 22/12/2010 -dep. 2011, C., Rv. 24974601 Sez. 3, numero 41951 del 05/07/2019, P, Rv. 277053-01, relative a condotte poste in essere ai danni di un minore . 5.5. Al proposito, non coglie nel segno l'argomentazione secondo cui, per la sussistenza del reato, occorre che soggetto richiedente assista, anche mediante comunicazione telematica, al compimento di atti che coinvolgano la corporeità sessuale della persona offesa. Tale impostazione, la quale, a ben vedere, sottende la concezione secondo cui, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del delitto in esame, sia necessario che l'agente sia mosso da concupiscenza - la quale verrebbe, appunto. soddisfatta solo se l'agente medesimo assiste al compimento degli atti sessuali -, appare errata alla luce sia della natura del bene tutelato, ossia la libertà sessuale della persona offesa - la cui protezione, anche in forza di vincoli derivanti dal recepimento di direttive internazionali, è tanto più intensa nel caso di soggetti minori - sia della corretta descrizione dell'elemento soggettivo del reato, che non esige anche il dolo specifico. Coerentemente alla natura del bene tutelato e alla centralità della persona offesa, unica titolare del diritto, nè il dolo specifico al fine di , nè alcun movente esclusivo al solo scopo di contribuiscono alla tipizzazione dell'offesa, la quale è soggettivamente ascrivibile all'agente a titolo di dolo generico. La valorizzazione di atteggiamenti interiori sposterebbe, infatti, il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola. Ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è perciò necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere volontariamente, a prescindere dallo scopo perseguito Sez. 3, numero 3648 del 03/10/2017, dep. 25/01/2018, T., Rv. 272449 Sez. 3, numero 21020 del 28/10/2014, dep. 21/05/2015, P.G. in c. C., Rv. 263738 . Di conseguenza, per la consumazione del reato, non è affatto necessario che l'agente sia presente o assista, anche mediante l'utilizzo di strumenti di videochiamata, nel momento in cui il minore, in ciò indotta dalla richiesta dell'agente medesimo, compie su di sé atti sessuali. 6. Con riguardo, infine, al delitto di cui al capo 3 , la lamentata violazione di legge non era stata dedotta con l'atto di appello, in cui, relativamente a tale capo, si era unicamente invocata l'assoluzione non essendo prova che i soggetti ritratti nei video fossero minorenni, motivo che, come si è detto, la Corte di merito ha, per larga parte, accolto. 7. Il secondo motivo è manifestamente infondato. 7.1. Premesso che l'attenuante della minore gravità era stato richiesta per i soli delitti di cui ai capi A e B - ed entro in questi limiti il motivo può essere scrutinato - si rammenta che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di violenza sessuale, l'attenuante di cui all'articolo 609-bis c.p., u.c., può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell'azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, l'entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico Sez. 3, numero 50336 del 10/10/2019, L, Rv. 277615 Sez. 3, numero 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516 Sez. 3, numero 39445 del 01/07/2014, S, Rv. 260501 ed altre prec. conf. . Si è precisato, inoltre, che l'attenuante speciale prevista dall'articolo 609-bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo Sez. 3, numero 21458 del 29/01/2015 - dep. 22/05/2015, T., Rv. 263749 Sez. 3, numero 24250 del 13/05/2010 - dep. 24/06/2010, D. e altri, Rv. 247286 Sez. 3, numero 2001 del 13/11/2007 -dep. 15/01/2008, R., Rv. 238847 , perché la tale reiterazione approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l'interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, sicché non è compatibile con la minore gravità del fatto Sez. 3, numero 6784 del 18/11/2015 - dep. 22/02/2016, P.G. in proc. D, Rv. 266272 , a meno che detta condotta, in ragione della occasionalità o, comunque, delle non significativa reiterazione nei riguardi del medesimo soggetto passivo, non sia tale da compromettere maggiormente in danno del medesimo l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice Sez. 3, numero 13729 del 22/11/2018 - dep. 29/03/2019, C, Rv. 275188 . 7.2. Nel caso in esame, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi appena ricordati, negando i presupposti per la qualificazione dei fatti di cui ai capi 1 e 2 in termini di minore gravità in considerazione della protrazione della condotta illecita, che non è stata certo occasionale ma si è dipanata, con intensità crescente, per diversi mesi e con contatti pressoché quotidiani. 8. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.