La violazione dei doveri conseguenti allo status di genitore non trova la sua sanzione necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia ma, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’articolo 2059 c.c.
Questo il principio di diritto ribadito dalla Prima Sezione civile e a seguito del quale l'ordinanza impugnata è stata cassata con rinvio. Il caso Il Tribunale, una volta accolta la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità ex articolo 269 c.c. avanzata dall'attrice, ha riconosciuto un assegno mantenimento a favore della stessa e condannato il convenuto al pagamento di una somma di denaro pari a 40mila euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla figlia per la totale assenza della figura paterna. Tale decisione trovava, poi, conferma anche in sede di appello in quanto la dichiarazione giudiziale di paternità non era stata fondata semplicemente su un test del DNA, ma, in una prospettiva più ampia, anche sull'apprezzamento di ulteriori circostanze di fatto quali la frequentazione da parte della madre dell'appellata della dimora del convenuto nel periodo a cui risaliva il concepimento dall'iniziativa della madre di accertamento giudiziale di paternità sin dal 1991 e dal fatto che l'uomo si era già sottoposto volontariamente al test genetico prima dell'avvio del giudizio di primo grado. Da qui, il ricorso principale promosso dal padre volto a contestare l'accertamento del rapporto genitoriale compiuto dalla Corte di merito e quello incidentale della figlia indirizzato a censurare le modalità con cui è stato individuato e quantificato il danno non patrimoniale da lei subito. La valutazione dell'illecito endofamiliare La Suprema Corte, nell'affrontare il caso in questione, ha ricordato che la natura unitaria e omnicomprensiva del danno non patrimoniale comporta l'obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall'evento pregiudizievole, nessuna esclusa, valutando distintamente le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale che si dipanano nell'ambito delle relazioni di vita esterne , autonomamente risarcibili, e attribuendo al danneggiato una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici. Di conseguenza, a fini liquidatori, occorre procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all'accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, al fine di valutare distintamente le conseguenze subite dal danneggiato sotto i profili appena indicati. Le ragioni del rinvio Orbene, nella vicenda in esame la Corte di merito ha preso quale parametro di riferimento per la quantificazione del danno le tabelle di Milano per la liquidazione del c.d. danno da lesione del rapporto parentale, nelle ipotesi in cui una persona sia vittima o subisca gravi lesioni a causa della condotta illecita di un terzo, adattando tale criterio alla particolarità della fattispecie. Questi adattamenti sono stati individuati, in termini favorevoli alla danneggiata, nella sofferenza morale e psichica subita da quest'ultima per essere vissuta senza l'apporto del sostegno economico e morale da parte della figura paterna, e in termini favorevoli al danneggiante, nella sua peculiare situazione economica nonché nel fatto che la perdita del rapporto parentale non aveva carattere definitivo. Pertanto, il bilanciamento di queste circostanze, di valenza opposta, ha condotto la Corte di merito ad applicare una decurtazione del 75% sull'importo minimo previsto dalle tabelle di riferimento. A detta della S.C., però, una simile modalità di liquidazione del danno costituisce una patente violazione dell'articolo 1226 c.c. La valutazione, infatti, operata dai giudici distrettuali, equivalente a una sostanziale svalutazione, se non vanificazione, del danno pur accertato nell'an, costituisce un apprezzamento che omette non solo di considerare specifiche circostanze del caso concreto con incidenza ablativa del danno, ma finisce per valorizzare, per contro, circostanze prive di incidenza negativa sull'ammontare del pregiudizio, ponendosi per di più in contrasto rispetto agli accertamenti compiuti.
Presidente Genovese – Relatore Pazzi Rilevato che 1. Il Tribunale di Salerno, dopo aver dichiarato, con sentenza parziale numero 1913/2015, che il convenuto R.D. era il padre della attrice G.F., con sentenza definitiva numero 855/2020 accoglieva anche la domanda di riconoscimento di un assegno di mantenimento, che quantificava in Euro 300 oltre accessori con decorrenza dal mese di omissis fino al mese di omissis , e la richiesta risarcitoria, condannando il R. al pagamento a tale titolo della somma di Euro 40.000. 2. La Corte distrettuale di Salerno, a seguito dell'appello principale proposto dal R. rispetto ad ambedue le decisioni e dell'appello incidentale presentato dalla G. in relazione alla sentenza definitiva, rilevava che la dichiarazione giudiziale di paternità non era stata fondata soltanto su un test del DNA, che era stato contestato con censure prive di fondamento, ma anche su ulteriori circostanze costituite dalla frequentazione da parte della madre dell'appellata della dimora del R. nel periodo a cui risaliva il concepimento, dall'iniziativa della madre di accertamento giudiziale di paternità sin dal omissis e dal fatto che il R. si era già sottoposto volontariamente al test del D.N.A. prima dell'avvio del giudizio di primo grado di gravità, precisione e concordanza tali da fondare il ragionamento presuntivo ex articolo 2729 c.c Reputava che la quantificazione del mantenimento operata dal primo giudice non meritasse censura, perché non solo non erano stati dichiarati redditi successivi al omissis , ma la G., all'epoca omissis ed iscritta alla facoltà di giurisprudenza, non aveva assolto l'onere di dimostrare l'eventuale conseguimento del titolo di studio o la difficoltà di ottenere una sistemazione lavorativa. Ricordava che l'illecito endofamiliare attribuito al padre che abbia generato ma non riconosciuto il figlio presuppone la consapevolezza della procreazione, la quale, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, richiede comunque la maturata conoscenza dell'avvenuta procreazione. Riteneva indubbio che l'appellante avesse già da tempo la consapevolezza del rapporto di filiazione e, di conseguenza, condivideva la statuizione resa dal primo giudice a questo proposito sia rispetto all'an debeatur, in presenza della dimostrazione del profilo psicologico della colpa del R., sia in relazione al quantum debeatur, determinato facendo riferimento ai parametri previsti dalle tabelle del Tribunale di Milano e applicando gli opportuni adattamenti dettati dalla particolarità della fattispecie. Evidenziava, infine, che non era stata fornita alcuna specifica prova della sussistenza di danni non patrimoniali, non essendo stato allegato nulla in ordine a eventuali occasioni economiche perdute e/o di miglioramento del proprio status professionale. 3. R.D. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso G.F., la quale, a sua volta ha proposto ricorso incidentale, affidato a tre motivi. Considerato che 4.1 Il primo motivo del ricorso principale denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 , la violazione e falsa applicazione degli articolo 269 e 2729 c.c., articolo 116 e 253 c.p.c., in quanto la Corte d'appello ha confermato la decisione di primo grado - in tesi - sulla base di circostanze inidonee ad assicurare il fondamento della domanda giudiziale e trascurando, invece, di esaminare una serie di fatti ostativi prospettati dal R. quest'ultimo, in particolare, aveva rappresentato ai giudici di merito il carattere limitato dei suoi contatti con la madre della G., la non esclusività della relazione di quest'ultima con il R., la condotta tenuta dalla donna nel omissis , quando, dopo aver proposto l'azione per l'accertamento giudiziale di paternità, aveva abbandonato il relativo procedimento incardinato dinanzi il Tribunale per i minorenni di Salerno, il proprio fermo atteggiamento nel disconoscere, sempre, ogni vincolo di paternità con G.F 4.2 Il secondo motivo del ricorso principale lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 , la violazione e falsa applicazione degli articolo 147,277 e 2697 c.c., articolo 116 e 253 c.p.c., perché la Corte d'appello ha confermato la statuizione del Tribunale di Salerno in ordine all'an e al quantum dell'assegno di mantenimento malgrado non sussistesse alcun vincolo di paternità. 4.3 Il quarto motivo del ricorso principale si duole, a mente dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 , dell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, poiché la Corte di merito, oltre ad aver completamente disatteso le difese ed i fatti ostativi opposti dal R. al vincolo di paternità, ha ritenuto che le dichiarazioni rese dai testimoni escussi, benché lacunose, e la C.T.U. espletata in primo grado, nonostante i profili di nullità da cui era affetta, risultassero comunque idonee a concorrere e integrare la prova della paternità dell'appellante e a determinare, di conseguenza, un obbligo di mantenimento a suo carico e un diritto della controparte al risarcimento del danno per illecito endofamiliare derivante dal mancato riconoscimento della paternità. 5. I mezzi appena illustrati devono essere esaminati congiuntamente, essendo tutti volti a contestare l'accertamento del rapporto genitoriale compiuto dalla Corte di merito. 5.1 Il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, è inammissibile. In vero nell'ipotesi in cui la sentenza d'appello confermi la decisione di primo grado condividendone, come nel caso di specie, sia il dispositivo che la ricostruzione del fatto, il ricorso per cassazione non può essere proposto - a mente del combinato disposto dell'articolo 348-ter c.p.c., commi 4 e 5 - per i motivi previsti dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5. A questo proposito giova ricordare che la previsione d'inammissibilità del ricorso per cassazione di cui all'articolo 348-ter c.p.c., comma 5, si applica, agli effetti del D.L. numero 83 del 2012, articolo 54, comma 2, conv. in L. numero 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all'11 settembre 2012 Cass. 11439/2018 , come è avvenuto in questo procedimento. 5.2 La Corte di merito ha sottolineato che la dichiarazione giudiziale di paternità non era stata fondata semplicemente su un test del DNA, ma, in una prospettiva più ampia, anche sull'apprezzamento di ulteriori circostanze di fatto ritenute di gravità, precisione e concordanza tale da poter fondare un ragionamento presuntivo ex articolo 2729 c.c Rispetto al primo elemento valorizzato - che valeva di per sé, quale mezzo obiettivo di prova, a fondare la decisione di accoglimento della domanda, in ragione degli elevatissimi margini di sicurezza raggiunti nel compimento di questo tipo di indagine Cass. 28647/2013 - l'odierno ricorrente ha sollevato contestazioni soltanto all'interno del quarto mezzo, già dichiarato inammissibile. Le contestazioni svolte con il primo mezzo, rivolte alla prova presuntiva congiuntamente valorizzata dalla Corte distrettuale, risultano perciò inammissibili per mancanza di decisività, tenuto conto della valenza probatoria delle risultanze della C.T.U. genetica espletata. 5.3 D'altra parte, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione. Spetta al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, verificare la loro rispondenza ai requisiti di legge e apprezzare in concreto l'efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità Cass. 8023/2009, Cass. 10847/2007, Cass. 1404/2001 . Risulta così inammissibile in questa sede una censura che proponga una diversa lettura degli elementi presi in esame dal giudice del merito al fine di valutarne la pregnanza in termini di prova presuntiva e lamenti la mancata espressa inclusione nel novero degli elementi valutati di talune circostanze, in quanto, come detto, l'individuazione degli elementi rilevanti a tal fine e l'apprezzamento della loro gravità, precisione e concordanza è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, a cui il disposto dell'articolo 116 c.p.c., attribuisce il compito di valutare le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, non rivedibile in questa sede. 5.4 Ne discende l'inammissibilità anche del secondo mezzo, che non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma è espressione di un mero dissenso rispetto a un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte. 6. Il terzo motivo del ricorso principale prospetta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 , la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2059 c.c., articolo 116 e 253 c.p.c., perché la Corte d'appello ha confermato la decisione di primo grado in merito al riconoscimento, in favore di G.F., del diritto al risarcimento del danno per mancato riconoscimento di paternità nonostante che il R., come era emerso nel corso del giudizio di primo grado, non avesse avuto alcuna consapevolezza del rapporto di paternità, dovendosi di conseguenza escludere nei suoi confronti il ricorrere di uno stato di colpa. 7. Il motivo è inammissibile. La Corte di merito, dopo aver ricordato che l'illecito endofamiliare per mancato riconoscimento di paternità presuppone la consapevolezza della procreazione, che, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, richiede comunque la maturata conoscenza dell'avvenuta procreazione Cass. 22496/2021 , ha ritenuto fuor di dubbio che l'appellante avesse già da tempo la consapevolezza del rapporto di filiazione. La doglianza in esame, ancora una volta, non pone contestazioni in diritto rispetto a una simile statuizione, ma intende criticare l'accertamento in fatto compiuto dai giudici distrettuali. Ne discende la sua inammissibilità, tale essendo l'esito che deve essere attribuito al ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito Cass. 5987/2021, Cass., Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016 . 8.1 Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 2 e 3 Cost., articolo 115 e 116 c.p.c., articolo 2043 e 1226 c.c., nonché, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio la Corte d'appello - in tesi - ha fatto ricorso, ai fini della determinazione del quantum dovuto per il ristoro dell'illecito endofamiliare per mancato riconoscimento di paternità, a criteri di liquidazione erronei, laddove i ha ritenuto la perdita del rapporto parentale non definitiva a dispetto del fatto che il R. persistesse nel rifiutare ogni rapporto con la figlia naturale ii ha decurtato drasticamente e in maniera incongrua l'importo previsto dalle tabelle di Milano per il cd. danno da lesione del rapporto parentale iii non ha tenuto conto della maggiore incidenza dell'assenza della figura paterna durante il periodo cruciale degli anni di sviluppo e crescita iv non ha considerato che il rifiuto di riconoscere una figlia è contegno che provoca un pregiudizio di gran lunga superiore alla morte di un genitore. 8.2 Il secondo motivo del ricorso incidentale lamenta, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c., articolo 2043 e 1226 c.c. nonché, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio la Corte di merito, nell'escludere il risarcimento richiesto per i danni non patrimoniali perché non era stata fornita alcuna specifica prova della loro sussistenza non essendo stato allegato nulla in ordine alle eventuali occasioni economiche perdute e/o che abbiano in qualche modo migliorato il proprio status professionale , ha erroneamente inteso - a dire della ricorrente incidentale - la nozione di danno non patrimoniale , consistente nel danno che il soggetto soffre in seguito alla violazione di un valore della personalità umana in questa erronea prospettiva la Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare le risultanze istruttorie e documentali relative ai pregiudizi subiti dalla G., non considerando, in particolare i il danno da quest'ultima patito per essere vissuta senza il sostegno ordinariamente prestato dalla figura paterna ii i danni esistenziali subiti nella realizzazione della sua personalità a causa dei ridotti mezzi di sussistenza e dell'abbandono morale e materiale da parte del padre iii i danni subiti per la violazione al proprio diritto all'educazione ed alla istruzione iv i danni morali per la mancanza del contributo economico da parte del padre, integrante anche la fattispecie di cui all'articolo 570 c.p., attese le gravi difficoltà in cui versava la madre. 9. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione del fatto che entrambi sono indirizzati a contestare le modalità con cui la Corte di merito ha individuato e quantificato il danno non patrimoniale subito dall'odierna ricorrente incidentale, sono fondati, nei termini che si vanno ad illustrare. 9.1 La giurisprudenza di legittimità, nell'enucleare la nozione di illecito endofamiliare, ha chiarito che la violazione dei doveri conseguenti allo status di genitore non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma nell'ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'articolo 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi recentemente e ripetutamente affermati da questa stessa Corte in tema di danni alla persona v. Cass. 26301/2021, Cass. 28989/2019, Cass. 7513/2018, Cass. 2788/2019, Cass. 901/2018 . Ora, la natura unitaria e omnicomprensiva del danno non patrimoniale comporta l'obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall'evento pregiudizievole, nessuna esclusa, valutando distintamente le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale che si dipanano nell'ambito delle relazioni di vita esterne , autonomamente risarcibili, e attribuendo al danneggiato una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all'accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, al fine di valutare distintamente le conseguenze subite dal danneggiato sotto i profili appena indicati Cass. 23469/2018, Cass. 901/2018 . La Corte di merito oltre ad aver qualificato, per mero errore materiale, quali danni non patrimoniali anche ulteriori pregiudizi di carattere economico non riconducibili alla categoria di danno in discorso , nell'affermare che l'appellante, essendo stato totalmente assente dalla vita della famiglia, le ha procurato una lesione al suo diritto ad avere una relazione filiale con il padre ed ha inciso in maniera fortemente negativa sulla sua sfera intima, affettiva e relazionale , dapprima ha espressamente riconosciuto l'illecito endofamiliare del R., quindi ha apprezzato le conseguenze subite dalla danneggiata sia nella sua sfera interiore, sia rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale. Questo accertamento, pur prendendo correttamente in considerazione l'intero panorama delle conseguenze subite dalla danneggiata, le individua però in termini del tutto sommari, astratti e generici, senza soffermarsi ad accertare in concreto la loro specifica portata. Questa carente individuazione di ogni profilo del pregiudizio subito ha compromesso, inevitabilmente, la possibilità di correlare con puntualità la quantificazione del danno alla sua precisa entità. 9.2 Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale subito dalla figlia per la totale assenza della figura paterna, i giudici di merito hanno legittimamente fatto ricorso al criterio equitativo per determinare l'importo dovuto, non altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare. L'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, a condizione che la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito Cass. 24070/2017 in senso conforme, Cass. 5090/2016 . Al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente, e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l'entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum Cass. 2327/2018 , dovendosi ritenere censurabili le liquidazioni basate su criteri manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza Cass. 4310/2018, Cass. 13153/2017 . Difatti, la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. pura , consiste pur sempre in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno, e cioè in un giudizio di mediazione tra le probabilità positive e le probabilità negative del danno effettivo nel caso concreto. Pur giocandovi un ruolo rilevante il potere discrezionale del giudice, essa non può tradursi, pertanto, in una valutazione arbitraria, in quanto il giudice è chiamato a compiere un ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze che nel caso concreto abbiano potuto avere incidenza positiva o negativa sull'ammontare del pregiudizio e a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito a ciascuna di esse, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento Cass. 22272/2018 . Nella vicenda in esame la Corte di merito ha preso quale parametro di riferimento per la quantificazione del danno le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano per la liquidazione del cd. danno da lesione del rapporto parentale, nelle ipotesi in cui una persona sia vittima o subisca gravi lesioni a causa della condotta illecita di un terzo, precisando che tale criterio di partenza doveva subire gli opportuni adattamenti in ragione della particolarità della fattispecie. Questi adattamenti sono poi stati poi individuati, in termini favorevoli alla danneggiata, nella sofferenza morale e psichica subita da quest'ultima per essere vissuta senza l'apporto del sostegno economico e morale da parte della figura paterna, e in termini favorevoli al danneggiante, nella sua peculiare situazione economica nonché nel fatto che la perdita del rapporto parentale non aveva carattere definitivo. Il bilanciamento di queste circostanze, di valenza opposta, ha condotto la Corte di merito ad applicare una decurtazione del 75% sull'importo minimo previsto dalle tabelle di riferimento. Ma una simile modalità di liquidazione del danno costituisce una patente violazione dell'articolo 1226 c.c Invero, i giudici distrettuali non hanno affatto individuato i fattori di probabile incidenza di essi sul danno, apprezzando circostanze idonee a incidere, in termini positivi o negativi, sull'ammontare del pregiudizio ma, dopo aver fatto un riferimento del tutto generico alla sofferenza subita dalla danneggiata per essere vissuta senza l'apporto paterno, hanno ritenuto di valorizzare, da una parte, le condizioni economiche del danneggiante, che non costituivano certo un fattore di incidenza sull'entità del danno non patrimoniale arrecato, e dall'altra la perdita non definitiva del rapporto parentale, pur avendo riconosciuto in precedenza che il padre era stato totalmente assente nella vita della figlia. Una simile valutazione, equivalente a una sostanziale svalutazione - se non vanificazione - del danno pur accertato nell'an, costituisce un apprezzamento che omette di tenere conto di specifiche circostanze del caso concreto con incidenza ablativa del danno valorizza, per contro, circostanze prive di incidenza negativa sull'ammontare del pregiudizio e si pone per di più in contrasto rispetto agli accertamenti compiuti, risultando così irragionevole. 10. Il terzo motivo di ricorso denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 148,337-ter e 316-bis c.c., nonché, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5, l'omesso esame di un fatto decisivo, perché la Corte di merito ha - in tesi - ingiustificatamente riconosciuto congruo il contributo di mantenimento stabilito dal primo giudice, ignorando i criteri fissati in materia dalla legge e, in particolare, il principio secondo cui i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro. 11. Il motivo è inammissibile. La Corte di merito ha confermato la statuizione impugnata che aveva riconosciuto a quest'ultima il diritto a percepire un assegno di mantenimento di Euro 300 mensili dal mese di omissis al omissis sulla base del mancato assolvimento dell'onere probatorio a carico della G. , precisando subito dopo che la giovane, all'epoca trentenne, risultava iscritta alla facoltà di giurisprudenza e su di essa ricadeva l'onere di dimostrare l'eventuale conseguimento del titolo di studio o la difficoltà di conseguire una sistemazione lavorativa pag. 6 della sentenza impugnata . A questa statuizione la Corte distrettuale ha fatto precedere il richiamo di alcune massime della giurisprudenza di legittimità secondo cui l'obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae qualora questi, divenuto maggiorenne e senza sua colpa, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori Cass. 32529/2018 , la prova del raggiungimento di un sufficiente grado di capacità lavorativa è ricavabile anche in via presuntiva dalla formazione acquisita e dall'esistenza di un mercato del lavoro in cui essa sia spendibile, mentre la prova contraria non può che gravare sul figlio maggiorenne Cass. 19696/2019 , l'età del figlio è destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa, in applicazione del quale all'età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento Cass. 38366/2021 . Un'argomentazione così articolata lascia chiaramente intendere che secondo i giudici distrettuali il mantenimento dovuto dal padre - riguardante un periodo in cui la beneficiaria, nata nel omissis , aveva un'età ricompresa fra i omissis - doveva essere stabilito tenendo conto tanto delle circostanze già valorizzate dal primo giudice, quanto del fatto che la giovane, pur avendo ampiamente superato la maggiore età, non aveva assolto l'onere di dimostrare di non aver raggiunto un adeguato grado di completa autosufficienza economica senza colpa. Il motivo in esame non si cura di contestare questa argomentazione, limitandosi a sostenere, in maniera apodittica, che queste prove non dovevano essere offerte. Il che comporta l'inammissibilità del mezzo, in ragione dell'assoluta genericità della critica mossa alla ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata, che non si preoccupa di indicare in maniera esplicita e specifica le ragioni per cui essa sarebbe errata. 12. Per tutto quanto sopra esposto il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata deve, invece, essere cassata in accoglimento del ricorso incidentale, nei limiti indicati, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibili il ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Salerno in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.