Utilizza il software aziendale per localizzare l’ex convivente di un amico: licenziato

A inchiodare il lavoratore sono state anche le intercettazioni utilizzate in ambito penale. Evidente, secondo i Giudici, la gravità della condotta da lui tenuta in violazione di norme di legge, regolamenti aziendali e doveri di ufficio dell’incaricato di pubblico servizio.

Legittimo il licenziamento del dipendente di Poste Italiane sorpreso ad utilizzare illecitamente il sistema informatico messo a sua disposizione dall’azienda. Nello specifico, il lavoratore ha impiegato il software della società per localizzare la ex convivente di un amico. Concordi i giudici di merito sia in primo che in secondo grado, difatti, viene ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa deciso da Poste Italiane nei confronti del dipendente. Ciò alla luce della gravità della condotta tenuta dal lavoratore, il quale ha illegittimamente utilizzato il sistema informatico della società e lo ha fatto per localizzare l’ex convivente di un suo amico . Tale condotta ha comportato una violazione dei principi ispiratori del ‘Codice etico’ in vigore in azienda, nonché un’aperta violazione degli obblighi e dei doveri gravanti sul lavoratore, hanno chiarito i giudici di merito. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall’avvocato del lavoratore, che può dire addio definitivamente al proprio impiego in Poste Italiane. Decisivo, innanzitutto, il riferimento al materiale probatorio – intercettazioni , soprattutto – fornito dal procedimento penale relativo alla condotta tenuta dal dipendente di Poste. A questo proposito, i magistrati di terzo grado osservano che nell’accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, giacché la parte può sempre contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale . E identica linea di pensiero vale anche per le intercettazioni telefoniche assunte nelle indagini preliminari, poiché le intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare avviato dal datore di lavoro, purché esse siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali . Passando dal quadro generale ai dettagli della vicenda presa in esame nel processo, i giudici sottolineano che dalle intercettazioni è emerso che tra il dipendente di ‘Poste’ e la persona che gli ha chiesto di ‘pedinare’ l’ex convivente vi era non solo un rapporto di conoscenza , certificato anche dal reciproco possesso dei rispettivi riferimenti telefonici, bensì una vera e propria confidenzialità , con conseguente esclusione della soggezione psicologica lamentata dal dipendente di Poste per provare a giustificare la propria illecita condotta. Per chiudere il cerchio, a questo proposito, viene evidenziata la familiarità del linguaggio usato dai due uomini – il dipendente di ‘Poste’ definisce fratello mio” l’altro uomo – quale segnale inequivocabile di una vera e propria confidenza . Accertata, poi, la condotta tenuta dal lavoratore e consistente nell'utilizzo del sistema informatico aziendale per localizzare la convivente dell’amico, è logico evidenziarne la gravità , tale da giustificare, secondo i giudici, il licenziamento. Ciò anche perché va escluso il presunto stato di necessità prospettato dal lavoratore. Su questo punto, in particolare, i magistrati osservano che il lavoratore non si trovava in una situazione necessitata determinata da un pericolo da lui non volontariamente causato, perché egli avrebbe potuto agire diversamente, già solo avvisando i propri superiori o le forze dell’ordine dell’esistenza delle richieste dell’amico, ma ciò non fece. Egli non comunicò alcunché al datore di lavoro fino a fu costretto a farlo, per aver ricevuto l’avviso di garanzia da cui ha poté evincere che la condotta contestata dal Procuratore della Repubblica contemplava atti commessi nell'esercizio delle funzioni di dipendente di ‘Poste Italiane’ e che ‘Poste’ sarebbe stata avvisata in quanto parte offesa . Per queste ragioni, quindi, si può affermare che lo stato di necessità non è invocabile nel caso specifico , chiariscono i giudici. Evidente, poi, il dolo nella condotta addebitata al lavoratore e caratterizzata da volontarietà dimostrata ampiamente dalle intercettazioni e dalla omessa tempestiva segnalazione all’autorità competente della istanza illegittima ricevuta . Per chiudere il cerchio, infine, i giudici definiscono la misura espulsiva adottata da ‘Poste Italiane’ come proporzionale e legittima , nonostante le obiezioni sollevate dal lavoratore. In particolare, i giudici sottolineano che con la sua condotta il lavoratore ha violato le norme del Codice etico aziendale , che prevede che tutti i destinatari non utilizzano informazioni ricevute in occasione dello svolgimento delle proprie funzioni aziendali per acquisire vantaggi in modo diretto o indiretto ed evitano ogni uso improprio e non autorizzato” , senza dimenticare, poi, che il fatto materiale commesso dal lavoratore concreta gli estremi del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico” e che la condotta presa in esame rappresenta un grave inadempimento dei doveri del dipendente, perché l’addetto allo sportello non poteva interrogare il sistema informatico aziendale senza il consenso dell’avente diritto , cioè l’ex convivente dell’amico del dipendente di Poste. Tirando le somme, il lavoratore ha violato dolosamente norme di legge, regolamenti aziendali e doveri di ufficio dell’incaricato di pubblico servizio, arrecando un forte pregiudizio alla società sul piano del danno all'immagine – considerato che la questione ha avuto una larga eco sulle cronache locali – e alla clientela di Poste , visto quanto successo alla donna monitorata dall’oramai ex dipendente di Poste.

Presidente Doronzo – Relatore Caso Fatti di causa 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Potenza rigettava il reclamo che P.G. aveva proposto contro la sentenza del Tribunale della medesima sede che aveva respinto la sua opposizione all'ordinanza dello stesso Tribunale, che, nella fase sommaria, pure aveva rigettato le sue domande relative all'impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli con comunicazione del […] dalla convenuta datrice di lavoro, omissis s.p.a 2. Al lavoratore, con comunicazione del omissis , era stato contestato dalla società datrice di lavoro di aver illegittimamente utilizzato il sistema informatico della società per localizzare l'ex convivente di tale D.A. , e che tale condotta costituiva violazione dei principi ispiratori del Codice etico in vigore in azienda, nonché aperta violazione degli obblighi e dei doveri gravanti ai sensi e per gli effetti degli artt. 2104 e 2105 c.comma , come richiamati dall'art. 52 del CCNL del 14.4.2011. 3. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale respingeva il primo motivo di gravame, con il quale il P. censurava la sentenza del Tribunale, lamentando l'esistenza di errori in procedendo, in relazione sia alla mancata ammissione della prova testimoniale da lui richiesta, sia in relazione ad una pretesa erronea ricostruzione dei fatti di causa con riferimento all'insussistenza dell'addotto stato di necessità. Disattendeva, altresì, il secondo motivo di reclamo, a mezzo del quale il P. sosteneva la sproporzione tra fatto contestato e sanzione e l'assenza di dolo, secondo il dipendente escluso dalla violenza esercitata su di lui. 4. Avverso tale decisione P.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. 5. Ha resistito l'intimata con controricorso. 6. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, ai sensi dell' art. 360 c.p.comma , n. 3, il ricorrente deduce Violazione e falsa applicazione dell'art. 1 e art. 6, commi 1 e 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, degli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost. , nonché degli artt. 101, 115 e 116 c.p.comma , e dell'art. 2697 c.c., anche in relazione agli artt. 2727, 2728 e 2729 c.comma e segg Mancata ammissione dei mezzi istruttori - Omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia . Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata nella parte in cui - senza dare ingresso alle richieste istruttorie articolate dal lavoratore in primo grado e reiterate in appello - ha ritenuto fondati gli addebiti contestati e legittimo il licenziamento impugnato, viola le norme in rubrica indicate e si pone in contrasto con i consolidati principi giurisprudenziali in tema di valenza probatoria nel giudizio civile delle intercettazioni svolte in sede penale. 2. Col secondo articolato motivo, ai sensi dell' art. 360 c.p.comma , n. 3, denuncia Violazione e falsa applicazione dell' art. 54 c.p. , degli artt. 1455, 2104, 2106 e 2119 c.c., e della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5 e della L. n. 300 del 1970 , art. 7 - Violazione dell' art. 2697 c.comma e artt. 2727 c.comma e segg., anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.comma , e degli artt. 1362 e segg., anche in relazione agli artt. 54 e 80 ccnl per il personale non dirigente di OMISSIS del 15.12.2014 - Violazione delle norme ermeneutiche in tema di interpretazione dei contratti collettivi di lavoro e del principio di gradualismo - Violazione del prioritario criterio di interpretazione secondo il significato letterale delle parole di cui all' art. 1362 c.comma , comma 1 - Insussistenza della giusta causa - Assoluta sproporzione tra i fatti contestati e la misura adottata - assenza di dolo - violazione del principio di proporzionalità . 3. I due motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono infondati. 4. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, affermato anche a Sezioni Unite, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento così, ex plurimis, tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, 19.5.2022, n. 16271 id., sez. II, 14.2.2022, n. 4716 id., sez. II, 11.2.2022, n. 4476 id., sez. III, 27.10.2020, n. 235660 ma v. già in termini Cass. civ., sez. un., 22.12.2011, n. 28336 . Il vizio suddetto è da dedurre ex art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 5 . 5. Il primo motivo è, perciò, inammissibile nella parte in cui, pur non facendo esplicita menzione di tale ultima disposizione, lamenta un evidente difetto di motivazione nella sentenza gravata, nonché l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio così all'inizio di pag. 25 del ricorso , per non aver consentito la Corte d'appello una compiuta istruttoria . Si è in presenza, infatti, di una c.d. doppia conforme , in ordine alla quale vale la preclusione di cui al combinato disposto dell' art. 348 ter c.p.comma , commi 4 e 5, in ordine al vizio deducibile ai sensi dell' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 5 . 6. Per il resto, occorre considerare che, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, anche di recente confermato, nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, giacché la parte può sempre contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale Cass. n. 2168 del 2013 Cass. n. 15714 del 2010 Cass. n. 132 del 2008 e, più di recente, Cass. n. 36861/2022 . E il medesimo orientamento era stato confermato, con precipuo riferimento alle intercettazioni telefoniche assunte nelle indagini preliminari, pure da Cass. n. 5317/2017 , la quale aveva altresì ribadito il principio alla stregua del quale le intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall' art. 270 c.p.p. , riferibili al solo procedimento penale, in cui si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale Cass. n. 10017/2016 n. 5317/2017 cit., nonché n. 36861/2022 pure cit. . 7. Ebbene, erroneamente il ricorrente sostiene che, non essendo precluso alla parte di contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti acquisiti in sede penale, in tal caso il giudice non può esimersi dal dare ingresso alle prove richieste, sottoponendo, conseguentemente, ad un nuovo esame, al cospetto degli accertamenti effettuati nel giudizio civile quegli atti, nell'ambito di una valutazione complessiva che può condurre anche a disattendere o sminuire la valenza probatoria con riferimento al caso esaminato. Invero, Cass., sez. lav., 29.1.2019, n. 2436 , in tal senso richiamata dal ricorrente, è in realtà espressiva dei medesimi principi sopra ricordati cfr. in particolare i pp. 6 e 7 della stessa . Anch'essa, infatti, al pari delle altre decisioni di legittimità già citate, non ha affermato che il giudice civile del merito sia tenuto ad ammettere le prove che la parte abbia richiesto per contrastare le emergenze di un parallelo procedimento penale, comprese quelle delle intercettazioni telefoniche. 8. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto che Correttamente il giudice di primo grado specificava nella sentenza, a pagina 7, che dalle stesse intercettazioni emergeva che tra P. e D. non solo un rapporto di conoscenza era già esistente altrimenti il D. non avrebbe potuto avere il numero di cellulare del P. , ma che si trattava di vera e propria confidenzialità, da cui era del tutto assente la dedotta soggezione psicologica del P. . In particolare, grade rilievo riveste l'intercettazione riportata in atti al docomma 13 di parte ricorrente in primo grado della telefonata del […] quando P. chiamò al cellulare D. invitandolo a passare un attimo dall'ufficio, e non, come invece sostiene il P. , il contrario, ossia che il D. stazionava di fronte all'Ufficio Postale con fare intimidatorio. Se quest'ultima ricostruzione fatta da P. fosse vera ma non lo è , non si spiegherebbe la telefonata sopra citata del dipendente […], cioè per quale motivo quest'ultimo avrebbe dovuto telefonare e invitare D. a passare dall'ufficio se egli già stava stazionando fuori dall'ufficio stesso. Non va neppure trascurata la familiarità del linguaggio usato dai due interlocutori P. definisce il D. fratello mio quale segnale inequivoco di una vera e propria confidenza tra i due a confutazione delle opposte difese del reclamante . Pertanto, come già deciso dal primo giudice, la stessa Corte ha ritenuto di non procedere all'audizione degli altri dipendenti presenti sul luogo di lavoro assieme al P. , ritenendo sufficiente ed esaustiva nello sconfessare la difesa del reclamante la prova documentale sonora proveniente dall'autorità giudiziaria penale . 9. In parte qua, allora, la decisione della Corte distrettuale è conforme ai principi in precedenza richiamati, ben potendo la Corte stessa formare il suo convincimento anche in base alle risultanze delle intercettazioni telefoniche, essendo incontestata la condotta consistente nell'utilizzo del sistema informatico aziendale per localizzare la convivente del D. . 10. Quanto alla violazione dell' art. 2697 c.comma , denunciata in entrambi i motivi di ricorso, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, tale violazione si configura solo nell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito così, ex plurimis, di recente, Cass. civ., sez. I, 12/05/2022, n. 15256 . 10.1. Orbene, nel provvedimento gravato non è dato cogliere alcuna illegittima inversione dell'onere probatorio. La Corte di merito, peraltro, aveva evidenziato che la documentazione relativa alle intercettazioni in questione era stata prodotta in causa proprio dal lavoratore. 11. Secondo questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell' art. 116 c.p.comma , è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo prudente apprezzamento , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria come, ad esempio, valore di prova legale , oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione così Cass. civ., sez. un., 30.9.2020, n. 20867 e, tra le altre, in seguito id., sez. I, 3.11.2021, n. 31510 id., sez. I, 28.6.2022, n. 20751 . Inoltre, è pacifico che sono riservati al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento così Cass. civ., sez. II, 22.2.2022, n. 5732 . 12. Dunque, in ordine alla dedotta violazione delle norme in tema di presunzioni semplici, pure sostenuta dal ricorrente in entrambi i motivi in esame, la Corte di merito legittimamente si è avvalsa del complesso delle risultanze documentali delle intercettazioni depositate in atti e acquisite dalla autorità giudiziaria penale , e, segnatamente, di quelle relative alla chiamata telefonica del P. al D. in data […], in fattispecie in cui era incontestata la condotta in sé addebitata al lavoratore. 13. Nel secondo motivo di ricorso è altresì censurata tutta la parte di motivazione in cui la Corte di merito ha disatteso il primo motivo di reclamo anche per quanto riguarda lo stato di necessità allegato dal lavoratore, nonché il secondo motivo di reclamo. In particolare, la Corte d'appello, riportato il disposto dell' art. 54 c.p. , ha ritenuto anzitutto che nel caso di specie il P. non si trovava in una situazione necessitata determinata da un pericolo da lui non volontariamente causato, perché egli avrebbe potuto agire diversamente, già solo avvisando i propri superiori o le Forze dell'ordine dell'esistenza delle richieste del D. , ma ciò non fece. Egli, infatti, non comunicò alcunché al datore di lavoro fino a quando è stato costretto a farlo, per aver ricevuto l'avviso di garanzia da cui ha potuto evincere che la condotta contestata dal Procuratore della Repubblica, contemplava atti commessi nell'esercizio delle funzioni di dipendente di omissis e che […] sarebbe stata avvisata in quanto parte offesa. Per queste ragioni si può affermare che lo stato di necessità nel caso di specie non è invocabile, in quanto non si sono verificati i requisiti normativi essenziali a configurarlo . 14. La prima parte del secondo motivo pagg. 32-33 del ricorso si basa sull'assunto che per la sussistenza della causa di giustificazione dello stato di necessità determinato da altrui minaccia basta la prospettazione verbale di conseguenze sfavorevoli tali da determinare un'azione imposta dall'esigenza di salvare l'autore immediato dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, senza che sia necessaria la costante presenza del soggetto da cui la minaccia promana. La Corte distrettuale, però, non ha accertato una situazione del genere, ma ha verificato le richieste del D. ricevute dal lavoratore cui non ha annesso alcuna valenza minatoria, avendo, come si è visto, in precedenza confermato una vera e propria confidenzialità, da cui era del tutto assente la dedotta soggezione psicologica del P. . La stessa Corte, inoltre, non ha mancato di valutare la sussistenza o meno dello stato di necessità in relazione alla situazione esistente al momento dei fatti, bensì, avendo escluso detta situazione di soggezione psicologica del lavoratore nel contesto di quei fatti e avendo affermato che, invece, egli avrebbe potuto agire diversamente, ha constatato semplicemente che lo stesso non comunicò alcunché al datore di lavoro o alle forze dell'ordine , e che si risolse a comunicare gli accadimenti alla società datrice di lavoro solo dopo aver ricevuto il suddetto avviso di garanzia da cui aveva potuto evincere la condotta contestatagli dal P.M 15. Ne consegue l'infondatezza di tutte le ulteriori doglianze svolte dal ricorrente nel secondo motivo pagg. 33-46 del ricorso . 16. Esse, infatti, s'incentrano sempre sull'assunto che la Corte di merito erroneamente avrebbe affermato la ricorrenza del dolo nella condotta addebitata al lavoratore, anche per la parte del secondo motivo in cui si deduce che non vi sarebbe alcuna corrispondenza tra la condotta contestata al lavoratore e le fattispecie, tipizzate contrattualmente, poste a base del licenziamento intimato . In realtà, la Corte, in base ad accertamento probatorio non sindacabile in questa sede, ha ritenuto la volontarietà della condotta ampiamente dimostrata dalle intercettazioni e dalla omessa tempestiva segnalazione all'autorità competente dell'istanza illegittima ricevuta . 17. Assume ancora il ricorrente che i Giudici di merito hanno ritenuto integrata la giusta causa ex art. 80, lett. e, del CCNL di riferimento e, pertanto, giustificato il recesso senza preavviso comminato al P. , in quanto rientrante nelle ipotesi comportamentali descritte nelle norme di cui agli artt. 54, comma 4, lett. a , c e k . La Corte territoriale, però, ha fatto riferimento ad un diverso e più complesso quadro normativo e contrattuale-collettivo per concludere che nella specie la misura espulsiva è legittima e proporzionata . Più in dettaglio, ha in primo luogo considerato che il P. con la sua condotta ha violato le norme del codice etico aziendale il cui art. 3 principi generali prevede che Tutti i destinatari non utilizzano informazioni ricevute in occasione dello svolgimento delle proprie funzioni aziendali per acquisire vantaggi in modo diretto o indiretto ed evitano ogni uso improprio e non autorizzato che il fatto materiale commesso dal ricorrente concreta gli estremi del reato previsto dall' art. 615 ter c.p. , e che la stessa condotta rappresenta un grave inadempimento dei doveri del dipendente , perché L'addetto allo sportello non poteva interrogare il sistema informatico aziendale senza il consenso dell'avente diritto ossia la signora . . Quindi, la Corte d'appello ha riassuntivamente concluso che . il P. ha violato dolosamente norme di legge art. 615 ter c.p. , ma anche artt. 2104 e 2105 c.comma , regolamenti aziendali codice etico di omissis , all'art. 3 e doveri di ufficio dell'incaricato di pubblico servizio art. 52, lett. b del CCNL e art. 53, comma 4, lett. a e k , arrecando un forte pregiudizio alla Società sul piano del danno all'immagine considerato che la questione ha avuto una larga eco sulle cronache locali e alla clientela di […] visto quanto successo alla […] cfr. in extenso pagg. 7-9 dell'impugnata sentenza . Tali conclusioni raggiunte dai giudici del reclamo, pertanto, appaiono incensurabili in questa sede, fondandosi, non solo sul confermato dolo attribuito al comportamento delle conseguenze derivate dallo stesso comportamento. 18. Il ricorrente, di nuovo soccombente, dev'essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 1 5% e I.V.A e c.p. A. come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 , comma 5, e succomma modificazioni, in caso di diffusione di questo provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del lavoratore ricorrente e delle altre persone fisiche, come evidenziati in motivazione.