Sottrae il cellulare alla vittima della truffa per impedire di chiamare i soccorsi: condannato anche per rapina

I giudici ribadiscono che il delitto di rapina resta integrato anche allorquando la sottrazione non sia, come nella vicenda presa in esame, accompagnata da intento di arricchimento patrimoniale.

Legittimo catalogare come rapina il gesto con cui il truffatore sottrae il cellulare alla sua vittima per impedire a quest’ultima di contattare le forze dell’ordine per ottenere un aiuto. L’imputato è accusato di truffa e rapina . Per i giudici di merito il quadro probatorio è chiarissimo e sufficiente per emettere, sia in primo che in secondo grado, una pronuncia di condanna. Di parere opposto, ovviamente, l’avvocato che difende l’uomo. Con il ricorso in Cassazione, difatti, il legale sostiene sia illogico parlare di rapina, poiché si è appurato il difetto della volontà locupletativa nella condotta del suo cliente, avendo, quest’ultimo, sottratto alla persona offesa il cellulare solo per evitare che invocasse soccorso . All’obiezione difensiva, però, i magistrati di terzo grado replicano in modo netto, ribadendo che il delitto di rapina resta integrato anche allorquando la sottrazione non sia accompagnata da intento di arricchimento patrimoniale e anche allorquando la sottrazione avvenga per fare uso solo temporaneo della res sottratta .

Presidente Agostinacchio – Relatore Perrotti Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava integralmente il giudizio di primo grado, sia in punto di responsabilità, che sotto il profilo circostanziale e sanzionatorio. Avverso tale sentenza ricorre D.N.C. , a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i motivi in appresso sintetizzati, ai sensi dell' art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. 1.1. violazione e falsa applicazione della legge penale sostanziale, vizi esiziali di motivazione art. 606, comma 1, lett. b ed e art. 628 cpv. c.p. , art. 192 c.p.p. , per aver la Corte riconosciuto nella indiscussa ontologia del fatto consumato la responsabilità del ricorrente per il delitto di rapina impropria aggravata consumata, nonostante il difetto della volontà locupletativa, avendo l'agente sottratto alla persona offesa il cellulare solo per evitare che costui invocasse soccorso. 1.2. violazione e falsa applicazione della legge penale art. 606, comma 1, lett. b, c.p.p. , per avere la Corte di merito rigettato il motivo di appello con cui si chiedeva di riconoscere, in riferimento alla truffa consumata, la particolare tenuità dell'offesa, con la conseguente non punibilità della condotta ai sensi dell'art. 131 bis c.p.p 1.3. vizi esiziali di motivazione, dedotti in maniera promiscua art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p. , avendo la Corte di merito speso motivazione solo apparente in riferimento all'invocato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dovute anche in ragione delle particolari condizioni sociali dell'agente. 1.4. ancora, violazione e falsa applicazione della legge penale, in ordine al trattamento sanzionatorio riservato al ricorrente, evidentemente non calibrato sulla concreta offensività che il fatto esprime e lontano dai minimi edittali stabiliti per il delitto di rapina aggravata. 2. I motivi di ricorso sono tutti manifestamente infondati, nè si confrontano con le puntuali argomentazioni spese dalla Corte appellata su ciascuno dei motivi di gravame proposti, così scivolando verso la inammissibilità anche per difetto di specificità, tenuto anche conto della perfetta conformità verticale delle decisioni di merito. 2.1. Il primo motivo manifesta assoluta genericità espositiva, non chiarendo quale sia l'effettivo motivo di doglianza la Corte di merito ha peraltro argomentato la decisione qualificazione di rapina impropria aggravata, per lo spossessamento violento dell'apparecchio cellulare con il quale la vittima cercava di chiamare i soccorsi richiamando la consolidata giurisprudenza formatasi sul punto, per racchiudere la condotta nella tipicità descrittiva della rapina impropria consumata, con motivazione che, aderendo scrupolosamente ai dati di fatto assunti nel giudizio a prova contratta, non appare affatto illogica, men che meno in forma manifesta. La Corte ha infatti precisato, in continuità con il consolidato orientamento di legittimità Sez. 1, n. 6797, del 25/2/1980, Rv. 145459 Sez. 3 n. 226, del 11/11/1986, Rv. 174788 Sez. 2, n. 23177, del 16/4/2019, Rv. 276104 Sez. 2, n. 11467, del 10/3/2015, Rv. 266163 , che il delitto di rapina resta integrato anche allorquando la sottrazione non sia accompagnata da intento di arricchimento patrimoniale e anche allorquando la sottrazione avvenga per fare uso solo temporaneo della res sottratta Sez. 1, n. 15405, del 10/2/2010, Rv. 246827 Sez. 2, n. 788, del 18/2/2003, Rv. 227805 mentre il dolo di rapina può assumere anche le forme e la cronologia del dolo concomitante o, addirittura successivo, allorquando l'intento segua o accompagni la sottrazione violenta Sez. 2, n. 3116, del 12/1/2016, Rv. 265644 . 2.2. La Corte territoriale ha altresì argomentato il rifiuto di riconoscere la causa di non punibilità di cui all' art. 131 bis c.p. , in riferimento alla condotta di truffa consumata, richiamando le ragioni ostative testuali aver commesso il fatto profittando delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche per ragioni di età. Rispetto a tale argomentazione, conforme alla giurisprudenza recente di questa stessa sezione Sez. 2, n. 9113 del 17/02/2021, Rv. 280663 01 , il motivo di ricorso è assolutamente silente ergo inammissibile. 2.3-4. La Corte ha inoltre argomentato specificamente il rigetto dell'invocato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, richiamando le modalità particolarmente allarmanti della condotta e la natura meramente strategica della confessione, del tutto irrilevante a fronte di un quadro probatorio solidissimo come pure ha accompagnato da logica e congruente argomentazione la scelta di confermare la misura della sanzione, calibrata peraltro in aderenza al minimo edittale previsto per la rapina aggravata e aumentata per la continuazione con i reati satellite in misura davvero ridottissima. 3. Ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000 , sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro tremila. P.Q.M. - Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Sentenza redatta con motivazione semplificata.