La sottoscrizione di un atto di transazione definisce ogni contesa tra le parti

L'accordo transattivo che recepisce la chiara volontà delle parti contraenti di superare e definire tra esse, e tramite reciproche concessioni, ogni rapporto derivante dal giudizio pendente, non può più essere rimesso in discussione da una successiva pronuncia vista l'ampia portata definitoria della transazione sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo.

Un fratello conveniva in giudizio gli altri tre germani deducendo che era deceduto il padre, disponendo dei suoi beni con testamento olografo, contenente disposizioni lesive della sua quota di legittima . Sosteneva, infatti, che il padre aveva venduto alcuni suoi immobili ponendo, tuttavia, in essere delle donazioni dissimulate. Chiedeva accertare la lesività delle disposizioni testamentarie , procedere alla collazione e riduzione determinando l'entità della sua quota legittima. Chiedeva anche disporsi la divisione dei beni caduti nella successione materna con l'ordine di rendiconto ai fratelli che erano stati nel godimento esclusivo dei beni. Resistevano i convenuti e il Tribunale con sentenza non definitiva accertava la natura simulata delle vendite, costituendo in realtà una donazione e disponeva il sequestro giudiziario dei beni. Nel corso del giudizio le parti pervenivano ad un accordo transattivo e con scrittura versata in atti, i convenuti si impegnavano ad assegnare all'attore le loro quote su determinati beni, oltre una determinata somma di denaro con l'impegno dell'attore a trasferire ai convenuti la sua quota su altri beni relitti. Atteso che non era seguita la formalizzazione dinanzi al notaio degli impegni assunti in via transattiva, il Tribunale con sentenza non definitiva accertava l'esistenza di alcuni debiti ereditari disponendo per il prosieguo della divisione. Con separato atto di citazione l'attore conveniva in giudizio i fratelli affinché previo accertamento della loro inadempienza rispetto agli impegni assunti in via transattiva, fossero condannati al risarcimento dei danni subiti per effetto della loro condotta, danni da liquidare anche in separata sede. Tale giudizio veniva riunito a quello già pendente e il Tribunale, con sentenza definitiva, provvedeva alla divisione dei beni, ivi inclusi quelli oggetto dell'accertamento della simulazione, determinando anche i conguagli. Avverso la prima sentenza non definitiva e quella definitiva emesse dal giudice di primo grado, veniva proposto gravame da uno dei convenuti, oltre che appello da parte dell'originario attore avverso la seconda sentenza non definitiva e quella definitiva infine, veniva proposto appello incidentale nei confronti della prima sentenza non definitiva e di quella definitiva dagli altri due germani. La Corte d'Appello riuniva le varie impugnazioni e con sentenza dichiarava cessata la materia del contendere nei rapporti tra l'attore e convenuti, confermando la sentenza definitiva quanto alla divisione dei beni tra questi ultimi in accoglimento dell'appello dell'attore condannava in forma generica gli altri germani al risarcimento dei danni subiti dall'attore per il mancato adempimento agli obblighi derivanti dalla transazione . Uno dei germani convenuti proponeva ricorso innanzi alla Suprema Corte sulla base di quattro motivi, e resisteva con controricorso l'originario attore gli altri intimati non svolgevano alcuna attività difensiva. Con il primo motivo si denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 c.c. e 112 c.p.c. perché erroneamente la Corte d'appello non aveva ritenuto cessata la materia del contendere anche nel rapporto tra i germani diversi dall'attore per effetto della transazione sottoscritta. Gli ermellini ritenevano tale motivo fondato, sostenendo che il giudice del gravame nell'esaminare il contenuto della scrittura transattiva intervenuta in corso di causa avevano reputato che la stessa, sebbene non avesse ricevuto concreto adempimento, aveva in ogni caso determinato la cessazione della materia del contendere provvedendo così a separare la domanda attorea di riduzione dalla domanda di divisione tra i soli germani rimasti in comunione ne consegue se non è più possibile rimettere in discussione l'asserita idoneità della scrittura a produrre l'immediata efficacia definitoria della materia del contendere, non pareva condivisibile l'affermazione del giudice dell'impugnazione secondo cui sussisteva ancora una divisione da operare in virtù di sentenza definitiva del giudice di primo grado includendo nella massa anche i beni che erano stati oggetto di liberalità. Riteneva quindi la Cassazione che proprio alla luce del tenore dell' accordo transattivo emergeva la chiara volontà delle parti contraenti di superare e definire fra esse, tramite reciproche concessioni, ogni rapporto pendente tra le parti. Avendo pertanto la Corte d'appello ritenuta cessata la materia del contendere, tale declaratoria non poteva che coinvolgere tutte le posizioni dei condividenti in quanto interessati dal comune intento di porre fine al contenzioso pendente . Per tutto quanto innanzi detto la sentenza di secondo grado veniva cassata in tal punto, senza rinvio, avendo l'accordo transattivo superato la necessità della decisione. Con il secondo motivo si denunciava ugualmente la violazione degli artt. 1965 c.c. e 112 c.p.c. perché la Corte del gravame, reputata valida la transazione nei confronti dell'attore confermava la sentenza di primo grado, che aveva diviso i beni tra gli altri fratelli, disattendendo la volontà espressa nell' accordo transattivo . Con il terzo motivo di ricorso si denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 729 e 1965 c.c. per avere il Tribunale erroneamente confermato l'assegnazione diretta delle quote, senza procedere alla estrazione a sorte. I motivi venivano assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo. Con il quarto motivo si denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 278 e 92 c.p.c. in quanto il giudice dell'impugnazione aveva erroneamente compensato le spese di lite, ponendole contraddittoriamente a carico maggiore del ricorrente. Tale motivo veniva ritenuto privo di fondamento poiché in ragione della soccombenza su un capo del gravame non può reputarsi sussistere violazione dell' art. 91 c.p.c. In conclusione , la Corte di Cassazione accoglieva nei limiti di cui in motivazione il primo motivo del ricorso, rigettava il quarto e dichiarava assorbiti il secondo ed il terzo quindi, cassava senza rinvio la sentenza impugnata. Regolava le spese processuali in modo proporzionale all'attività difensiva svolta.

Presidente Manna – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione 1. Con citazione del 5 ottobre 1992, D.M.S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina i germani D.M.R., A. e V., deducendo che erano deceduti i genitori Sa.Co., nel Omissis , e D.M.S., in data Omissis , il quale aveva disposto dei suoi beni con testamento olografo, contenente disposizioni lesive della sua quota di legittima. Aggiungeva poi che in vita il padre aveva venduto con atto del Omissis alcuni suoi immobili, nonché un'azienda commerciale ai fratelli R. ed A., quanto alla gioielleria in Omissis , ed a V., quanto alla licenza ed all'avviamento commerciale della profumeria in Omissis , avendo però posto in essere delle donazioni dissimulate. Chiedeva, quindi, accertare la lesività delle disposizioni testamentarie, e, previo accertamento del reale contenuto delle alienazioni del 1986, procedere alla loro collazione e riduzione, determinando l'entità della sua quota di legittima. Inoltre, chiedeva anche disporsi la divisione dei beni caduti nella successione materna, con l'ordine di rendiconto ai fratelli che erano stati nel godimento esclusivo dei beni relitti. Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale adito con la sentenza non definitiva n. 2992 del 2000 accertava la natura simulata delle vendite del Omissis , in quanto in realtà costituenti una donazione, disponendo che si dovesse quindi tenere conto di tali donazioni ai fini successori. Disposto il sequestro giudiziario dei beni, nel corso del giudizio le parti pervenivano ad un accordo transattivo con scrittura del 20/4/2001, che era anche versato in atti, e per effetto del quale i convenuti si impegnavano ad assegnare all'attore le loro quote su determinati beni oltre una determinata somma di denaro, con l'impegno dell'attore a trasferire ai convenuti la sua quota su altri beni relitti. Atteso che non era seguita la formalizzazione dinanzi al notaio degli impegni assunti in via transattiva, il Tribunale con la sentenza non definitiva n. 3248/2004 accertava l'esistenza di alcuni debiti ereditari, disponendo per il prosieguo della divisione. Con separato atto di citazione D.M.S. conveniva in giudizio i fratelli affinché, previo accertamento della loro inadempienza rispetto agli impegni assunti in via transattiva, fossero condannati al risarcimento dei danni subiti per effetto della loro condotta, danni da liquidare anche in separata sede. Tale giudizio era riunito a quello già pendente, ed il Tribunale con la sentenza definitiva n. 139 del 2010 provvedeva alla divisione dei beni relitti, ivi inclusi quelli oggetto dell'accertamento della simulazione, determinando anche i conguagli che i vari condividenti dovevano al fine di perequare il valore delle quote in natura. Avverso la prima sentenza non definitiva e quella definitiva emesse dal Tribunale ha proposto appello D.M.V Ed era proposto autonomo appello da parte di D.M.S. avverso la seconda sentenza non definitiva e quella definitiva. Appello incidentale era avanzato da D.M.A. nei confronti della prima sentenza non definitiva e di quella definitiva, cui aderiva la difesa di D.M.R Riunite le varie impugnazioni, la Corte d'Appello di Messina, con la sentenza n. 781 del 15 dicembre 2016, ha dichiarato cessata la materia del contendere nei rapporti tra l'attore ed i convenuti, confermando la sentenza definitiva quanto alla divisione dei beni tra questi ultimi in accoglimento dell'appello dell'attore, condannava in forma generica D.M.V. alla quale era subentrata l'erede S.C. al risarcimento dei danni subiti da D.M.S. per il mancato adempimento agli obblighi derivanti dalla transazione, ed infine regolava le spese del giudizio di appello. Ad avviso dei giudici di appello andavano accolte le censure dell'attore quanto alla mancata presa in considerazione della scrittura transattiva intervenuta nel corso del giudizio. La seconda sentenza non definitiva aveva reputato che la stessa non potesse influire sulla sorte del giudizio, in quanto l'abbandono della causa, come previsto dalle parti, era condizionato al fatto che si fosse data effettiva esecuzione agli impegni presi, ma trattavasi, secondo i giudici di appello, di conclusione che contrastava con la corretta esegesi del testo, che proprio al fine di evitare che il volontario inadempimento di una delle parti privasse l'atto della sua efficacia, aveva contemplato una distinzione tra il primo momento sostanziale delle reciproche rinunce ad ogni domanda, eccezione o riserva formulata nel giudizio pendente, e quello successivo formale che avrebbe potuto portare alla declaratoria di estinzione del giudizio. L'inadempimento dei convenuti poteva al più impedire la formale declaratoria di estinzione, ma la transazione ha comunque prodotto i suoi effetti, avendo posto fine ad ogni questione tra le parti, ivi incluso il tema della divisione dei beni tra i tre convenuti come si ricavava dalla premessa dell'atto ed il raccordo dell'art. 1 e dell'art. 3 . Non poteva poi trascurarsi che a chiedere l'efficacia della transazione era proprio quella parte che aveva subito gli effetti dell'altrui inadempienza, che si era ben guardata dal chiederne la risoluzione. Andava pertanto accolto l'appello di D.M.S., con il riconoscimento del venir meno della materia del contendere. In relazione alla domanda risarcitoria avanzata dall'attore per l'inattuazione degli obblighi scaturenti dalla transazione, la Corte d'Appello, dopo avere affermato che né l'appello principale di V., né quello incidentale di A. potevano rimettere in discussione la consistenza dell'asse, per effetto dell'accertamento della simulazione, o dell'imputazione dei pagamenti non essendo state impugnate le assegnazioni divisionali, rilevava che il mancato adempimento della transazione era da imputare alla sola D.M.V., che con dolo si oppose a dare seguito a quanto concordato, adducendo illegittimamente pretesi contrasti con gli altri convenuti, contrasti che però non potevano essere opposti al germano S Una volta affermata la sua responsabilità dolosa, la sentenza, in adesione alla richiesta dell'attore, pronunciava condanna generica al risarcimento del danno, rimettendo le parti ad altra sede per la determinazione del quantum dovuto. S.C., quale erede di D.M.V. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Messina sulla base di quattro motivi. D.M.S. ha resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede. 2. Il primo motivo del ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell' art. 1965 c.c. , e art. 112 c.p.c. , perché erroneamente la Corte d'Appello non ha ritenuto cessata la materia del contendere anche nel rapporto tra i germani diversi da D.M.S., per effetto della transazione del 20 aprile 2001. Una volta ritenuto che la transazione de qua, sebbene non ancora adempiuta, avesse l'idoneità a determinare la cessazione della materia del contendere nei rapporti tra l'attore ed i convenuti, tale effetto doveva estendersi anche agli altri contendenti, e ciò in quanto il suo contenuto era finalizzato a dare una definitiva sistemazione ai rapporti tra i coeredi, con la conseguenza che anche la divisione disposta con la sentenza definitiva del Tribunale era destinata ad essere superata dall'accordo transattivo. Peraltro, la divisione de qua aveva incluso anche i beni che l'attore aveva aggredito con l'azione di simulazione, funzionale alla riduzione, avendo quindi colpito dei beni che erano stati oggetto di atti traslativi che i convenuti avevano invece sempre ritenuto avere carattere oneroso. Il motivo è fondato. La Corte d'Appello, nell'esaminare il contenuto della scrittura transattiva intervenuta in corso di causa, e per il riconoscimento della cui efficacia aveva insistito proprio l'attore, con affermazione che non risulta in alcun modo censurata, ha reputato che la stessa, sebbene non avesse poi ricevuto concreto adempimento, aveva in ogni caso determinato la cessazione della materia del contendere, essendo la sua idoneità a determinare il venir meno del contenzioso correlata alla mera assunzione degli obblighi in sede convenzionale, rilevando la sua effettiva esecuzione al più in merito alla possibilità di sollecitare il giudice all'adozione di un formale provvedimento di cessazione della materia del contendere così la sentenza a pag. 13 . In tal modo la Corte d'Appello ha anche implicitamente provveduto a separare la domanda attorea di riduzione , dalla domanda di divisione tra i soli tre germani rimesti in comunione, ritenendo che la prima fosse stata sicuramente definita non senza rimarcare a pag. 14 che la transazione aveva indubbiamente posto fine ad ogni questione oggetto del giudizio, ivi incusa anche quella della divisione dei beni ereditari tra i tre germani convenuti . Se, quindi, non è più possibile rimettere in discussione la asserita idoneità della scrittura de qua a produrre l'immediata efficacia definitoria della materia del contendere sicuramente nei rapporti con l'attore, nei cui confronti la transazione ha prodotto anche lo stralcio della quota , non è condivisibile, in adesione al contenuto del motivo in esame, l'affermazione della Corte d'Appello che ha ritenuto intangibile la divisione tra i re convenuti, non essendo più discutibile, alla luce delle sesse affermazioni contenute nella sentenza impugnata e del tenore dell'accordo transattivo, che la materia del contendere sia interamente venuta meno. Non appare sostenibile la sopravvivenza di una divisione che il Tribunale con sentenza definitiva aveva disposto, includendo nella massa anche i beni che, solo a seguito dell'esercizio dell'azione di riduzione da parte dell'attore, era stato possibile appurare che erano stati oggetto di liberalità. Ritiene il Collegio che proprio alla luce del tenore dell'accordo transattivo, quale riferito in parte in sentenza, e per come con maggiore dettaglio riportato in ricorso, emerge la chiara volontà delle parti contraenti di superare e definire tra esse, e tramite reciproche concessioni, ogni rapporto derivante dal giudizio pendente lasciando permanere una comunione tra i convenuti, ma limitatamente ai beni relitti, non assegnati a Satinino, e per i quali vi era stata da parte dell'attore la cessione dei propri diritto pro quota . Depone in tal senso il chiaro riferimento di cui all'art. 1 della transazione che le parti hanno inteso fare alla volontà di voler transigere il contenzioso giudiziario pendente, e ciò tramite l'assegnazione da parte dei convenuti al germano dei beni di cui all'art. 2, trovando tale attribuzione una sua contropartita nella cessione da parte di D.M.S. della sua quota vantata iure hereditario su una serie di beni caduti nella successione dei genitori, ed indicati all'art. 3. Infine, l'art. 4, prevede la rinuncia riferita a tutte le parti dell'accordo transattivo ad ogni rispettiva domanda, eccezione, riserva e difesa rivolta nel giudizio transatto e data esecuzione alle pattuizioni di cui ai soprastanti articoli, si obbligano ad abbandonare il giudizio pendente curandone, poi, la sua totale estinzione . Non è poi privo di significato il fatto che nella transazione erano state regolate anche le spese giudiziali, ivi incluse quelle della CTU, che erano volutamente integralmente compensate, con esclusione delle sole spese del procedimento cautelare e del custode che erano invece poste a carico dei convenuti. L'ampia portata definitoria della transazione sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo appare peraltro ben presente anche alla Corte d'Appello che all'inizio di pag. 14 evidenzia che la transazione aveva posto indubbiamente fine ad ogni questione oggetto del medesimo, compresa, oltre che la problematica delle spese processuali, anche quella della residuata divisione dei beni ereditari tra i tre germani allora convenuti . , avendo a tal fine valorizzato la formulazione dell'ultimo capoverso della premessa e prima dell'art. 1, salvo poi a distanza di qualche rigo aggiungere che E comunque, rispetto alla possibile domanda divisoria che i convenuti potevano avere egualmente avanzato, aderendo in risposta, alla domanda attorea, sarebbe valsa la rinuncia di cui dell'art. 4, comma 1 . Rispetto a tali affermazioni che chiaramente denotano l'opzione per la conclusione che la transazione avesse inteso dare una definizione complessiva degli assetti successori, ponendo S., a seguito della tacitazione con determinati beni, al di fuori della residua comunione esistente tra i germani convenuti, comunione che si sarebbe venuta a concentrare, e come detto con l'esclusione di S., su quei beni le cui quote l'attore si impegnava a trasferire, risulta evidentemente erronea e contraddittoria la conclusione poco dopo assunta dalla Corte d'Appello, secondo cui la divisione operata con la sentenza definitiva conservasse la sua efficacia tra i convenuti, solo perché mancava una specifica richiesta delle altre condividenti di rimettere in discussione le assegnazioni immobiliari disposte con la sentenza definitiva. L'errore si mostra nella sua rilevanza, ove si consideri, in primo luogo, che la divisione disposta dal Tribunale presupponeva una partecipazione ai beni da dividere nella qualità di condividente anche di D.M.S., che invece, una volta assegnata immediata efficacia definitoria alla transazione, era escluso dal novero dei condividenti, avendo concentrano i suoi diritti successori anche comprensivi di quanto asseritamente pregiudicato della sua quota di riserva sui beni che gli altri germani si erano impegnati a trasferire in proprietà esclusiva. In secondo luogo, va rilevato che determinati beni, e precisamente quelli oggetto delle attribuzioni inter vivos effettuate dal padre in favore dei convenuti, avevano assunto rilevanza sul piano successorio solo a seguito della loro aggressione da parte dell'attore, con l'esercizio di un'azione di simulazione, chiaramente strumentale alla tutela della sua quota di legittima, non avendo invece gli altri convenuti mai posto in discussione tra loro il carattere oneroso dell'attribuzione ricevuta. Deve quindi trarsi la conclusione che, una volta venuta meno l'esigenza di apprestare la tutela della quota di riserva dell'attore, tutela che fonda un'azione di carattere personale sia dal punto di vista attivo che passivo, non avendo i convenuti inteso a loro volta far valere la tutela della loro quota di riserva, nei loro rapporti interni avendo il Tribunale appurato la simulazione secondo il regime probatorio agevolato concesso al legittimario non è dato del pari ritenere provata la natura simulata degli atti di acquisto compiuti, così che la divisione non potrebbe involgere quei beni che dal punto di vista formale sono stati interessati da vicende traslative a titolo oneroso. Inoltre, se alla transazione deve annettersi immediata efficacia definitoria della materia del contendere, come appunto ritenuto dalla Corte, sui beni oggetto della rinuncia da parte di S. non opera più la comunione tra i quattro germani, ma solo tra i convenuti, come del resto è destinato a fuoriuscire dal patrimonio comune quanto invece era oggetto di assegnazione esclusiva in favore dell'attore. Fondandosi la sentenza definitiva su di un quadro dei beni comuni destinato ad essere significativamente inciso per effetto della transazione, ed avendo la Corte d'Appello ritenuto che effettivamente dovesse essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, tale declaratoria non può che involgere tutte le posizioni dei condividenti, in quanto interessati dal comune intento di porre fine al contenzioso pendente ed impregiudicata la possibilità per i convenuti stessi di poter successivamente provvedere alla divisione dei beni comuni, quali risultanti all'esito dell'attuazione della transazione . La circostanza che poi manchi una specifica impugnazione che investa da parte dei convenuti i capi relativi alla divisione non può essere addotta come ostacolo insormontabile al venir meno della materia del contendere anche in parte qua, posto che la riforma della sentenza definitiva, nella parte in cui ha incluso nella divisione anche S., priva quella giudiziale sia del suo presupposto oggettivo quanto alla corretta individuazione dei beni da dividere che di quello soggettivo quanto al numero dei condividenti , potendosi ritenere che la stessa sia destinata ad essere privata di efficacia, secondo un effetto lato sensu assimilabile a quello che detta l' art. 336 c.p.c. , comma 2. Il motivo deve quindi essere accolto e la sentenza va cassata in parte qua, senza rinvio, avendo l'accordo transattivo superato la necessitò di una decisione ed impregiudicata la possibilità per i germani D.M. di poter in un successivo momento chiedere la divisione die beni a loro pervenuti in comunione come effetto della transazione . 3. Il secondo motivo denuncia del pari la violazione dell' art. 1965 c.c. e art. 112 c.p.c. , perché la Corte d'Appello contraddittoriamente ed erroneamente, una volta reputata valida la transazione nei confronti dell'attore, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva diviso i beni tra i fratelli V., R. e A., disattendendo la volontà espressa nell'accordo transattivo. I tre convenuti non avevano mai formulato alcuna domanda di riduzione reciproca, avendo invece contrastato la domanda attorea, sul presupposto che dalla massa da dividere dovessero essere esclusi quei beni che erano loro pervenuti con atto inter vivos. Inoltre, un altro errore commesso dalla sentenza consiste nel fatto che, una volta riconosciuta l'efficacia della transazione nei confronti dell'attore, la divisione degli altri beni avrebbe dovuto al più riguardare i beni che non era previsto dovessero essere assegnati a S. per effetto della transazione. La divisione, quindi, doveva concernere i soli beni effettivamente caduti nella successione, e secondo le quote indicate nel testamento olografo di D.M.S Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 729 e 1965 c.c. , per avere il Tribunale erroneamente confermato l'assegnazione diretta delle quote, senza procedere alla loro estrazione a sorte, e senza escludere quei beni che erano oggetto di atto di trasferimento inter vivos dal de cuius, quello assegnato a D.M.S., in sede transattiva, e quello oggetto di assegnazione specifica per testamento. I motivi sono assorbiti a seguito dell'accoglimento del primo motivo. 4. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 278 e 92 c.p.c. , perché la Corte d'Appello avrebbe erroneamente compensato le spese di lite ponendole contraddittoriamente a carico maggiore della ricorrente. Si deduce che la sentenza avrebbe illegittimamente emesso una sentenza di condanna generica a favore di D.M.S., in contrasto con l' art. 278 c.p.c. , dovendosi quindi trarre da tale errore anche la conclusione circa l'illegittimità della condanna alle spese di lite. Il motivo è evidentemente privo di fondamento. Questa Corte ha anche di recente ribadito che ai fini della pronunzia di una condanna generica, ai sensi dell' art. 278 c.p.c. , non occorre la prova certa di un danno, essendo sufficiente, invece, il mero accertamento della sussistenza di condizioni di fatto potenzialmente causative di effetti pregiudizievoli Cass. n. 8729/2023 Cass. n. 12335/2012 . Avendo l'attore fatto istanza di condanna in forma generica, risulta apodittica l'affermazione di illegittimità della condanna emessa, avendo la Corte d'Appello appunto verificato la potenziale dannosità della condotta, peraltro ritenuta dolosa, della convenuta. Ne deriva che, in ragione della soccombenza su tale capo, non può reputarsi emessa in violazione dell' art. 91 c.p.c. , la condanna al rimborso delle spese adottato in sentenza. 5. In merito alle spese di lite, si ritiene che sussistano in ragione della complessità e dell'errore interpretativo addebitabile al giudice di appello, le ragioni per compensare le spese integralmente tra i convenuti. Viceversa, essendo già stata dichiarata cessata la materia del contendere per D.M.S. e vertendo il presente ricorso solo sul capo relativo alla condanna generica, che è stato rigettato, le spese del presente giudizio nei confronti della ricorrente seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Accoglie nei limiti di cui in motivazione il primo motivo del ricorso, rigetta il quarto e dichiara assorbiti il secondo ed il terzo cassa senza rinvio la sentenza impugnata Compensa le spese dell'intero giudizio tra la ricorrente e D.M.R. e D.M.A. Condanna la ricorrente al rimborso in favore di D.M.S. delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.