Strage di Roccaraso: la prova del danno non patrimoniale da perdita delle vittime

La vicenda della strage di Roccaraso, risalente al novembre 1943, è giunta sino alla Corte Suprema la quale, con impeccabile motivazione sviluppata nella sentenza n. 27658 del 29 settembre 2023, spiega l’operatività del principio dell’onere della prova del danno non patrimoniale sofferto dai parenti delle vittime del terribile eccidio.

Reputa la Terza Sezione Civile che il difetto della convivenza non costituisce elemento preclusivo della prova del danno , incombendo al giudice di merito il compito di verificare, caso per caso, il complesso degli indici probatori utilizzabili in relazione al singolo rapporto parentale tenuto conto del principio in forza del quale, quanto più prossimo appare il grado formale della parentela, tanto meno rigoroso dovrà intendersi lo standard probatorio da soddisfare ai fini risarcitori. La vicenda in lite La Corte d'Appello di L'Aquila ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato le domande proposte dai ricorrenti volte ad ottenere la condanna della Repubblica Federale di Germania al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell' eccidio di cui, tra il 16 e il 21 novembre 1943, si erano resi responsabili i soldati tedeschi che avevano ucciso, tra gli abitanti della frazione di Pietransieri nel Comune di Roccaraso , taluni congiunti dei ricorrenti sul tema, v. R. Bencini, La responsabilità della Germania per la strage di Roccaraso del 1943 , in Diritto e Giustizia, 24 aprile 2018 . Ad avviso della Corte territoriale le pretese risarcitorie non potevano essere accolte da un lato, in ragione della mancata identificazione , da parte di coloro che avevano agito iure hereditatis , della misura specifica in cui gli stessi avrebbero concorso nell'eredità dei propri danti causa ossia del numero e delle quote di ciascun coerede dall'altro, non avendo gli istanti adeguatamente comprovato la sussistenza delle conseguenze dannose di natura non patrimoniale concretamente denunciate. Da qui il ricorso per cassazione avanzato dai parenti delle vittime del terribile eccidio. Sul credito risarcitorio spettante all'eredità del proprio dante causa Ricorda, anzitutto, la Corte Suprema che, a differenza dei debiti, i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria v. Cass. n. 14629/2012 Cass. n. 11128/1992 . Sicché anche senza il consenso espresso che può presumersi degli altri coeredi v. Cass. n. 20046/2011 ciascun erede può agire singolarmente per far valere l'intero credito comune o la sola quota proporzionale alla quota ereditaria , non essendo necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi v. Cass. n. 24657/2007 Cass. n. 9158/2013 . Più in dettaglio, i crediti del de cuius non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote ma entrano a far parte della comunione ereditaria in conformità all' art. 727 c.c. che, nel prevedere la formazione delle porzioni con inclusione dei crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché in conformità al successivo art. 757 c.c. , in forza del quale i crediti ricadono nella comunione poiché il coerede vi succede al momento dell'apertura della successione, trovando tale soluzione conferma nell' art. 760 c.c. , che, escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, presuppone necessariamente l'inclusione dei crediti nella comunione. Lungo questa direttrice si mostra errata, ad avviso dei Giudici di Legittimità, la sentenza impugnata parte in cui ha escluso che i coeredi potessero far valere il credito risarcitorio caduto in comunione ereditaria senza la previa identificazione della misura specifica in cui gli stessi avrebbero concorso nell'eredità dei propri danti causa ossia del numero e delle quote di ciascun coerede , non tenendo conto del pieno diritto, riconoscibile in capo a costoro, di rivendicare il credito risarcitorio caduto in comunione nella sua integrità nei confronti del danneggiante, salva la successiva eventuale ripartizione in sede di divisione ereditaria con gli altri coeredi. Sulla sofferenza dei parenti delle vittime irrilevante la condizione della convivenza Parimenti errata, ad avviso della Terza Sezione Civile, è la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda risarcitoria in ragione della mancata condizione di convivenza dei danneggiati con i congiunti vittime dell'eccidio dedotto in giudizio. Viene puntualizzato dai Giudici di Legittimità che il danno non patrimoniale da lesione o perdita del rapporto parentale non può ritenersi rigorosamente circoscritto ai familiari conviventi, poiché il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà , escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza. Viene, altresì, precisato che nessun rilievo può essere attribuito, al fine di negare il riconoscimento di tale danno, all'unilateralità del rapporto di fratellanza ed all'assenza di vincolo di sangue, non incidendo essi negativamente sull'intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà v. Cass. n. 24689/2020 . Prosegue la Corte Suprema il ragionamento spiegando che l'uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti. Queste circostanze assumono rilevanza ai fini del quantum debeatur . Operatività del principio dell'onere della prova in materia di danno non patrimoniale Viene poi ricordato dal Collegio giudicante, nel solco dell'insegnamento di legittimità, che grava sul convenuto l' onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo v. Cass. n. 223972022 . Su questa via ritiene la Terza Sezione Civile che il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza , dato che l'esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare superstite, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l'assenza di un legame affettivo cfr. Cass. n. 25541/2022 . In considerazione di quanto esposto, conclude la Corte di Cassazione il proprio pensiero chiarendo che, nella specie, anche in assenza di un rapporto di prossimità familiare d'indole nucleare , il difetto della convivenza con la vittima diretta dell'eccidio non costituisce elemento preclusivo della prova del danno, incombendo viceversa sul giudice di merito il compito di verificare, caso per caso, il complesso degli indici probatori eventualmente utilizzabili in relazione al singolo rapporto parentale dedotto astenendosi dal riferimento a formule astratte o stereotipate . Ciò tenendo conto del principio in forza del quale, quanto più prossimo appare il grado formale della parentela, tanto meno rigoroso dovrà intendersi lo standard probatorio da soddisfare ai fini risarcitori. Sull'umanità nelle decisioni del magistrato Che la giustizia non debba essere insensibile all'uomo lo ricorda, con termini nitidi, D. R. Peretti Griva , Esperienze di un magistrato , Torino, 1956, 136 ss., secondo cui deve essere sforzo costante per il magistrato – e ciò sia nelle cause civili, sia in quelle penali – cercare di mettersi, come si suol dire, nel panni del giudicabile, di inserirsi spiritualmente nella sua vita, nella stesse circostanze in cui questa, più o meno volontariamente, si presentava a lui, studiando le cause e i motivi determinanti un dato comportamento, con un rapporto di causalità più o meno consapevole, e soggettivamente anche apprezzabile. In questo sforzo di immedesimazione, resterà assai più agevole percepire quel grado umano di relatività che costituirà una preziosa guida nel giudizio finale”. E ancora il solo orgoglio che il magistrato può e deve nutrire, consiste nel mantenere integra la sua dignità e ferma, anche rabbiosamente, la sua indipedenza di fronte a chiunque e in qualsiasi regime. Ma quando ha agito, con la volontà e la coscienza di non violare la legge, il magistrato che ha, talora spaventosamente in mano, il destino dei suoi simili non deve mai pentirsi di essere stato umano . In argomento, cfr., autorevolmente, S. Satta, Un giudizio di conciliazione ovvero la giustizia di Evaristo , in Riv. dir. comm., 1963, 230 se manca l'umanità del giudizio, tutto si riduce a un gioco, la scienza, la scuola, la giustizia .

Presidente Travaglino – Relatore Dell'Utri Fatti di causa 1. Con sentenza resa in data 29/7/2019, la Corte d'appello di L'Aquila ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato le domande proposte dai ricorrenti indicati in epigrafe per la condanna della Repubblica Federale di Germania e, occorrendo, dei Ministri degli Esteri e delle Finanze della Repubblica Federale di Germania al risarcimento dei danni subiti dagli attori in conseguenza dell'eccidio di cui, tra il omissis , si erano resi responsabili i soldati appartenenti all' omissis del omissis del omissis della omissis , sotto il comando della omissis Corpo d'Armata tedesco, in occasione del quale erano stati uccisi, tra gli abitanti della frazione di omissis nel Comune di omissis , taluni congiunti delle odierne parti ricorrenti. 2. A fondamento della decisione assunta, per quel che ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha evidenziato come le pretese risarcitorie avanzata dalle odierne parti ricorrenti non potessero essere accolte, da un lato, in ragione della mancata identificazione, da parte di coloro che avevano agito iure haereditatis, della misura specifica in cui gli stessi avrebbero concorso nell'eredità dei propri danti causa ossia del numero e delle quote di ciascun coerede e, dall'altro, non avendo gli interessati adeguatamente comprovato la sussistenza delle conseguenze dannose di natura non patrimoniale concretamente denunciate. 3. Avverso la sentenza d'appello, i ricorrenti indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d'impugna-zione. 4. Nessun intimato ho svolto difese in questa sede. 5. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, invocando l'accoglimento del ricorso. 6. I ricorrenti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 727 e 757 c.c. in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3 , per avere la corte territoriale erroneamente negato che gli attori che avevano agito iure haereditatis potessero comunque rivendicare il conseguimento dell'intero credito risarcitorio spettante all'eredità del proprio dante causa salva la successiva ripartizione in quota nei rapporti interni tra i coeredi , con la conseguente illegittima negazione del diritto al risarcimento dei danni agli stessi spettante. 2. Il motivo è fondato. 3. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, a differenza dei debiti art. 752, 754 c.c. , i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria arg. artt. 752, 757 c.c. v. Cass., 24/8/2012, n. 14629 e già Cass., 13/10/1992, n. 11128 , sicché anche senza il consenso espresso che può presumersi degli altri coeredi cfr. Cass., 30/9/2011, n. 20046 ciascun erede può agire singolarmente per far valere l'intero credito comune o la sola quota proporzionale alla quota ereditaria , non essendo necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi v. Cass., 28/11/2007, n. 24657 , ove si precisa che resta ferma la possibilità per il convenuto debitore di chiedere l'intervento di questi ultimi in presenza dell'interesse all'accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito, ipotesi invero non ricorrente nella specie. Cfr. altresì Cass., 16/4/2013, n. 9158 Sez. 3, Ordinanza n. 8508 del 06/05/2020, Rv. 657808 - 02 conf. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 27417 del 20/11/2017, Rv. 646949 - 01, secondo cui ciascun coerede può domandare il pagamento del credito ereditario in misura integrale o proporzionale alla quota di sua spettanza senza che il debitore possa opporsi adducendo il mancato consenso degli altri coeredi, i quali non sono neppure litisconsorti necessari nel conseguente giudizio di adempimento poiché i contrasti sorti tra gli stessi devono trovare soluzione nell'ambito dell'eventuale e distinta procedura di divisione . 4. In particolare, i crediti del de cuius, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria in conformità all' art. 727 c.c. che, nel prevedere la formazione delle porzioni con inclusione dei crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché in conformità al successivo art. 757 c.c. , in forza del quale i crediti ricadono nella comunione poiché il coerede vi succede al momento dell'apertura della successione, trovando tale soluzione conferma nell' art. 760, c.c. , che, escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, presuppone necessariamente l'inclusione dei crediti nella comunione. Nè, in contrario, può argomentarsi dagli artt. 1295 e 1314 c.c. , concernendo il primo la diversa ipotesi del credito solidale tra il de cuius ed altri soggetti e il secondo la divisibilità del credito in generale. Ne deriva che ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l'intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l'intervento di questi ultimi in presenza dell'interesse all'accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito Sez. 3, Sentenza n. 15894 del 11/07/2014, Rv. 632723 - 01 Sez. U, Sentenza n. 24657 del 28/11/2007, Rv. 600532 - 01 . 5. Sulla scorta di tali principi, dev'essere rilevata l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che i coeredi che hanno agito iure haereditatis in questa sede potessero far valere il credito risarcitorio caduto in comunione ereditaria senza la previa identificazione della misura specifica in cui gli stessi avrebbero concorso nell'eredità dei propri danti causa ossia del numero e delle quote di ciascun coerede , non tenendo conto del pieno diritto, riconoscibile in capo a costoro, di rivendicare il credito risarcitorio caduto in comunione nella sua integrità, nei confronti del danneggiante,salva la successiva eventuale ripartizione in sede di divisione ereditaria con gli altri coeredi. 6. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 e 2727 c.c. , dell'art. 115, comma 2, c.p.c. e dell'art. 2 Cost. in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3 , per avere la corte territoriale erroneamente attribuito un carattere decisivo, ai fini del rigetto della domanda dagli stessi proposta, alla circostanza relativa alla mancata condizione di convivenza dei danneggiati con i congiunti vittime dell'eccidio dedotto in giudizio, attenendo la liquidazione del danno non patrimoniale alla valutazione di un quadro complessivo di circostanze, nella specie del tutto trascurate dal giudice a quo. 7. Il motivo è fondato. 8. Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di pregiudizio derivante dalla perdita o dalla lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l'unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l'interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi anche se al di fuori di una configurazione formale , la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso Sez. 3, Sentenza n. 28989 del 11/11/2019, Rv. 656223 - 01 . 9. Sul punto, si è precisato come il danno non patrimoniale da lesione o perdita del rapporto parentale non possa ritenersi rigorosamente circoscritto ai familiari conviventi, poiché il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà, escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza. In particolare, nessun rilievo può essere attribuito, al fine di negare il riconoscimento di tale danno, all'unilateralità del rapporto di fratellanza ed all'assenza di vincolo di sangue, non incidendo essi negativamente sull'intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà Sez. 3, Ordinanza n. 24689 del 05/11/2020, Rv. 659848 - 01 . 10. Al riguardo, questa Corte ha ritenuto che l'uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c. , una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando nè che la vittima ed il superstite non convivessero, nè che fossero distanti circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur in tal caso, grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo Sez. 3, Sentenza n. 22397 del 15/07/2022, Rv. 665266 - 01 . 11. In linea generale, peraltro, al di là del dato formale della convivenza, il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza, dato che l'esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare superstite, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l'assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. danno in re ipsa, che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione Sez. 3, Sentenza n. 25541 del 30/08/2022, Rv. 665444 - 01 . 12. Ciò posto, dev'essere rilevata l'erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha disatteso le domande degli interessati attori iure haereditatis in ragione della mancata condizione di convivenza dei propri danti causa con le vittime dell'eccidio dedotto in giudizio, dovendo rilevarsi come, anche in assenza di un rapporto di prossimità familiare d'indole ‘nuclearè, il difetto della convivenza con la vittima diretta dell'eccidio non costituisse in alcun modo un elemento preclusivo della prova del danno, incombendo viceversa sul giudice di merito il compito di verificare, caso per caso, il complesso degli indici probatori eventualmente utilizzabili in relazione a ciascun singolo rapporto parentale dedotto astenendosi dal riferimento a formule astratte o stereotipate , pur tenendo conto del principio in forza del quale, quanto più prossimo appare il grado formale della parentela, tanto meno rigoroso dovrà intendersi lo standard probatorio da soddisfare ai fini risarcitori. 13. Sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza delle censure esaminate, in accoglimento del ricorso, dev'essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alle spese del presente giudizio di legittimità.