Carenza di acqua potabile e odori sgradevoli rendono inumana la detenzione

Accolta l'istanza risarcitoria avanzata da un uomo. Inutile l'opposizione da parte del Ministero della Giustizia. Per i Giudici è palese l'inadeguatezza del trattamento subito in carcere dal detenuto.

Carenza di acqua potabile in cella e odori sgradevoli provenienti da un impianto di trattamento rifiuti a poca distanza dalla casa circondariale. Legittimo, come sostenuto dal detenuto, parlare di carcerazione inumana e degradante. A ritenere legittime le lamentele dell'uomo rinchiuso per oltre mille e seicento giorni complessivi , tra la fine del 2007 e maggio del 2014, in una casa circondariale della provincia di Caserta hanno provveduto prima il Magistrato di sorveglianza e poi il Tribunale di sorveglianza. Nello specifico, è stata accolta - con la riduzione di sessantadue giorni della pena e col riconoscimento di 32 euro come risarcimento - la richiesta di rimedio risarcitorio avanzata dal detenuto a fronte di una vita in carcere da lui ritenuta inumana e degradante. Decisivo l'accertamento di alcune criticità, segnalate dal detenuto , rispetto all'erogazione di acqua proveniente da alcuni pozzi - l'istituto penitenziario non è collegato all'acquedotto comunale per cui, nei casi di interruzione della fornitura, al detenuto erano stati forniti in sostituzione due litri di acqua in bottiglia per provvedere alle esigenze di igiene personale - nonché alla qualità dell'aria , ritenuta sgradevole, a volte intollerabile, valutata comunque come non nociva, ma inquinata dalla presenza, nei pressi della struttura carceraria, di uno stabilimento di trito-vagliatura e imballaggio rifiuti . Per i Giudici, a fronte della valutazione complessiva di riscontrati fattori negativi, la condizione carceraria sofferta dal detenuto ha costituito una violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo , documento che sancisce che nessuno può essere sottoposto a pene o trattamenti inumani o degradanti . Infruttuoso il ricorso in Cassazione dal Ministero della Giustizia, ricorso mirato a mettere in discussione la valutazione, operata dal Tribunale di sorveglianza , dei parametri di adeguatezza delle condizioni detentive lamentate dall'uomo rinchiuso nella casa circondariale. Nello specifico, il Ministero della Giustizia ha sostenuto che la fornitura di acqua è stata sempre garantita dalla presenza di serbatoi con annesso impianto d potabilizzazione manutenuto da una ditta specializzata e che l'acqua, ritenuta non gradevole, era comunque potabile , e ha precisato che, comunque, in caso di interruzione dell'erogazione, mai superiore a 60 minuti, ai detenuti sono stati distribuiti due litri d'acqua in bottiglia al giorno . Per quanto concerne la qualità dell'aria in cella, il Ministero della Giustizia ha sostenuto che l'impianto di trattamento rifiuti, posizionato nei pressi dell'istituto penitenziario, è stato costantemente monitorato dall' ARPAC e che non è mai stato rilevato lo sforamento dei parametri né sono emerse situazioni di criticità eccedenti il limite che avrebbero potuto cagionare un danno alla salute . Chiara la tesi proposta dal Ministero della Giustizia si è trattato di meri disagi e non di condizioni di detenzione non compatibili con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo . Per i Giudici di Cassazione, però, è palese l'inadeguatezza del trattamento subito in carcere dal detenuto , e ciò in virtù della prolungata carenza di acqua potabile nelle celle del reparto ove l'uomo era stato ristretto, unita a fattori ambientali pregiudizievoli per l'igiene e la salute, cioè la vicinanza dell'istituto a un impianto di trattamento di rifiuti , oltre alla presenza di schermature non consentite - vista l'assenza di dimostrate ragioni di sicurezza - alle finestre delle camere di detenzione . In particolare, poi, viene evidenziato che l'istituto penitenziario non era collegato all'acquedotto comunale , usufruendo di serbatoi dotati di un impianto di potabilizzazione, sottoposto a continui interventi di manutenzione, con conseguenti interruzioni della fornitura dell'acqua, la cui potabilità è stata certificata solo nel 2009 e che l'acqua non è stata erogata ai detenuti con continuità sino al 2014, a causa della sua accertata non potabilità e che i due litri d'acqua in bottiglia, forniti in sostituzione, non possono ritenersi sufficienti per bere, preparare bevande calde, cucinare e lavarsi i denti . In ultima battuta, viene attribuita rilevanza alle esalazioni sgradevoli provenienti da impianto di trattamento di rifiuti posizionato vicino alla struttura carceraria non è necessario che tali esalazioni siano risultate nocive per la salute, precisano i giudici. Tutti questi sono, per i Giudici, aspetti di indubbia rilevanza . Ciò significa che sono legittime le lamentele del detenuto , ritrovatosi a fare i conti con la prolungata assenza di acqua potabile e con fattori ambientali pregiudizievoli , cioè con situazioni capaci di deteriorare, da una parte, la salute dei detenuti e, dall'altra, il senso di umanità che deve contraddistinguere la detenzione .

Presidente Mogini – Relatore Filocamo Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rigettato il reclamo presentato dal Ministero della Giustizia avverso la decisione del magistrato di sorveglianza di Cuneo, il quale aveva accolto in parte riduzione della pena di 62 giorni e 32 Euro di risarcimento la richiesta di rimedio risarcitorio presentata da D.V.F., ai sensi dell' art. 35-ter L. 26 luglio 1975, n. 354 ord. penit. , per la detenzione ritenuta inumana e degradante, quindi in contrasto con l' art. 3 Convenzione EDU in relazione a 1.674 giorni complessivi di espiazione pena presso la Casa circondariale di omissis dal omissis , dal omissis e dal omissis al omissis , respingendo la domanda con riferimento alla carcerazione sofferta presso gli Istituti penitenziari di […] e […] omissis . Il Tribunale di sorveglianza ha motivato la decisione evidenziando che il detenuto aveva avuto a disposizione uno spazio individuale all'interno della camera detentiva superiore alla soglia di tollerabilità, con un minimo di 3,18 metri quadri. L'accoglimento della richiesta da parte del Tribunale si è basato su alcune criticità segnalate dal detenuto D.V. rispetto all'erogazione di acqua proveniente da pozzi l'Istituto non è collegato all'acquedotto comunale per cui, nei casi di interruzione della fornitura gli erano stati forniti in sostituzione due litri di acqua in bottiglia per provvedere alle esigenze di igiene personale , all'apposizione alle finestre di schermature non ammesse dall' art. 6, comma 2, D.P.R. n., 30 giugno 2000, n. 230 , in assenza di dimostrate ragioni di sicurezza nonché alla qualità dell'aria ritenuta sgradevole, a volte intollerabile, valutata comunque come non nociva inquinata dalla presenza, nei pressi dell'Istituto, di uno stabilimento di trito-vagliatura e imballaggio rifiuti. Il provvedimento impugnato riporta tutte le considerazioni svolte dal magistrato di sorveglianza sui punti sopra evidenziati concludendo che, in una valutazione complessiva dei fattori negativi così come riscontrati, la condizione carceraria sofferta dal detenuto aveva costituito una violazione dell' art. 3 Convenzione EDU . 2. Ricorre per cassazione il Ministero della Giustizia, con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, censurando con un unico motivo la violazione di legge in relazione all'art. 35-ter L. 26 luglio 1975, n. 354 ordinamento penitenziario con riferimento alla valutazione dei parametri di adeguatezza delle condizioni detentive. Rappresenta il Ministero ricorrente che la fornitura di acqua è stata sempre garantita dalla presenza di serbatoi con annesso impianto di potabilizzazione manutenuto da una ditta specializzata e che l'acqua, ritenuta non gradevole, era comunque potabile. In caso di interruzione dell'erogazione, mai superiore a 60 minuti, ai detenuti sono stati distribuiti due litri d'acqua in bottiglia al giorno. Ancora, rispetto alla salubrità dell'aria, il Ministero afferma che l'impianto di trattamento rifiuti nei pressi dell'Istituto è stato costantemente monitorato dall'ARPAC senza che fosse stato mai rilevato lo sforamento dei parametri o situazioni di criticità eccedenti il limite che avrebbero potuto cagionare un danno alla salute. In conclusione, secondo l'Amministrazione, si sarebbe trattato di meri disagi e non di condizioni di detenzione non compatibili con l' art. 3 Convenzione EDU . 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato, quindi, meritevole di rigetto. 2. Il Tribunale ha svolto un esame completo delle doglianze senza sottovalutare aspetti che possono essere ritenuti rilevanti sulla complessiva conformità della condizione detentiva con l' art. 3 Convenzione EDU . 3. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, sulla base dei contenuti della giurisprudenza sviluppata in relazione all'art. 3 cit., che ove lo spazio vitale minimo in cella collettiva sia stato disponibile tra i tre e i quattro metri quadrati il trattamento non conforme può essere accertato attraverso la rilevazione di altri casi di grave inadeguatezza delle condizioni materiali della struttura carceraria ovvero in carenza delle proposte trattamentali. Nella decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 6551 del 2021, Commisso , si è consolidato tale orientamento e ricordando come possano rilevare a tal fine più fattori negativi tra cui la cattiva areazione e le cattive condizioni sanitarie o igieniche , con obbligo di puntuale verifica di quanto allegato dal reclamante. 4. Va sul tema in esame richiamato, in coerenza con tale orientamento interpretativo, il contenuto di Sez. 1, n. 15554 del 2019 , Inserra relativo a questione analoga a quella posta dall'odierno ricorrente ove si è affermato che la valutazione giurisdizionale, con tali puntualizzazioni metodologiche, si arricchisce di complessità, non potendosi certo ridurre l'identificazione di un trattamento inumano o degradante alla questione dello spazio destinato al movimento. 5. Nel caso dell'attuale ricorrente, in particolare, era stata dedotta l'inadeguatezza della offerta trattamentale in virtù della prolungata carenza di acqua potabile nelle celle del reparto ove il soggetto era stato ristretto, unita a fattori ambientali pregiudizievoli per l'igiene e la salute vicinanza dell'Istituto a un impianto di trattamento di rifiuti oltre alla presenza di schermature alle finestre delle camere di detenzione non ammesse dall' art. 6, comma 2, D.P.R. n. 30 giugno 2000, n. 230 , in assenza di dimostrate ragioni di sicurezza . Si tratta di aspetti di indubbia rilevanza, esaminati e verificati nella loro consistenza storica dal Tribunale di sorveglianza. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che l'Istituto penitenziario non era collegato all'acquedotto comunale usufruendo di serbatoi dotati di un impianto di potabilizzazione, sottoposto a continui interventi di manutenzione, con conseguenti interruzioni della fornitura dell'acqua la cui potabilità è stata certificata solo nel 2009. Aggiunge il provvedimento impugnato che l'acqua non è stata erogata ai detenuti con continuità sino al 2014 a causa della sua accertata non potabilità e che i due litri d'acqua in bottiglia, forniti in sostituzione, non potesse ritenersi insufficiente per bere, preparare bevande calde, cucinare e lavarsi i denti, nonché ha attribuito rilevanza alle esalazioni sgradevoli provenienti dal vicino impianto di trattamento di rifiuti senza la necessità che esse dovessero essere risultate nocive per la salute. Ne consegue che il provvedimento impugnato risulta immune dalla censura denunciata, risultando invece condivisibile la valutazione del Tribunale sul fatto che quanto lamentato dal detenuto sia riferibile ad aspetti rilevanti ai fini dell' art. 35-ter ord. pen. sia per la prolungata assenza di acqua potabile, che per i fattori ambientali pregiudizievoli, verificati in fatto e non contestati dall'Amministrazione, i quali sono situazioni capaci di deteriorare, da una parte, la salute dei detenuti e, dall'altra, il senso di umanità che deve contraddistinguere la detenzione. Dalle considerazioni ora esposte deriva il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.