I Magistrati di Cassazione smentiscono la valutazione compiuta dai giudici del Tribunale, che avevano richiesto la prova provata di una assoluta indigenza dell'uomo. Irrilevante il riferimento alla possibilità per la donna di trovare un impiego e reperire una babysitter per i figli minorenni.
Condannato per tentata estorsione e possesso di droga , sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, privato del reddito di cittadinanza e con moglie e figli minorenni a carico possibile concedere l'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di restrizione per consentirgli lo svolgimento di un'attività lavorativa. Per i giudici di merito è decisiva un'osservazione il soggetto condannato non ha fornito prove certe della inesistenza di disponibilità finanziarie da parte del suo nucleo familiare . Al contrario, secondo i giudici non si può ignorare il fatto che la moglie possa trovare un lavoro e possa reperire una babysitter per i figli minorenni . Per il legale che rappresenta l'uomo, però, il ragionamento compiuto dai giudici del Tribunale è illogico, poiché, in sostanza, ha ignorato la revoca del reddito di cittadinanza subita dall'uomo e ha dato per certo che la moglie avrebbe potuto attivarsi nel reperimento di attività lavorativa, approfittando della presenza in casa del marito o fruendo di una babysitter . Il legale lamenta il fatto che al suo cliente è stata chiesta una prova legale dello stato di assoluta indigenza , prova che l'uomo non avrebbe potuto fornire in modo diverso , avendo egli prodotto un'autocertificazione volta ad attestare che nessun componente del nucleo familiare avrebbe potuto svolgere attività lavorativa, a fronte delle incombenze gravanti sulla moglie per la cura dei figli minorenni e per la gestione della casa, incidendo la mancanza di risorse anche sulla possibilità di fruire di una babysitter . Per chiudere il ragionamento, infine, il legale sostiene che l'indigenza del suo cliente è attestata dalla revoca del reddito di cittadinanza , unica entrata disponibile per lui, a fronte dello stato restrittivo subito. E questo dettaglio è, a suo avviso, decisivo, poiché non è necessaria la prova di una totale impossidenza, dovendosi aver riguardo alle esigenze alimentari del nucleo familiare e a quelle legate al pagamento di altre spese vive . Chiara la tesi proposta dal legale il suo cliente si è trovato, a seguito del periodo di restrizione sofferto e della revoca del reddito di cittadinanza, nell'impossibilità di provvedere al sostentamento proprio e della famiglia, non disponendo di redditi diversi , anche in ragione del limitante e gravoso impegno famigliare della moglie , e quindi ha legittimamente, sempre secondo il legale, chiesto l'autorizzazione a lasciare, in precise fasce orarie, gli arresti domiciliari per svolgere un'attività lavorativa e ottenere così un reddito utile a far condurre una vita dignitosa alla moglie e ai figli minorenni. A fronte di tali considerazioni, è palese, secondo i Magistrati di Cassazione, l'errore compiuto in Tribunale, laddove si è osservato, in sostanza, che l'uomo non ha concretamente dimostrato di non poter fruire di diversi cespiti, ferma restando la possibilità per la moglie di reperire attività lavorativa, avvalendosi di una babysitter per la cura dei figli minorenni . Alla logica erronea seguita in Tribunale replicano i Giudici di Cassazione, i quali ribadiscono che ai fini dell'autorizzazione del soggetto sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per svolgere un'attività lavorativa non è necessaria la dimostrazione di una sua totale impossidenza, tale da non consentire neppure la soddisfazione delle primarie esigenze di vita, essendo sufficiente, invece, che le condizioni reddituali non gli consentano, in assenza dei proventi dell'attività lavorativa per il cui svolgimento è chiesta l'autorizzazione, di provvedere agli oneri derivanti dalla educazione, istruzione e necessità di cura propria e dei soggetti della famiglia da lui dipendenti . Esaminando ancor più in dettaglio lo specifico caso, i Magistrati aggiungono che non ha senso pretendere, come invece hanno fatto i giudici del Tribunale, una dimostrazione di assoluta impossidenza dell'uomo , a fronte di un dato di per sé significativo, costituito dalla revoca del reddito di cittadinanza, correlata all'assenza di elementi idonei ad attestare la disponibilità di fonti di reddito o di cespiti utilizzabili ai fini del mantenimento proprio e del resto della famiglia . Riprende vigore, quindi, la richiesta avanzata dall'uomo , richiesta che dovrà essere nuovamente presa in esame in Tribunale, tenendo presenti le considerazioni compiute dai Magistrati di Cassazione, i quali, per chiudere il cerchio, sottolineano l'illogicità compiuta valorizzando la mera ipotesi di futuribili attività lavorative della donna, ipotesi di per sé non idonea a svilire la dedotta attualità della condizione di bisogno dell'uomo e della sua famiglia, e facendo riferimento alla possibilità, per la donna, di fruire di una babysitter per i figli minorenni, possibilità che tuttavia implicherebbe la disponibilità di una redditività che pare inesistente.
Presidente Di Stefano Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 04/05/2023 il Tribunale di Caltanissetta ha respinto l'appello proposto da T.G., confermando quella della Corte di appello di Caltanissetta in data 04/04/2023, con cui era stata rigettata l'istanza di T., condannato anche nel giudizio di appello e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, volta ad ottenere l'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di restrizione per lo svolgimento di attività lavorativa. 2. Ha proposto ricorso T. tramite il suo difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 292 e 284, comma 3, c.p.p. Contesta il ricorrente la ritenuta efficacia preclusiva del giudicato cautelare in ordine alle esigenze cautelari, essendo stata prospettata l'intervenuta assoluzione dal reato di estorsione di cui al capo 2 ed essendo stato inoltre rappresentato come fosse valutabile il tempo trascorso dalla commissione del fatto, ulteriormente qualificato dal comportamento ineccepibile tenuto dal ricorrente nell'arco di tempo di quasi due anni nel quale era stato sottoposto a misura custodiale. Segnala altresì che l'autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa era stata indebitamente negata sul rilievo del mancato assolvimento all'onere probatorio imposto dall' art. 284 c.p.p. , in ragione dell'insufficienza di un'autocertificazione e in mancanza della dimostrazione dell'inesistenza di altre disponibilità finanziarie da parte del nucleo familiare, non essendo stata ritenuta bastevole la revoca del reddito di cittadinanza ed essendosi rilevato che la moglie del ricorrente avrebbe potuto attivarsi nel reperimento di attività lavorativa approfittando della presenza in casa del marito o fruendo di una baby sitter. Rileva che, in realtà, il Tribunale aveva finito per chiedere una prova legale dello stato di assoluta indigenza che l'imputato non avrebbe potuto diversamente fornire. Inoltre, la prodotta autocertificazione era volta ad attestare che nessun componente del nucleo familiare avrebbe potuto svolgere attività lavorativa, a fronte delle incombenze gravanti sulla moglie per la cura dei figli minorenni e per la gestione della casa, incidendo la mancanza di risorse anche sulla possibilità di fruire di baby sitter. In ogni caso l'indigenza del ricorrente era attestata dalla revoca del reddito di cittadinanza, unica entrata disponibile, a fronte dello stato restrittivo del predetto. Per contro il Tribunale si era spinto oltre i canoni di rigore imposti dalla giurisprudenza, che non esige comunque la prova di una totale impossidenza, dovendosi aver riguardo alle esigenze alimentari del nucleo familiare e a quelle legate al pagamento delle altre spese vive. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 2. Deve in primo luogo rimarcarsi l'inammissibilità delle doglianze concernenti il tema della sussistenza delle esigenze cautelari in relazione alla assoluzione da uno dei reati originariamente contestati e al tempo trascorso dall'applicazione della misura cautelare. Va infatti rilevato che l'istanza formulata nell'interesse del ricorrente aveva ad oggetto l'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di restrizione domiciliare per svolgere attività lavorativa e che dunque il petitum era in tali limiti circoscritto, anche ai fini della devoluzione del tema in sede di appello cautelare. La valutazione delle esigenze, pur costantemente sottesa alla prognosi cautelare, avrebbe potuto dunque rilevare in funzione di quello specifico petitum. Va comunque rimarcato come, per questa parte, l'ordinanza impugnata, che ha dato rilievo al giudicato cautelare, escludendo l'incidenza degli elementi invocati, non si esponga alle censure difensive, non essendo stato difensivamente prospettato un quadro non coerente con la persistente applicazione della misura degli arresti domiciliari. 3. Il ricorso merita tuttavia accoglimento con riguardo al suo nucleo centrale, inerente al tema dell'autorizzazione richiesta. 3.1. Il ricorrente ha invero prospettato che, a seguito del periodo di restrizione sofferto e della revoca del reddito di cittadinanza, si è trovato nell'impossibilità di provvedere al sostentamento proprio e della sua famiglia, non disponendo di redditi diversi, anche in ragione del limitante e gravoso impegno famigliare della moglie. Il Tribunale ha per contro rilevato che il ricorrente non aveva concretamente dimostrato di non poter fruire di diversi cespiti, ferma restando la possibilità per la moglie di reperire attività lavorativa, se del caso avvalendosi di una baby sitter per la cura dei figli minori. 3.2. Deve tuttavia richiamarsi il condiviso orientamento giurisprudenziale alla cui stregua ai fini dell'autorizzazione dell'imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per svolgere un'attività lavorativa, la valutazione del giudice in ordine alla situazione di assoluta indigenza dello stesso deve essere improntata, stante l'eccezionalità della previsione, a criteri di particolare rigore, che non possono, però, spingersi fino alla richiesta di dimostrazione di una totale impossidenza tale da non consentire neppure la soddisfazione delle primarie esigenze di vita, essendo sufficiente che le condizioni reddituali del soggetto non gli consentano, in assenza dei proventi dell'attività lavorativa per il cui svolgimento è chiesta l'autorizzazione, di provvedere agli oneri derivanti dalla educazione, istruzione e necessità di cura propria e dei soggetti della famiglia da lui dipendenti Sez. 3, n. 24995 del 13/02/2018 , Osmani, Rv. 273205 in tale prospettiva può rimarcarsi come la valutazione del Tribunale non si ponga in linea con tale canone ermeneutico, in quanto finisce per pretendere una dimostrazione di assoluta impossidenza, a fronte di un dato di per sé significativo, costituito dalla revoca del reddito di cittadinanza, correlata all'assenza di elementi idonei ad attestare la disponibilità di fonti di reddito o di cespiti utilizzabili ai fini del mantenimento proprio e del resto della famiglia. 3.3. Deve aggiungersi che il provvedimento impugnato risulta affetto da un duplice vizio logico, in quanto da un lato pretende di superare il dato difensivamente prospettato sulla base di una mera ipotesi, legata a futuribili attività lavorative della moglie, ipotesi di per sé non idonea a svilire la dedotta attualità della condizione di bisogno, e dall'altro fa leva sulla possibilità di fruire di una baby sitter, possibilità che tuttavia implicherebbe la disponibilità di una redditività che il ricorrente assume insussistente. 4. Su tali basi si impone l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell 'art. 309, comma 7, c.p.p .