Decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro: anche dopo la legge Fornero il rapporto di lavoro resta stabile

Anche dopo la legge n. 92/2012, che ha differenziato le tutele per il licenziamento illegittimo, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato resta stabile infatti, il licenziamento intimato per motivo illecito ex art. 1345 c.c. qual è quello ritorsivo, per avere il lavoratore avanzato pretese di natura retributiva è punito con la reintegrazione, quali che siano le dimensioni dell’azienda, sicché il lavoratore è in grado di sapere ex ante che sarà reintegrato.

Dunque, non vi è ragione che il termine di prescrizione dei crediti retributivi inizi a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il caso Il Tribunale di Bari affronta il caso di un lavoratore dipendente di una nota società di trasporti, che ha rivendicato differenze retributive nei limiti della prescrizione.” Proprio sul punto e, cioè, sulla decorrenza della prescrizione è sorta contestazione il lavoratore ha sostenuto che per i crediti non ancora estinti dalla prescrizione alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 il quinquennio abbia avviato il proprio decorso con la cessazione del rapporto lavorativo, mentre il datore di lavoro ritiene che il decorso della prescrizione sia avvenuto in costanza di rapporto per tutti i crediti. Il Tribunale di Bari ha colto l'occasione per fare il punto sulla situazione, pervenendo alla conclusione opposta rispetto a quella dell'orientamento prevalente facente capo a Cass.,sez. lav., n. 26246/2022 , che aveva concluso per il fatto che dopo l'entrata in vigore della legge n. 92/2012 e del Job's Act il rapporto di lavoro non poteva più considerarsi stabile e, dunque, il termine di prescrizione dei crediti di lavoro non poteva che iniziare a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro. I dubbi di costituzionalità Nella sentenza in commento il Tribunale di Bari evidenzia diversi sospetti di legittimità costituzionale degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 c.c. nella parte in cui negano la decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro, in costanza di rapporto, anche quando quest'ultimo è connotato da stabilità. Il ragionamento del Magistrato si estende al possibile contrasto di tali norme con l' art. 3 Cost. , per 4 ordini di ragioni la diversità di trattamento riservata alla prescrizione dei crediti di lavoro non ancora estinti alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 rispetto alla prescrizione di altri diritti di credito , la diversità di trattamento della prescrizione dei crediti di lavoro non ancora estinti alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 rispetto a quelli già estinti , la disparità di trattamento della prescrizione dei crediti di lavoro inerenti a rapporti soggetti all' art. 18 stat. lav . e non già estinti alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 rispetto alla prescrizione dei crediti di lavoro inerenti a rapporti di pubblico impiego e la parità di trattamento della prescrizione di crediti di lavoro inerenti a rapporti soggetti all' art. 18 stat. lav . e non ancora estinti alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 rispetto alla prescrizione dei crediti inerenti a rapporti soggetti al d.lgs. n. 23/2015 . In tutti i casi, il tema riguarda la differenziazione delle tutele operata dalla legge n. 92/2012 che, secondo la giurisprudenza finora maggioritaria, avendo reso meno stabile il rapporto di lavoro per il fatto che la reintegrazione non è sempre la tutela tipica, venendo sostituita in alcuni casi dalla tutela indennitaria attribuirebbe maggior rilievo al metus del lavoratore di perdere il posto di lavoro in caso di rivendicazioni avanzate in pendenza dello stesso. La stabilità del rapporto è comunque garantita Secondo il Giudice barese, nel riconoscere una specifica disciplina per i casi di licenziamento determinato da motivo illecito ex art. 1345 c.c. , in base alla quale – a prescindere dalle dimensioni dell'azienda - è prevista la reintegrazione del lavoratore, la Legge Fornero ha mantenuto ed in parte riconosciuto per la prima volta quel presupposto di stabilità rilevante ai fini dell'individuazione della decorrenza del termine di prescrizione dei crediti retributivi. Posto che l'inerzia equivale alla rinuncia vietata ex art. 36 Cost. , quando il mancato esercizio del diritto si ricollega al timore di un licenziamento, le disposizioni dei commi 1 e 2 dell' art. 18 stat. lav . sono idonee a garantire l' integrale ripristino della situazione antecedente al recesso datoriale ritorsivo . Peraltro, il lavoratore è posto sin da subito nelle condizioni di conoscere la possibilità di essere reintegrato, proprio perché in assenza di altro motivo legittimo di licenziamento resterà solo quello illecito dovuto alla vis ritorsiva. Per tale ragione, con la sentenza in commento si ritorna al passato, quando vi era una netta distinzione dei termini di decorrenza della prescrizione, a seconda del tipo di tutela reale o obbligatoria accordabile al lavoratore.

Giudice Tedesco Fatto Con ricorso depositato in data 17.2.2022 il lavoratore indicato in epigrafe – dipendente della convenuta con qualifica di operatore tecnico parametro n. 170 del C.C.N.L. Autoferrotranvieri dal 1°.2.1978 al 31.3.2019 – esponeva che, durante i giorni in cui aveva usufruito delle ferie, la società non gli aveva erogato una pluralità di indennità viceversa corrisposte in relazione ai periodi di lavoro effettivo quali diarie e trasferte, indennità di presenza, indennità di presenza bis, indennità incentivante, indennità turni avvicendati, indennità sabato lavorato ed indennità di spinta . Domandava, dunque, che, accertato il proprio diritto a percepire, durante i giorni di ferie, una retribuzione paragonabile a quella conseguita per i giorni di lavoro ordinario, la società convenuta fosse condannata al pagamento della maggiore somma dovuta nei limiti della prescrizione”. Costituitasi in giudizio, omissis s.r.l. contestava integralmente le avverse domande. In via preliminare, eccepiva la improcedibilità del ricorso, per non avere il lavoratore proposto ricorso gerarchico ex art. 10 R.D. 148/1931 . Nel merito, a sostegno della correttezza degli emolumenti corrisposti al lavoratore ricorrente, richiamava innanzitutto le previsioni di cui alla contrattazione collettiva. Poneva, dunque, in risalto che l' art. 7 della Direttiva 2003/88/CE si limita a stabilire il diritto alla retribuzione delle ferie, senza in alcun modo imporre agli Stati membri criteri prestabiliti per la relativa determinazione e tantomeno prevedendo il concetto di retribuzione omnicomprensiva o globale di fatto la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea mai ha affermato un principio di onnicomprensività, piuttosto riferendosi sempre ripetutamente alla nozione della retribuzione ordinaria” ossia della retribuzione normalmente percepita nel corso dell'anno” nell'ordinamento italiano, l'obiettivo perseguito dall' art. 7 della Direttiva 2003/88 è già garantito dal principio costituzionale di irrinunciabilità delle ferie nonché dalle disposizioni contenute nell' art. 2109 c.c. e nell' art. 10 D.lgs. 66/2003 . Aggiungeva che, sul piano della prova, l'avversa domanda avrebbe potuto essere scrutinata a decorrere dal 2015, atteso l'avvenuto deposito, a cura del ricorrente, delle sole buste paga relative al periodo dal 2014 al 2019. Parte datoriale sosteneva, poi, che le voci retributive delle quali parte attrice aveva lamentato l'omessa inclusione nel calcolo della retribuzione feriale, per loro natura, comunque non fossero dirette a compensare un incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni o, comunque, correlate allo status personale e professionale del ricorrente. Con specifico riguardo all'indennità di presenza bis ed all'indennità incentivante, soggiungeva che esse erano state corrisposte anche durante il periodo di ferie. Prospettava, in subordine, eccezione di legittimità costituzionale dell' art. 10 D.lgs. 66/2003 e della legge di esecuzione del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea , nella parte in cui impongono l'applicazione della Direttiva 2003/88/CE , come interpretata dalla Corte di Giustizia, per contrasto con i principi della certezza del diritto e della libertà sindacale. Lamentava, infatti, la lesione del proprio legittimo affidamento sulla stabilità della regolamentazione collettiva del rapporto contrattuale. Da ultimo, eccepiva la prescrizione dei crediti fatti valere, in relazione ai crediti maturati prima del quinquennio antecedente la messa in mora trasmessa dal lavoratore il 30.10.2019 . All'esito della discussione, la causa è stata decisa mediante deposito della presente sentenza. Motivi della decisione 1. In via preliminare, dev'essere respinta l'eccezione di improcedibilità, sollevata dalla difesa della società convenuta per mancata proposizione di ricorso gerarchico. Essa si basa sul disposto di cui all' art. 10 R.D. 148/1931 , ove si prevede che L'agente che intenda adire l'autorità giudiziaria contro un provvedimento dell'azienda che lo riguarda deve, anzitutto, proporre il reclamo in via gerarchica, presentandolo, entro quindici giorni dalla data di comunicazione del provvedimento, al superiore immediato che è tenuto a rilasciarne ricevuta. L'omissione del reclamo nel termine suddetto importa l'improponibilità dell'azione giudiziaria”. A questo proposito, però, risulta rilevante quanto contro-eccepito dalla difesa attorea circa l'inapplicabilità della norma, per il fatto di trattarsi di un rapporto lavorativo cessato al momento della instaurazione della controversia. Inoltre, deve valere quanto posto in rilievo da Cass. civ. Sez. lav., 28/10/2005, n. 21012 , cosicché in materia di accertamento di qualifiche o di altri diritti del personale dei servizi pubblici di trasporto in concessione, la mancata proposizione del reclamo gerarchico configura una causa di improcedibilità della domanda cui va applicato in via analogica l' art. 443 cod. proc. civ. , con la conseguenza che se nella prima udienza di discussione il giudice abbia omesso la dichiarazione di improcedibilità, sospendendo il giudizio e fissando un termine perentorio per il ricorso in sede amministrativa, prevale l'azione giudiziaria, non essendo opponibili decadenze di ordine processuale cfr. tra la altre Cass. 7 giugno 2003 n. 9150 Cass. 23 giugno 1998 n. 6220 ”. Dunque, l'eccezione in rito deve essere superata e va trattato il merito della controversia. 1.a. Ciò posto, nel quadro giuridico preesistente rispetto all'emersione nel dibattito pretorio delle pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, era saldo il principio secondo cui al lavoratore spettasse, durante le ferie, la normale retribuzione, sebbene ciò non implicasse il conseguimento di tutte le voci percepite nel corso dell'anno. Tale affermazione comportava, pertanto, che il trattamento feriale fosse limitato alla retribuzione base ed alle voci più ricorrenti, secondo le scelte operate dalla contrattazione collettiva in questa prospettiva, Cass. civ., Sez. lav., 23/10/2020, n. 23366 . Sullo sfondo, v'era la previsione contenuta nell' art. 2109 c.c. che si limitava e si limita ad affermare che le ferie sono retribuite”, senza precisare che cosa dovesse intendersi per retribuzione. A questo proposito, negli studi dedicati alla materia, è stato osservato che, da un lato, non dovesse necessariamente essere garantito il 100% della retribuzione normalmente percepita negli altri mesi dell'anno e che, dall'altro lato, neanche fosse possibile l'evenienza opposta, ossia che la busta paga feriale fosse decurtata in misura troppo elevata rispetto alle altre mensilità anche perché ciò avrebbe contraddetto lo spirito della legge . 1.b. Sulla scorta delle decisioni della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, invece, l'attenzione degli operatori del diritto si vedano Cass. civ., Sez. lav., 17/05/2019, n. 13425 e Cass. civ. Sez. lav., 15/10/2020, n. 22401 si è sempre più concentrata sulle fonti sovranazionali e, in particolare, sull' art. 7 della direttiva 2003/88/CE gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali” e sull' art. 31, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite” . Infatti, il diritto alle ferie retribuite di almeno quattro settimane, secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione sentenza del 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, punto 25 e giurisprudenza ivi citata ad esso non si può derogare e la sua attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88 vedi sentenza del 12.6.2014, Bollacke, C-118/13, punto 15 e giurisprudenza ivi citata . Più specificamente, secondo la direttiva n. 88 del 2003 , il beneficio id est il diritto alle ferie annuali e quello all'ottenimento di un pagamento a tale titolo rappresentano due aspetti id est le due componenti dell'unico diritto a ferie annuali retribuite sentenze del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e altri, C-350/06 e C520/06, punto 60, del 15 settembre 2011, Williams e altri, C-155/10, punto 26, del 13 dicembre 2018, causa C-385/17, punto 24 . Per ciò che riguarda, in particolare, l'ottenimento di un pagamento a titolo di ferie annuali, la Corte di Giustizia, sin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04, Robinson-Steele e altri punto 50 , ha avuto occasione di precisare che l'espressione ferie annuali retribuite di cui all' art. 7, n. 1, della direttiva n. 88 del 2003 intende significare che, per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo negli stessi sensi, anche sentenza CGUE 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C 520/06, Schultz-Hoff e altri, punto 58 . L'obbligo di monetizzare le ferie è volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro v. cit. sentenze Robinson-Steele e altri, punto 58, nonché Schultz-Hoff e altri, punto 60 . Maggiori e più incisive precisazioni si rinvengono nella pronuncia della Corte di Giustizia 15 settembre 2011, causa C-155/10 , Williams e altri punto 21 , dove si afferma che una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione. Dunque, sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore, di per sé, ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all'esercizio del suo lavoro v. sentenza Williams e altri cit., punto 23 . Pertanto qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell'ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali v. sentenza Williams e altri cit., punto 24 all'opposto, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell'importo da versare durante le ferie annuali gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro v. sentenza Williams e altri cit., punto 25 . Del pari, vanno mantenuti, durante le ferie annuali retribuite, gli elementi della retribuzione correlati allo status personale e professionale del lavoratore v., sentenza Williams e altri cit., punto 28 sentenza 22 maggio 2014, causa C 539/12, Z.J.R. Lock, punti 29, 30, 31 e tali possono essere quelli che si ricollegano alla qualità di superiore gerarchico, all'anzianità, alle qualifiche professionali. Compito del giudice di merito è dunque quello di valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità id est il nesso intrinseco, v. sentenza CGUE 15 settembre 2011, Williams e a., C-155/10 , cit., punto 26 che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall'altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell'Unione, verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall' art. 7 della direttiva 2003/88/CE . 1.c. Avviato questo percorso, la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE si è nuovamente espressa sul tema oggetto di causa e, parallelamente, quella interna si è confrontata con le previsioni della contrattazione collettiva, dettando principi senz'altro decisivi anche per la risoluzione della presente controversia. 1.c.1. Sul primo versante, la sentenza della CGUE Settima Sezione del 13.1.2022, nella causa C-514/20 DS c/ Koch , tenuto conto che l'ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire al lavoratore di usufruire effettivamente dei giorni di ferie cui ha diritto, ha osservato che il lavoratore rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite quando la retribuzione versata è inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo. Come già chiarito dalla sentenza Lock del maggio 2014, l'effetto dissuasivo derivante dallo svantaggio finanziario può generarsi anche se quest'ultimo è differito, cioè si manifesta nel corso del periodo successivo a quello di concreto godimento delle ferie annuali. La finalità del diritto alle ferie annuali retribuite consentire al lavoratore, da un lato, di riposarsi e, dall'altro, di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione , dunque, va preservata rispetto a qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo. 1.c.2. Sul secondo versante, la giurisprudenza di legittimità Cass. civ., Sez. lav., 23/06/2022, n. 20216 ha escluso la possibilità di invocare il diritto sovranazionale, per i giorni eccedenti rispetto a quelli regolati dal diritto dell'Unione sicchè la mancata inclusione di tutte le voci della retribuzione corrisposta durante il periodo di attività non contrasta con i principi dettati dall' art. 36 Cost. , il quale non risponde al criterio della onnicomprensività ma demanda alla fonte contrattuale la garanzia di un trattamento sufficiente , peraltro sempre controllabile dal giudice riguardo alla sua congruità rispetto ai parametri costituzionali ha precisato che nessuna ragione ostativa ai principi dell'Unione possa essere ravvisata nelle scelte della contrattazione collettiva perché le parti sociali avrebbero dovuto tenere conto degli orientamenti consolidati in materia ha rimarcato che l'interpretazione adottata dalla Corte di Giustizia UE delinea un concetto di retribuzione per ferie europea sotto un profilo teleologico”, nel senso che essa deve essere tale da non indurre il lavoratore ad optare per una rinuncia alle ferie al fine di non essere pregiudicato nei suoi diritti ha aggiunto che, quando la componente omessa è collegata a periodi di esecuzione delle mansioni, non è esclusa l'adozione di un criterio consistente nel riconoscimento di una media delle ore di lavoro effettivo. 2. Tanto chiarito, possono innanzitutto essere prese in esame alcune deduzioni difensive sollevate dalla società resistente in ordine alla generale portata applicativa dei principi dettati dal diritto sovranazionale. 2.a. Innanzitutto, deve escludersi che gli obiettivi della direttiva del 2003 possano ritenersi integralmente soddisfatti nel nostro ordinamento sulla scorta della sola operatività del principio costituzionale di irrinunciabilità delle ferie peraltro contemplato anche dalle fonti del diritto UE , in base al quale solo le ferie contrattuali, quelle cioè eccedenti le 4 settimane previste per legge, possono formare oggetto di atto abdicativo e, se non godute, possono essere convertite in un'indennità e perciò monetizzate . Infatti, è vero che il datore di lavoro, allorché non riconosca al lavoratore le ferie minime garantite, è obbligato a titolo risarcitorio nei confronti del dipendente ed incorre anche in sanzioni di tipo amministrativo art. 18 bis, comma 3, D.lgs. 66/2003 , è altrettanto vero, però, che egli ha l'obbligo di offrire, in forma scritta, la fruizione delle ferie al dipendente e, se adempie a tale obbligo, non sarà tenuto a pagare alcuna indennità sostitutiva qualora il lavoratore comunque non abbia volontariamente usufruito delle ferie. Ne discende che il prestatore di lavoro, pur nel regime della irrinunciabilità, conserva ugualmente margini di scelta, poiché, anche a fronte della formale offerta del datore di lavoro che renderebbe quest'ultimo anche esente da sanzioni amministrative pecuniarie , potrebbe decidere di non riposare nei periodi minimi di ferie garantite, per non perdere la maggiore retribuzione spettante per il lavoro effettivo. In tale situazione, dunque, resta rilevante la individuazione di un trattamento economico relativo al periodo di ferie, comparabile a quello di lavoro effettivo. Resta, infatti, l'esigenza di evitare che il dipendente sia scoraggiato dall'interrompere il lavoro e, quindi, rinunci a rigenerare le proprie energie psico fisiche. 2.b. Né può ritenersi che il riconoscimento delle differenze retributive oggetto di causa sia impedito dalla circostanza che, in concreto, il ricorrente ha già integralmente fruito delle ferie a sua disposizione. Come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e, di riflesso, dalla giurisprudenza nazionale , non rileva, infatti, la effettiva dissuasione già concretizzatasi, ma esclusivamente la sua potenzialità. Il senso è che l'efficacia e la primazia del diritto dell'Unione Europea possono essere garantiti solo fissando, in linea generale ed astratta, un ammontare della retribuzione paragonabile a quello conseguito in costanza di lavoro effettivo. Si tenga presente che l'oggetto della presente controversia e della tutela è il credito del lavoratore quest'ultimo discende da un'interpretazione della legge nazionale che impone trattamenti retributivi privi di attitudine dissuasiva alla fruizione delle ferie, allo scopo di assicurare il rispetto delle norme di cui si compone il diritto dell'Unione Europea. L'assunto di parte resistente, perciò, non può essere condiviso, poiché l'avvenuto godimento delle ferie, lungi dall'impedire le maggiorazioni salariali/ stipendiali, ne rappresenta un fatto costitutivo. 2.c. Circa la difesa datoriale riguardante l'assenza di portata dissuasiva del trattamento retributivo riservato al lavoratore nel periodo di fruizione delle ferie, occorre innanzitutto ripercorrere i criteri giuridici di riferimento. Si deve, in particolare, ribadire che l'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, secondo l'interpretazione adottata dalla Corte di Giustizia, non individua un concetto di retribuzione per ferie europea di tipo quantitativo”, ma delinea un concetto di retribuzione per ferie europea sotto un profilo teleologico” Cass. 20216/2022 cit. . Seguendo questa prospettiva, le voci retributive poste dal ricorrente a fondamento delle proprie pretese sono state effettivamente corrisposte al lavoratore in modo fisso sul versante del loro ammontare e continuativo sul versante della frequenza della loro erogazione in relazione ai periodi di lavoro effettivo e presentano un reale nesso con lo svolgimento delle mansioni affidate al ricorrente nonché con il suo status professionale vedi infra . Un giudizio positivo delle pretese dell'odierno istante, peraltro, va formulato anche tenuto conto della dedotta irrisorietà dell'incidenza del mancato computo delle stesse voci retributive nell'ambito della retribuzione feriale. Se è vero – infatti – che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore” e che un'indennità determinata ad un livello appena sufficiente ad evitare un serio rischio che il lavoratore non prenda le sue ferie non soddisfa le prescrizioni del diritto dell'Unione” paragrafo 21 sentenza CGUE Williams , anche a voler convalidare i coefficienti percentuali indicati dalla difesa della resistente, essi risultano idonei a determinare un potenziale effetto dissuasivo dello stesso godimento delle ferie. 2.d. Come pure deve escludersi che possa spiegare rilievo ostativo all'accoglimento delle domande avanzate dal ricorrente la dedotta lesione dell'affidamento delle parti sociali e del datore di lavoro sul mantenimento della contrattazione collettiva e della precedente giurisprudenza interna di legittimità. Come chiarito da altra giurisprudenza di merito, infatti, la sentenza della Corte di Giustizia UE, 13.12.2018, C-358/17, ha affermato che il diritto dell'Unione deve essere interpretato nel senso che osta a che i giudici nazionali tutelino, sulla base del diritto interno, il legittimo affidamento dei datori di lavoro riguardo al mantenimento della giurisprudenza degli organi giurisdizionali nazionali di ultima istanza che confermava la legittimità delle disposizioni in materia di ferie retribuite del contratto collettivo dell'edilizia”. Deve poi considerarsi, anche in relazione ai termini di prescrizione, che nel presente giudizio viene soprattutto a discutersi dell'applicazione di norme collettive avvenuta in un periodo in cui già si era formata la giurisprudenza della Corte di Giustizia in precedenza richiamata la sentenza CGUE Williams è del 15.9.2011 , e, come condivisibilmente evidenziato da Cass. n. 20216/22 , al punto 35, la contrattazione collettiva non si muove nel vuoto normativo”, cosicché le parti sociali erano perfettamente in grado di conoscere l'esistenza delle norme imperative e la loro interpretazione vincolante da parte del giudice dell'Unione Europea in materia di composizione della retribuzione feriale. 3. Si tratta, dunque, di analizzare le singole voci, così da stabilire se esse siano dirette a compensare un incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare o, comunque, siano correlate allo status personale e professionale del dipendente. A questo proposito, in via di premessa generale, si deve tener conto della correlazione alle mansioni non quando l'istante è in ferie e dunque le mansioni non le svolge ma quando è in servizio. 3.a. Prendendo le mosse da diarie e trasferte certamente si tratta di una voce finalizzata al rimborso delle spese, come si evince dal trattamento previsto ai fini delle imposte sul reddito. Gli emolumenti in questione, tuttavia, hanno una natura mista, non potendosi negare che essi sono altresì correlati alle caratteristiche delle prestazioni espletate dai lavoratori mobili. Il che è decisivo ai fini ella risoluzione della questione controversa, poiché le decisioni della Corte di Giustizia dell'Unione Europea hanno fatto riferimento a componenti economiche rivolte esclusivamente” a coprire spese. Nel caso in esame, invece, v'è piena commistione e perfetta concorrenza tra il versante della copertura delle spese occasionali o accessorie ed il nesso di funzionalità rispetto alle mansioni, al punto che si rende impossibile anche distinguere a seconda che si sia o meno superata la soglia di € 46,48 giornalieri. 3.b.1. Sul versante, poi, dell'indennità giornaliera di presenza, dell'ulteriore indennità di presenza e dell'indennità incentivante, essendo esse correlate alle giornate di effettiva presenza in servizio dell'operatore, devono ritenersi ricomprese nella nozione di retribuzione feriale su cui verte il presente giudizio. Il fatto che esse siano corrisposte in ragione dei giorni lavorati, infatti, le rende appunto dirette a compensare un incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni. Per quanto sopra detto, peraltro, non assume portata ostativa il rilievo che la contrattazione collettiva abbia specificato l'inutilità dell'emolumento agli effetti di alcun altro istituto o materia previsti dal contratto nazionale o da accordo o da contratto aziendale”. Il fatto che, poi, si tratti di voci correlate a recuperi di produttività non può far trascurare il dato che pure emerge dagli accordi sindacali versati in atti, ossia che – di fondo – v'era stata una nuova organizzazione dell'attività aziendale e del lavoro, potendo quindi affermarsi trattarsi di emolumenti diretti a compensare gli inconvenienti discendenti dall'espletamento delle mansioni. Così, ad esempio, l'indennità incentivante nell'accordo del 23 novembre 1984 si collegava bensì a recuperi di produttività, ma questi ultimi derivavano dalla omissione di nuove assunzioni richieste e più volte sollecitate dalle Direzioni di Esercizio” e dall'abbattimento del monte complessivo di ore di lavoro straordinario. Rileva, allora, una maggiore intensità delle prestazioni di lavoro ordinario richieste ai dipendenti e, quindi, proprio quella penosità rimarcata come indispensabile dalla difesa della società convenuta. Lo stesso si dica per quanto riguarda, ancora una volta, i recuperi di produttività dai quali scaturiva l'istituzione delle indennità di presenza. 3.b.2. Piuttosto, occorre osservare che parte ricorrente ha riconosciuto di aver già ottenuto la corresponsione durante il periodo di ferie dell'indennità incentivante e dell'indennità di presenza bis. 3.c. Circa l'indennità turni avvicendati, essa veniva introdotta per il caso dei turni spezzati e per le relative interruzioni. Per tale motivo – e dunque per i disagi correlati alle modalità di svolgimento delle prestazioni di lavoro – si configura siffatto emolumento. E' però altrettanto vero che parte resistente ha allegato di non aver mai provveduto alla corresponsione della stessa voce retributiva, neanche in relazione ai periodi diversi da quelli di godimento delle ferie. Tale affermazione, oltre a trovare effettivo riscontro nelle buste paga, non è stata neppure contrastata dalla difesa del lavoratore istanza, avendo – anzi – quest'ultima non reiterato la relativa pretesa in occasione delle note conclusione e della discussione finale. 3.d. Rileva, ancora, l'indennità per il sabato lavorato, non potendosi viceversa negare il collegamento tra lo svolgimento delle prestazioni in tale giorno della settimana e la retribuzione destinata a compensare il relativo incomodo. Inoltre, come posto in risalto nelle note autorizzate della difesa del lavoratore istante, in base all'accordo aziendale del 01.08.1997 essa è corrisposta al personale addetto alla manutenzione che a far data dall'entrata in vigore della nuova organizzazione del lavoro, con una diversa distribuzione dell'orario contrattuale su 6 giorni effettua il pronto intervento fuori dall'orario definito. 3.e. Come pure non può escludersi dalla retribuzione feriale l'indennità di spinta, corrisposta in favore degli operai che effettuano la manovra o la spinta dei rotabili in riparazione e, quindi, proprio a cagione delle mansioni espletate. 4. Procedendo, dunque, all'individuazione del meccanismo di accertamento della spettanza delle differenti retributive, è indispensabile limitare il possibile riconoscimento giudiziale delle pretese al solo periodo minimo di durata delle ferie annuali. Al di fuori delle 4 settimane annue di ferie, infatti, non sussiste vincolo alcuno derivante dal diritto dell'Unione Europea e, dunque, non v'è ragione di disapplicazione delle limitazioni previste dall'ordinamento nazionale Cass. civ., Sez. lav., 23/06/2022, n. 20216 . 5. In definitiva, per il tramite delle risultanze documentali, possono dirsi sussistenti i presupposti per il riconoscimento delle pretese azionate. 6. Sullo specifico versante della prescrizione quinquennale, parte ricorrente ha limitato ad essa l'arco temporale cui si riferiscono le proprie domande giudiziali. A sua volta, la società resistente ha sollevato la relativa eccezione. È pacifico oltre ad essere stato documentato , ancora, che il relativo termine sia stato interrotto dalla richiesta stragiudiziale di pagamento delle differenze retributive, inoltrata a omissis s.r.l. in data 30.10.2019. Tra l'una e l'altra posizione processuale, tuttavia, v'è un margine di divergenza, nella misura in cui il lavoratore ricorrente ha sostenuto che, per i crediti non ancora estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , il quinquennio ha avviato il proprio decorso in concomitanza con la cessazione del rapporto lavorativo ossia il 31.3.2019 , la società resistente, invece, ha sostenuto che, in relazione a tutti i crediti retributivi oggetto di domanda ivi compresi, perciò, quelli non ancora estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , il decorso del quinquennio di prescrizione è avvenuto anche in costanza di rapporto. 6.a. Posto, dunque, che pacificamente la società datrice di lavoro, nell'intero periodo di riferimento, è stata in possesso del requisito dimensionale previsto dall' art. 18 L. 300/1970 , l'adesione all'una o all'altra tesi è suscettibile di condurre a statuizioni giudiziali differenti. Escludendo la decorrenza dei termini in costanza di rapporto per i crediti non già estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , la fondatezza della domanda andrebbe scrutinata in relazione a tutte le differenze retributive per i periodi di ferie godute a far data dal 18.7.2007. Una volta cessato il rapporto di lavoro, infatti, il lavoratore ricorrente ha tempestivamente agito in giudizio, atteso che l'atto introduttivo della lite è stato notificato ben prima che trascorresse il quinquennio successivo all'atto interruttivo del 30.10.2019. Affermando, viceversa, la decorrenza dei termini in costanza di rapporto anche per i crediti non già estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , la fondatezza della domanda andrebbe scrutinata con limitato riguardo alle differenze retributive per i periodi di ferie godute a far data dal 30.10.2014. 6.b. Sul tema, nel corso del processo, è stata rilevata d'ufficio questione di legittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c. come risultanti da Corte Cost. 63/1966 e per come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, nella parte in cui negano la decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro, in costanza di rapporto, anche quando quest'ultimo è connotato da adeguata stabilità. Perplessità che, in particolare, riguardano il possibile contrasto con l' art. 3 Cost. , atteso che la L. 92/2012 ha previsto una tutela reintegratoria piena per il licenziamento nullo in quanto ritorsivo essendo determinato da un motivo illecito determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell' articolo 1345 del codice civile ” . 6.b.1. In primo luogo, il sospetto di illegittimità costituzionale risiede nella diversità di trattamento riservata alla prescrizione dei crediti di lavoro non già estinti alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , rispetto alla prescrizione di altri diritti di credito. Per i primi, la prescrizione decorre dalla data di cessazione del rapporto lavorativo per i secondi, invece, la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Si dubita che tale disparità di trattamento sia ragionevole, laddove i crediti di lavoro non ancora estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 si inseriscono in rapporti effettivamente stabili ai sensi dell' art. 18, commi 1 e 2, L. 300/1970 . Pertanto, non vi dovrebbe essere la ragione di differenziazione insita nella garanzia di irrinunciabilità dei crediti prevista dall' art. 36 Cost. e l'inerzia del titolare dovrebbe ugualmente rilevare ai fini del decorso dei termini di prescrizione. 6.b.2. Il secondo sospetto di illegittimità costituzionale risiede nella disparità di trattamento riservata alla prescrizione dei crediti di lavoro non già estinti alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , rispetto alla prescrizione dei crediti di lavoro già estinti alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 . Si dubita che tale disparità di trattamento sia ragionevole, laddove sia i crediti di lavoro non ancora estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , sia i crediti di lavoro già estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 riguardino o abbiano riguardato rapporti dotati di stabilità. Per i primi, infatti, la stabilità deriva dall' art. 18, commi 1 e 2, L. 300/1970 . Per i secondi, invece, la stabilità derivava dalla previgente formulazione dell' art. 18 L. 300/1970 . Pertanto, non vi dovrebbe essere la ragione di differenziazione insita nella garanzia di irrinunciabilità dei crediti prevista dall' art. 36 Cost. e l'inerzia del titolare dovrebbe ugualmente rilevare ai fini del decorso dei termini di prescrizione. 6.b.3. Il terzo sospetto di illegittimità costituzionale risiede nella disparità di trattamento riservata alla prescrizione di crediti di lavoro inerenti a rapporti soggetti all' art. 18 L. 300/1970 e non già estinti alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , rispetto alla prescrizione per crediti di lavoro inerenti a rapporti di pubblico impiego. Si dubita che tale disparità di trattamento sia ragionevole, atteso che entrambi i rapporti sono dotati del carattere di stabilità. Pertanto, non vi dovrebbe essere la ragione di differenziazione insita nella garanzia di irrinunciabilità dei crediti prevista dall' art. 36 Cost. e l'inerzia del titolare dovrebbe ugualmente rilevare ai fini del decorso dei termini di prescrizione. 6.b.4. Il quarto sospetto di illegittimità costituzionale risiede nella parità di trattamento riservata alla prescrizione di crediti di lavoro inerenti a rapporti soggetti all' art. 18 L. 300/1970 e non già estinti alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 , rispetto alla prescrizione per crediti di lavoro inerenti a rapporti soggetti alle previsioni del D.lgs. 23/2015 . Si dubita che tale parità di trattamento sia ragionevole, laddove i crediti di lavoro non ancora estinti per prescrizione alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 riguardano rapporti dotati di stabilità ex art. 18, commi 1 e 2, L. 300/1970 mentre i secondi riguardano rapporti non dotati di stabilità. Infatti, per questi ultimi rapporti di lavoro salvo differente pronunciamento all'esito della questione di legittimità costituzionale sollevata da Cass. civ., Sez. lav., 07/04/2023, n. 9530 l' art. 2 D.lgs. 23/2015 non prevede il ripristino della situazione anteriore al licenziamento per le fattispecie di motivo illecito – ritorsivo. Pertanto, vi dovrebbe essere una differenziazione insita nella garanzia di irrinunciabilità dei crediti prevista dall' art. 36 Cost. e l'inerzia del titolare dovrebbe diversamente rilevare ai fini del decorso dei termini di prescrizione. 6.c. I predetti dubbi di legittimità costituzionale, in particolare, si basano sulle seguenti considerazioni. Nel riformulare le tutele in un'ottica di differenziazione, la L. 92/2012 ha, per la prima volta, enucleato una specifica disciplina per i casi di licenziamento determinato da motivo illecito ex art. 1345 c.c. , riconoscendo al lavoratore, per tali frangenti, qualunque siano le dimensioni dell'impresa, sia il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, sia il pagamento dell'indennità risarcitoria dalla data del licenziamento sino a quella di effettiva reintegrazione , senza neppure la limitazione dell'aliunde percipiendum Cass. civ., Sez. lav., 19/01/2023, n. 1602 . In tal modo, il legislatore ha in parte mantenuto e, in altra parte, riconosciuto per la prima volta quel presupposto di stabilità del rapporto lavorativo rilevante ai fini della individuazione della decorrenza del termine di prescrizione dei crediti retributivi. Posto, infatti, che, a proposito della disciplina della prescrizione, l'inerzia equivale alla rinuncia vietata ex art. 36 Cost. quando il mancato esercizio del diritto si ricollega al timore di un licenziamento, le disposizioni contenute nei commi 1 e 2 dell' art. 18 L. 300/1970 ultima formulazione , sono idonee proprio a garantire l'integrale ripristino della situazione antecedente al recesso datoriale ritorsivo. Dunque, proprio in ragione della disciplina della nullità del licenziamento determinato da motivo illecito ex art. 1345 c.c. , tutti i rapporti lavorativi ivi compreso quello oggetto del presente giudizio, intercorrente con datore di lavoro in possesso del requisito dimensionale ex art. 18, comma 8, L. 300/1970 sono muniti del carattere di stabilità. Per ciascuno di essi, infatti, è prevista la completa reintegrazione della situazione giuridica preesistente quando il recesso datoriale sia una reazione alla rivendicazione di crediti retributivi da parte del lavoratore. In questo contesto, non è decisivo che alcune ipotesi di illegittimità diverse da quelle di insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo e di inefficacia del licenziamento, nel sistema delineato dalla L. 92/2012 , conducano ad una tutela meramente indennitaria. Infatti, l'unico aspetto da prendere in considerazione è quello della decorrenza dei termini di prescrizione e, quindi, quello della possibile corrispondenza tra inerzia per timore di licenziamento e rinuncia. Sicché, i rapporti di lavoro attratti sotto l'egida della L. 92/2012 sono muniti del carattere di stabilità, avendo il giudice il potere di sindacare le circostanze poste a base del licenziamento e di rimuovere gli effetti prodotti, in caso di insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo e di contemporanea ricorrenza di un motivo illecito. Non risulta neanche convincente l'argomento secondo cui una nullità del recesso datoriale già avrebbe potuto configurarsi all'epoca di Corte Cost. 63/1966 , dovendosi allora ritenere del tutto ininfluente, ai fini della decorrenza della prescrizione, la fattispecie di ritorsione. La tesi in questione prova troppo. Infatti, gli unici casi di recesso datoriale illecito che risultano essere stati presi in considerazione dalla giurisprudenza di allora erano quelli determinati da motivi politici o sindacali. Pertanto, il fatto che la Corte Costituzionale non avesse fatto menzione alcuna, nella sentenza 63/1966, del recesso ritorsivo sicuramente non dimostra che tale ipotesi fosse stata implicitamente ritenuta irrilevante. Dimostra, piuttosto, che, in un contesto di libera recedibilità, tale ipotesi non era proprio in conto. Ad ogni modo, ai fini della stabilità del rapporto di lavoro, le conseguenze di un accertamento della nullità del recesso ex art. 1345 c.c. neanche avrebbero potuto ritenersi corrispondenti a quelle successivamente previste dalla L. 300/1970 . Se è vero che quod nullum est nullum producit effectum, ciò non pare sufficientemente assimilabile, anche in termini di effettività della tutela giurisdizionale, al diritto alla reintegra che sarebbe stato previsto dallo Statuto dei Lavoratori , a distanza di quattro anni. Come pure non assume portata dirimente il rilievo che la stabilità debba essere valutata ex ante, poiché la disciplina della prescrizione risponde ad esigenze di certezza del diritto. Occorre innanzitutto premettere che, proprio per il tramite di questa duplicità di accertamento giudiziale, la L. 92/2012 ha segnato una svolta. Nelle precedenti formulazioni della L. 604/1966 e della L. 300/1970 , infatti, la disciplina dei licenziamenti, certamente connotata da specialità, attribuiva esclusivamente rilievo alla sussistenza o meno della giusta causa o di un giustificato motivo, essendo essa sufficiente per sindacare la legittimità del licenziamento, a prescindere da un eventuale motivo ritorsivo. Era perciò inevitabile che la stabilità fosse negata per i rapporti attratti nell'alveo della tutela obbligatoria e fosse viceversa affermata per quelli attratti nell'alveo della tutela reale. Con la L. 92/2012 , invece, è stata introdotta la possibilità di un ulteriore accertamento giudiziale, quale quello relativo alla ravvisabilità di un motivo illecito, ivi compreso quello di rappresaglia nei confronti del lavoratore, per avere egli azionato delle pretese retributive. Essendosi, pertanto, esteso il sindacato giudiziale, con possibile riconoscimento della c.d. tutela reintegratoria piena, i rapporti di lavoro devono reputarsi assistiti da stabilità adeguata. Ciò posto, non si tratta di una stabilità che sopravviene ad una riqualificazione giudiziale. Si tratta, invece, di una stabilità che contrassegna il rapporto di lavoro sin dalla sua costituzione e proprio secondo la sua configurazione originaria voluta dalle parti. La fattispecie di risoluzione è, in effetti sia connotata da una predeterminazione certa perché postula ancora la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo sia munita di una tutela adeguata, poiché, in caso di insussistenza di giusta a causa o di giustificato motivo, qualora parallelamente ricorra un motivo illecito perché ritorsivo, dà accesso alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento dell'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione. Quanto al tema della preventiva e chiara conoscibilità della stabilità del rapporto di lavoro sul quale ha fatto leva Cass. civ., Sez. lav., 06/09/2022, n. 26246 deve innanzitutto osservarsi che esso riveste i caratteri di novità nella materia della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi. Detto ciò, ai fini della tutela ex art. 18, commi 1 e 2, L. 300/1970 , l'accertamento giudiziale del motivo datoriale di rappresaglia avviene in modo contestuale all'accertamento della insussistenza della giusta causa o del giustificato motivo. Dunque, la stabilità del rapporto è conoscibile sin dal suo principio, perché la tutela reintegratoria piena discende direttamente ed esclusivamente dalle previsioni della legge 92/2012 . Dalla generale presunzione di conoscenza della legge, infatti, discende che il lavoratore, ex ante, è in condizioni di sapere che sarà reintegrato sul posto di lavoro se parte datoriale dovesse licenziarlo per una giusta causa/giustificato motivo apparente, ossia che nasconda in realtà una reazione alla avvenuta rivendicazione di pretese retributive. 6.d. La questione di legittimità costituzionale, tuttavia, non può essere sollevata nella presente controversia, per difetto del requisito della rilevanza. Per i crediti per differenze retributive sorti anteriormente al 30.10.2014, infatti, è da condividere la difesa della società resistente concernente la carenza di prova della pretesa articolata in giudizio, con la conseguenza che le domande devono essere rigettate in parte qua. Occorre – in effetti osservare che l'idoneità della mancata erogazione di compensi a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie la cui valutazione è riservata al giudice di merito Cass. civ., Sez. lav., 26/07/2023, n. 18160 rappresenta un fatto costitutivo del diritto alla maggiore retribuzione per il medesimo periodo feriale. Di conseguenza, grava sul lavoratore che agisca in giudizio l'onere di dimostrare l'incidenza sul trattamento economico mensile, in omaggio ai principi generali dettati dall' art. 2697 c.c. Cass. civ., Sez. lav., 06/11/2020, n. 24920 . Ciò che, tuttavia, non è avvenuto nel presente giudizio, attesa la carenza delle buste paga relative a periodi rappresentativi un anno anteriori anche alle ferie godute nel 2014 . Né a conclusioni differenti può pervenirsi nella considerazione che, trattandosi di azione di condanna generica, la predetta offerta di prova non era necessaria. Si tratta, infatti, di profili che, con tutta evidenza, involgono l'an della pretesa non il mero quantum e che, quindi, formavano oggetto del presente accertamento giudiziale. 7. In conclusione, dunque, la domanda attorea deve essere accolta per i soli crediti maturati a decorrere dal 1°.1.2015, con conseguente assorbimento di ogni questione concernente la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione. 8. Quanto, infine, alla regolamentazione delle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il giudice della Sezione lavoro del Tribunale di Bari, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al numero 1760 del ruolo generale del lavoro dell'anno 2022, promosso da omissis nei confronti di omissis così provvede 1 accoglie parzialmente il ricorso e, per l'effetto, dichiara il diritto di omissis a percepire durante i periodi di ferie annuali, nei limiti di 28 gg., una retribuzione inclusiva di diarie e trasferte, indennità di presenza, indennità sabato lavorato ed indennità di spinta condanna la società convenuta al pagamento, in favore del ricorrente, delle differenze retributive maturate a far data dal 1°.1.2015 2 condanna, altresì, omissis s.r.l. alla refusione delle spese processuali in favore del ricorrente, che liquida in € 1.100,00, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e c.p.a come per legge, con attribuzione in favore del procuratore antistatario.