Per i giudici è impossibile parlare di danno lieve, pur non avendo il ladro rinvenuto beni di valore nell’immobile, poiché non si può sminuire il pregiudizio da lui cagionato con la rottura di un infisso.
La finestra rotta per entrare in casa di una donna costa caro al ‘topo d'appartamento'. Per i giudici, difatti, è impossibile parlare di danno lieve, pur non avendo il ladro rinvenuto beni di valore nell'immobile, proprio alla luce del pregiudizio cagionato alla donna con la rottura dell'infisso. Furto in casa. Scenario dell'episodio è una casa in provincia di Ancona. L'autore del furto - con magro bottino - viene prontamente individuato, finisce sotto processo e si ritrova condannato, sia in primo che in secondo grado, per tentato furto in abitazione, con pena fissata in dodici mesi di reclusione e 200 euro di multa. Decisiva la ricostruzione dell'episodio, poiché si è appurato che l'uomo «si è introdotto in modo abusivo - entrando dalla finestra dopo averne rotto l‘infisso -, nella casa di una donna e ha tentato di impossessarsi di beni di valore che, tuttavia, non è riuscito a rinvenire». Con il ricorso in Cassazione, però, l'avvocato difensore lamenta «l'omesso riconoscimento dell'attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale» e osserva che in Appello ci si è basati soltanto sulla «assenza di emergenze tali da far desumere con certezza che, in caso di perfezionamento del reato, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima», mentre, aggiunge, non si è tenuto conto «danno realmente riscontrato nell'abitazione dalla polizia giudiziaria e risoltosi nella rottura di un semplice infisso». Pregiudizio. Prima di prendere in esame l'obiezione difensiva, i giudici di terzo grado ricordano che «nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità è applicabile al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico, che, se il reato fosse stato portato a compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima», e in questa ottica è necessario «verificare il valore della cosa che avrebbe formato oggetto della sottrazione» se l'azione criminosa si fosse concretizzata. Fatta questa premessa, i giudici condividono la linea seguita in Appello «nella valutazione della tenuità o meno del danno deve rientrare anche l'intervenuta rottura dell'infisso, che è idonea di per sé ad integrare la nozione di danno e ben può escluderne la speciale tenuità». Ciò anche alla luce del principio secondo cui «la concessione della circostanza attenuante del danno di lieve entità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza del reato», come «il danno provocato all'infisso», nel caso specifico, e «senza che rilevi, invece, la capacità della persona offesa di sopportare il danno economico derivante dal reato» Tirando le somme, è giusto «ritenere la rottura dell'infisso ostativa rispetto al danno patrimoniale di speciale tenuità», concludono i giudici.
Presidente Imperiali– Relatore Cersosimo Ritenuto in fatto 1. F.S. , a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 13 giugno 2022 con la quale la Corte di Appello di Palermo, ha confermato la sentenza emessa, in data 01 febbraio 2022, con la quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Palermo, lo ha condannato alla pena di anni 2, mesi 8 di reclusione ed Euro 889,00 di multa in relazione al reato di tentata rapina. 2. Il ricorrente, con l'unico motivo di impugnazione, lamenta violazione, inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 628, commi primo e terzo, numero 3-bis c.p. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante di aver commesso il fatto in un luogo di privata dimora ed in circostanze tali da ostacolare la privata difesa. Secondo la difesa, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che la persona offesa aveva la possibilità di difendersi mediante lo strumento di dissuasione nebbiogeno allocato nell'esercizio commerciale e mantenendo, di fatto, la propria capacità di autodeterminazione e difesa vedi pag. 2 del ricorso . Inoltre, lo spazio ridotto del gabbiotto ove era custodita la cassaforte non avrebbe ostacolato in alcun modo la possibilità della persona offesa di difendersi, tale affermazione troverebbe conferma proprio nel fatto che l'evento delittuoso non si è perfezionato proprio perché la persona offesa è riuscita ad attivare l'antifurto presente nell'esercizio commerciale come, peraltro, affermato dal giudice della cautela. La motivazione sarebbe illogica ed apodittica nella parte in cui i giudici di appello hanno affermato che la previsione normativa perderebbe il suo significato giuridico qualora la circostanza aggravante fosse automaticamente esclusa in caso di reazione da parte della vittima della rapina. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono. Deve premettersi che la sentenza di appello oggetto di ricorso e quella di primo grado sono conformi, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale ed essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza di appello a quella del Tribunale, sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove Sez. 3, numero 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez. 2, numero 6560 del 08/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01 . 2. Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che il ricorrente abbia commesso il reato di tentata rapina aggravata ex articolo 628, comma 3, numero 3-bis c.p., a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove. 2.1. La Corte territoriale, con motivazione priva di illogicità manifeste e congrua rispetto alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni dal Giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, ha sottolineato che l'imputato ha approfittato della condizione di particolare vulnerabilità in cui si trovava la persona offesa i giudici di appello hanno correttamente fondato tale affermazione sul fatto che la T. si trovava in un luogo, che per le sue caratteristiche, ostacolava la privata difesa e permetteva all'imputato di avere il pieno controllo sulle azioni della vittima vedi pag. 3 della sentenza impugnata e pagina 5 della sentenza di primo grado . 2.2. I giudici di merito, inoltre, hanno correttamente confutato la censura difensiva secondo cui la configurabilità dell'aggravante sarebbe esclusa dal fatto che la T. è stata in grado di attivare l'antifurto nebbiogeno e di mettere in fuga l'aggressore. Entrambe le sentenze affermano che la mancata consumazione della rapina conseguente alla pronta reazione della persona offesa non è circostanza idonea a provocare una automatica esclusione della contestata aggravante vedi pag. 3 della sentenza impugnata e pagina 5 della sentenza di primo grado , dando correttamente seguito al condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui l'aggravante di cui all'articolo 628, comma 3, numero 3-bis c.p. è ravvisabile ogniqualvolta il fatto sia commesso in un luogo che renda più difficile la privata difesa senza necessariamente impedirla. Tale norma si riferisce, infatti, a tutti i casi in cui la condotta è idonea anche solo ad ostacolare la pubblica o privata difesa, volendo punire più gravemente un fascio di comportamenti più ampio rispetto a quelli che impediscono la difesa vedi Sez. 2, numero 33839 del 04/11/2020, Romeo, non massimata . 3. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.