Messaggi offensivi su WhatsApp: ipotizzabile la diffamazione

Preso in esame il caso relativo a un militare dell’Arma dei Carabinieri finito sotto accusa per avere comunicato con altri militari, in una chat creata tramite WhatsApp, inviando loro molteplici messaggi offensivi nei confronti di altri militari.

Impossibile parlare di diffamazione aggravata dall’uso di un mezzo di pubblicità se scritti offensivi vengono condivisi solo nel contesto di una chat su WhatsApp . Il caso approdato in Cassazione riguarda il contesto militare. A finire sotto accusa è un esponente dell’Arma dei Carabinieri nello specifico, gli viene contestato di avere comunicato con altri militari, in una chat creata tramite WhatsApp, inviando loro molteplici messaggi offensivi nei confronti di altri militari. Codice penale militare di pace alla mano, il reato ipotizzato è quello di diffamazione aggravata dall’uso di un mezzo di pubblicità . In primo grado i giudici militari ritengono evidente la responsabilità penale dell’esponente dell’Arma dei Carabinieri e lo condannano alla pena di cinque mesi e cinque giorni di reclusione militare, con l’aggiunta dell’annessa responsabilità civile nei confronti dei militari dileggiati nei messaggi condivisi nella chat. In secondo grado, invece, i giudici militari dichiarano il non doversi procedere per mancanza della richiesta di procedimento . In questa ottica è decisivo il riferimento al mancato riconoscimento dell’uso di un mezzo di pubblicità. In sostanza, punto essenziale della decisione di secondo grado, fermo restando il contenuto diffamatorio di taluni dei messaggi inviati in chat, riguarda l’aggravante dell’aver recato offesa con un mezzo di pubblicità . I giudici addebitano al militare dell’Arma solo una diffamazione non aggravata che non è procedibile poiché si è appurato che la richiesta di procedimento, condizione di procedibilità, non è stata formulata . Chiara la posizione assunta dai giudici della Corte militare d’appello l’avvenuto utilizzo di una chat di Whatsapp - cui erano iscritte in tutto sette persone, nel caso specifico - non integra l’ipotesi del ricorso a un mezzo di pubblicità a fronte della condivisione di messaggi offensivi rivolti a soggetti non inclusi nella chat . In sostanza, secondo i giudici militari d’Appello è da escludersi che l’utilizzo della chat ristretta possa far ritenere integrata l’ipotesi dell’offesa recata con un mezzo di pubblicità , non rilevando che il messaggio offensivo destinato ad un numero ristretto di persone possa essere inoltrato ad altri soggetti, posto che simile azione sarebbe opera del destinatario e non del mittente . L’accento viene dunque posto non tanto sul mezzo tecnologico utilizzato - potenzialmente idoneo a concretizzare una diffusione ampia dei contenuti lesivi - quanto sul numero ristretto - sette soggetti , come detto - di componenti della chat . Infruttuoso il ricorso proposto in Cassazione dalla Procura Militare, poiché i Giudici di terzo grado ritengono corretta e condivisibile la valutazione compiuta in Appello. In premessa viene ricordato che la caratteristica essenziale della diffamazione sta nella offesa della reputazione altrui in un contesto comunicativo e quindi è necessario che la comunicazione avvenga verso più persone - almeno due - ed in assenza del soggetto offeso . Può parlarsi poi di diffamazione aggravata a fronte dell’ utilizzo del mezzo della stampa o di qualsiasi altro mezzo di pubblicità , aggiungono i Giudici, i quali precisano poi che la ratio di tale aggravante va individuata nella particolare diffusività del mezzo utilizzato , sicché l’offesa tende a raggiungere un numero cospicuo e indeterminato di persone . In questo quadro va inserita però l’evoluzione tecnologica che ha consentito di ampliare le forme di comunicazione tramite la rete internet, che va ritenuta tendenzialmente uno strumento che rientra nella previsione di legge ove si evocano altri mezzi di pubblicità , osservano i Giudici. Il riferimento è in particolare a ciò che avviene quando un contenuto lesivo viene reso pubblico su un qualsiasi sito internet ad accesso libero , poiché la libertà dell’accesso al sito che contiene la comunicazione diffamatoria è esattamente parificabile alla scelta di consultazione di una stampa cartacea . Ma gli strumenti di comunicazione digitale non sono tutti uguali e non funzionano tutti nel medesimo modo . E in particolare una chat dell’applicativo Whatsapp è, per le sue caratteristiche peculiari, uno strumento di comunicazione di certo agevolante ma al contempo ristretto, nel senso che il messaggio - di testo o immagine che sia - raggiunge esclusivamente i soggetti iscritti e reciprocamente accettatisi alla medesima chat , chiariscono i Giudici. Tuttavia, vi è una rilevante diversità - esclusivamente ai fini della integrazione della aggravante relativa all’uso di un mezzo di pubblicità - tra l’utilizzo di un social - strumento che si rivolge, per definizione, ad una ampia platea di persone previamente abilitate dal titolare della pagina a consultarne i contenuti, con possibilità di riproporre i testi o le immagini sulla propria bacheca , sì da dare luogo di fatto ad una forma di diffusione incontrollata - e l’utilizzo di una chat ristretta di messaggistica , osservano i Giudici. E in questa ottica ad essere rilevante non è il numero di iscritti alla chat - davvero poco significativo, nel caso specifico - quanto la conformazione tecnica del mezzo , tesa a realizzare uno scambio di comunicazioni che resta, in tutta evidenza, riservato . In conclusione, la diffusione del messaggio a più soggetti - cioè gli iscritti alla chat - avviene, in altre parole, in un contesto informatico che se, da un lato, consente la rapida divulgazione del testo , dall’altro non determina la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza della comunicazione, destinata ad un numero identificato e previamente accettato di persone , concludono i giudici di Cassazione.

Presidente Mogini– Relatore Magi In fatto e in diritto 1. La Corte Militare di Appello, con sentenza resa in data 12 ottobre 2022 ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.P.A . in riferimento al reato di cui all' art. 227 comma 1 c.p. mil.pace, così riqualificata l'originaria imputazione art. 227 comma 1 e comma 2 c.p. mil. pace , per mancanza della richiesta di procedimento. In primo grado il Tribunale Militare di Napoli aveva affermato la penale responsabilità del C. con condanna alla pena di mesi cinque e giorni cinque di reclusione militare, nonché la responsabilità civile. La contestazione riguarda il reato di diffamazione continuata pluriaggravata. In sostanza il C. Luogotenente dell'Arma dei Carabinieri comunicando con altri militari della stazione di [ ] tramite l'applicativo Whatsapp in una chat denominata omissis tra aprile del 2017 e gennaio del 2018 avrebbe inviato più messaggi offensivi nei confronti di altri militari G.R., L.S., M.A., M.M., F.D. . I contenuti dei messaggi sono riportati nel capo di imputazione da pag. 4 a pag. 7 della sentenza . 1.1 Punto essenziale della decisione, fermo restando il contenuto diffamatorio di taluni dei messaggi inviati in chat, riguarda l'aggravante dell'aver recato offesa con un mezzo di pubblicità . La richiesta di procedimento, condizione di procedibilità, non è stata formulata per il C. e l'ipotesi di diffamazione non aggravata non sarebbe procedibile. Il dato normativo così recita Il militare, che, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni. 1.2 Secondo la Corte Militare di Appello l'avvenuto utilizzo di una chat di Whatsapp cui erano iscritte in tutto sette persone non integra l'ipotesi di cui al comma 2 dell' art. 227 c.p. mil.pace. In particolare è da escludersi che l'utilizzo della chat ristretta possa far ritenere integrata l'ipotesi dell'offesa recata con un mezzo di pubblicità. Non rileva, infatti che il messaggio destinato ad un numero ristretto di persone possa essere inoltrato ad altri, posto che simile azione sarebbe opera del destinatario e non del mittente e peraltro nel caso in esame tale ipotesi non si è verificata . Si pone l'accento, dunque, non tanto sul mezzo tecnologico utilizzato potenzialmente idoneo a concretizzare una diffusione ampia dei contenuti lesivi quanto sul numero ristretto sette soggetti di aderenti alla chat Si tratta, dunque, di una modalità comunicativa che, in rapporto alle caratteristiche concrete dell'azione, non integra la particolare ipotesi del comma 2 dell' art. 227 c.p. mil.pace. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale Militare. 2.1 Si deduce erronea applicazione di legge in riferimento alla ricorrenza della circostanza aggravante dell'offesa arrecata cori il mezzo di pubblicità. Il PG ricorrente sostiene che la soluzione in diritto adottata dalla Corte Militare di Appello, con esclusione della aggravante, è erronea. Si citano arresti di questa Corte di legittimità in cui si è ritenuto a che l'aggravante sussista in caso di post pubblicati sulla piattaforma Facebook b in caso di invio plurimo di mails c in caso di utilizzo del fax. Ad essere rilevante è la potenzialità diffusiva del mezzo, li dove la Corte di Appello vira l'indagine su aspetti non dirimenti il numero degli iscritti alla chat . L'esclusione dell'aggravante andrebbe pertanto rimeditata. 3. Si sono costituite con memoria scritta le parti civili L.S. e M.A., a sostegno del ricorso proposto dal PG. 3.1 Ha depositato memoria difensiva C.P. con atto del 27 aprile 2023. 4. Il ricorso è infondato, per le ragioni che seguono. 4.1 La caratteristica essenziale della diffamazione per conformazione legale della incriminazione sta nella offesa della reputazione altrui in un contesto comunicativo. Tanto la fattispecie di cui all' art. 595 c.p. che quella del codice penale militare di pace art. 227 richiedono che la comunicazione avvenga verso più persone ed in assenza dell'offeso. Si tratta di un elemento strutturale della fattispecie, sicché la comunicazione lesiva deve raggiungere almeno due persone anche in momenti diversi, secondo le precisazioni rese da Sez. V n. 7408 del 4.11.2010 , dep. 2011, rv 249599 . Partendo da simile dato, va rilevato che nella nomenclatura legale l'aggravamento tipizzato si ricollega, per quanto qui rileva, all'utilizzo del mezzo della stampa o di qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La ratio va individuata nella particolare diffusività del mezzo utilizzato caratteristica obiettiva della stampa , sicché l'offesa tende, in virtù delle particolari modalità realizzative, a raggiungere un numero cospicuo e indeterminato di persone. 4.2 Tanto premesso, va rilevato che indubbiamente l'evoluzione tecnologica ha consentito di ampliare le forme di comunicazione tramite la rete internet, da ritenersi tendenzialmente uno strumento che rientra nella previsione di legge ove si evocano altri mezzi di pubblicità. Ciò avviene, in particolare, quando un contenuto lesivo viene reso pubblico su un qualsiasi sito internet ad accesso libero. La libertà dell'accesso al sito che contiene la comunicazione diffamatoria è esattamente parificabile alla scelta di consultazione di una stampa cartacea, sicché nessuna questione può porsi in tema di rispetto del principio di tassatività. Tuttavia, gli strumenti di comunicazione digitale non sono tutti uguali e non funzionano tutti nel medesimo modo. In particolare una chat dell'applicativo Whatsapp è, per le sue caratteristiche ontologiche, uno strumento di comunicazione di certo ‘agevolantè ma al contempo `ristrettò, nel senso che il messaggio di testo o immagine che sia raggiunge esclusivamente i soggetti iscritti e reciprocamente accettatisi alla medesima chat. 4.3 La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha ritenuto che la pubblicazione di post lesivi sulla piattaforma social Facebook integri l'aggravante del mezzo di pubblicità, come ricordato dal PG ricorrente. Vanno in tal senso indicate le decisioni Sez. I n. 55142 del 2014 e Sez. V n. 13979 del 25.1.2021 , rv 281023, ove si pone l'accento sulla oggettiva potenzialità che, in tal caso, ha il testo lesivo di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone. 4.4 Tuttavia a parere del Collegio vi è una rilevante diversità esclusivamente ai fini della integrazione della particolare aggravante tra l'utilizzo di un soda/ strumento che si rivolge per definizione ad una ampia platea di persone previamente abilitate dal titolare della pagina a consultarne i contenuti, con possibilità di riproporre i testi o le immagini sulla propria bacheca, sì da dare luogo di fatto ad una forma di diffusione incontrollata e l'utilizzo di una chat di messaggistica ristretta. Ad essere rilevante, invero, non è il numero di iscritti alla chat nel caso in esame davvero poco significativo quanto la conformazione tecnica del mezzo, tesa a realizzare uno scambio di comunicazioni che resta in tutta evidenza riservato. La diffusione del messaggio a più soggetti gli iscritti alla chat avviene, in altre parole, in un contesto informatico che se da un lato consente la rapida divulgazione del testo dall'altro non determina la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza della comunicazione, destinata ad un numero identificato e previamente accettato di persone. La tensione con il principio di tassatività in ambito penale, ove si voglia realizzare una equiparazione tra i diversi strumenti comunicativi, in rapporto ad una previsione di legge ove si evoca un ‘mezzo di pubblicità', appare del tutto evidente e ciò conduce al rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.