Il Viminale è responsabile per i suicidi in carcere? Per la CEDU sì

La Corte di appello di Milano e la Cassazione avevano escluso la responsabilità del Ministro dell’Interno per il suicidio overdose di un uomo in custodia cautelare con l'accusa di traffico di stupefacenti. Per il Tribunale invece era ravvisabile una responsabilità dello Stato sotto il profilo dell’omissione di soccorso e di sorveglianza. La CEDU concorda con questa tesi evidenziando che il Governo italiano non ha fornito argomenti convincenti e prove sull’aver adottato tutte le misure necessarie e sufficienti per tutelare la vita del detenuto cure mediche, perquisizione personale etc. ai sensi dell’articolo 2 Cedu.

È quanto sancito nel caso Ainis ed altri comma Italia ricomma 2264/12 del 14 settembre relativo ad un'annosa delicata vicenda, che, stando alle cronache, ha grande rilevanza sociale i suicidi, gli atti di autolesionismo e le violenze sui detenuti. Nel caso in esame, C.C. congiunto dei ricorrenti, detenuto in custodia cautelare in Questura a seguito di un'operazione contro la criminalità organizzata e traffico di droga, nel 2001 morì di overdose nell'arco di 3 ore dal suo arresto già allora risultava in stato di agitazione dovuto all'assunzione di sostanze psicotrope. Le guardie, che lo sorvegliavano, erano intervenute prestando i primi soccorsi, ma tutto era stato inutile era stata effettuata una prima perquisizione al momento dell'arresto perciò non è chiaro se la dose letale era stata occultata dal defunto o qualcuno mentre era in custodia gli si era avvicinato e gliela aveva fornita. Fu avviata d'ufficio un'inchiesta, poi archiviata nel 2003 non c'erano «elementi che potessero collegare la morte di C.C. a eventi esterni commessi da terzi che potessero indurla a concludere che era stato commesso un atto criminale. Pertanto, il procedimento è stato interrotto senza che sia stata avviata alcuna indagine penale» neretto,nda . Il 22 giugno 2003 i ricorrenti hanno proposto un'azione di risarcimento danni contro il Ministero dell'Interno per omissione di soccorso e omessa sorveglianza in prime cure, come detto, fu riconosciuta la responsabilità del Ministro, esclusa però nei successivi gradi di giudizio. Lo Stato deve tutelare l'incolumità dei detenuti, ma non c'è alcuna responsabilità automatica per atti di autolesionismo In primis, l'articolo 2, comma 1 «impone agli Stati contraenti non solo di astenersi dal togliere la vita intenzionalmente o mediante uso della forza sproporzionato rispetto agli scopi legittimi di cui alle lettere da a a c del secondo comma di tale disposizione, ma anche di adottare le misure appropriate per salvaguardare la vita di coloro che si trovano sotto la loro giurisdizione» neretto,nda . Orbene tali doveri di cura e protezione diventano più stringenti, dovendo le autorità interne rendere conto del loro operato e dei trattamenti inferti, nei casi di detenzione, in cui i soggetti sono più vulnerabili si deve fare di tutto per evitare che si facciano male Daraibou comma Croazia del 17/1/23 e Keenan comma Regno Unito del 2001 . In breve, il semplice fatto che una morte sospetta, come nella fattispecie, si sia verificata durante la custodia o la detenzione non comporta ipso iure una violazione di tale obbligo positivo dello Stato. Esso «deve essere interpretato in modo da non imporre un onere impossibile o sproporzionato alle autorità, tenuto conto delle difficoltà insite nel controllo delle società moderne, dell'imprevedibilità del comportamento umano e delle scelte operative che devono essere effettuate in termini di priorità e risorse» nella fattispecie non si poteva pretendere che C.C. fosse seguito da un ufficiale di polizia. Si noti che non solo il diritto alla vita ex articolo 2 è uno dei pilastri della Cedu e della tutela dei diritti fondamentali in essa garantiti, ma rileva anche sotto il profilo di assicurare ai detenuti il rispetto della loro dignità onde evitare trattamenti degradanti ex articolo 3 Cedu Fabris e Parziale comma Italia del 19/3/20 . Responsabilità del Viminale per morte sospetta La CEDU chiarisce che in caso di autolesionismo o morti sospette si può parlare di forti presunzioni di colpevolezza spettando alle autorità interne l'onere della prova di aver adottato tutte le misure atte a rispettare suddetti doveri di cura e protezione. Nella fattispecie malgrado il defunto fosse stato arrestato spesso per le solite accuse che lo avevano portato all'ultima fatale custodia cautelare, fosse noto come tossicodipendente, avesse un fisico minato dal prolungato consumo delle droghe ed al momento dell'arresto non stesse bene non è stato sottoposto né a perquisizione corporale né gli sono state prestate le dovute cure, non dovendosi pretendere che secondini e guardie, impreparate dal punto di vista medico, avrebbero potuto acclarare il suo stato di salute e la volontà di suicidarsi, ma avrebbero dovuto attivarsi per le prime cure. Era stata fatta solo una perquisizione degli effetti personali sequestrati al momento dell'arresto e custodia in cui, per altro, era stata rinvenuta una modesta dose di cocaina, come quella ingerita al momento dell'overdose senza redigere il verbale. Ad esser precisi, non è chiaro se il soggetto fosse già in crisi da overdose al momento dell'arresto od abbia ingerito la dose letale durante la custodia irrilevante se era già in suo possesso o procurata da terzi gli agenti in servizio misero a verbale che non si erano resi conto immediatamente della gravità della situazione perché impegnati con le foto segnaletiche di altri soggetti. In conclusione, doveva essere approntata una maggiore sorveglianza sulla sua detenzione ed è per questo motivo che, non avendo fornito il Governo «argomenti o prove soddisfacenti e convincenti per contrastare le affermazioni dei ricorrenti, supportate da prove prima facie» è stata riscontrata detta deroga all'articolo 2 Cedu.

CEDU, sentenza 14 settembre 2023, caso Ainis ed altri comma Italia, ricomma 2264/12