La pesca abusiva del dattero marino giustifica l’adozione di misure cautelari

Il dattero di mare è considerato una specie di primaria importanza per la conservazione degli equilibri naturali degli ecosistemi costieri. Il mollusco vive all’interno di alcune rocce, dove crea il suo ambiente scavando cunicoli e gallerie, favorendo la proliferazione e la protezione di centinaia di altre specie. Va da sè, che la pesca abusiva del dattero di mare, non come singolo episodio isolato, ma come attività organizzata, presenta tutti i requisiti per l’applicazione di misure cautelari.

Il GIP del Tribunale di Napoli applicava ad alcuni soggetti la misura cautelare della custodia in carcere per aver partecipato ad una associazione finalizzata ad una pluralità di delitti di devastazione dei fondali marini attraverso la pesca vietata di alcuni molluschi, i c.d. datteri di mare . Il Tribunale ha successivamente confermato la misura cautelare. Nel corso del giudizio di primo grado, la misura custodiale veniva sostituita con quella del divieto di dimora nella Regione Campania. La difesa ha poi chiesto la sostituzione con la misura dell’ obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria , stante il decorso del tempo dalla condotta, il licenziamento dell’imputato e la perdita dell’alloggio. A fronte di tale richiesta, il Tribunale ha disposto la revoca del presidio cautelare in considerazione del decorso del tempo. Il PM ha proposto appello, chiedendo il ripristino della misura cautelare del divieto di dimora nella Regione Campania. Il Tribunale di Napoli ha accolto in parte l’appello applicando la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Avverso tale provvedimento il ricorrente propone ricorso per Cassazione con un unico motivo in cui deduce il vizio di violazione di legge e motivazionale in relazione al giudizio di valutazione inerente all’attualità delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura cautelare applicata. Il ricorso si rivela inammissibile per genericità e mancanza di specificità. Come scrive la Cassazione, infatti, nel provvedimento impugnato ben si chiarisce la pervasività della condotta posta in essere dagli imputati, e, tra questi, dall’odierno ricorrente, e la reiterazione nel tempo di tale condotta gravemente pregiudizievole per l’habitat marino. Nell’ordinanza censurata si dà conto delle ragioni per le quali il dattero di mare è considerato una specie di primaria importanza per la conservazione degli equilibri naturali degli ecosistemi costieri si specifica che il mollusco in oggetto vivendo all’interno di alcune specifiche tipologie di rocce, nelle quali crea il suo ambiente vitale scavando cunicoli e gallerie con le secrezioni acide prodotte dalle sue ghiandole, con la sua attività favorisce la proliferazione e la protezione di centinaia di altre specie che vivono sia nei cunicoli scavati dal bivalve sia sulle rocce che ospitano il bivalve al loro interno. […] la pesca del dattero è particolarmente devastante per l’intera comunità biologica e per l’intero ecosistema di cui è parte fondamentale posto che per prelevarlo dai suoi cunicoli bisogna frantumare la roccia in cui vivono, distruggendo con essa tutta la comunità biologica che la ricopre o che vive al suo interno, con gravissime conseguenze non solo immediate ma anche future atteso che i tempi di recupero per l’intera comunità biologica di detta attività di strappo possono arrivare anche oltre il secolo, con un risultato finale difficilmente identico a quello precedente l’attività distruttiva . Di conseguenza, così chiarita l’ entità del danno in astratto , il provvedimento impugnato, in punto di attualità del pericolo di reiterazione , descrive la condotta degli indagati quale persistente e costante negli anni, avendo gli stessi, devastato sistematicamente le coste partenopee per la pesca dei datteri traendo da tale attività illecita, per anni, la loro principale fonte di sostentamento . In altre parole, il vero problema non è solo la singola pescata dei datteri, condotta vietata ma dunque perseguita quale mero reato contravvenzionale, ma lo svolgimento della attività illecita in modo ripetuto e organizzato che ha portato ad una vera e propria desertificazione dell’ambiente marino corrispondente all’area attaccata, effettuata tramite l’utilizzo di strumenti distruttivi delle rocce di diversi fondali del golfo di Napoli .

Presidente Sarno – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza emessa in data 8 marzo 2021, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli, ha applicato, tra gli altri, all'odierno ricorrente la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui ai capi A , esclusa la qualifica di promotore, B e C , per aver fatto parte di una associazione finalizzata alla commissione di una pluralità di delitti di devastazione dei fondali marini attraverso la pesca vietata dei molluschi gasteropodi della specie protetta Lithophaga Iithophaga, cd. datteri di mare, artt. 452-bis,comma 2 452-quater, comma 1 n. 1 635, comma 2, n. 1 c.p. . Con ordinanza resa il 7 aprile 2021, il Tribunale di Napoli ha confermato il titolo custodiale, con provvedimento per il quale non è stato proposto ricorso in Cassazione con ordinanza del 21 giugno 2022, il Tribunale di Napoli, dinanzi al quale è in corso la celebrazione del giudizio di primo grado, ha sostituito la misura custodiale con quella del divieto di dimora nella regione Campania. Successivamente la difesa ha chiesto la sostituzione della misura non custodiale in argomento con quella dell'obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria, deducendo, a sostegno della stessa, il decorso del tempo, l'intervenuto licenziamento di A.V. e la perdita dell'alloggio ove lo stesso era domiciliato. A fronte di tale richiesta il Tribunale, che in data 7 febbraio 2023 aveva rigettato analoga istanza difensiva, ha disposto la revoca del presidio cautelare in considerazione del tempo decorso. Avverso tale ordinanza il pubblico ministero ha ritualmente proposto appello chiedendo il ripristino della misura cautelare del divieto di dimora nella Regione Campania. Con ordinanza del 14 aprile 2023, il Tribunale di Napoli ha accolto in parte l'atto di appello formulato dal pubblico ministero avverso l'ordinanza di revoca della misura cautelare applicando all'odierno ricorrente la misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria tutti i giorni alle ore 08 e 30, ex art. 282 c.p.p. . 2.Avverso suddetto provvedimento il ricorrente, tramite difensore, propone ricorso per Cassazione articolato in un unico motivo in cui, incontestata la sussistenza del fumus commissi delicti, si deduce il vizio di violazione di legge e motivazionale in relazione al giudizio di valutazione inerente l'attualità delle esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura cautelare applicata. Nella prospettazione difensiva, il Tribunale avrebbe optato per una misura inadeguata a scongiurare il rischio di reiterazione e, in ogni caso, avrebbe ancorato la sussistenza delle esigenze cautelari alle medesime argomentazioni che aveva posto a fondamento della sua pregressa decisione risalente a due anni prima, senza indicare in parte motiva alcun dato fattuale o processuale da cui desumere la persistenza del pericolo di recidiva, non proiettandolo, come avrebbe dovuto, in una dimensione di attualità e concretezza. Considerato in diritto 1.Il ricorso proposto nell'interesse di A.V. è inammissibile in quanto generico ed aspecifico. Pur formalmente contestando il vizio di violazione di legge e di motivazione nel ricorso non si enunciano le ragioni per le quali le disposizioni di legge citate sarebbero state violate in relazione alla misura adottata, nè tantomeno si evidenza la contraddittorietà in cui sarebbe incorsa la motivazione addotta a sostegno della cautela. Va osservato che la censura è sostanzialmente incentrata unicamente sulla inadeguatezza della misura a far fronte alle esigenze cautelari - quasi dando per presupposto che tali esigenze siano sussistenti - e non dà minimamente conto di aver fornito al Tribunale del riesame gli elementi utili a sorreggere il giudizio di cessazione delle esigenze cautelari considerate. Nel ricorso ci si duole del metodo seguito dal riesame consistente nella mera riproposizione delle argomentazioni già ritenute valide in passato, senza specificare le ragioni per le quali detta riproposizione sarebbe inficiata dai vizi dedotti. Il ricorso si presenta, pertanto, privo della specificità richiesta dalla legge, anche perché non si confronta affatto con l'articolata motivazione in cui si descrive dettagliatamente non solo la gravità della condotta posta in essere dagli imputati ma anche dalla loro persistenza e costanza nel perseguire l'attività di irreversibile distruzione di rilevanti porzioni dei fondali marini funzionale al traffico dei molluschi in oggetto. Nel provvedimento impugnato, infatti, ben si chiarisce la pervasività della condotta posta in essere dagli imputati, e, tra questi, dall'odierno ricorrente, e la reiterazione nel tempo di tale condotta gravemente pregiudizievole per l'habitat marino. Nell'ordinanza censurata si dà conto delle ragioni per le quali il dattero di mare è considerato una specie di primaria importanza per la conservazione degli equilibri naturali degli ecosistemi costieri si specifica che il mollusco in oggetto vivendo all'interno di alcune specifiche tipologie di rocce, nelle quali crea il suo ambiente vitale scavando cunicoli e gallerie con le secrezioni acide prodotte dalle sue ghiandole, con la sua attività favorisce la proliferazione e la protezione di centinaia di altre specie che vivono sia nei cunicoli scavati dal bivalve sia sulle rocce che ospitano il bivalve al loro interno. Si chiarisce, dunque, che stante tale condizione, la pesca del dattero è particolarmente devastante per l'intera comunità biologica e per l'intero ecosistema di cui è parte fondamentale posto che per prelevarlo dai suoi cunicoli bisogna frantumare la roccia in cui vivono, distruggendo con essa tutta la comunità biologica che la ricopre o che vive al suo interno, con gravissime conseguenze non solo immediate ma anche future atteso che i tempi di recupero per l'intera comunità biologica di detta attività di strappo possono arrivare anche oltre il secolo, con un risultato finale difficilmente identico a quello precedente l'attività distruttiva. Nel provvedimento si descrive, dunque, il notevole danno conseguente al prelievo dei datteri di mare sia in relazione alla perdita di biodiversità dei fondali sia in relazione al funzionamento e alla resilienza degli ecosistemi di fondo roccioso che diventano più fragili e bisognosi di decine di anni per riprendersi attraverso le lenti processi di ricolonizzazione delle successioni ecologiche. Chiarita l'entità del danno in astratto dovuto alla tipologia di condotta contestata, il provvedimento impugnato, per ciò che rileva in Questa sede in punto di attualità del pericolo di reiterazione, descrive la condotta degli indagati quale persistente e costante negli anni, avendo gli stessi, devastato sistematicamente le coste partenopee per la pesca dei datteri traendo da tale attività illecita, per anni, la loro principale principale fonte di sostentamento. A pag. 9 del provvedimento impugnato si sottolinea che A.V. , ha svolto la sua attività di esperto sommozzatore a servizio di una organizzazione criminale stabile e attiva da anni che, incurante delle ripetute attività di repressione delle forze dell'ordine, non ha interrotto la propria attività illecita nonostante i controlli, i sequestri, i decreti penali e le sentenze di condanna per le contravvenzioni che nelle varie epoche storiche venivano contestate divenute nel tempo un vero e proprio rischio calcolato . Il vero problema dunque, chiarisce il Tribunale, non è solo la singola pescata dei datteri, condotta vietata ma dunque perseguita quale mero reato contravvenzionale, ma lo svolgimento della attività illecita in modo ripetuto e organizzato che ha portato ad una vera e propria desertificazione dell'ambiente marino corrispondente all'area attaccata, effettuata tramite l'utilizzo di strumenti distruttivi delle rocce di diversi fondali del golfo di Napoli. Il tribunale partenopeo dà anche conto della conseguente e incessante attività di vendita di datteri di mare posta in essere da P. e A.V. , che hanno contato, nel tempo, di una ampia e stabile platea di acquirenti tra i quali si annoverano non solo i componenti del gruppo A. ma anche intermediari di ristoratori o gestori di pescherie o privati, sì da dare vita a un vero e proprio mercato nero alimentato dalla lenta e inarrestata devastazione dell'ambiente marino di cui l'odierno ricorrente è indiscusso protagonista. Nel dettagliare costante pervicace attività distruttiva dei fondali interessati il provvedimento impugnato, a pagina 12, dà anche conto della esistenza di una pluralità di sequestri di datteri effettuati negli anni ai danni di A.V. , che per quanto al momento potessero sembrare frutto di un episodio sporadico vendita del mitile, alla luce delle indagini svolte si sono rivelate l'ultimo tassello della scoperta attività criminale. Tanto premesso, con ragionamento immune dai vizi censurati, il Tribunale ha ritenuto sussistente l'attualità del pericolo di recidiva nel reato alla luce della reiterazione della condotta nel tempo senza alcuna resipiscienza e in base alla considerazione che il traffico illecito ha costituito per anni l'unica fonte di sostentamento del ricorrente. 3. Per questa ragione il ricorso va considerato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all 'art. 28 reg. esec. c.p.p