La diligenza professionale media definisce l’ambito della responsabilità dell’avvocato

Confermata la condanna di un avvocato a risarcire, per oltre 500mila euro, la società cliente. È la conseguenza della condotta professionale tenuta nell’ambito di un procedimento per responsabilità medica, nel quale il legale ha violato gli obblighi di informazione, sollecitazione e dissuasione.

A seguito di un procedimento per responsabilità medica, conclusosi con la condanna della società che gestiva la casa di cura in solido con il medico responsabile dell'accaduto, l' avvocato della società veniva convenuto in giudizio per responsabilità professionale . Tra la società e il legale intercorreva infatti, dal giugno 1997, un contratto di assistenza e consulenza legale e la Spa lamentava l' omessa evocazione in giudizio della compagnia di assicurazioni , nonché il mancato assolvimento degli obblighi di informazione, sollecitazione e dissuasione gravanti sull'avvocato. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando il legale al risarcimento di oltre 500mila euro. La decisione veniva confermata anche in appello, ritenendo non raggiunta la prova che il legale avesse adempiuto ai propri obblighi di informazione nei confronti del cliente sollecitandolo ad attivare la garanzia assicurativa ed escludendo la buona fede dell'avvocato. Quest'ultimo ha impugnato la sentenza dinanzi alla Suprema Corte senza però avere successo. Richiamando la pacifica giurisprudenza, la Corte ricorda che nell'ambito del dovere di diligenza rientrano i doveri di informazione , di sollecitazione e di dissuasione ai quali il professionista deve adempiere, sia all'atto dell'assunzione dell'incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando innanzitutto al cliente le questioni ostative riscontrate e/o produttive di un rischio di conseguenze negative o dannose, invitandolo a comunicare o a fornire elementi utili alla soluzione positiva delle questioni ex multiis, Cass. civ. n. 16023/2002 Cass. civ. n. 14597/2004 Cass. civ. n. 8494/2020 . Il professionista, inoltre, se vi è contestazione sui limiti dell'incarico conferito, deve dimostrare i termini dell'accordo con il cliente e l' attività consultiva svolta , onere al quale il ricorrente, nel caso di specie, non ha correttamente adempiuto. Infine è corretta e conforme alla giurisprudenza la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che la condotta omissiva del legale deve essere valutata alla luce di un giudizio controfattuale secondo cui, senza l'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito sulla base di criteri probabilistici La responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato , presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile , ai sensi dell' art. 1176, comma 2, c.c. , da commisurare alla natura dell'attività esercitata. Inoltre, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente nella specie, del giudizio di appello , il danno derivante da eventuali sue omissioni nella specie, redazione e notifica di un atto d'appello privo dell'indispensabile indicazione della data di udienza di comparizione in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici , si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici” Cass. civ. n. 6967/2006 Cass. civ. n. 25234/2010 . In conclusione, il ricorso viene rigettato.

Presidente Spirito – Relatore Moscarini Rilevato che La società […] SpA, premettendo di essere titolare della casa di cura omissis erogante servizi sanitari in regime di convenzione con il SSN, atteso di aver sottoscritto un contratto di assicurazione a copertura, tra l'altro, del rischio derivante dalla responsabilità civile dei medici non dipendenti per danni verificatisi nello svolgimento delle loro mansioni e di essere stata convenuta in giudizio da due coniugi, unitamente ad un medico, per il risarcimento dei danni occorsi al loro figlio in conseguenza della negligente ed imperita condotta dei sanitari all'atto della nascita, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Palermo, con atto di citazione del 16/12/2011, l'avvocato A.R., con il quale intercorreva, sin dal giugno 1997, un contratto di assistenza e consulenza legale, per sentirne pronunciare la condanna a titolo di responsabilità professionale per aver omesso di evocare in giudizio la compagnia di assicurazioni UAP Italiana SpA e per non aver assolto agli obblighi di informazione, sollecitazione e dissuasione su di lui gravanti a sostegno della domanda la casa di cura rappresentò di essere stata condannata in grado di appello a pagare agli appellanti, in solido con il medico responsabile, la somma di Euro 2.143.895,80 e di aver appreso, all'atto di notifica del precetto, che il legale aveva omesso di evocare in giudizio la compagnia di assicurazioni con cui la […] aveva stipulato la polizza assicurativa per la responsabilità civile con un massimale pari ad un miliardo di lire l'avvocato A., nel costituirsi in giudizio, contestò nel merito la fondatezza delle avverse pretese affermando che, in base alle previsioni contrattuali, l'onere di attivazione della polizza assicurativa ricadeva sugli uffici dell'assicurata e che le istruzioni ricevute dalla stessa erano nel senso di non procedere alla chiamata in causa dell'assicurazione conseguentemente, del danno lamentato doveva ritenersi responsabile la sola casa di cura per omessa denuncia o, comunque, per errata conduzione del giudizio di appello, nel quale l'avvocato A. era stato sostituito da altro legale incorso poi in numerose negligenze difensive, tra cui la mancata nomina di un CTP in sede di rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio l'A. affermò altresì che, in ogni caso, essendo la condanna subìta dalla casa di cura di gran lunga superiore al massimale della copertura assicurativa, difettava il nesso causale tra il danno lamentato e la propria condotta professionale atteso che, ove pure la compagnia di assicurazioni fosse stata evocata in giudizio, l'attrice sarebbe stata tenuta indenne per una cifra ben inferiore a quella di cui alla statuizione di condanna il Tribunale adito, in parziale accoglimento della domanda, condannò l'avvocato A. a pagare all'attrice la somma di Euro 516.456,90 oltre interessi legali dalla domanda e spese di lite, rigettando la domanda di restituzione dei compensi percepiti dal professionista la Corte d'Appello di Palermo, adita in via principale dall'avvocato A. e in via incidentale dalla […] SpA perché la condanna del professionista non fosse limitata al massimale di garanzia, con sentenza del 21/4/2021, ha rigettato l'appello principale e dichiarato inammissibile l'incidentale, compensando le spese per quanto ancora di interesse in questa sede, la Corte del gravame ha ritenuto non raggiunta la prova che il legale avesse adempiuto ai propri obblighi di informazione nei confronti del cliente sollecitandolo ad attivare la garanzia assicurativa non configurabile la buona fede dell'avvocato A. in ragione del lungo rapporto di collaborazione sorto con la casa di cura a seguito della stipula della convenzione che, fin dal 17/6/1997, lo aveva investito di tutta la gestione dell'attività stragiudiziale e di quella giudiziale della casa di cura non necessario che il professionista, ricevuta dal cliente la notifica della citazione introduttiva, ricevesse specifiche istruzioni al fine di chiamare in garanzia la compagnia di assicurazioni essendo a ciò sufficiente la procura alle liti conferitagli dal presidente della casa di cura. La Corte del gravame osservò che il legale era, dunque, venuto meno agli obblighi di diligenza propri della sua attività professionale, e che, in base ad un giudizio prognostico, proprio del più probabile che non, ove il legale, gravato di una obbligazione di mezzi, fosse stato diligente nel chiamare in giudizio la compagnia di assicurazioni, la casa di cura avrebbe potuto giovarsi della copertura assicurativa quanto meno nei limiti del massimale di polizza avverso la sentenza l'avvocato A.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi l'intimata non ha svolto difese in questa sede la causa è stata assegnata per la trattazione in adunanza camerale sussistendo i presupposti di cui all' art. 380bis c.p.comma il ricorrente ha depositato memoria. Considerato che con il primo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2236 c.comma nonché degli artt. 83,84,106 e 269 c.p.comma art. 360 c.p.comma , n. 3 il ricorrente lamenta che i giudici del merito hanno erroneamente statuito circa la sua responsabilità professionale per aver omesso di chiamare in garanzia la compagnia di assicurazioni o per non aver sollecitato la cliente a provvedere in tal senso, in quanto, essendo pacifico che in data 31 marzo 1998 il legale aveva ricevuto dalla casa di cura un mandato alle liti che non faceva alcun cenno alla facoltà di chiamare in causa terzi, non si era ancora consolidata all'epoca dei fatti la giurisprudenza di questa Corte nel senso della ritenuta responsabilità del legale per non avere esperito tutte le iniziative atte a tutelare l'interesse del proprio assistito, ivi inclusa la chiamata di terzo in garanzia impropria, consolidamento avvenuto solo con la pronuncia a S.U. n. 4909 del 14/3/2016, mentre, per l'appunto all'epoca dei fatti, vi era una netta distinzione tra chiamata in garanzia propria, per la quale era sufficiente la semplice procura, e chiamata in garanzia cd. impropria, quale era quella nei confronti della compagnia di assicurazioni per la responsabilità civile, per la quale era necessario il conferimento espresso al difensore del relativo potere quindi, avendo le S.U. composto solo nel 2016 un contrasto evidenziatosi nella giurisprudenza di legittimità con riguardo alle diverse ipotesi di chiamata di terzo, ed essendo l'atto introduttivo del giudizio risalente al 1998, non poteva ritenersi che il legale avesse il potere di chiamare in giudizio un terzo senza un espresso conferimento da parte dell'assicurato. con il secondo motivo di ricorso violazione degli artt. 1218, 2236 e 1223 c.comma in relazione all' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 3-il ricorrente lamenta che l'impugnata sentenza ha erroneamente ritenuto di imputare al professionista l'obbligo di sollecitare la cliente perché attivasse la chiamata in giudizio della compagnia di assicurazioni quando, nella sua prospettazione, il legale avrebbe, in primo grado, raggiunto un risultato favorevole, poi ribaltato in appello a causa dell'avvenuta sostituzione del difensore per opera della cliente e delle plurime negligenze del medesimo, tra tutte la mancata nomina di un consulente tecnico di parte nell'ambito del rinnovo della CTU in sostanza il ricorrente lamenta che la corte del merito non ha considerato che l'avvenuta sostituzione del legale e la pessima gestione del grado di appello avessero svolto una efficacia interruttiva del nesso causale tra il presunto inadempimento dell'esponente e l'evento dannoso con il terzo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1227, 1 e 2 comma 2236 c.comma artt. 40 e 41 c.p. , violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.comma , nonché dell' art. 2727-2729 c.comma nullità della sentenza per vizio assoluto di motivazione in violazione dell' art. 111 Cost. 132, 2 co. n. 4 c.p.comma 118 disp. att. c.p.comma il ricorrente lamenta che la impugnata sentenza ha omesso di considerare che, essendovi una indubbia responsabilità della casa di cura per non aver provveduto alla denuncia tempestiva del sinistro, tale omissione avesse svolto un ruolo causale autonomo nella produzione del danno, non potendo ritenersi prevedibile, da parte del legale, che la casa di cura, in una vicenda tanto delicata quale quella esitata nella condanna al risarcimento del danno, potesse aver omesso di denunciare il sinistro all'assicurazione ad avviso del legale proprio la certezza che l'assicurata avesse attivato la polizza lo aveva posto nella condizione di difendere la cliente nella convinzione che, ove lo stesso giudizio avesse avuto un esito negativo, in ogni caso l'assicurata avrebbe potuto avvalersi della polizza, almeno nei limiti del massimale conseguentemente la condotta della casa di cura era da ritenersi fattore causale esclusivo nella produzione del danno, in base ai principi generali, ovvero, in via subordinata, quanto meno fattore concorrente, ai sensi dell' art. 1227 c.comma con il quarto motivo di ricorso violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1915 c.comma nonché dell' art. 112 c.p.comma nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione il ricorrente lamenta l'omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale il legale aveva contestato la tesi del giudice di primo grado secondo cui, qualora la domanda di manleva nei confronti dell'assicuratore fosse stata svolta, la stessa sarebbe stata accolta con una percentuale del 100% la corte d'appello non avrebbe considerato che, a causa della mancata attivazione della polizza da parte della cliente, ai sensi dell' art. 1915 c.comma , l'indennizzo avrebbe subito in ogni caso una sensibile riduzione il ricorso è da rigettare. Dirimente, rispetto alla qualificazione della fattispecie, è l'avvenuta stipula, tra il legale e la casa di cura assistita, di una convenzione in data 17/6/1997, in base alla quale il legale era incaricato di gestire tutta l'attività stragiudiziale, di consulenza e assistenza e quella giudiziale in cui la casa di cura sarebbe stata coinvolta. Che la causa oggetto del presente contenzioso rientrasse nell'oggetto della convenzione è prova la dichiarazione dello stesso legale, trasfusa nella relazione redatta sullo stato e andamento dei procedimenti giudiziari affidatigli, prodotta in giudizio dalla casa di cura, nella quale è citato anche il giudizio dal quale è scaturito il presente contenzioso. Come correttamente ritenuto dalla impugnata sentenza, a fronte del rapporto continuativo a titolo oneroso intercorso tra la clinica ed il professionista, cui era stata affidata anche la gestione del contenzioso in materia di responsabilità medico-sanitaria, appare del tutto inverosimile sostenere che fosse la cliente e non il professionista, come sostenuto dal ricorrente, a dettare la condotta processuale da seguire nei giudizi affidati al legale e, men che mai di valutare l'opportunità di evocare in giudizio la compagnia di assicurazioni. Ne consegue che, ricevuta dal cliente la notifica della citazione introduttiva del giudizio, il legale all'atto della predisposizione della memoria di costituzione, non necessitava di alcuna istruzione per chiamare in garanzia la compagnia di assicurazioni essendo a ciò sufficiente la procura alle liti conferitagli in base al principio secondo cui al difensore è attribuito il potere di esperire tutte le iniziative atte a tutelare l'interesse del proprio assistito, ivi inclusa la chiamata del terzo in garanzia impropria Cass., S.U. n. 4909 del 14/3/2016 Cass., 3, n. 20898 del 22/8/2018 peraltro la sentenza è corretta anche nella parte in cui formula una ipotesi subordinata, secondo cui, anche a voler ritenere che non fosse onere del legale denunciare all'assicurazione la pendenza della lite, il professionista era comunque tenuto a fornire la prova di aver comunicato e informato la casa di cura circa la necessità di chiamare in giudizio la compagnia sulla base del dovere di diligenza quale configurato dalla giurisprudenza di questa Corte. Infatti nell'ambito del dovere di diligenza rientrano i doveri di informazione, di sollecitazione e di dissuasione ai quali il professionista deve adempiere, così all'atto dell'assunzione dell'incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando innanzitutto al cliente le questioni riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o produttive di un rischio di conseguenze negative o dannose, invitandolo a comunicare o a fornire elementi utili alla soluzione positiva delle questioni ex multiis, Cass., 2 , n. 16023 del 14/11/2002 Cass., 2, n. 14597 del 30/7/2004 Cass., 3 , n. 8494 del 6/5/2020 spetta al professionista, se vi è contestazione sui limiti dell'incarico conferito, l'onere di dimostrare i termini dell'accordo raggiunto con il cliente e l'attività consultiva svolta in favore dello stesso, onere al quale il legale, nel caso di specie, non ha correttamente adempiuto infine corretta e conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di diligenza professionale media esigibile dal professionista è la impugnata sentenza nella parte in cui afferma che la condotta omissiva del legale deve essere valutata alla luce di un giudizio controfattuale secondo cui, senza l'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito sulla base di criteri probabilistici La responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell' art. 1176, comma 2, c.comma , da commisurare alla natura dell'attività esercitata. Inoltre, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente nella specie, del giudizio di appello , il danno derivante da eventuali sue omissioni nella specie, redazione e notifica di un atto d'appello privo dell'indispensabile indicazione della data di udienza di comparizione in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici Cass., 2, n. 6967 del 27/3/2006 Cass., 3, n. 25234 del 14/12/2010 da quanto esposto consegue il rigetto del ricorso non occorre provvedere sulle spese perché la parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuta. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.