Per la prova dello stalking non serve il certificato medico

In tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.

Lo ha ribadito la quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36994, depositata in cancelleria l'8 settembre 2023. La vicenda Nel caso di specie, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado ha i assolto l'imputato dal delitto di atti persecutori nei confronti della moglie e dei due figli per insussistenza del fatto, revocando le statuizioni civili disposte nei loro confronti e ii confermato il giudizio di condanna del medesimo imputato per il reato di atti persecutori nei confronti di A., altra persona offesa, riducendo la pena ad anni due di reclusione. Secondo il capo d'imputazione, l'imputato con condotte reiterate, consistenti nel ricorso sistematico e strumentale a incessanti e infondate azioni giudiziarie proposte sia in sede civilistica che penalistica nei confronti delle quattro persone sopra menzionate, arrecava molestia alle stesse, costringendole a modificare le loro abitudini di vita, esponendole a continue spese processuali e a gravi ricadute sul piano dell'immagine personale e professionale. Avverso la sentenza, sono stati proposti cinque ricorsi, rispettivamente da parte del Procuratore generale della Corte d'appello di Milano, da tre parti civili e dallo stesso imputato. La tesi del procuratore Generale Il ricorso del Procuratore generale della Corte d'appello di Milano si articola in tre motivi. Nel primo motivo il Procuratore ha dedotto vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale assolto al dovere di confutare specificamente le ragioni poste a base della sentenza di primo grado la Corte d'appello avrebbe immotivatamente ritenuto che l'evento del reato si fosse realizzato nei soli confronti di A., trascurando così le conseguenze della condotta dell'imputato sullo stato psichico della moglie e dei figli, costrette a cambiare abitudini di vita. Nel secondo motivo ha eccepito vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 612- bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'evento richiesto dall'art. 612- bis c.p. debba essere provato da una certificazione sanitaria che attesti il turbamento psicologico della persona offesa dalla condotta persecutoria la Corte d'appello avrebbe dunque contraddetto la consolidata giurisprudenza che, ai fini della prova dell'evento richiesto dalla fattispecie incriminatrice, ritiene sufficiente la ricorrenza di elementi sintomatici del turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della persona offesa o dalla condotta stessa dell'agente, considerata l'astratta idoneità della natura di tale condotta a causare l'evento. Nel terzo motivo , il Procuratore Generale ha dedotto vizio di motivazione, per intrinseca contraddittorietà della stessa. La Corte d'appello, infatti, da un lato non avrebbe posto in dubbio la responsabilità dell'imputato per l'ascritto reato nei confronti di A, ritenendo integrato l'elemento oggettivo del reato dalla molteplicità delle azioni giudiziarie intraprese dall'imputato e, dall'altra, non avrebbe ritenuto il reato consumato nei confronti delle altre persone offese. I ricorsi delle parti civili Il ricorso proposto da uno dei figli, tra i vari motivi, ha dedotto, similmente al Procuratore Generale, vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 612- bis c.p. per avere la Corte escluso la sussistenza della prova dell'evento in base all'assenza di certificazione medica attestante una malattia. Il ricorso presentato nell'interesse dell'altro figlio ha dedotto innanzitutto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della prova dell'evento del danno, non avendo la Corte territoriale indicato quali elementi di prova orale o documentale siano stati valorizzati ai fini della decisione, né quali specifici passaggi dell' iter motivazionale della sentenza di primo grado siano stati disattesi. Con il ricorso proposto nell'interesse della moglie dell'imputato si è eccepito vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte d'appello erroneamente escluso il verificarsi dell'evento, a dispetto del fatto che lo stato d'ansia e il cambiamento di abitudini di vita siano stati comprovati dalle dichiarazioni della ricorrente, e confermati da parte di altri numerosi testi. L'appello dell'imputato L'imputato ha proposto appello con un ricorso articolato in quattro motivi, tra cui la violazione del principio del ne bis in idem sulla base dell'identità del fatto storico a fondamento del procedimento disciplinare, conclusosi con la sanzione della sospensione dall'attività forense inflitta all'imputato nel 2014 dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, col fatto oggetto del procedimento penale in corso. La decisione della Corte di Cassazione la motivazione del giudice d'appello e l'evento di danno nel reato di atti persecutori La Corte di Cassazione ha esaminato congiuntamente i motivi di ricorso presentati dal Procuratore Generale ritenendoli fondati. La Suprema Corte ha innanzitutto ricordato che le Sezioni Unite da tempo hanno affermato che, nel caso in cui riformi totalmente la decisione di primo grado, il Giudice d'appello ha l'obbligo di approntare una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte Cass. 33748/2005 , Mannino, Rv. 231679 Cass. n. 6682 del 04/02/1992 , Musumeci, Rv. 191229 Cass. n. 14800 del 21/12/2017 , dep. 2018, Troise, Rv. 272430 - 01 . In particolare, assolvere l'obbligo di motivazione in questi casi significa i dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, completa del provvedimento impugnato ii spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro cognitivo devoluto, perché non si è condiviso il decisum iii chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico, probatorio, giuridico - la nuova decisione assunta. Nel caso di specie, il Supremo Collegio ritiene che la Corte territoriale non avrebbe adempiuto all'obbligo di motivare in maniera particolarmente stringente la difformità delle proprie conclusioni. Tale circostanza risulta evidente nel punto in cui la mancata prova dell'evento del reato , nei confronti della moglie dell'imputato e dei figli è legata a filo doppio con la mancata diagnosi medica certificante, in questi ultimi, una patologia consimile a quella diagnosticata per l'ulteriore parte civile. Il fatto che soltanto A fosse in cura presso uno psichiatra, e che gli fosse stato diagnosticato un disturbo ansioso depressivo, non implica che gli altri membri della famiglia non abbiano subito, nel corso di molti anni, i contraccolpi derivanti dalla strategia di accanimento processuale dell'imputato, che si è tradotta nel reato di atti persecutori e che sono riconducibili ad uno degli eventi di danno descritti dalla fattispecie incriminatrice. La prova dell'evento in relazione allo stalking Come ha rilevato la Cassazione, l'assunto da cui muove la Corte d'appello è in netto contrasto con la consolidata giurisprudenza secondo cui in tema di atti persecutori , la prova dell'evento del delitto , in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Cass. n. 17795/2017, S. , Rv. 269621 - 01, ex plurimis . A tal proposito, come ha osservato la Corte, deve anche ribadirsi che l'art. 612- bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme - ed è configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, in quanto l' art. 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione. Nel caso di specie lo stillicidio di azioni giudiziarie risulta idoneo ad alterare, anche in termini gravi, la serenità dei destinatari, per effetto del grave stato di ansia che possono provocare, integrando così l'evento di danno. La dimostrazione dell'evento di danno va correlata, secondo la giurisprudenza, anche alle modalità della condotta e, nel caso di specie, è emersa una strategia di accanimento giudiziale portata avanti dall'imputato. Per tali ragioni risulta evidente un'errata interpretazione dell'art. 612- bis da parte della Corte territoriale. Ne bis in idem I motivi di ricorso proposti dall'imputato sono stati ritenuti tutti infondati. In particolare vale la pena sottolineare che secondo la consolidata giurisprudenza non integra una violazione del principio del ne bis in idem l'irrogazione, per il medesimo fatto oggetto di sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per qualificazione giuridica, natura e grado di severità non può essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data dalla sentenza emessa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande Stevens contro Italia del 4 marzo 2014 ex plurimis , v. Cass. n. 1645/2019 , dep. 2020, Montella, Rv. 278099 - 01 . La decisione della Suprema Corte La Suprema Corte ha dunque annullato la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni assolutorie e ha rinviato per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Presidente Miccoli – Relatore Bifulco Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Novara in composizione monocratica, emessa in data 24/06/2021 - che aveva condannato a pena di giustizia M.Z.L.A. e V.A.E.A. per il reato di cui agli artt. 110,624 c.p., art. 625 c.p. , nn. 4 e 7, in Omissis , esclusa la circostanza aggravante di cui all' art. 625 c.p. , n. 4, con la recidiva ex art. 99 c.p., comma 2, a carico del solo M.Z. rideterminava la pena nei confronti degli imputati. 2. In data 01/02/2023 M.Z.L.A. e V.A.E.A. ricorrono, a mezzo del difensore di fiducia avv.to Quattri Eva, deducendo, rispettivamente, due motivi per il primo imputato e tre motivi peer il secondo, di seguito enunciati nei limiti di cui all' art. 173 disp. att. c.p.p. , comma 1 Ricorso di V.A.E.A. 2.1 inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento all' art. 195 c.p.p. , comma 5, vizio di motivazione, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , lett. c ed e , in quanto le dichiarazioni del teste di P.G. M., quanto all'attribuzione all'imputato dell'utenza telefonica Omissis , sono inutilizzabili, poiché tale informazione era stata acquisita nel corso dell'accesso della P.G. presso l'abitazione della madre dell'imputato per effettuare le notifiche del presente procedimento penale e non di altro procedimento, come ritenuto erroneamente dalla Corte territoriale, con un vero e proprio travisamento della prova nel caso di specie, quindi, avrebbe dovuto essere applicato il disposto di cui all' art. 195 c.p.p. , comma 5, posto che nella stessa data in cui gli operanti si erano recati a casa della madre del ricorrente, quest'ultimo ed il coimputato erano stati individuati come i titolari dei due veicoli coinvolti nel fatto la circostanza della titolarità dell'utenza, insieme a quella di uno dei due furgoni utilizzati, rende dirimente l'accertamento svolto sull'aggancio delle celle telefoniche 2.2 vizio di motivazione, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , lett. e , in quanto la deposizione del teste di P.G. M. rientra, senza dubbio, nell'alveo della testimonianza indiretta, ai sensi dell' art. 195 c.p.p. , commi 1 e 2 ed il teste di riferimento Z.M. non ha reso dichiarazioni convergenti con quelle dell'operante, senza alcun corredo argomentativo, da parte della Corte territoriale, circa la scelta di privilegiare la credibilità del teste di P.G. in ogni caso, con i motivi di appello, si era rilevato come l'aggancio della cella telefonica all'interno della quale si trovava il luogo interessato dal furto, alle ore 12,50, non si conciliasse con gli orari delle rilevazioni delle telecamere di sorveglianza dell'outlet e del casello autostradale, che individuavano il transito dei furgoni alle ore 12,29 al casello di Omissis in arrivo e, poi, in uscita verso Omissis dopo quindici o venti minuti la motivazione offerta dalla sentenza sul punto, basata sul disallineamento delle immagini delle telecamere con l'orario effettivo in cui erano state riprese, non considera che l'orario rilevato dalle telecamere dell'outlet risulta perfettamente compatibile con quello degli accessi autostradali, come rilevato in sede di gravame la motivazione della Corte sul punto e', quindi, del tutto monca, posti che le immagini riprese all'interno dell'outlet non avevano consentito di individuare negli imputati gli autori del furto 2.3 violazione di legge, in riferimento all' art. 625 c.p. , n. 7, e vizio di motivazione, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , lett. b ed e , in quanto, nonostante la mancanza di motivazione del primo giudice, con l'appello si era sottolineato come la merce fosse rimasta incustodita nella zona di carico e scarico per circa novanta minuti, alla luce delle deposizioni dei testi, dovendosi ritenere che i beni non fossero esposti né per necessità né per consuetudine alla pubblica fede, posto che la prassi adottata all'interno dell'esercizio commerciale certamente non poteva essere considerata una situazione determinata da impellenti ed indifferibili esigenze, alla luce dei criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità, oltre che delle circostanze di fatto evidenziate dalla difesa, che rendevano evidente come l'esposizione alla pubblica fede fosse dipesa da trascuratezza, dimenticanza o comodità. 3. Ricorso nell'interesse di M.Z.L.A. 3.1 vizio di motivazione, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , lett. e , in riferimento all'atto di appello, laddove, anzitutto, si ripercorre il contenuto del secondo motivo del ricorso del coimputato e, inoltre, si contesta l'attribuzione all'imputato della titolarità del veicolo Renault Master, derivante dalle dichiarazioni di C.N., acquisite ex art. 603 c.p.p. , comma 3 quale teste di riferimento del teste di P.G. M., come tali inutilizzabili ex art. 195 c.p.p. , comma 4 la lettura delle dichiarazioni del C., in seguito al decesso dello stesso, avrebbe dovuto essere assistita con le adeguate garanzie procedurali richieste dalla giurisprudenza di legittimità e sovranazionale, ossia dalle deposizioni dell'intestatario formale del veicolo e della firmataria delle cambiali, elementi del tutto omessi e su cui risulta altresì carente la motivazione, essendo stata, inoltre, irragionevolmente revocata la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale 3.2 violazione di legge, in riferimento all' art. 625 c.p. , n. 7, e vizio di motivazione, ai sensi dell' art. 606 c.p.p. , lett. b ed e , in quanto, nonostante la mancanza di motivazione del primo giudice, con l'appello si era sottolineato come la merce fosse rimasta incustodita nella zona di carico e scarico per circa novanta minuti, alla luce delle deposizioni dei testi, dovendosi ritenere che i beni non fossero esposti né per necessità né per consuetudine alla pubblica fede, posto che la prassi adottata all'interno dell'esercizio commerciale certamente non poteva essere considerata una situazione determinata da impellenti ed indifferibili esigenze, alla luce dei criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità, oltre che delle circostanze di fatto evidenziate dalla difesa, che rendevano evidente come l'esposizione alla pubblica fede fosse dipesa da trascuratezza, dimenticanza o comodità. 4. In data 12/06/2023 la difesa ha trasmesso a mezzo pec conclusioni scritte con cui ha eccepito, preliminarmente, l'esistenza di una causa di improcedibilità in relazione alla mancata presentazione di querela, alla luce delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022 , richiamandosi, nel resto ai motivi di ricorso. Considerato in diritto I ricorsi di entrambi gli imputati vanno dichiarati inammissibili. 1. Va preliminarmente specificato che - come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, oltre che da quella di primo grado - il primo giudice aveva ritenuto gli imputati responsabili del delitto di furto in concorso con ignoti, qualificando la condotta aggravata ai sensi dell' art. 625 c.p. , n. 4, nonché per essere stato il fatto commesso da tre o più persone la circostanza aggravante della destrezza, come detto, è stata poi esclusa dalla Corte di merito. La circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, di cui all' art. 625 c.p. , n. 7, quindi, non risulta fosse stata neanche contestata, come emerge anche dalla lettura della formulazione del capo di imputazione che, come detto, pur indicando la circostanza aggravante di cui all' art. 625 c.p. , n. 7, nella descrizione della condotta aveva espressamente richiamato la circostanza aggravante della destrezza e dell'essere stato il fatto commesso da tre o più persone ne discende che nessuna contestazione dell'esposizione alla pubblica fede risulta dalla formulazione del capo di imputazione e che, evidentemente, l'indicazione della circostanza aggravante di cui all' art. 626 c.p. , n. 7, invece che di quella di cui all' art. 625 c.p. , n. 5, risulta il frutto di un errore materiale. Peraltro, la stessa sentenza di primo grado non contiene alcuna argomentazione riferibile alla esposizione alla pubblica fede, sicché non può neanche ritenersi che la contestazione della relativa circostanza aggravante fosse stata ritenuta in fatto dal primo giudice il motivo di appello sul punto, quindi, risultava una mera superfetazione, così come la motivazione della Corte di merito che - senza rendersi conto della carenza di contestazione - ha fornito una motivazione del tutto irrilevante, posto che nessuna condanna risulta intervenuta in primo grado in relazione alla fattispecie di furto circostanziato ai sensi dell' art. 625 c.p. , n. 7, né, sul punto, vi era stata alcuna impugnazione da parte della pubblica accusa, né, infine, alcuna aumento di pena era stato inflitto. Il primo giudice, infatti, ritenute le circostanze aggravanti della destrezza e dell'essere stato il fatto commesso da più di tre persone e, per il solo M.Z. anche la recidiva qualificata, concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle predette aggravanti, aveva condannato quest'ultimo alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 400,00 di multa ed il V.A., invece, alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 300,00 di multa. La Corte di merito, previa esclusione della circostanza aggravante della destrezza e confermando il giudizio di equivalenza, ha poi ridotto la pena, rispettivamente, a mesi undici di reclusione ed Euro 350,00 di multa ed a mesi otto di reclusione ed Euro 250,00 di multa. 2. Quanto al primo motivo di ricorso formulato nell'interesse di V.A.E.A., la Corte di merito ha ricordato che il coinvolgimento dell'imputato nella vicenda era dimostrata dalla visione delle telecamere di videosorveglianza dell'outlet di Omissis e da quelle del casello autostradale di uscita Omissis , da cui emergeva che il Ford Transit targato Omissis , nella disponibilità del ricorrente, si trovava sul luogo del furto al momento della commissione dello stesso. Inoltre, aggiunge la sentenza impugnata, dalla verifica dei tabulati dell'utenza telefonica in uso al ricorrente risultava la presenza dell'imputato nel luogo del furto ed in orario compatibile con lo stesso, considerato l'aggancio di tale utenza con quella in uso al coimputato. La circostanza che la notizia circa la disponibilità, da parte del V.A., dell'utenza telefonica poi verificata nel corso delle indagini, fosse stata fornita alla Polizia Giudiziaria dalla madre del predetto, non rende affatto la circostanza inutilizzabile, posto che tale informazione non era stata fornita dalla madre dell'imputato nel corso di un verbale di sommarie informazioni testimoniali, ma era stata comunicata agli esponenti della Polizia giudiziaria che si erano recati per eseguire delle notifiche presso il domicilio dell'imputato, ossia nel corso di attività amministrativa ed al di fuori di un contesto procedimentale Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio e altro, Rv. 225469 Sez. 4, n. 16830 del 10/02/2021, Weerasinghe Ajantha Kumar, Rv. 281073 Sez. F, n. 38560 del 26/08/2014, Cacciola ed altri, Rv. 261470 Sez. 1, n. 5965 del 11/12/2008, dep. 11/02/2009, Manco, Rv. 243347 Sez. 5, n. 10946 del 08/02/2005, Pagliuca ed altro, Rv. 231224 . Nel caso di specie, evidentemente, l'attività di notificazione di atti di Polizia giudiziaria, indipendentemente dal fatto che riguardasse il processo scaturente dalla presente vicenda o diverso procedimento penale - circostanza del tutto ininfluente - collocava sia l'esponente di P.G. che la madre del ricorrente al di fuori di un contesto procedimentale in senso stretto, ossia in un contesto che rendeva obbligatoria la verbalizzazione della deposizione, ai sensi degli artt. 136 e 357 c.p.p. , per cui non risulta in alcun modo conferente il richiamo alla dedotta inutilizzabilità. 2.1 Quanto alla valutazione di attendibilità del teste di P.G. le argomentazioni difensive risultano versate in fatto e, in ogni caso, non corrispondenti al alcuna doglianza formulata in sede di ricorso, fermo restando che, alla luce della giurisprudenza di legittimità appena richiamata, ci si trova al di fuori dell'ambito di applicabilità della testimonianza indiretta, posto che la notizia appresa dalla madre del ricorrente deve essere qualificata come un fatto storico percepito dal teste. In ogni caso la doglianza difensiva - che, si ripete, sul punto risulta del tutto inedita - si fonda sulla affermata diversità della versione resa dalla madre dell'imputato, circostanza che non emerge dal tessuto motivazionale della sentenza e che la difesa si limita ad asserire senza documentarla in maniera adeguata. Anche nel resto, le ulteriori argomentazioni contenute nel secondo motivo di ricorso risultano del tutto versate in fatto, in quanto palesemente volte ad una rivalutazione del contesto probatorio quanto al ragionamento seguito dalla Corte di merito in riferimento alla ritenuta non perfetta sincronizzazione delle immagini dei sistemi di videosorveglianza con gli orari effettivi peraltro, sul punto, la Corte di merito ha ritenuto dirimente il rilievo che, a prescindere dalla questione degli orari, la presenza dei furgoni nella disponibilità degli imputati risulta ripresa indiscutibilmente sul luogo del furto, durante la commissione dello stesso pag. 6 della motivazione . 3. Venendo all'esame della doglianza relativa al solo M.Z., la Corte di merito ha ricordato come, in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, fossero state acquisite le dichiarazioni di C.N., soggetto nelle more deceduto per cause del tutto imprevedibili tali dichiarazioni avevano consentito di individuare nel ricorrente colui il quale aveva la disponibilità del furgone Renault Master targato Omissis , presente nel luogo del furto ed utilizzato dallo stesso imputato per un altro furto, nel corso del quale egli era stato tratto in arresto in tale occasione, inoltre, l'imputato era stato trovato in possesso di una scheda telefonica, intestata ad un cittadino nordafricano, che era risultata in contatto con la scheda nella disponibilità del coimputato ed aveva agganciato la cella relativa al luogo di consumazione del furto. In ogni caso, va ricordato che la Corte di merito non solo ha analiticamente descritto le specifiche circostanze riferite dal C. in merito alla vicenda relativa all'acquisizione del furgone ed alla sua intestazione, ma ha anche acquisito e valutato la documentazione cui il teste aveva fatto riferimento nel descrivere, per l'appunto, le circostanze dell'intestazione. In tal senso, quindi, le doglianze contenute in ricorso finiscono per non confrontarsi con le argomentazioni della sentenza impugnata, anche nella misura in cui la stessa ha considerato che nessuno dei due imputati abbia mai negato la disponibilità dei furgoni le cui targhe erano state rilevate sul luogo del furto, e, quindi, utilizzati per la commissione della condotta delittuosa. 4. Quanto, infine, alla questione della improcedibilità del reato, va osservato che il motivo è radicalmente inammissibile, dato che esso risulta dedotto per la prima volta con le conclusioni scritte trasmesse a mezzo pec in data 12/06/2023 in tal senso va osservato che il ricorso per cassazione risulta proposto in data 01/02/2023, epoca in cui era già operativo il mutato regime della procedibilità della fattispecie di furto, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 . Ne discende, pertanto, che la questione avrebbe potuto - e dovuto - essere proposta con il ricorso principale, risultando, quindi, il motivo nuovo del tutto inammissibile in quanto inedito in ogni caso, anche a prescindere da tale aspetto, non pugno rilevarsi come l'inammissibilità del ricorso principale non possa non riverberare anche sui motivi nuovi Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto Erasmo, Rv. 277850 Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 06/03/2019, Montante Antonio Calogero, Rv. 275158 . Dall'inammissibilità dei ricorsi discende, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.