Per la prova dello stalking non serve il certificato medico

In tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.

Lo ha ribadito la quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36994, depositata in cancelleria l'8 settembre 2023. La vicenda Nel caso di specie, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado ha i assolto l'imputato dal delitto di atti persecutori nei confronti della moglie e dei due figli per insussistenza del fatto, revocando le statuizioni civili disposte nei loro confronti e ii confermato il giudizio di condanna del medesimo imputato per il reato di atti persecutori nei confronti di A., altra persona offesa, riducendo la pena ad anni due di reclusione. Secondo il capo d'imputazione, l'imputato con condotte reiterate, consistenti nel ricorso sistematico e strumentale a incessanti e infondate azioni giudiziarie proposte sia in sede civilistica che penalistica nei confronti delle quattro persone sopra menzionate, arrecava molestia alle stesse, costringendole a modificare le loro abitudini di vita, esponendole a continue spese processuali e a gravi ricadute sul piano dell'immagine personale e professionale. Avverso la sentenza, sono stati proposti cinque ricorsi, rispettivamente da parte del Procuratore generale della Corte d'appello di Milano, da tre parti civili e dallo stesso imputato. La tesi del procuratore Generale Il ricorso del Procuratore generale della Corte d'appello di Milano si articola in tre motivi. Nel primo motivo il Procuratore ha dedotto vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale assolto al dovere di confutare specificamente le ragioni poste a base della sentenza di primo grado la Corte d'appello avrebbe immotivatamente ritenuto che l'evento del reato si fosse realizzato nei soli confronti di A., trascurando così le conseguenze della condotta dell'imputato sullo stato psichico della moglie e dei figli, costrette a cambiare abitudini di vita. Nel secondo motivo ha eccepito vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 612- bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'evento richiesto dall'art. 612- bis c.p. debba essere provato da una certificazione sanitaria che attesti il turbamento psicologico della persona offesa dalla condotta persecutoria la Corte d'appello avrebbe dunque contraddetto la consolidata giurisprudenza che, ai fini della prova dell'evento richiesto dalla fattispecie incriminatrice, ritiene sufficiente la ricorrenza di elementi sintomatici del turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della persona offesa o dalla condotta stessa dell'agente, considerata l'astratta idoneità della natura di tale condotta a causare l'evento. Nel terzo motivo , il Procuratore Generale ha dedotto vizio di motivazione, per intrinseca contraddittorietà della stessa. La Corte d'appello, infatti, da un lato non avrebbe posto in dubbio la responsabilità dell'imputato per l'ascritto reato nei confronti di A, ritenendo integrato l'elemento oggettivo del reato dalla molteplicità delle azioni giudiziarie intraprese dall'imputato e, dall'altra, non avrebbe ritenuto il reato consumato nei confronti delle altre persone offese. I ricorsi delle parti civili Il ricorso proposto da uno dei figli, tra i vari motivi, ha dedotto, similmente al Procuratore Generale, vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 612- bis c.p. per avere la Corte escluso la sussistenza della prova dell'evento in base all'assenza di certificazione medica attestante una malattia. Il ricorso presentato nell'interesse dell'altro figlio ha dedotto innanzitutto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della prova dell'evento del danno, non avendo la Corte territoriale indicato quali elementi di prova orale o documentale siano stati valorizzati ai fini della decisione, né quali specifici passaggi dell' iter motivazionale della sentenza di primo grado siano stati disattesi. Con il ricorso proposto nell'interesse della moglie dell'imputato si è eccepito vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte d'appello erroneamente escluso il verificarsi dell'evento, a dispetto del fatto che lo stato d'ansia e il cambiamento di abitudini di vita siano stati comprovati dalle dichiarazioni della ricorrente, e confermati da parte di altri numerosi testi. L'appello dell'imputato L'imputato ha proposto appello con un ricorso articolato in quattro motivi, tra cui la violazione del principio del ne bis in idem sulla base dell'identità del fatto storico a fondamento del procedimento disciplinare, conclusosi con la sanzione della sospensione dall'attività forense inflitta all'imputato nel 2014 dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, col fatto oggetto del procedimento penale in corso. La decisione della Corte di Cassazione la motivazione del giudice d'appello e l'evento di danno nel reato di atti persecutori La Corte di Cassazione ha esaminato congiuntamente i motivi di ricorso presentati dal Procuratore Generale ritenendoli fondati. La Suprema Corte ha innanzitutto ricordato che le Sezioni Unite da tempo hanno affermato che, nel caso in cui riformi totalmente la decisione di primo grado, il Giudice d'appello ha l'obbligo di approntare una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte Cass. 33748/2005 , Mannino, Rv. 231679 Cass. n. 6682 del 04/02/1992 , Musumeci, Rv. 191229 Cass. n. 14800 del 21/12/2017 , dep. 2018, Troise, Rv. 272430 - 01 . In particolare, assolvere l'obbligo di motivazione in questi casi significa i dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, completa del provvedimento impugnato ii spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro cognitivo devoluto, perché non si è condiviso il decisum iii chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico, probatorio, giuridico - la nuova decisione assunta. Nel caso di specie, il Supremo Collegio ritiene che la Corte territoriale non avrebbe adempiuto all'obbligo di motivare in maniera particolarmente stringente la difformità delle proprie conclusioni. Tale circostanza risulta evidente nel punto in cui la mancata prova dell'evento del reato , nei confronti della moglie dell'imputato e dei figli è legata a filo doppio con la mancata diagnosi medica certificante, in questi ultimi, una patologia consimile a quella diagnosticata per l'ulteriore parte civile. Il fatto che soltanto A fosse in cura presso uno psichiatra, e che gli fosse stato diagnosticato un disturbo ansioso depressivo, non implica che gli altri membri della famiglia non abbiano subito, nel corso di molti anni, i contraccolpi derivanti dalla strategia di accanimento processuale dell'imputato, che si è tradotta nel reato di atti persecutori e che sono riconducibili ad uno degli eventi di danno descritti dalla fattispecie incriminatrice. La prova dell'evento in relazione allo stalking Come ha rilevato la Cassazione, l'assunto da cui muove la Corte d'appello è in netto contrasto con la consolidata giurisprudenza secondo cui in tema di atti persecutori , la prova dell'evento del delitto , in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Cass. n. 17795/2017, S. , Rv. 269621 - 01, ex plurimis . A tal proposito, come ha osservato la Corte, deve anche ribadirsi che l'art. 612- bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme - ed è configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, in quanto l' art. 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione. Nel caso di specie lo stillicidio di azioni giudiziarie risulta idoneo ad alterare, anche in termini gravi, la serenità dei destinatari, per effetto del grave stato di ansia che possono provocare, integrando così l'evento di danno. La dimostrazione dell'evento di danno va correlata, secondo la giurisprudenza, anche alle modalità della condotta e, nel caso di specie, è emersa una strategia di accanimento giudiziale portata avanti dall'imputato. Per tali ragioni risulta evidente un'errata interpretazione dell'art. 612- bis da parte della Corte territoriale. Ne bis in idem I motivi di ricorso proposti dall'imputato sono stati ritenuti tutti infondati. In particolare vale la pena sottolineare che secondo la consolidata giurisprudenza non integra una violazione del principio del ne bis in idem l'irrogazione, per il medesimo fatto oggetto di sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per qualificazione giuridica, natura e grado di severità non può essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data dalla sentenza emessa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande Stevens contro Italia del 4 marzo 2014 ex plurimis , v. Cass. n. 1645/2019 , dep. 2020, Montella, Rv. 278099 - 01 . La decisione della Suprema Corte La Suprema Corte ha dunque annullato la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni assolutorie e ha rinviato per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Presidente Miccoli Relatore Bifulco Il testo integrale della sentenza sarà disponibile a breve.