Il giudice dell’appello deve valutare sia l’an debeatur che il quantum

Poiché l'appello è un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte anche sommariamente le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione.

Il Fallimento di una S.p.a. che aveva fatto parte di un'associazione temporanea di imprese a cui il Comune aveva affidato la costruzione di alcuni parcheggi sotterranei e relativi collegamenti conveniva in giudizio l'ente committente chiedendone la condanna al pagamento di quanto dovuto per alcune riserve iscritte nella relazione finale di collaudo. La domanda veniva accolta parzialmente dal Tribunale, decisione confermata poi anche in seconde cure. La vicenda è dunque approdata dinanzi alla Corte di legittimità. Il ricorso del Comune risulta parzialmente fondato nella parte in cui lamenta che la decisione impugnata, nel confermare l' an debeatur , non era esonerata dal valutare le contestazioni sul quantum . Viene lamentata anche la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 342 c.p.c., 1194 c.c. e 35 d.P.R. n. 1063/1962. La giurisprudenza afferma infatti che gli artt. 342 c.p.c. e 434 c.p.c . vanno interpretati nel senso che l'impugnazione debba contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata Cass. civ. SS.UU. n. 36481/2022 , Cass. civ. SS.UU. n. 27199/2017 . In questa prospettiva, poiché l'appello è un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi - previsto dall' art. 342, comma 1, c.p.c. - prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte anche sommariamente , le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell'impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure . Applicando tali principi al caso in esame, appare evidente la contraddittorietà della sentenza impugnata e la mancanza di specifica statuizione sui motivi di appello sollevati dal Comune. La sentenza impugnata merita dunque l'annullamento con rinvio alla Corte territoriale.

Presidente Mercolino – Relatore Pazzi Rilevato che 1. Il fallimento di omissis s.p.a., società che aveva fatto parte di un'associazione temporanea di imprese a cui il Comune di […] aveva affidato la costruzione, in regime di concessione, di parcheggi pubblici sotterranei e di sottopassaggi di collegamento, conveniva in giudizio l'amministrazione committente chiedendone la condanna, per la quota parte di pertinenza della fallita scioltasi dal rapporto di mandato , al pagamento di quanto dovuto per alcune riserve iscritte nella relazione finale di collaudo. In particolare, con la seconda riserva era stato richiesto il risarcimento dei danni per i maggiori oneri sopportati in conseguenza della mancata prestazione da parte del Comune di una garanzia che avrebbe consentito all'A.T.I. di conseguire prontamente un mutuo di L. 9.585.000, finanziamento che l'appaltatrice aveva ottenuto il 6 dicembre 1990 ma che era stato erogato solo in seguito, quando il Comune, nell'aprile 1998, aveva rilasciato la fideiussione. Con la quinta riserva l'A.T.I. aveva lamentato, oltre al ritardo nel completamento delle operazioni di collaudo, anche il fatto che il Comune non avesse pagato alle scadenze convenute il corrispettivo dovuto per l'esecuzione dei lavori di cui al terzo stralcio, per la parte non finanziata con il mutuo garantito, nonostante la convenzione prevedesse pagamenti per stati di avanzamento mensili. 2. Il Tribunale di L'Aquila, con sentenza n. 823/2015, in parziale accoglimento della domanda, riconosceva - fra l'altro - al fallimento i maggiori oneri per la mancata prestazione, da parte del Comune, della fideiussione promessa a garanzia del mutuo che l'A.T.I. aveva contratto al fine di finanziare i lavori e condannava, di conseguenza, l'amministrazione municipale al pagamento in favore del fallimento del 41% della somma di Euro 1.462.035,09, oltre accessori. Condannava, inoltre, l'amministrazione committente a pagare al fallimento il 41% dell'importo di Euro 1.434.490,90, a titolo di ritardato pagamento degli acconti mensili, oltre interessi moratori. 3. La Corte distrettuale di L'Aquila, a seguito dell'appello presentato dal Comune committente, riteneva - fra l'altro e per quanto qui di interesse - infondata l'impugnazione presentata rispetto a quanto statuito in ordine alla seconda riserva, perché il C.T.U., con una valutazione immune da vizi logici, aveva calcolato i maggiori oneri sostenuti, tenendo conto del tasso passivo medio in concreto pagato dall'appaltatore a questa spesa il consulente aveva aggiunto la quantificazione del mancato utile, in applicazione di un criterio usuale, in materia di appalto di opere pubbliche, per determinare il risarcimento da lucro cessante per l'appaltatore 10% del capitale non disponibile per essere reinvestito . Osservava inoltre, rispetto alla quinta riserva, che non era stata oggetto di specifico motivo di appello la condanna a pagare il 41% della somma di Euro 1.434.490,90, a titolo di mancato pagamento degli acconti mensili, con gli interessi moratori. 4. Il Comune di […] ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di appello, pubblicata in data 30 aprile 2019, prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di omissis s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c. Considerato che 5.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2697 c.c. , 61 e 115 c.p.c., perché la Corte di merito ha ritenuto che la carenza di prova del danno conseguente all'inadempimento del Comune, in relazione all'obbligo di prestare garanzia in favore dell'appaltatore, potesse essere supplita dalle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio che era stata espletata in primo grado. Supplenza, questa, del tutto illegittima, poiché la funzione della consulenza tecnica d'ufficio è quella coadiuvare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze e non quella di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume. 5.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 2697 e 1226 c.c. e 115 c.p.c., perché la Corte di merito ha liquidazione del lucro cessante, derivante dal mancato o ritardato utile, che era stato determinato in via equitativa in misura pari al 10% delle somme che, per supposizione del consulente, l'attore avrebbe destinato al pagamento di interessi. Un simile criterio di liquidazione doveva ritenersi erroneo, perché la liquidazione equitativa del pregiudizio per lucro cessante richiede, comunque, la prova certa della sua reale esistenza. 6. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili. L'odierno ricorrente ha avuto cura di precisare di aver censurato, con l'atto di appello, l'apodittica impostazione della prima sentenza nella liquidazione del danno in discorso, perché la decisione non era fondata su prove documentali, aveva illegittimamente cumulato rivalutazione ed interessi ed aveva erroneamente quantificato il risarcimento facendo implicito riferimento all' art. 345, all. F., della L. n. 2248 del 1865 . A fronte di simili critiche la Corte di merito, ai fini dell'accertamento del danno emergente, ha richiamato a pag. 16 la relazione del C.T.U., che aveva calcolato i maggiori oneri sostenuti determinandoli in base al tasso medio passivo pagato, calcolato facendo la media tra i due mutui, in concreto, stipulati dall'appaltatore . I giudici distrettuali hanno aggiunto alla spesa così quantificata una somma a titolo di oneri per il mancato conseguimento dell'utile pari al 10% del capitale non disponibile per essere reinvestito , onde indennizzare il lucro cessante. I mezzi in esame, pur lamentando che i giudici di merito si siano acquietati avanti alle congetture svolte dal C.T.U., evitando di constatare la mancanza di prova di entrambi i profili di danno liquidati, sono inficiati dalla loro genericità, in violazione del disposto dell' art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. , perché non riportano, trascrivendoli o riassumendoli, i passi salienti della relazione peritale, con la conseguenza che non è possibile individuare con esattezza i criteri seguiti dal consulente per arrivare a una simile quantificazione e le modalità con cui l'indagine è stata espletata. Allo stesso modo non è chiaro neppure se il richiamo all' art. 345 della L. n. 2248 del 1865 , ai fini della liquidazione del lucro cessante, sia stato fatto dal C.T.U. o dall'appellante. L'indicazione di tali criteri era essenziale al fine di verificare se la liquidazione avallata dalla Corte distrettuale fosse avvenuta sulla base delle risultanze della documentazione prodotta o ritualmente acquisita posto che in materia di esame contabile, ai sensi dell' art. 198 c.p.c. , il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni cfr. Cass., Sez. U., 3086/2022 ovvero, come sostiene l'odierno ricorrente, in virtù di congetture o astratti canoni di liquidazione del danno. 7.1 Il terzo motivo di ricorso si duole dell'illegittimo cumulo di rivalutazione monetaria e interessi, effettuato in violazione degli artt. 1224 e 2697 c.c. , 112 e 342 c.p.c. l'appello comunale aveva espressamente lamentato che il tribunale avesse operato due distinti calcoli per il danno emergente e per il lucro cessante e per ognuna delle voci avesse cumulato rivalutazione monetaria e interessi, articolando una censura che la Corte di merito ha omesso totalmente di esaminare. La conferma della decisione impugnata compiuta dalla Corte distrettuale in ordine all'an debeatur non esimeva la stessa dall'esaminare le contestazioni sul quantum debeatur, rispetto all'indebito cumulo di rivalutazione e interessi. 7.2 Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. , 1194 c.c. e 35 D.P.R. n. 1063/1962, nonché il carattere incongruente e illogico della motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte distrettuale ha ritenuto che non fosse stata oggetto di specifico motivo di appello la condanna a pagare il 41% della somma di Euro 1.434.490,90 a titolo di ritardato pagamento degli acconti mensili, con gli interessi moratori, malgrado il Comune avesse espressamente censurato la statuizione di primo grado al fine di ottenere una pronuncia che escludesse l'applicazione degli onerosi interessi moratori già previsti dal tribunale ex art. 35 D.P.R. n. 1063/1962 . 10. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della coincidenza delle questioni sollevate, sono fondati. 10.1 La giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di precisare che gli artt. 342 e 434 c.p.c. vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata Cass., Sez. U., 36481/2022 , Cass., Sez. U., 27199/2017 . In questa prospettiva interpretativa, poiché l'appello è un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi - previsto dall' art. 342, comma 1, c.p.c. - prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell'impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure Cass. 2320/2023 . 10.2 L'amministrazione municipale, nel presentare appello rispetto alla seconda riserva, ha rappresentato a pag. 39 dell'atto di citazione in appello - il cui tenore è riportato testualmente a pag. 18 del ricorso per cassazione -, atto che questa Corte è legittimata a esaminare direttamente, quale giudice del fatto processuale cfr., per tutte, Cass. 16028/2023 che il Tribunale, riconoscendo il risarcimento del danno tanto per i maggiori oneri sostenuti per il mancato rilascio della garanzia fideiussoria, quanto per il mancato conseguimento dell'utile pari al 10% del capitale non disponibile, aveva aggiunto a ciascuna di queste voci di danno interessi e rivalutazione. A proposito di un simile criterio di liquidazione il Comune appellante ha sostenuto a pag. 41 dell'atto di citazione in appello, il cui tenore è riportato testualmente alle pagg. 19 e 20 del ricorso per cassazione che il giudice avrebbe potuto procedere alla liquidazione del danno applicando la rivalutazione solo ed esclusivamente sulla somma riconosciuta a titolo di danno emergente , aggiungendo poi che il giudice potrà, inoltre, procedere alla liquidazione dell'ulteriore componente di danno relativa al lucro cessante sommando all'importo a titolo di danno emergente già rivalutato l'ulteriore importo da determinarsi in via equitativa vuoi con il metodo di applicazione - una tantum - degli interessi c.d. compensativi perché mirano a compensare il ritardo vuoi con altra modalità di liquidazione equitativa rimessa alla mera discrezionalità, senza tuttavia poter applicare una ulteriore, doppia, ingiustificata rivalutazione sul detto lucro . La Corte d'appello, a fronte di questa specifica indicazione del capo e del punto della sentenza impugnata di cui si sollecitava la riforma e della chiara precisazione del contenuto e della portata della relativa censura, che contestava l'erroneo cumulo tra rivalutazione monetaria sulla somma che si assume destinata al pagamento dei prestiti contratti dalla Concessionaria e rivalutazione monetaria che è stata riconosciuta sul lucro cessante v. pagg. 43 e 44 dell'atto di citazione in appello, il cui tenore è riportato testualmente a pag. 22 del ricorso per cassazione , non si è curata in alcun modo di prendere in esame questo profilo dell'impugnazione e di verificare se il cumulo denunciato dovesse o meno essere ritenuto erroneo. Il tema aveva di certo carattere decisivo, ove si consideri che in tema di inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie al danneggiato spettano la rivalutazione monetaria del credito da danno emergente e gli interessi compensativi del lucro cessante, a decorrere dal giorno della verificazione dell'evento dannoso, poiché l'obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale costituisce un debito non di valuta, ma di valore, che tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli Cass. 37798/2022 . 10.3 La pronuncia di primo grado prevedeva anche la condanna del Comune al pagamento di Euro 1.434.490,90 a titolo di ritardato pagamento degli acconti mensili, oltre interessi moratori. Rispetto a questo capo della decisione l'amministrazione municipale ha presentato impugnazione contestando il punto in cui si era ritenuto di liquidare interessi in favore della procedura ai sensi dell'art. 35 Cap. Gen. OO.PP. in relazione ai tardivi pagamenti delle rate di contributo v. pagg. 48 e ss. dell'atto di citazione in appello, il cui tenore è riportato testualmente alle pagg. 26 e ss. del ricorso per cassazione . A fronte di una simile impugnazione la Corte d'appello ha ritenuto che la condanna al pagamento della somma in discorso e dei relativi interessi moratori non fosse stata oggetto di specifico motivo di appello. Un simile rilievo non solo contrasta con quanto ammesso dalla stessa Corte distrettuale al precedente capoverso della decisione impugnata a pag. 18, ove si riconosce l'avvenuta presentazione di un motivo di appello che si riferisce alla quinta riserva, riguardante solo la non debenza di interessi convenzionali ultralegali e di quelli previsti dall'art. 35 Cap. Gen. OOPP , ma non tiene neppure conto del contenuto dell'atto di citazione in appello, laddove l'amministrazione municipale aveva indicato il punto della decisione che intendeva impugnare costituito dalla disciplina degli interessi moratori da calcolare rispetto alla somma in conto capitale dovuta a titolo di ritardato pagamento degli acconti mensili e plurime ragioni per cui la disciplina prevista dall'art. 35 Cap. Gen. OO.PP. non poteva trovare applicazione. 10.4 La mancanza di qualsivoglia statuizione a proposito dei due motivi di appello sopra descritti, ritualmente proposti dall'appellante, dà luogo all'inesistenza di una decisione su tali punti della controversia sottoposta all'esame della Corte distrettuale, si risolve nella violazione del principio di necessaria corrispondenza fra tutta la domanda presentata e il contenuto del provvedimento pronunciato, ai sensi dell' art. 112 c.p.c. , e determina, di conseguenza, la nullità della sentenza impugnata, in parte qua. 11. La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata nei limiti indicati, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di […] in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.