Entra in chiesa, rompe una teca e ruba due corone d’oro: pena severa per il ladro

Riconosciuta l'aggravante prevista in caso di esposizione bene alla pubblica fede. I Giudici sottolineano che le due corone si trovavano all'interno di un luogo aperto al pubblico, erano riposte all'interno di una teca per proteggerne l'integrità ed erano esposte dunque, in quanto accessibili da chiunque, all'altrui senso di onestà e di rispetto.

Pena severa per il ladro che profana una chiesa rompendo una teca per sottrarre due corone d'oro aventi un valore complessivo di 30mila euro. Scenario dell'episodio oggetto del processo è una chiesa nella zona di Ancona. Da quel luogo sacro un uomo riesce a portare via due corone d'oro. Nello specifico, egli commette il furto danneggiando la teca in cui si trovavano le due corone e questa azione criminosa è caratterizzata, secondo i giudici di merito, dalla aggravante dell'esposizione a pubblica fede , trattandosi di una chiesa . Per completare il quadro, infine, viene anche sottolineato il rilevante danno patrimoniale cagionato dal ladro, stante il valore di circa 30mila euro delle due corone. Per la difesa, però, va messa in discussione l'esposizione delle due corone alla pubblica fede, soprattutto tenendo presente che esse erano collocate in una teca che, sempre secondo la difesa, rappresentava una adeguata misura di protezione. A fronte del ricorso proposto in Cassazione, però, i Magistrati ribattono ricordando che in tema di furto, l'aggravante dell'esposizione a pubblica fede è esclusa solo in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci ad impedire la sottrazione del bene, ostacolandone la facilità di raggiungimento , mentre assume rilievo non la natura, privata o pubblica, del luogo di esposizione del bene , ma la facilità di raggiungere il bene oggetto di sottrazione . Passando dal quadro generale ai dettagli della vicenda oggetto del processo, i Giudici di Cassazione condividono il ragionamento compiuto in Appello, poiché le due corone si trovavano all'interno di un luogo aperto al pubblico, erano riposte all'interno di una teca per proteggerne l'integrità, ed erano esposte, dunque, in quanto accessibili da chiunque, all'altrui senso di onestà e di rispetto . Prive di fondamento le obiezioni difensive, poiché, osservano i Giudici di Cassazione, non in grado di provare l'esistenza di un sistema di sorveglianza, continuativa ed efficace, all'interno della chiesa, in grado di prevenire la sottrazione dei beni oggetto dell'azione predatoria . A questo proposito, infine, è illogico assimilare la protezione assicurata dalla teca, in cui erano riposte le corone, ad un sistema di controllo , che, tuttavia, tale non può qualificarsi, in quanto la teca, per sua natura, era incapace di assicurare una sorveglianza continuativa sulle corone, essendo, piuttosto, la sua finalità, in tutta evidenza, quella di garantirne l'integrità, e dunque la conservazione .

Presidente Miccoli – Relatore Guardiano In fatto e in diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Ancona riformava parzialmente in senso favorevole all'imputato, limitatamente alla determinazione dell'entità del trattamento sanzionatorio, la sentenza con cui il tribunale di Macerata, in data 17.1.2020, aveva condannato, tra gli altri, M.G., alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di cui agli artt. 110, 624, 625, comma 1, n. 7 , 61, n. 7 , c.p. , in rubrica ascrittogli, per essersi impossessato, come da contestazione, in concorso con altri, di due corone d'oro, che si trovavano all'interno della chiesa omissis di […], commettendo il fatto danneggiando la teca all'interno della quale le corone si trovavano, con l'aggravante dell'esposizione a pubblica fede trattandosi di una chiesa e cagionando altresì un danno patrimoniale rilevante, stante il valore di circa 30.000,00 Euro delle due corone . 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, lamentando 1 l'improcedibilità dell'azione penale, essendo intervenuta remissione di querela, in ordine al reato di cui si discute, divenuto procedibile a querela di parte 2 violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza della circostanza aggravante, di cui all' art. 625, comma 1, n. 7 , c.p. 3. Con requisitoria scritta del 18.4.2023, debitamente notificata al ricorrente, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dott. T. E., chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con conclusioni scritte del 3.5.2023, il difensore di fiducia dell'imputato, nel replicare alla requisitoria scritta del pubblico ministero, insiste per l'accoglimento del ricorso. 4. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni. 4.1. Come è noto il reato per cui si procede era in passato perseguibile d'ufficio, mentre attualmente è perseguibile a querela della persona offesa, ai sensi dell' art. 624, comma 3, c.p. , introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. i , D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ex art. 6, D.L . 31 ottobre 2022, n. 162 , trattandosi, come da contestazione, di furto avente ad oggetto beni esposti alla pubblica fede, commesso con violenza sulle cose. Se ciò è vero, come è vero, non può tuttavia rilevarsi la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, fondato sulla pretesa dell'imputato di attribuire valore di remissione di querela all'affermazione resa dalla persona offesa nel corso dell'udienza del 15.3.2019, che ad espressa domanda del difensore sulla sua eventuale intenzione di ritirare la denuncia-querela sporta , aveva espressamente risposto per me la posso anche ritirare . Appare evidente come tale affermazione esprima una semplice, ipotetica disponibilità di massima a rimettere la querela, che non può essere equiparata a una chiara ed esplicita remissione, mai intervenuta. In altri termini, nel caso in esame, proprio per la mancanza della necessaria formalizzazione e per la sua genericità, la dichiarazione della persona offesa non può essere valutata né come remissione processuale della querela, ai sensi del combinato disposto degli artt. 152, comma 2, 340, comma 1 e 2, c.p.p. , né alla stregua di una remissione extraprocessuale, eventualmente tacita, ex art. 152, comma 2, c.p.p. , che avrebbe comunque richiesto la presenza di fatti incompatibili con la volontà della persona offesa di persistere nella querela, tali da apparire non equivoci, obiettivi e concludenti, invece del tutto assenti cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 4059 del 12/12/2013 , Rv. 258437 4.2. Manifestamente infondato appare anche il secondo motivo di ricorso. Come è noto, secondo l'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, in tema di furto, l'aggravante dell'esposizione a pubblica fede è esclusa solo in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci ad impedire la sottrazione della res , ostacolandone la facilità di raggiungimento cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 6351 del 08/01/2021 , Rv. 280493 . Ai fini della configurabilità dell'aggravante, invero, assume rilievo non la natura, privata o pubblica, del luogo di esposizione del bene, ma la facilità di raggiungere la res oggetto di sottrazione cfr., Sez. 5, n. 14022 del 08/01/2014 , Rv. 259870 Sez. Sez. 2, n. 29171 del 08/09/2020 , Rv. 279774 . Orbene la corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, evidenziando come le due corone si trovassero all'interno di un luogo aperto al pubblico, riposte all'interno di una teca, per proteggerne l'integrità, esposte, dunque, in quanto accessibili da chiunque, all'altrui senso di onestà e di rispetto. A fronte di tale limpido argomentare, i rilievi difensivi, appaiono manifestamente infondati, proprio perché non dimostrano l'esistenza di un sistema di sorveglianza, continuativa ed efficace, all'interno della chiesa, in grado di prevenire la sottrazione dei beni oggetto dell'azione predatoria, indebitamente assimilando la protezione assicurata dalla teca in cui erano riposte le corone ad un sistema di controllo, che, tuttavia, tale non può qualificarsi, in quanto la teca, per sua natura, era incapace di assicurare una sorveglianza continuativa sulle corone, essendo, piuttosto, la sua finalità, in tutta evidenza, quella di garantirne l'integrità, dunque la conservazione. Del resto, come affermato da tempo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, le due circostanze aggravanti della violenza sulle cose e della esposizione alla pubblica fede sono compatibili tra loro, quando, come nel caso che ci occupa, I ladro sia costretto alla effrazione per impossessarsi delle cose esposte cfr. Sez. 2, n. 8502 del 16/05/1985, Rv. 170555 . 5. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell' art. 616, c.p.p. , al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest'ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000 . P.Q.M . dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.