Il contratto di divisione non può essere contestato qualora recepisca la comune intenzione delle parti

L’interpretazione delle clausole contrattuali costituisce apprezzamento di fatto affidato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione, ovvero per violazione delle norme ermeneutiche, la quale deve essere dedotta precisandosi in qual modo il ragionamento del giudice di merito abbia deviato da esse […].

[…] Perché in caso diverso le critiche dell'apprezzamento operato dal suddetto giudice e la prospettazione di una diversa interpretazione costituiscono una censura inammissibile in sede di legittimità onde la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione. Il caso Due fratelli citavano innanzi al giudice di merito l'altro germano per sentir accertare e dichiarare la loro comproprietà , quali condomini, del locale caldaia-termosifone con conseguente restituzione pro-quota dello stesso chiedevano altresì di accertare e dichiarare l' esistenza di una servitù di passaggio sul cortile di proprietà esclusiva di parte convenuta per accedere al predetto locale, per avere gli attori maturato il relativo diritto in virtù di intervenuto usucapione ventennale . Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava la domanda attorea, ritenendo che dall'atto di divisione si evincesse l'attribuzione in proprietà esclusiva del locale oggetto di causa al convenuto ne conseguiva il rigetto dell'ulteriore domanda di riconoscimento e ripristino della servitù di passaggio per mancanza del requisito dell'alienità dei due beni. Avverso tale pronuncia veniva proposto gravame innanzi alla Corte di appello territorialmente competente la quale accoglieva il gravame e, per l'effetto, dichiarava che il vano oggetto del giudizio era in comproprietà tra le parti in causa, in misura proporzionale alle rispettive quote condominiali ne discendeva, altresì, il riconoscimento in favore degli appellanti dell'intervenuto usucapione della servitù di passaggio sul cortile di proprietà esclusiva di parte appellata, per accedere al predetto locale in comproprietà. Veniva proposto ricorso innanzi alla Suprema Corte sulla base di due motivi con il primo motivo il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell' art. 1362 c.c. e ss., per avere la Corte d'Appello erroneamente qualificato l'atto pubblico quale scioglimento di comunione ereditaria , anziché quale atto di cessione di diritti immobiliari dietro il pagamento di un corrispettivo. Con il secondo motivo parte ricorrente deduceva la violazione degli artt. 1158 e ss. c.c. per avere la Corte accertato l'esistenza dell'esercizio di una servitù di passaggio e la sua intervenuta usucapione in virtù di un riconoscimento operato dall'appellato in realtà mai avvenuto. Disamina dei motivi di censura I Giudici di legittimità ritengono il primo motivo infondato sotto tutti i profili evidenziando, in primo luogo, che l'accertamento del giudice di merito circa la stipulazione di un contratto di divisione , se formulato sulla base di una adeguata e logica motivazione, scevra da vizi giuridici, è insindacabile in Cassazione, senza che valga di per sé ad inficiare l'idoneità dell'accertamento la circostanza che sia mancato il riferimento ai confini dell'intero piano terra ovvero le facoltà attribuite al ricorrente nel negozio di divisione. Ne consegue che la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., per il fatto che gli elementi considerati dal giudice di merito siano, secondo l'opinione del ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione, conforme alla tesi da lui sostenuta. La Suprema Corte quindi ritiene che i giudice del gravame abbia motivato ampiamente e in maniera adeguata e logica tale da sorreggere la ratio decidendi in ordine all'entità della quota assegnata al ricorrente con atto pubblico, tenuto conto di tutti gli elementi del contratto di divisione inoltre, in applicazione del criterio ermeneutico della comune intenzione delle parti , ha pure aggiunto che l'esistenza di detta volontà divisionale definitiva risultava dal comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, inteso a dare esecuzione all'accordo contenuta in detto scrittura. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Cassazione evidenzia che preliminarmente occorre precisare che venendo in discussione la corretta interpretazione delle norme sullo scioglimento della comunione e quindi la violazione delle norme di diritto ad essi afferenti, non rilevano i supposti motivazionali della decisione impugnata, perché, come si desume dall' art. 384 c.p.c. , quando viene sottoposto a sindacato il giudizio in diritto il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato alla plausibilità della giustificazione. Sicché, un giudizio di diritto potrà risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché, secondo quanto prevede appunto l' art. 384, comma 4, c.p.c. , la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione da parte della Corte quando il dispositivo sia conforme al diritto Cass. civ. S.U. 25 novembre 2008, n. 28054 . Il giudice del gravame, pertanto, a differenza di quanto assume il ricorrente, pur avendo esattamente individuato la norma diretta a disciplinare il caso di specie, facendo riferimento all'istituto dell' usucapione , l'ha applicata in conformità della giurisprudenza della cassazione ed in tal senso va corretta, a norma dell' art. 384 c.p.c. la motivazione sul punto della sentenza impugnata. In conclusione , il ricorso veniva integralmente rigettato nessuna pronuncia sulle spese in mancanza di difese svolte dai resistenti rimasti intimati.

Presidente Manna – Relatore Falaschi Osserva in fatto e in diritto Ritenuto che - con atto di citazione notificato il 30.04.2002 i fratelli P. e C.M. evocavano, dinanzi al Tribunale di Matera, il germano C.G. per ivi sentire accertare e dichiarare la loro comproprietà, quali condomini, del locale caldaia-termosifone , con conseguente restituzione pro quota dello stesso chiedevano, altresì, di accertare e dichiarare l'esistenza di una servitù di passaggio sul cortile di proprietà esclusiva di parte convenuta per accedere al predetto locale, per avere gli attori maturato il relativo diritto di transitato per intervenuta usucapione ultraventennale - instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il Tribunale, con sentenza n. 663 del 2006 , rigettava la domanda attorea ritenendo che dall'atto di divisione si evincesse l'attribuzione in proprietà esclusiva del locale oggetto di causa al germano G. e ciò comportava il conseguente rigetto dell'ulteriore domanda di riconoscimento e ripristino della servitù di passaggio, per mancanza del requisito dell'alienità dei due beni - in virtù di gravame interposto da P. e C.M., la Corte territoriale di Potenza, nella resistenza di C.G., con sentenza n. 484 del 2017, accoglieva l'appello e per l'effetto dichiarava che il vano caldaia-termosifone oggetto del giudizio era in comproprietà tra le parti in causa, in misura proporzionale alle rispettive quote condominiali ne discendeva, altresì, il riconoscimento in favore degli appellanti dell'intervenuta usucapione della servitù di passaggio sul cortile di proprietà esclusiva di parte appellata, per accedere al predetto locale in comproprietà. Più esattamente, per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale giungeva ad accertare la comproprietà del locale conteso sulla base dell'atto di divisione ereditaria - giungendo a conclusioni di senso opposto rispetto al tribunale - fornendo in motivazione un'interpretazione logica e letterale dello stesso. In particolare, veniva osservato che il notaio esplicava la volontà delle parti affermando che nella quota spettante all'appellato doveva ricomprendersi un vano al piano terra e l'intero cortile . Di conseguenza, posto che il piano terra, oltre ai locali già assegnati a C.G., era comprensivo di altri due locali, uno indicato come cantina-legnaia e l'altro come caldaia termosifone e che il primo era stato specificatamente assegnato all'appellato, ne discendeva l'esclusione del secondo dalla sua quota. Infine, sulla scorta del riconoscimento operato dall'appellato dell'esercizio della servitù di passaggio sul cortile di sua proprietà dal 1974 al 1996 ad opera degli appellanti, i giudici di seconde cure ritenevano intervenuta la relativa usucapione, a nulla rilevando la diversa finalità dell'accesso essendo del tutto irrilevante a tali fini acquisitivi il motivo per cui la servitù sia stata esercitata nel tempo - avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza C.G. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi - sono rimasti intimati P. e C.M.G Considerato che - con il primo motivo parte ricorrente deduce - ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 - la violazione e la falsa applicazione dell' art. 1362 c.c. e ss. per aver la Corte erroneamente qualificato l'atto pubblico del Omissis quale scioglimento di comunione ereditaria anziché quale atto di cessione di diritti immobiliari dietro il pagamento del corrispettivo. Insiste il ricorrente nell'affermare che l'intero piano terra sarebbe stato a lui assegnato stante l'identificazione anche dei confini sui tre lati dell'intero piano terra. Aggiunge che la specificazione quanto al locale cantina legnaia e al cortile era dovuto al fatto che solo dette aree fuoriuscivano dalla sagoma del fabbricato a differenza del locale caldaia termosifone e degli altri locali posti al piano terra. Ad avviso del ricorrente la Corte non avrebbe, altresì, tenuto conto delle previsioni contenute del rogito che gli attribuivano la facoltà di realizzare nell'androne di accesso all'edificio di un piano ammezzato. Dunque, a parer del ricorrente, se l'atto in esame fosse stato correttamente interpretato avrebbe ricompreso tra i suoi beni di proprietà esclusiva anche il locale conteso. Il motivo è infondato sotto tutti i profili. Innanzitutto va detto che l'accertamento del giudice di merito circa la stipulazione di un contratto di divisione, se formulato sulla base di una adeguata e logica motivazione, scevra da vizi giuridici, è insindacabile in Cassazione, senza che valga di per sé ad inficiare l'idoneità dell'accertamento operato nella specie sulla base di un complessivo quadro di elementi emergenti dalle risultanze processuali la circostanza che sia mancato il riferimento ai confini sui tre lati dell'intero piano terra ovvero le facoltà attribuite al ricorrente nel negozio di divisione. E' jus receptum che l'interpretazione delle clausole contrattuali costituisce apprezzamento di fatto affidato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione, ovvero per violazione delle norme ermeneutiche, la quale però deve essere dedotta precisandosi in qual modo il ragionamento del giudice di merito abbia deviato da esse, perché in caso diverso, le critiche dell'apprezzamento operato dal suddetto giudice e la prospettazione di una diversa interpretazione costituiscono una censura inammissibile in sede di legittimità, onde la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione ex art. 360 c.p.c. , n. 5 per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice di merito siano, secondo l'opinione del ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione, conforme alla tesi da lui sostenuta Cass. n. 2354 del 1974 Cass. n. 1044 del 1981 Cass. n. 1356 del 1989 Cass. n. 4577 del 1990 Cass. n. 1740 del 1992 Cass. n. 2396 del 2002 . Nel caso specifico l'impugnata sentenza ha spiegato come il notaio ha individuato nell'atto pubblico del 6 maggio 1974 la quota assegnata al ricorrente in due distinti punti nel primo, si afferma che viene assegnato l'intero piano terra dell'edificio in Omissis , con l'indicazione dei confini e delle distinte particelle che determinavano i tre distinti locali ubicati al piano terra nel secondo, vengono distintamente assegnati ed individuati prima i locali posti al terzo piano e poi quelli del piano terra, descritti come un vano a piano terra dell'edificio stesso, attualmente cantina-legnaia e l'intero cortile , specificando il tutto da distaccare dalla particella Omissis . Ciò ha indotto il giudice dell'impugnazione ad escludere che in detta quota fosse da ricomprendere il vano caldaia-termosifone proprio per l'interpretazione letterale del contratto di divisione, essendo una diversa interpretazione contraria alla precisa e meticolosa indicazione operata dal notaio sulla base della volontà manifestata dalle parti. L'impugnata sentenza ha anche evidenziato come una siffatta interpretazione fosse conforme alla precisazione che nell'intero piano terra fossero ricompresi anche il cortile e il vano caldaia, in quanto serviva proprio ad impedire che nella quota assegnata al ricorrente fossero da ricomprendere tutti i locali posti al piano terra, non condividendo l'interpretazione del giudice di prime cure proprio privilegiando sia il dato letterale dell'atto pubblico che indica un vano dei due esistenti al piano terra, specificandone poi le caratteristiche, sia l'interpretazione logica ed infine il comportamento delle parti successivo all'atto emergente dagli atti processuali e dalle testimonianze acquisite v. pag. 4 della decisione impugnata . Una motivazione, questa, ampiamente adeguata e logica a sorreggere la ratio decidendi in ordine alla entità della quota assegnata a C.G. con l'atto pubblico, tenuto conto di tutti gli elementi del contratto di divisione identificazione catastale dei beni, descrizione della loro natura ed estensione, identificazione delle quote di partecipazione ereditaria di ciascuna delle parti, formazione delle corrispondenti porzioni in natura, effettuata sia mediante descrizione planimetrica sia mediante indicazione catastale, etc. . L'impugnata sentenza, in applicazione del criterio ermeneutico art. 1362 c.c. della comune intenzione delle parti, ha pure aggiunto che l'esistenza di detta volontà divisionale definitiva risultava dal comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, inteso a dare esecuzione all'accordo contenuto in detta scrittura - con il secondo motivo parte ricorrente deduce - ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 - la violazione degli artt. 1158 c.c. e ss. per aver la Corte accertato l'esistenza dell'esercizio di una servitù di passaggio e la sua intervenuta usucapione in virtù di un riconoscimento operato dall'appellato, in realtà mai avvenuto. Occorre preliminarmente precisare che venendo in discussione la corretta interpretazione delle norme sullo scioglimento della comunione e quindi la violazione delle norme di diritto ad essa afferenti, non rilevano i supposti errori motivazionali della decisione impugnata, perché, come si desume dall' art. 384 c.p.c. , quando viene sottoposto a sindacato il giudizio di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione, non è limitato alla plausibilità della giustificazione da ultimo, Cass. 24 giugno 2015 n. 13086 ma già, Cass. 6 luglio 1973 n. 1935 Cass. 13 giugno 1972 n. 1863 . Sicché un giudizio di diritto potrà risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché, secondo quanto prevede appunto l' art. 384 c.p.c. , comma 4, la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione da parte della corte, quando il dispositivo sia conforme al diritto Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008 n. 28054 . Ciò posto e passando al merito della questione prospettata, coerentemente con la rubrica del motivo, il ricorrente lamenta la erronea valutazione della Corte distrettuale circa l'intervenuta usucapione della servitù di passaggio sul cortile di proprietà esclusiva di C.G. attribuendo allo stesso il riconoscimento della esistenza e dell'esercizio di siffatto diritto. In questa prospettazione, che è inequivoca, è evidente che la contraddizione viene ravvisata con un comportamento cui effettivamente non può essere attribuito un siffatto significato dal momento che fin quando nel locale condominiale in questione era allocata la caldaia utilizzata per il servizio di riscaldamento centralizzato, dal 1974 al 1996, non può ritenersi che sia decorso alcun termine per maturare l'usucapione al sorgere del diritto di servitù di transito. Tuttavia, la norma ex art. 1071 c.c. risulta applicata per riconoscere ai condividenti-condomini il diritto di accedere, attraverso il cortile di proprietà esclusiva, al vano caldaia-termosifone, di proprietà condominiale, onde poterne godere e quando se ne presenti l'esigenza, stante la mancanza di una via di accesso alternativa già praticabile. In particolare, in tema di servitù prediali, il principio della cosiddetta indivisibilità di cui all' art. 1071 c.c. comporta, nel caso di frazionamento del fondo dominante, la permanenza del diritto su ogni porzione del medesimo, salve le ipotesi di aggravamento della condizione del fondo servente, e poiché tale effetto si determina ex lege, al riguardo non occorre alcuna espressa menzione negli atti traslativi attraverso i quali si determina la divisione del fondo dominante, sicché nel silenzio delle parti - in mancanza di specifiche clausole dirette ad escludere o limitare il diritto - la servitù continua a gravare sul fondo servente, nella medesima precedente consistenza, a favore di ciascuna di quelle già componenti l'originario unico fondo dominante, ancora considerato alla stregua di un unicum ai fini dell'esercizio della servitù, ancorché le singole parti appartengano a diversi proprietari, a nulla rilevando se alcune di queste, per effetto del frazionamento, vengano a trovarsi in posizione di non immediata contiguità con il fondo servente Cass. n. 3204 del 1972 Cass. n. 5109 del 1983 Cass. n. 2168 del 2006 Cass. n. 17884 del 2019 . Il diritto in questione, che trova effettivamente il suo titolo giuridico nella citata norma, impone una limitazione al diritto del titolare del fondo servente contro il quale si fa valere la pretesa, presupposto della quale è l'utilità di chi esercita il diritto. Il giudice del gravame, pertanto, a differenza di quanto assume il ricorrente, pur non avendo esattamente individuato la norma diretta a disciplinare il caso di specie, facendo riferimento all'istituto dell'usucapione, l'ha applicata in conformità della giurisprudenza di questa Corte Suprema ed in tal senso deve correggersi, a norma dell' art. 384 c.p.c. , la motivazione sul punto della sentenza impugnata. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto. Nessuna pronuncia sulle spese del presente giudizio in mancanza di difese svolte dai germani C., P. e M.G., rimasti intimati. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.