Sanzionato l’avvocato che si accaparra la clientela tramite un’agenzia d’affari

Il CNF rigettava l’impugnazione proposta da parte di un avvocato, avverso il provvedimento con cui gli veniva irrogato la sanzione disciplinare della censura, per aver violato l'art. 37 del Codice Deontologico Forense, essendosi avvalso di un'organizzazione stabile per il procacciamento della clientela per mezzo di un’agenzia d'affari.

Anche le Sezioni Unite Civili rigettano il ricorso del professionista, ricordando che in tema d' illecito disciplinare degli avvocati , fatta eccezione per le ipotesi in cui il procedimento disciplinare sia promosso per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l'azione penale, il riferimento temporale per l'individuazione della disciplina applicabile sia costituito dal momento della commissione del fatto o, per gl'illeciti non aventi carattere istantaneo, da quello in cui è cessata la permanenza Cass. n. 20383/2021 , Cass. n. 20383/2020 , Cass. n. 23746/2020 , Cass. n. 1609/2020 . E il suddetto principio risulta applicabile anche nel caso in oggetto, caratterizzato dalla contestazione di un comportamento previsto come illecito esclusivamente dal CDF, avente carattere permanente, in quanto consistente nell'instaurazione di un rapporto stabile con un'agenzia d'affari , ma interamente consumato sotto la vigenza del r.d. n. 1578/1933, essendo cessato in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge n. 247/2012 non merita pertanto censura la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto applicabile la disciplina dettata dall'art. 51 del r.d. n. 1578 cit., escludendo quindi l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, per effetto degli atti interruttivi compiuti nel corso del procedimento . Nel caso di specie, inoltre, non può condividersi la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui, nell'individuazione del regime sanzionatorio applicabile , si sarebbe dovuto tenere conto della portata più favorevole di quello previsto dall'art. 40 del r.d. n. 1578/1933, il quale consentiva di scegliere tra una pluralità di sanzioni, anche meno gravose della censura, la quale invece, ai sensi dell'art. 37, comma sesto, del CDF, costituisce l'unica sanzione prevista dalla disciplina vigente per la violazione del divieto di accaparramento della clientela . Infatti, ai sensi dell' art. 65, comma 5, l. n. 247/2012 , che ha recepito il criterio del favor rei in luogo del principio tempus regit actum , le norme del CDF si applicano ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato ne consegue che l'individuazione del regime giuridico più favorevole deve essere effettuata non già in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall'integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie Cass. n. 12696/2021 , Cass. n. 30993/2017 . Per tutti questi motivi il ricordo in esame deve essere rigettato.

Presidente D'Ascola – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. Con sentenza del 23 settembre 2022, il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato l'impugnazione proposta dall'Avv. V.F. avverso il provvedimento emesso il 12 gennaio 2018, con cui il Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto aveva irrogato al professionista la sanzione disciplinare della censura, per aver violato l'art. 37 del Codice Deontologico Forense, essendosi avvalso di un'organizzazione stabile per il procacciamento della clientela per mezzo dell'Agenzia d' Omissis di Omissis . Il procedimento traeva origine da una pluralità di esposti, dai quali emergeva un'organica collaborazione tra il legale e l' Omissis , nei locali della quale venivano sottoscritte le procure defensionali ed avveniva il primo e spesso l'unico incontro con i clienti, e per mezzo della quale venivano fornite le informazioni sullo svolgimento delle pratiche, le poche volte che venivano effettivamente fornite, con anticipazione da parte della stessa delle spese delle singole pratiche, e la ripartizione del compenso per singola pratica, pari al 10% ciascuno del capitale riscosso dal cliente. A fondamento della decisione, il CNF ha innanzitutto escluso l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, ritenendo applicabile il termine quinquennale previsto dall'art. 51 del R.D. 27 novembre 1933, n. 1578, vigente all'epoca della commissione dell'illecito, ma rilevando che la prescrizione era stata ripetutamente interrotta, dapprima con la deliberazione di apertura del procedimento da parte del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Omissis adottata il 7 marzo 2011 ed in seguito con la citazione a giudizio notificata il 15 settembre 2014 , la delibera di apertura del procedimento da parte del CDD adottata il 28 ottobre 2016 e la notificazione della decisione impugnata effettuata il 16 gennaio 2018 . Premesso inoltre che il difetto di adeguata motivazione non comporta la nullità della decisione adottata dal CDD, suscettibile d'integrazione da parte del giudice dell'impugnazione, competente sia per la legittimità che per il merito, ha confermato la contrarietà del comportamento tenuto dall'incolpato agli obblighi di correttezza e decoro previsti dall'art. 37, comma 1, del CDF, osservando che tra il legale e l' Omissis era intercorso un rapporto strutturato e duraturo, che aveva comportato il trasferimento di numerose pratiche al professionista. Rilevato che tale rapporto prevedeva il rimborso da parte dell' Omissis delle spese anticipate dall'Avvocato per conto degli assistiti e la pattuizione di un compenso pari ad una quota dei risarcimenti percepiti, ha ritenuto che ciò creasse una piena interessenza tra di essi, ulteriormente comprovata dalle vicende inerenti alla predisposizione degli esposti, alla revoca dei mandati, ai giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi, alla transazione tra l' Omissis e il professionista, alle condizioni dell'accordo conciliativo ed alle successive ritrattazioni conseguenti alla transazione ha richiamato in proposito le deposizioni rese da due testi, i quali avevano riferito di essere stati ricevuti dall'Avv. V. presso la Omissis unitamente al titolare della stessa, sì da essere stati indotti a ritenere che il professionista operasse alle dipendenze dell' Omissis o come avvocato della stessa. Precisato infine che il regime previsto dal CDF era applicabile alle condotte poste in essere prima della sua entrata in vigore soltanto se più favorevole all'incolpato, il CNF ha ritenuto adeguata la sanzione irrogata dal CDD, osservando che la condotta contestata all'Avv. V. era punita con la sanzione edittale della censura, più favorevole rispetto a quella prevista dalla disciplina previgente, e comunque non particolarmente gravosa, in relazione alla gravità dei fatti ed alla loro protrazione nel tempo. 2. Avverso la predetta sentenza l'Avv. V. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, chiedendo, in via cautelare, la sospensione dell'esecutività del provvedimento. Il Consiglio dell'Ordine non ha svolto attività difensiva. Per la decisione del ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi dell' art. 8, comma ottavo, del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 , che ha prorogato fino alla data del 30 giugno 2023 l'applicazione delle disposizioni di cui all' art. 221, comma 8, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 , convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 e di cui all'art. 23, commi 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 9-bis, del D.L. 28 ottobre 2020 , n. 137 , convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 . Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 56 e 65, comma 5, della L. 31 dicembre 2012, n. 247 , osservando che, nell'escludere la prescrizione dell'azione disciplinare, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del carattere istantaneo dell'illecito, risalente agli anni 2006-2007, e della cessazione della efficacia delle norme previgenti determinata dall'entrata in vigore del CDF, le cui disposizioni si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso, se più favorevoli all'incolpato. Premesso infatti che il procedimento disciplinare presenta caratteristiche non solo amministrative, ma anche spiccatamente penalistiche, sostiene che, in ossequio al principio del favor rei, la disciplina introdotta dall' art. 56 della L. n. 247 del 2012 deve ritenersi applicabile anche ai fatti commessi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, ove, come nella specie, risulti più favorevole. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 37 del CDF, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistente l'illecito disciplinare, senza tenere conto dell'avvenuta ritrattazione degli esposti e della rettifica delle deposizioni da parte dei testi, i quali avevano chiarito che le procure erano state sottoscritte alla presenza di esso ricorrente e nel suo studio, avevano negato l'utilizzazione di toni minacciosi o offensivi e l'esistenza di un rapporto commerciale tra esso ricorrente e l' Omissis Omissis e non avevano sollevato alcun rilievo in ordine all'operato di esso ricorrente. Precisa che l'intervento dell' Omissis era giustificato dall'assistenza dalla stessa prestata ai clienti nella fase stragiudiziale, della quale egli non poteva essere chiamato a rispondere, mentre il rilascio delle procure in un luogo diverso da quello destinato all'esercizio della professione non poteva essere ritenuto contrario alla correttezza ed al decoro, avuto riguardo alla crescente dematerializzazione della professione di avvocato. Ribadisce di non aver tenuto alcuna condotta volta all'accaparramento di clientela, ma di essersi limitato a subentrare nella gestione delle pratiche precedentemente trattate in via stragiudiziale dall' Omissis , sulla base d'incarichi conferitigli liberamente, e senza che intercorresse alcuna pattuizione tra lui e l' Omissis . 3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell' art. 65, comma 5, della L. n. 247 del 2012 , censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la sanzione irrogata dal CDD fosse più favorevole di quella prevista dalla disciplina previgente, senza considerare che quest'ultima consentiva al COA di scegliere tra una pluralità di sanzioni, da quella minima dell'avvertimento a quella massima della sospensione. 4. Il primo motivo, riguardante la prescrizione dell'azione disciplinare, è infondato. In tema d'illecito disciplinare degli avvocati, queste Sezioni Unite hanno affermato ripetutamente che il regime di prescrizione introdotto dall' art. 56 della L. n. 247 del 2012 , che assoggetta l'azione disciplinare a un termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi, non trova applicazione con riguardo agl'illeciti commessi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore premesso infatti che, in linea generale, il principio di retroattività della lex mitior non è riferibile al termine di prescrizione, riguardando esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, si è osservato che l'applicazione retroattiva dell'art. 56 cit. non può trovare giustificazione neppure nel disposto dell' art. 65, comma 5, della L. n. 247 del 2012 , il quale si limita a stabilire che le norme del codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato , senza fare alcun cenno alla prescrizione, disciplinata dalla legge professionale , e riguardante comunque illeciti che non hanno natura penale, ma amministrativa si è quindi ritenuto che, fatta eccezione per le ipotesi in cui il procedimento disciplinare sia promosso per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l'azione penale, il riferimento temporale per l'individuazione della disciplina applicabile sia costituito dal momento della commissione del fatto o, per gl'illeciti non aventi carattere istantaneo, da quello in cui è cessata la permanenza cfr. Cass., Sez. Un., 16/07/ 2021, n. 20383 28/10/2020, n. 23746 24/01/2020, n. 1609 . Tale principio deve ritenersi applicabile anche nel caso in esame, caratterizzato dalla contestazione di un comportamento previsto come illecito esclusivamente dal CDF, avente carattere permanente, in quanto consistente nell'instaurazione di un rapporto stabile con un' Omissis d'affari, ma interamente consumato sotto la vigenza del R.D. n. 1578 del 1933, essendo cessato in data anteriore a quella di entrata in vigore della L. n. 247 del 2012 non merita pertanto censura la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto applicabile la disciplina dettata dall'art. 51 del R.D. n. 1578 cit., escludendo quindi l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, per effetto degli atti interruttivi compiuti nel corso del procedimento. 5. E' invece inammissibile il secondo motivo, volto a censurare l'accertamento dell'illecito, per violazione dell'art. 37 del CDF. Com'e' noto, infatti, il codice deontologico non ha carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa, con la conseguenza che la sua violazione rileva in sede giurisdizionale soltanto in quanto si colleghi all'incompetenza, all'eccesso di potere o alla violazione di legge, cioè ad una delle ragioni per le quali l' art. 36, comma 6, della L. n. 247 del 2012 , così come l'art. 56, comma 3, del R.D. n. 1578 del 1933, consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione cfr. Cass., Sez. Un., 17/05/2021, n. 13168 25/06/2013, n. 15873 . Per effetto di tale limitazione, sono demandati in via esclusiva al CNF l'accertamento del fatto, l'apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, più in generale, la valutazione delle risultanze processuali, i quali restano sottratti al controllo di legittimità, a meno che non si traducano in un palese sviamento di potere, ovverosia nell'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito non e', quindi, consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull'assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale cfr. Cass., Sez. Un., 31/07/2018, n. 20344 2/ 12/2016, n. 24647 . Tali vizi nella specie non sono stati neppure dedotti, essendosi il ricorrente limitato a denunciare la violazione di legge, in riferimento ad una norma del CDF, censurando la ricostruzione dei fatti risultante dalla sentenza impugnata, senza neppure indicare le lacune argomentative o i vizi logici del ragionamento posto a fondamento della decisione, ma insistendo sulla propria personale lettura della vicenda, contrastante con quella fornita dal CNF, ed in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logico-formale della stessa, nei limiti in cui le relative anomalie risultino idonee ad evidenziare lo sviamento di potere. 6. E' infine infondato il terzo motivo, riguardante l'individuazione della sanzione applicabile alla condotta accertata. Non può infatti condividersi la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui, nell'individuazione del regime sanzionatorio applicabile, si sarebbe dovuto tenere conto della portata più favorevole di quello previsto dall'art. 40 del R.D. n. 1578 del 1933, il quale consentiva di scegliere tra una pluralità di sanzioni, anche meno gravose della censura, la quale invece, ai sensi dell'art. 37, comma 6, del CDF, costituisce l'unica sanzione prevista dalla disciplina vigente per la violazione del divieto di accaparramento della clientela. Come si è detto in precedenza, ai sensi dell' art. 65, comma 5, della L. n. 247 del 2012 , che ha recepito il criterio del favor rei in luogo del principio tempus regit actum, le norme del CDF si applicano ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato ne consegue che l'individuazione del regime giuridico più favorevole deve essere effettuata non già in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare, tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall'integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie cfr. Cass., Sez. Un., 18/06/2021, n. 126296 12/04/2021, n. 9546 27/12/2017, n. 30993 . Conformemente a tale principio, la sentenza impugnata ha posto a confronto i regimi sanzionatori applicabili alla violazione accertata, individuando la sanzione prevista dal CDF nella censura ed evidenziando l'astratta possibilità di attenuarla nell'avvertimento, ai sensi dell'art. 22, comma 3, lett. a , del CDF, o di aggravarla fino alla sospensione non superiore ad un anno, ai sensi del comma 2, lett. b , della medesima disposizione, ma ritenendo adeguata la sanzione edittale, applicata dal CDD, in considerazione per un verso della modesta gravosità della sanzione edittale e per altro verso della gravità dei fatti e della loro protrazione nel tempo, e concludendo pertanto per la portata più favorevole di tale trattamento, rispetto a quello previsto dalla disciplina previgente. Nella parte concernente l'individuazione della sanzione più appropriata al fatto contestato, tale apprezzamento deve ritenersi incensurabile in sede di legittimità, spettando esclusivamente agli organi professionali la valutazione della gravità del fatto e della condotta addebitata all'incolpato, ai fini della commisurazione della sanzione, e non essendo quindi consentito a questa Corte di sostituirsi al CNF nella valutazione dell'adeguatezza della stessa, se non nei limiti di un controllo di ragionevolezza, che non attiene alla congruità della motivazione, ma all'individuazione del precetto cfr. Cass., Sez. Un., 17/03/2017, n. 6967 13/11/2012, n. 19705 . 7. Il ricorso va pertanto rigettato, restando in tal modo assorbita l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell'intimato. P.Q.M. rigetta il ricorso. Ai sensi dell 'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 11 5 del 2002, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Dispone che, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.