Detiene più di 150 file pedopornografici su Telegram: condannato

Protagonista della vicenda in esame è un imputato, ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 600- quater c.p., per aver detenuto all’interno di uno spazio virtuale una cartella di media condivisi in una chat di gruppo di Telegram più di 150 file contenenti materiale pedopornografico, con l’aggravante dell’ingente quantità.

Il dettaglio più interessante di questa pronuncia è proprio il fatto che l'imputato, attraverso l'applicazione della messaggistica Telegram , in quanto partecipante alla chat di gruppo incriminata, condivideva i file ivi contenuti, in grande quantità, raffiguranti minori in atti sessualmente espliciti, al pari di ogni componente della chat, poiché non era l'unico ad aver accesso attraverso le proprio credenziali al materiale in questione, che una volta immesso da qualunque partecipante, veniva poi automaticamente salvato sul cloud di Telegram rendendolo perciò visualizzabile in ogni momento da ogni componente del gruppo, con l'obiettivo di non perdere i dati e la possibilità di poterli scambiare con altri utenti. Quindi, secondo la difesa dell'imputato, tale condotta, in difetto di alcun download dei file sul proprio cellulare, unica operazione penalmente rilevante in quanto volta a ricondurre le immagini riprodotte nella effettiva disponibilità dell'agente non consentirebbe di configurare la detenzione posta a fondamento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 600- quater , comma 1, c.p. Il Collegio, però, non condivide quanto sostenuto dalla difesa, anzi, sottolinea come i file, lungi dal poter essere definiti entità astratte attesa la loro consistenza fisicamente tangibile sol che si consideri l'unità di misura che li contraddistingue, volta a quantificare lo spazio fisicamente occupato all'interno di un server, condividono tuttavia con i beni immateriali la caratteristica di poter essere utilizzati da più soggetti anche contemporaneamente senza che l'esercizio dell'uno impedisca quello degli altri . Ed amplia il concetto di detenzione sganciandolo dalla relazione materiale con la res intesa in termini strettamente fisici, spostando, invece, il fulcro su quella che ne è la sua stessa ontologica essenza, costituita tanto ieri quanto oggi dalla fruibilità della res in termini non solo concreti, ma anche potenziali, che prescindono cioè dall'utilizzo effettivo . Ed è proprio la piena cognizione dell'operato altrui all'interno di una chat di gruppo di cui si entri a far parte quella che nella sostanza equipara la condotta di chi ha libero accesso alla cartella dei file condivisi dal gruppo che ha il fine di condividere materiale pedopornografico a quella di chi archivia foto e video di natura pedopornografica sul cloud storage di un account di cui abbia l'utilizzo esclusivo, esattamente come nel caso in esame. Quindi, una volta ricondotta la detenzione penalmente rilevante nell'alveo della libera fruibilità della res nei termini illustrati in premessa, e dunque al di là della relazione materialmente tangibile tra la persona fisica e il bene, non vi è alcuna differenza tra un'operazione di download dei file fatta sul proprio cellulare , o su altro dispositivo informatico nella propria disponibilità materiale, e l'accesso incondizionato ad un archivio condiviso tra i partecipanti ad una chat collettiva , ottenuto per il fatto stesso della propria partecipazione consapevole al gruppo telematico in entrambi in casi infatti l'agente ha la piena ed incondizionata possibilità di fruire del materiale archiviato, indipendentemente dal fatto che sia stato lui stesso od altri ad aver effettuato l'operazione di salvataggio, venendo conseguentemente a realizzarsi nel caso di materiale pedopornografico il rapporto diretto tra l'imputato e l'oggetto illecito Ne consegue che integra la detenzione penalmente rilevante ai sensi dell'art. 600- quater, comma 1 c.p., la disponibilità di file di contenuto pedopornografico archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo nello spazio … ed accessibili, per il tramite delle proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo che abbia ad esso consapevolmente preso parte, deve essere rigettato il primo motivo di entrambi i ricorsi, dal contenuto fra loro sovrapponibile Per tutti questi motivi, la S.C. rigetta il ricorso in esame.

Presidente Ramacci – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12.7.2022 la Corte di Appello di Napoli ha integralmente confermato la pronuncia resa all'esito del primo grado di giudizio dal Tribunale della stessa città che ha condannato E.F. alla pena di due anni ed otto mesi di reclusione ed Euro 3.000 di multa ritenendolo responsabile del reato di cui all'art. 600 quater c.p. per aver detenuto all'interno di uno spazio virtuale, ovverosia nella cartella dei media condivisi di una chat di gruppo facente parte del servizio di messaggistica , cui accedeva utilizzando un account abbinato alla sua utenza telefonica, più di centocinquanta file contenenti materiale pedopornografico, con l'aggravante dell'ingente quantità capo A , nonché del reato ex art. 600 ter comma 4 c.p. , così riqualificata l'originaria imputazione, per aver condiviso i suddetti file in chat private, di cui facevano parte un numero ristretto di persone capo B . 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto due ricorsi per cassazione, redatti da due diversi difensori, il cui contenuto viene di seguito riprodotti nei limiti di cui all' art. 173 disp. att. c.p.p. . Il ricorso a firma dell'avv. Luigi De Vita si compone di cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo, relativo alla configurabilità del delitto di cui al capo A deduce che, come riconosciuto dalla stessa Corte di appello, il materiale in contestazione non era contenuto nel cellulare dell'imputato, bensì all'interno del cloud abbinato alla chat denominata e e, dunque, di uno spazio virtuale costituito dalla cartella dei media condivisi dal gruppo alla quale poteva accedere chiunque fosse in possesso delle credenziali di accesso, ovverosia tutti gli iscritti alla chat, ivi compreso l'imputato. Rileva come in difetto di alcuna operazione di download dei file presenti sulla chat sul proprio cellulare, operazione che si traduce nella loro acquisizione su una memoria fisica o anche soltanto virtuale non possa ritenersi integrata la detenzione, intesa come quale rapporto effettivo e diretto dell'agente con il materiale pornografico, configurante la condotta penalmente rilevante ai sensi dell'art. 600 quater comma 1 c.p. con conseguente vizio di violazione di legge. Sostiene la difesa che, rivestendo la detenzione di materiale pornografico natura di reato di pericolo, connaturato al rischio della sua diffusione da parte dell'agente, la circostanza che l'E. non avesse la fisica disponibilità dei file in contestazione, essendogli consentita la sola visualizzazione delle immagini attraverso l'accesso alla rete internet, possa al più configurare la fattispecie delittuosa di cui al comma 3 dell'art. 600 quater c.p., introdotta dalla L. 238/2022, costituita dall'accesso intenzionale e senza giustificato motivo, mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, a materiale pornografico, trattandosi di condotta esattamente corrispondente a quello di mero accesso ad un sito internet dai contenuti pornografici. Censura la motivazione resa dalla Corte di appello sul punto, secondo la quale la volontaria iscrizione dell'imputato alla chat non è assimilabile alla mera navigazione in internet e presuppone in ogni caso la memorizzazione automatica dei file sul dispositivo elettronico o comunque nella cartella dei file condivisi alla quale l'imputato aveva libero accesso, ribadendo che la Polizia Giudiziaria aveva escluso la presenza di immagini pedopornografiche nella memoria del cellulare dell'E. . 2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all' art. 552 c.p.p. e al vizio motivazionale, che il fatto ritenuto in sentenza era radicalmente diverso da quello contestato, facendosi riferimento nell'editto accusatorio alla detenzione del materiale pedopornografico scaricato mediante l'accesso alle chat sul cellulare dell'imputato, senza che malgrado l'espressa contestazione sollevata con l'atto di appello la Corte territoriale si fosse pronunciata sul punto. 2.3. Con il terzo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 600 quater comma 2 c.p. al vizio motivazionale, la configurabilità dell'aggravante rilevando come l'ingente quantitativo non potesse essere commisurato al numero complessivo dei file detenuti da tutti i partecipanti alla chat di , non consentendo la natura indiretta della detenzione da parte dell'imputato del suddetto materiale di far ricadere su un solo soggetto gli effetti di una condotta collettiva. Rileva in ogni caso come la Corte di appello neppure avesse verificato il numero dei file presenti sulla chat, essendosi limitata ad indicare in termini del tutto approssimativi che fossero 150. 2.4. Con il quarto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all' art. 62 bis c.p. e al vizio motivazionale, il diniego delle attenuanti generiche censurando l'indebita svalorizzazione degli elementi di segno positivo indicati dalla difesa, quali la collaborazione prestata alle indagini con l'indicazione spontanea delle password di accesso ai suoi account, il percorso terapeutico intrapreso dal prevenuto ed il risarcimento del danno, tutti intrinsecamente idonei al conseguimento del beneficio invocato, senza che l'intrinseca gravità della condotta in considerazione del contenuto delle immagini detenute e del loro quantitativo, ritenuta dalla Corte di appello potesse elidere la valenza sintomatica della corretta condotta tenuta dall'imputato successivamente al delitto. Rileva in ogni caso come la valutazione dell'apporto confessorio non potesse essere logicamente sminuita dal fatto che non avesse ammesso di essere anche patologicamente attratto dalla pornografia, come la sua volontaria sottoposizione ad un percorso terapeutico non potesse essere neutralizzata dal non avere costui riconosciuto il contenuto pornografico dei file e come in ogni caso neppure una parola fosse stata spesa sul risarcimento de danno effettuato in favore delle dirette persone offese dal reato. 2.5. Con il quinto motivo si duole della mancanza di adeguata motivazione in ordine alla dosimetria della pena fissata in misura prossima ai massimi edittali, senza che neppure si fosse presa in considerazione la corretta condotta post delictum tenuta dall'imputato, espressamente segnalata con l'atto di appello. 3. Il ricorso a firma dell'avv. Pasquale Coppola si compone, invece, di tre motivi. 3.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 600 quater c.p., che nessun download era stato mai effettuato dall'imputato dei file pedopornografici in contestazione, i quali erano stati esclusivamente rinvenuti all'interno della chat di e , con conseguente esclusione del reato che non può ritenersi perfezionato per il solo fatto di aver fatto parte di una chat, condotta questa semmai punibile ai sensi del comma 3 introdotto dalla L.238/2021 . Precisa che, a differenza del materiale presente su un sito internet, accessibile attraverso un browser che è sempre un'applicazione di un dispositivo personale, quello sulla chat è visionabile solo accedendo alla chat attraverso le proprie credenziali. Obietta all'osservazione formulata dalla Corte di appello, secondo la quale la condivisione dei file segue in tal caso alla loro memorizzazione nella cartella dei media condivisi della stessa chat alla quale l'E. poteva accedere in qualsiasi momento, che la suddetta cartella non era nella disponibilità dell'imputato potendovi accedere solo in presenza di una rete o di una connessione internet, onde neanche sotto tale aspetto è ravvisabile alcuna differenza con la visione di un sito internet attraverso un browser. 3.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 600 quater comma 2 c.p. e al vizio motivazionale, che possa essere ascritta all'imputato la detenzione di circa 150 file, che al di là del numero solo approssimativamente indicato, non risultano essere stati singolarmente verificati, risultando dal verbale redatto dalla Polizia Giudiziaria la presenza di file a contenuto sia pedopornografico, sia pornografico il quale, a differenza del primo, è penalmente irrilevante, nonché di immagini più volte duplicate. Eccepisce, pertanto, come in difetto di una puntuale quantificazione numerica l'aggravante dell'ingente quantitativo non possa trovare applicazione. 3.3. Con il terzo motivo si duole, in relazione al vizio di violazione di violazione di legge riferito agli artt. 62 bis e 133 c.p. e al vizio motivazionale, del trattamento sanzionatorio fondato sulla gravità delle condotte e su una personalità dell'imputato particolarmente allarmante. Eccepisce in ordine agli elementi di segno positivo fatti valere dalla difesa ai fini di una mitigazione della pena, il travisamento della prova per avere la Corte di appello ritenuto la contraddittorietà della confessione resa dall'imputato a dispetto dell'inequivoco contenuto della memoria dal medesimo presentata, a conclusione della quale aveva dichiarato con espressione non suscettibile di fraintendimenti di aver sbagliato chiedendo perdono per la sua condotta . Altrettanto censurabili sono da ritenersi ad avviso della difesa le conclusioni tratte in ordine al percorso psicoterapeutico intrapreso dal prevenuto, tenuto conto che i suoi esiti avrebbero potuto soltanto approdare a ridurre il rischio di recidiva delle condotte delittuose e ad agire sui fattori di protezione della personalità del paziente e che comunque il terapeuta aveva redatto una relazione intermedia in data 5.7.2022 con la quale aveva evidenziato una progressiva presa di coscienza del paziente del disvalore della propria condotta e un accresciuto senso di responsabilizzazione. Rileva, inoltre, che la doppia valutazione dei medesimi elementi non si basa su un rapporto di necessaria interdipendenza tra i due istituti atteso che ai fini dell'applicabilità delle attenuanti generiche occorre l'accertamento di specifiche circostanze che rendano il reo meritevole di particolare clemenza, mentre la dosimetria della pena implica una valutazione adeguata alla gravità della violazione commessa Considerato in diritto 1.Ai fini di una puntuale qualificazione giuridica della condotta in contestazione relativamente al reato di cui al capo A , oggetto delle doglianze articolate con il primo motivo di entrambi i ricorsi, occorre muovere dalla ricostruzione dei fatti riportati nell'incipit della sentenza impugnata, non messa in discussione da nessuna delle due difese, dove si dà atto che l'imputato, attraverso l'applicazione della messaggistica , in quanto partecipante alla chat denominata e , condivideva i file ivi contenuti, in numero superiore ai centocinquanta, raffiguranti minori in atti sessualmente espliciti e dunque di natura pedopornografica. In particolare l'imputato, al pari di ogni componente della chat, non solo aveva accesso attraverso le proprie credenziali al materiale ivi presente che, una volta immesso da qualunque partecipante, viene automaticamente salvato sul cloud di rendendolo perciò visualizzabile in ogni momento da ogni componente del gruppo e scongiurando al contempo ogni possibile rischio di perdita dei dati, ma aveva altresì la facoltà di scambiarli con altri utenti, secondo quanto risultante dal verbale della Polizia Giudiziaria che aveva accertato la condivisione da parte del prevenuto nelle singole chat di venti file l'utente XXX , di cinque file con l'utente XXX e di sessanta file con l'utente XXX , nomi di fantasia riconducibili ad altrettanti partecipanti alla chat collettiva. Sostiene tuttavia la difesa che tale condotta, in difetto di alcun download dei file sul proprio cellulare, unica operazione penalmente rilevante in quanto volta a ricondurre le immagini riprodotte nella effettiva disponibilità dell'agente, non consenta di configurare la detenzione posta a fondamento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 600 quater, comma 1 c.p., potendo semmai ritenersi integrata la meno grave previsione contenuta nel comma 3 che punisce l'accesso intenzionale e senza giustificato motivo a materiale pedopornografico mediante l'utilizzo della rete. Tale assunto non può essere condiviso. Il concetto di detenzione, seppur derivante dall'istituto civilistico nel quale indica, quanto meno nell'accezione originaria, il potere di gestione su una res in capo a chi ne abbia il godimento con la consapevolezza che si tratti, a differenza del possesso che si identifica nell'esercizio di un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà o altro diritto reale, di un bene altrui animus detinendi , è stato mutuato dal legislatore penale con riferimento al solo elemento materiale ovverosia, prescindendo integralmente dall'animus, nella mera accezione della disponibilità materiale di un bene, e dunque in termini della sua sostanziale fruibilità. Ciò nondimeno anche in campo civilistico i concetti di possesso e di detenzione hanno subito una progressiva trasformazione con la crescente divulgazione, attraverso il web e grazie all'impatto delle nuove tecnologie sul mercato, dei beni cd. immateriali che, se nell'impianto codicistico originario erano limitati alla sola energia elettrica, equiparata a tutti gli effetti ad una res e, come tale, suscettibile di apprensione ed in termini analoghi considerata dal Codice Rocco come oggetto di furto, si è estesa a macchia di leopardo al fine di regolamentare soprattutto i nuovi fenomeni propri della cd. realtà virtuale basti pensare in via soltanto esemplificativa al mercato delle criptovalute, quale forma di finanza parallela, o nel campo delle opere artistiche agli NFT not fungible token riferiti alla copia digitale dell'opera acquistata o, ancora, alle onde elettromagnetiche o ai canali di trasmissione dei programmi radiotelevisivi. Muovendo dalla constatazione che i beni immateriali non sono per la loro stessa natura suscettibili dell'uso esclusivo sui cui si fonda la disciplina della detenzione e del possesso, è invalsa la tesi, patrocinata dalla dottrina civilistica prevalente, che, nella convinzione che anche per essi sia nella realtà fenomenica configurabile il loro godimento ed utilizzazione, rifiuta l'assimilazione dei diritti assoluti su beni immateriali ai diritti reali, ritenendone ammissibile il possesso se utilizzati da soggetto che, pur non essendo degli stessi titolare, si comporti semplicemente come tale. Spostando i termini della questione nel campo strettamente penale, va osservato che i file, lungi dal poter essere definiti entità astratte attesa la loro consistenza fisicamente tangibile sol che si consideri l'unità di misura che li contraddistingue, volta a quantificare lo spazio fisicamente occupato all'interno di un server, condividono tuttavia con i beni immateriali la caratteristica di poter essere utilizzati da più soggetti anche contemporaneamente senza che l'esercizio dell'uno impedisca quello degli altri. Deriva da queste stesse premesse la necessità di ampliare, in conformità all'evoluzione delle tecnologie e delle correlate condotte correnti, il concetto di detenzione sganciandolo dalla relazione materiale con la res intesa in termini strettamente fisici e spostandone, invece, il fulcro su quella che ne è la sua stessa ontologica essenza, costituita tanto ieri quanto oggi dalla fruibilità della res in termini non solo concreti, ma anche potenziali, che prescindono cioè dall'utilizzo effettivo. Il che ha portato già questa Corte ad estendere, proprio ai fini dell'individuazione della condotta penalmente rilevante ai sensi dell'art. 600 quater comma 1 c.p., la detenzione di file di contenuto pedopornografico alla condotta di chi aveva immesso ed archiviato i suddetti file sul cloud storage di un sito associato al suo indirizzo email, cui poteva liberamente accedere attraverso credenziali di accesso esclusive o comunque note a chi le utilizzi Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 19/01/2023 Rv. 284134 ricostruzione questa che ha il pregio di individuare con rigorosa certezza il concetto di fruibilità incondizionata nel tempo e nello spazio posto alla base della condotta di detenzione, svincolata dal trasferimento del suddetto materiale in dispositivi nel materiale possesso dell'imputato, ma che necessita di talune precisazioni affinché possa assurgere a metro di valutazione in fattispecie parzialmente diverse dal caso esaminato nella massima citata in cui il responsabile della condotta criminosa era lo stesso soggetto che aveva materialmente provveduto alla memorizzazione dei file in un archivio dal medesimo accessibile in via esclusiva. La peculiarità della vicenda oggetto del presente giudizio risiede nel fatto che la chat di utilizzata dall'E. rientra tra le cd. chat di gruppo al di là delle differenze tra le chat aperte, rinvenibili con gli ordinari motori di ricerca da parte di tutti gli utenti i quali possono, indipendentemente dal dispositivo utilizzato per accedervi, unirsi di propria iniziativa semplicemente cliccando il nome del gruppo, e quelle private, rinvenibili da utenti esterni attraverso la ricerca integrata di ed a cui si può prendere parte solo grazie ad un link di invito o comunque su iniziativa dell'amministratore del gruppo, in ogni caso, una volta entrato nella chat, qualunque partecipante ha accesso alle conversazioni e ai contenuti condivisi all'interno del gruppo, potendo leggere i messaggi precedenti, inviarne di propri, condividere file, foto, video e partecipare alle conversazioni con gli altri componenti. Ciò significa che tutti i contenuti, che, una volta immessi vengono automaticamente salvati con il sistema cloud storage nella chat del gruppo, diventano patrimonio comune di ogni componente del gruppo stesso, il quale è libero di accedervi, consultarli, condividerli al pari di ogni detentore individuale. Quello che però deve in tal caso sussistere, al fine di scongiurare il rischio che un utente ignaro che, per caso fortuito o per mera curiosità si trovi ad accedere ad una chat dai contenuti penalmente rilevanti o nella quale gli stessi siano stati solo occasionalmente immessi, sia chiamato a rispondere in via automatica del reato in contestazione, è la consapevolezza della sua partecipazione ad una chat che presenti contenuti integranti la violazione del relativo un precetto penale, e dunque costituita allo specifico fine di condividere materiale pedopornografico. È invero la piena cognizione dell'operato altrui all'interno di una chat collettiva di cui si entri a far parte quella che nella sostanza equipara la condotta di chi ha libero accesso alla cartella dei file condivisi dal gruppo, costituito al precipuo fine di condividere materiale pedopornografico, a quella di chi archivia foto e video di natura pedopornografica sul cloud storage di un account di cui abbia l'utilizzo esclusivo, esattamente come nel caso esaminato da questa Corte con la sentenza n. 4213/2023 sopra citata. La dimostrazione di siffatta consapevolezza, che rileva sul piano dell'elemento psicologico del delitto ex art. 600 quater comma 1 c.p., grava conseguentemente sull'organo dell'accusa e di essa deve dare puntualmente conto il giudice nel pronunciare l'eventuale sentenza di condanna. Condizione questa che risulta essere stata correttamente osservata nel caso di specie, avendo il giudice del merito messo in evidenza come, oltre al nome della chat chiaramente evocatore dell'argomento trattato e , il suo stesso contenuto, attesa la esclusiva presenza di materiale pedopornografico, costituito da una pluralità di file raffiguranti scene di bambini in atteggiamenti sessualmente espliciti, configurasse la plastica dimostrazione delle finalità perseguite dai suoi partecipanti. A tali caratteristiche oggettive si aggiunge, ad ulteriore riprova della consapevolezza del contenuto della chat in questione, la condotta, coerentemente sottolineata dalla sentenza impugnata, dello stesso imputato che di sua iniziativa aveva inoltrato a taluni partecipanti alla chat alcuni video ed immagini ritraenti il nipotino appena nato nudo, accompagnati da commenti di natura erotica. Ciò chiarito, deve escludersi che la suddetta condotta integri, così come sostengono le difese, la meno grave fattispecie delittuosa disciplinata dal comma 3 dell'art. 600 quater c.p Tale norma, introdotta dalla L. 23.12.2021 n. 238 con l'evidente intento di anticipare, al fine di scoraggiare la diffusione dello stesso materiale pedopornografico, la soglia della punibilità ad un momento antecedente a quello della detenzione, persegue la condotta di accesso intenzionale e privo di giustificato motivo - requisiti anch'essi volti a escludere qualsivoglia automatismo della sanzione penale -, al materiale pedopornografico presente sui siti web attraverso la navigazione sulla rete. Va tuttavia chiarito come la detenzione contenga un quid pluris rispetto al semplice accesso e sia stata perciò ritenuta dal legislatore meritevole di una pena più severa, contemplando non solo la possibilità di visionare i file, ma, in aggiunta ad essa, quella di utilizzarli a proprio piacimento. Non può infatti prescindersi dal rilievo che, una volta che i file vengano immessi su una chat di gruppo da qualunque partecipante e conseguentemente salvati nel cloud della chat stessa, diventano automaticamente fruibili da qualunque altro partecipante che, accedendo liberamente alla cartella dei media ivi archiviati, può sia limitarsi a visionarli, sia, invece, disporne condividendoli con altri soggetti. In questo senso, una volta ricondotta la detenzione penalmente rilevante nell'alveo della libera fruibilità della res nei termini illustrati in premessa, e dunque al di là della relazione materialmente tangibile tra la persona fisica e il bene, non vi è alcuna differenza tra un'operazione di download dei file fatta sul proprio cellulare, o su altro dispositivo informatico nella propria disponibilità materiale, e l'accesso incondizionato ad un archivio condiviso tra i partecipanti ad una chat collettiva, ottenuto per il fatto stesso della propria partecipazione consapevole al gruppo telematico in entrambi in casi infatti l'agente ha la piena ed incondizionata possibilità di fruire del materiale archiviato, indipendentemente dal fatto che sia stato lui stesso od altri ad aver effettuato l'operazione di salvataggio, venendo conseguentemente a realizzarsi nel caso di materiale pedopornografico il rapporto diretto tra l'imputato e l'oggetto illecito. Dovendo in conclusione ritenersi che integri la detenzione penalmente rilevante ai sensi dell'art. 600 quater comma 1 c.p. la disponibilità di file di contenuto pedopornografico archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo nello spazio ed accessibili, per il tramite delle proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo che abbia ad esso consapevolmente preso parte, deve essere rigettato il primo motivo di entrambi i ricorsi, dal contenuto fra loro sovrapponibile. 2. Il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. De Vita è, per contro, manifestamente infondato. Non soltanto il telefono cellulare era il mezzo con il quale l'imputato accedeva a per connettersi alla chat e , fatto del quale la sentenza impugnata dà compiutamente atto, ma in ogni caso, al di là della descrizione della condotta contenuta nell'editto accusatorio, non è profilabile alla radice un contrasto tra contestazione e sentenza allorquando l'imputato sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione tra le molte, Sez. U., n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051 . In altri termini, sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità, verificandosi un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato è impossibilitato a difendersi Sez. 1, n. 28877 del 4/6/2013, Colletti, Rv. 256785 , rapporto che dovrà esser verificato alla luce non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione e, quindi, di decisione Sez. 3, n. 15655 del 27/2/2008, Fontanesi, Rv. 239866 . La violazione, dunque, - come confermato anche dalla Corte di Strasburgo cfr. pronuncia dell'11 dicembre 2007, Drassich c. Italia - deve aver comportato un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti. Evenienza questa certamente non configurabile nel caso di specie sol che si consideri l'impostazione seguita dalla difesa sin dal giudizio di primo grado ove ha sottolineato, come, del resto, ribadito nel presente ricorso, che l'imputato non avesse mai scaricato alcun file sul proprio cellulare. 3. Quanto al terzo motivo del medesimo ricorso, sostanzialmente sovrapponibile al secondo motivo dell'impugnativa dell'avv. Coppola, occorre in primo luogo rilevare la genericità della contestazione per essersi le difese limitate a rilevare il mancato accertamento del dato numerico dei file presenti sulla chat sul quale si era basato il riconoscimento dell'aggravante, senza neppure frapporre ad esso una diversa consistenza quantitativa. A tale rilievo deve aggiungersi che la valutazione compiuta dalla Corte distrettuale, quand'anche il numero di più di centocinquanta file sia stato impiegato in termini approssimativi e non rigorosamente matematici, risulta in sé priva di vizi logici e come tale non deducibile nella presente sede di legittimità non solo perché trattasi di apprezzamento di merito, ma altresì perché costituisce la puntuale declinazione del principio invalso nell'interpretazione giurisprudenziale dell'art. 600 quater comma 2 c.p. secondo il quale la configurabilità della circostanza aggravante della ingente quantità nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche, così come il termine materiale impiegato dal legislatore autorizza a ritenere, del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene, nella specie ampiamente sottolineato, unitamente al quantitativo dei file, dai giudici del gravame così Sez. 3, Sentenza n. 35876 del 21/06/2016, Rv. 268008, nonché Sez. 3, Sentenza n. 39543 del 27/06/2017 Rv. 271461 . Peraltro, proprio in tale ultima pronuncia è stato affermato che l'aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche, limite il raggiungimento del quale rende maggiormente percepibile il pericolo di implementazione del mercato illecito, configurante la ratio dell'inasprimento di pena a fondamento della circostanza in esame e poiché in nessuno dei due ricorsi è neppure contestato il superamento di detta unità di misura, deve a fortiori concludersi per l'inammissibilità della dispiegata censura. 4. Inammissibili devono altresì ritenersi le doglianze articolate con il quarto motivo del ricorso dell'avv. De Vita e con il terzo motivo dell'avv. Coppola in ordine al diniego delle attenuanti generiche. Avendo la Corte di appello dato compiuta spiegazione delle ragioni per le quali ha escluso che potesse assurgere a segno di un autentico ravvedimento la condotta post delictum dell'imputato, nè potesse considerarsi condotto con successo il percorso terapeutico cui questi si era sottoposto stante la perdurante e pervicace negazione, ancora nel giudizio di secondo grado, della natura pedopornografica dei file condivisi nella chat e della attrazione provata nei confronti dei bambini, non vale riprodurre in questa sede le medesime argomentazioni a sostegno di pretesi elementi di segno positivo, integralmente demoliti dalla sentenza impugnata con rilievi intrinsecamente coerenti e che non cessano di essere tali solo perché contrari agli assunti difensivi. Quanto all'addotto risarcimento del danno occorre rilevare che di esso l'atto di appello non contiene alcuna menzione, il che non consente di ravvisare alcuna omissione valutativa al riguardo nella sentenza impugnata, essendone comunque preclusa la deduzione con il ricorso per cassazione. In ogni caso insindacabile in questa sede è il giudizio finale espresso dai giudici del gravame che, nel sottolineare la particolare gravità della condotta anche in ragione della pluralità dei reati commessi seppure assistiti dal vincolo della continuazione e la negativa personalità del prevenuto, hanno comunque ritenuto sub-valenti i fattori elementi di segno favorevole addotti dalla difesa. È stato infatti reiteratamente affermato, e va qui ribadito, che il riconoscimento di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell' art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice di merito con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, e quindi anche sui soli elementi ritenuti ostativi alla concessione del beneficio la cui configurabilità preclude la disamina degli altri parametri dell' art. 133 c.p. di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato cfr. ex plurimis Sez. 2 n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 . 5. Quanto, infine, alla dosimetria della pena, le dispiegate doglianze devono ritenersi manifestamente infondate, volte come sono a censurare valutazioni di merito, rimesse integralmente alla discrezionalità del giudicante. Va ad ogni buon conto rilevato che, ancorché il trattamento sanzionatorio sia stato fissato in misura superiore alla media edittale, la Corte partenopea, nel confermare le determinazioni assunte al riguardo dal giudice di primo grado, ha rimarcato le ragioni compiutamente argomentate in ordine al diniego delle attenuanti generiche. E poiché grava, comunque, sul ricorrente che ne lamenti l'eccessiva severità la puntuale confutazione della dosimetria sanzionatoria attraverso l'indicazione del vizio di illogicità inficiante la pronuncia impugnata, tale onere non può ritenersi essere stato assolto dalle difese, limitatesi a richiamare gli elementi invocati ai fini del riconoscimento del beneficio di cui all' art. 62 bis c.p. , tutti passati in rassegna dai giudici del gravame e motivatamente disattesi. Deve essere peraltro osservato che l'identità degli elementi valorizzati tanto ai fini del diniego delle attenuanti generiche quanto della concreta quantificazione della pena non configura alcuna violazione del ne bis in idem sostanziale Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, Rv. 27590403 trattasi invero di un parametro valutato in senso monodirezionale e non già antitetico al fine di sottolinearne la rilevanza in ordine alla graduazione del trattamento sanzionatorio rispetto al disvalore effettivo del fatto. Va al riguardo considerato che la funzione cui risponde il beneficio di cui all' art. 62 bis c.p. è esclusivamente quella di mitigare la pena rispetto all'arco edittale che, nella specie, la Corte distrettuale non ha ritenuto passibile di alcuna attenuazione rispetto alla quantificazione effettuata già dalla sentenza di primo grado, intendendo in tal modo sottolineare come fosse proprio la gravità delle condotte e l'allarmante personalità dell'imputato a giustificarne la determinazione in misura superiore alla media edittale. 7. I ricorsi devono essere, in conclusione, rigettati seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell' art. 616 c.p.p. . P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.