Cani tenuti in condizioni di degrado: possibile la non punibilità per il padrone

Acclarata la responsabilità penale dell'uomo, poggiata sul resoconto fornito dai carabinieri che hanno effettuato un blitz nella sua casa e hanno rinvenuto gli animali detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura. Per i Giudici, però, è possibile ancora riconoscere la non punibilità, poiché l'uomo ha agito con colpa e non con dolo, cioè senza l'intenzione di sottoporre i cani a sevizie.

Possibile ritenere non punibile l'uomo che ha tenuto i propri cani in condizioni di degrado . Rilevante il fatto che egli abbia agito senza dolo, cioè senza l'intenzione di sottoporre gli animali a sevizie, ma solo con colpa, frutto di circostanze – crisi coniugale e lutto familiare, nello specifico – che gli hanno reso meno facile occuparsi dei suoi amici a quattro zampe. Scenario della vicenda è un piccolo paese in provincia di Genova. Lì, nell'aprile del 2019, i carabinieri effettuano un sopralluogo all'interno della casa di un uomo e rinvengono ben quindici cani detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura , posto che alcuni di essi erano distesi sopra le loro stesse feci, essendo privi di un adeguato giaciglio, e altri manifestavano infezioni massive da parassiti ed erano in evidente stato di denutrizione , mentre due animali venivano rinvenuti nel cortile antistante la casa, legati con catena avente lunghezza di circa due metri, inferiore a quella prevista per legge, e privi di alcun ricovero o tettoia . Il quadro tracciato dai militari dell'Arma è inequivocabile, secondo i giudici del Tribunale, i quali condannano l'uomo a 5mila euro di ammenda, ritenendolo colpevole del reato di abbandono di animali , avendo detenuto i suoi quindici cani in condizioni non compatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. Col ricorso in Cassazione, però, il legale che difende l'uomo contesta la decisone del Tribunale e sostiene che le risultanze probatorie acquisite hanno smentito la ricorrenza del necessario requisito delle gravi sofferenze degli animali, tanto è vero che il veterinario ha constatato che i diciassette cani identificati erano in buone condizioni e riconoscevano il padrone . Inoltre, solo due dei quindici cani rinvenuti erano legati , ma con catene di due metri, catene che non possono ritenersi particolarmente strette , aggiunge il legale. In ogni caso, la cattiva pulizia – peraltro provvisoria – dei luoghi e le catene troppo corte possono, a tutto concedere, essere ricondotte all'illecito amministrativo disciplinato dal regolamento per la tutela e il benessere degli animali del Comune, mentre la sanzione penale risulta del tutto impropria , secondo la difesa. A questa obiezione, però, i Giudici di Cassazione ribattono richiamando gli accertamenti compiuti dai carabinieri, i quali hanno constatato la presenza di alcuni cani sprovvisti di microchip e di altri cani detenuti in ruderi pieni di escrementi – sia recenti che meno recenti – in quantità notevole e hanno certificato, inoltre, che alcuni animali risultavano pieni di parassiti e in condizioni precarie di salute , mentre altre bestie non avevano a disposizione un riparo idoneo e le catene risultavano di lunghezza inferiore a quanto previsto dalla normativa di settore . Logico il sequestro di quindici cani, di cui tredici detenuti in condizioni igieniche precarie e due privi di riparo e muniti di catena troppo corta . Logico anche, aggiungono i Giudici, ritenere il padrone degli animali colpevole di averli abbandonati e di avere loro causato rilevanti sofferenze. In sostanza, l'uomo ha detenuto i cani in condizioni incompatibili con la loro natura e, pur non causando ai cani vere e proprie sevizie, ha provocato loro gravi sofferenze , sanciscono i Magistrati di Cassazione, confermando la valutazione compiuta dai giudici del Tribunale. Mentre è priva di rilievo l'obiezione difensiva secondo cui l'uomo non ha mai inteso fare del male ai suoi cani, essendo le precarie condizioni igieniche ravvisate dai carabinieri dipese da circostanze contingenti , ossia la recente esplosione della crisi coniugale e un gravissimo lutto familiare , poiché a inchiodare l'uomo è la colpa connessa all'avere detenuto i cani in condizioni di degrado. A fronte della acclarata responsabilità penale dell'uomo , però, è comunque possibile, come sostenuto dalla difesa, riconoscerne la non punibilità. Su questo fronte i giudici del Tribunale hanno rimarcato le gravi sofferenze provocate agli animali a seguito delle modalità di detenzione e hanno ricordato che la non punibilità per particolare tenuità del fatto va esclusa nei casi in cui l'autore del fatto ha agito per motivi abietti o futili o con crudeltà, anche nei confronti degli animali . Ma tale evenienza è stata inequivocabilmente esclusa dallo stesso Tribunale, che, osservano i Magistrati di Cassazione, ha sottolineato il fatto che l'uomo, pur causando gravi sofferenze agli animali, tuttavia non li ha sottoposti a vere e proprie sevizie, tanto è vero che il reato è stato ritenuto sorretto non dal dolo ma dalla colpa , elemento questo non compatibile con la crudeltà o i motivi abietti o futili . Necessario, perciò, un nuovo processo in Tribunale per decidere sul possibile riconoscimento della non punibilità dell'uomo, pur a fronte delle condizioni di degrado in cui erano da lui tenuti i cani.

Presidente Marini – Relatore Zunica Il testo integrale della sentenza sarà disponibile a breve. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 10 novembre 2022, il Tribunale di Genova condannava L.G. alla pena, condizionalmente sospesa, di 5.000 Euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all' art. 727, comma 2, c.p. , a lui contestato per aver detenuto presso la propria abitazione e relative pertinenze 15 cani in condizioni incompatibili con la loro natura, posto che alcuni di essi era distesi sopra le loro stesse feci, essendo privi di un adeguato giaciglio, altri manifestavano infezioni massive da parassiti ed erano in evidente stato di denutrizione, mentre due animali venivano rinvenuti nel cortile antistante l'abitazione, legati con catena avente lunghezza di circa due metri, inferiore a quella prevista per legge e privi di alcun ricovero o tettoia fatto accertato in […] il omissis . 2. Avverso la sentenza del Tribunale ligure, L., tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, la difesa censura la formulazione del giudizio di colpevolezza, osservando che la pronuncia di condanna non ha operato una corretta applicazione dell' art. 727 c.p. , posto che le risultanze probatorie acquisite hanno smentito la ricorrenza del necessario requisito delle gravi sofferenze degli animali, avendo il teste A. escluso categoricamente che L. abbia maltenuto, maltrattato o malnutrito i suoi animali, tanto è vero che il veterinario Dott. B. ha constatato che i 17 cani identificati erano in buone condizioni e riconoscevano il padrone, che li ha sempre considerati come dei figli, anteponendo le esigenze degli animali alle sue personali. Del resto, solo due dei quindici cani rinvenuti erano legati, ma con catene di due metri che non possono ritenersi particolarmente strette. In ogni caso, la difesa osserva che la cattiva pulizia dei luoghi, peraltro provvisoria, e le catene troppo corte, a tutto concedere, potevano essere ricondotte all'illecito amministrativo disciplinato dal regolamento per la tutela e il benessere degli animali del Comune di […], mentre nella vicenda in esame la sanzione penale risulta del tutto impropria. Con il secondo motivo, la difesa lamenta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all' art. 131 bis c.p. , evidenziando che il Tribunale ha disatteso la richiesta difensiva in ragione di un presunto divieto normativo che in realtà non esiste, posto che il divieto stabilito dal comma 2 dell' art. 131 bis c.p. attiene alle condotte nelle quali l'autore del fatto ha agito per motivi abietti o futili o con crudeltà , in danno di persone o anche di animali, condotta questa che, nel caso di specie, non ricorre, atteso che, come riconosciuto dallo stesso Tribunale, L. non ha sottoposto gli animali a vere e proprie sevizie, detenendoli solo in condizioni incompatibili con la loro natura, il che esula dal divieto invocato dal giudice monocratico. Considerato in diritto Il primo motivo di ricorso è inammissibile, mentre il secondo è meritevole di accoglimento, con le conseguenze che saranno di seguito esposte. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che il giudizio sulla sussistenza del reato ascritto a L. non presenta vizi di legittimità. Ed invero il Tribunale ha compiuto un'adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamando gli accertamenti compiuti dai Carabinieri della Stazione di […], i quali, in data omissis , effettuavano un sopralluogo presso l'abitazione dell'imputato L.G., ubicata in località omissis . Giunti sul posto, i militari constatavano la presenza di cani, alcuni dei quali sprovvisti di microchip e altri detenuti in ruderi pieni di escrementi sia recenti che meno recenti, in quantità notevole inoltre, alcuni animali risultavano pieni di parassiti e in condizioni precarie di salute, mentre altri non avevano a disposizione un riparo idoneo e le catene risultavano di lunghezza inferiore a quanto previsto dalla normativa di settore. Pertanto, gli operanti procedevano al sequestro di quindici cani, di cui tredici perché detenuti in condizioni igieniche precarie e due perché privi di riparo e muniti di catena troppo corta. Orbene, in quanto preceduto da una disamina razionale delle fonti dimostrative disponibili correttamente intese nel loro reale significato e sorretto da considerazioni non illogiche, il giudizio sull'ascrivibilità all'imputato della condotta illecita a lui ascritta non presta il fianco alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa e invero frammentaria del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 , dep. 2021, Rv. 280601 che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Parimenti immune da censure è la qualificazione giuridica del fatto, avendo il giudice monocratico rimarcato la circostanza che l'imputato, pur non causando ai cani vere e proprie sevizie, tuttavia li ha detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura, provocando loro gravi sofferenze, il che vale a rendere configurabile la contestata contravvenzione di cui all' art. 727 comma 2 c.p. che punisce la condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze, dovendosi in tal senso richiamare la condivisa affermazione di questa Corte cfr. Sez. 3, n. 52031 del 04/10/2016 , Rv. 268778 - 01 , secondo cui, in tema di reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, previsto dall' art. 727, comma 2, c.p. , la grave sofferenza dell'animale, elemento oggettivo della fattispecie, deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell'animale in situazione di benessere, essendosi precisato che anche le sole condizioni dell'ambiente di detenzione possono essere fonte di gravi sofferenze per l'animale, quando sono incompatibili con la sua natura, come appunto risulta accertato nella vicenda in esame. Nè appare dirimente l'obiezione difensiva secondo cui l'imputato non ha mai inteso fare del male ai suoi cani, cui anzi era legatissimo, essendo le precarie condizioni igieniche ravvisate in sede di sopralluogo dipese da circostanze contingenti la recente esplosione della crisi coniugale e un gravissimo lutto familiare , avendo il Tribunale correttamente evidenziato che, come già chiarito da questa Corte cfr. in termini Sez. 3, n. 10163 del 03/10/2017 , dep. 2018, Rv. 272621 e Sez. 3, n. 2852 del 02/10/2013 , dep. 2014, Rv. 258372 , la fattispecie contravvenzionale per cui si procede, a differenza delle più gravi previsioni delittuose di cui agli art. 544 bis e ss. c.p. , che richiedono il dolo, è integrata anche dalla colpa, senz'altro configurabile nel caso di specie, in ragione delle condizioni in cui sono stati trovati non pochi animali in sede di sopralluogo. Di qui l'inammissibilità delle censure in punto di responsabilità. 2. Il secondo motivo di ricorso è invece, fondato. Nel disattendere la richiesta difensiva volta al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all' art. 131 bis c.p. , il Tribunale, nel rimarcare le gravi sofferenze provocate agli animali a seguito delle modalità di detenzione non compatibili, ha invocato a tal fine l'espresso divieto di cui all' art. 131 bis II comma c.p. richiamo/questo/che tuttavia non può essere ritenuto corretto, posto che l' art. 131 bis comma 2 c.p. contempla, tra le condizioni ostative al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, i casi in cui l'autore del fatto abbia agito per motivi abietti o futili o con crudeltà anche nei confronti degli animali , ma tale evenienza è stata inequivocabilmente esclusa dallo stesso Tribunale, che, come detto, ha sottolineato il fatto che L., pur causando gravi sofferenze agli animali, tuttavia non li ha sottoposti a vere e proprie sevizio , tanto è vero che il reato è stato ritenuto sorretto non dal dolo ma dalla colpa, elemento questo non compatibile con la crudeltà o i motivi abietti o futili. Stante l'inesattezza del richiamo normativo operato dal giudice monocratico, che ha fermato a tale rilievo la propria disamina sul punto, si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla valutazione riguardante l'applicazione dell' art. 131 bis c.p. , con rinvio a Tribunale di Genova in diversa composizione fisica, per nuovo giudizio su questo aspetto, da compiere alla luce dei parametri e dei criteri direttivi dettati dalla norma. 3. A ciò deve solo aggiungersi, ferma restando l'autonomia della valutazione di merito da compiere in sede di rinvioC, v A& a”, comunque dichiarato irrevocabile, ex art. 624 c.p.p. , il giudizio sulla sussistenza del reato contestato, dovendosi richiamare in tal senso l'affermazione di questa Corte Sez. 3, n. 50215 del 08/10/2015 , Rv. 265434 e Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016 , Rv. 267590 , secondo cui, nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio non può dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'eventuale applicazione dell 'art. 131 bis c.p ., con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Genova in diversa composizione fisica. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.