Timbra il badge elettronico per la collega: niente licenziamento perché i dati registrati dall’azienda non sono utilizzabili

I Giudici ribadiscono che le risultanze derivanti dal controllo automatico a distanza, in quanto non concordate né autorizzate, finalizzate al controllo della prestazione lavorativa, non sono utilizzabili per il licenziamento del lavoratore.

Salvo il posto di lavoro nonostante il dipendente abbia timbrato il cartellino elettronico per una collega che in quel preciso momento era assente e che è arrivata in ufficio solo in una fase successiva. A delegittimare il provvedimento adottato dall'azienda è un dettaglio fondamentale essa ha utilizzato illegittimamente le risultanze derivanti dal controllo automatico a distanza, risultante che, in quanto non concordate né autorizzate e finalizzate al controllo della prestazione lavorativa, non erano utilizzabili per il licenziamento del lavoratore. Ultima definitiva tappa nella battaglia giudiziaria – già approdata una prima volta in Cassazione – tra una grossa società e un dipendente beccato ad effettuare la timbratura dell'ingresso in azienda, timbratura registrata da un macchinario segnatempo, in luogo di una collega assente e giunta in orario successivo. A fronte dell'elemento probatorio fornito dall'azienda, ossia i dati acquisiti per il tramite dei badge da essa predisposti e forniti a tutti i dipendenti, i giudici d'Appello hanno dichiarato l'illegittimità del licenziamento e hanno, di conseguenza, condannato la società alla reintegra del dipendente nel posto di lavoro nonché a versargli un adeguato risarcimento, comprensivo del versamento dei contributi previdenziali per il periodo di illegittima cessazione del rapporto. Centrale l'addebito mosso alla società, ossia «l'illegittimo uso di apparecchiature automatiche intese al controllo a distanza della prestazione lavorativa» poiché «non concordate o autorizzate», con riferimento ai dati registrati a seguito dell'uso dei badge. Impossibile, sempre secondo i giudici d'Appello, sostenere l'ipotesi di «controlli ammissibili in quanto posti esclusivamente a tutela di beni aziendali estranei al rapporto di lavoro». A fronte della presunta non utilizzabilità delle risultanze dei controlli automatici effettuati tramite il badge timbrato dal dipendente per conto della collega, il legale della società ha sostenuto in Cassazione che, in realtà, «non vi è stata alcuna violazione della riservatezza del lavoratore licenziato, atteso che i controlli automatici avevano riguardato esclusivamente gli orari della sua collega». Questa obiezione non convince affatto, però, i Giudici di Cassazione, i quali sottolineano come si sia accertato in secondo grado che «le acquisizioni dei dati tramite il badge elettronico erano illegittime» e che, quindi, «i dati acquisiti per il tramite dei sistemi di rilevazione delle entrate e delle uscite in ufficio non erano utilizzabili» a sostegno del licenziamento, mentre «non vi erano altre evidenze, oltre a quelle documentali cui fare riferimento, per ritenere provata la condotta contestata che perciò» è, secondo i Giudici, da considerare «indimostrata». Tirando le somme, alla luce dei principi fissati in materia di controlli a distanza dei lavoratori, «le risultanze derivanti dal controllo automatico a distanza, in quanto non concordate né autorizzate, finalizzate al controllo della prestazione lavorativa, non erano utilizzabili per il licenziamento del lavoratore» mentre «le residue risultanze istruttorie non davano alcuna prova del comportamento» addebitato al lavoratore e «posto a base del suo licenziamento».

Presidente Tria – Relatore Garri Fatti di causa 1. La Corte d'appello di Roma, decidendo in sede di rinvio a seguito della cassazione della sua sentenza, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore incolpato di avere effettuato la timbratura di ingresso in azienda, registrata da un macchinario segnatempo, in luogo di una sua collega assente e giunta in orario successivo, e ha condannato la società alla reintegra del medesimo nel posto di lavoro nonché al risarcimento ex lege, ivi compreso il versamento dei contributi previdenziali per il periodo di illegittima cessazione del rapporto. 1.1. Il giudice del rinvio ha evidenziato che la cassazione aveva ritenuto illegittimo l'uso di apparecchiature automatiche intese al controllo a distanza della prestazione lavorativa, ai sensi dell'articolo 4 St. lav. nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dall'articolo 23, comma 1, del D.Lgs. numero 151 del 2015 , ove non concordate o autorizzate, ed aveva demandato alla Corte di merito di verificare la legittimità dell'utilizzazione dei dati acquisiti per il tramite dei ‘badge' predisposti dalla datrice di lavoro, cioè se vi fosse accordo o autorizzazione ovvero se si trattasse di controlli ammissibili in quanto posti esclusivamente a tutela di beni aziendali estranei al rapporto di lavoro. 1.2. Inoltre, ha sottolineato che era stato chiesto al giudice del rinvio di rivalutare, in esito a tale accertamento, il residuo materiale probatorio acquisito in giudizio per accertare la sussistenza o meno dei comportamenti contestati al C. 2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Telecom Italia s.p.a. affidato ad un unico motivo. C.D. ha resistito con tempestivo controricorso. Il Procuratore generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 3. Con un unico motivo, articolato in diversi profili, la ricorrente deduce la violazione delle disposizioni afferenti all'esercizio dei poteri valutativi del giudice, all'osservanza del dictum della pronuncia di legittimità che dispone il rinvio e alla distribuzione dell'onere della prova in materia di illegittimità del licenziamento. Sostiene che la Corte d'appello, quale giudice di rinvio, sarebbe venuta meno alla funzione, demandata dalla presupposta sentenza della Cassazione, di rivalutare il compendio probatorio residuo una volta ritenute non utilizzabili le risultanze dei controlli automatici, siccome acquisite in violazione del divieto di cui all'articolo 4 St. lav Segnala inoltre che, in realtà, non vi era stata alcuna violazione della riservatezza del lavoratore licenziato, atteso che i controlli automatici avevano riguardato esclusivamente gli orari della sua collega. 4. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 4.1. La Corte territoriale era stata incaricata dalla Cassazione, che le aveva rinviato la decisione della controversia, di verificare se il sistema di controllo era stato concordato o autorizzato ed accertare se quello effettuato integrasse un controllo difensivo verificando la legittimità dell'utilizzazione dei dati acquisiti per il tramite dei badge alla luce dei principi esposti in motivazione e solo in esito a tale accertamento . Pertanto, in applicazione del principio affermato la Corte, ha accertato che le acquisizioni dei dati tramite il badge elettronico erano illegittime ed ha verificato, con accertamento di fatto a lei riservato, che i dati acquisiti per il tramite dei sistemi di rilevazione delle entrate e delle uscite non erano perciò utilizzabili e che non vi erano altre evidenze, oltre a quelle documentali cui fare riferimento, per ritenere provata la condotta contestata che perciò era indimostrata. In sostanza la Corte, tenendo conto delle ragioni dell'originario annullamento della sentenza e sulla base dei principi dettati da questa Corte in tema di controlli a distanza dei lavoratori, ha accertato che le risultanze derivanti dal controllo automatico a distanza, in quanto non concordate nè autorizzate, e finalizzate al controllo della prestazione lavorativa, non erano utilizzabili per il licenziamento del lavoratore e che le residue risultanze istruttorie non davano alcuna prova del comportamento posto a base del licenziamento. 4.2. Così facendo il giudice del rinvio si è mantenuto esattamente nell'ambito di accertamento demandato dalla Cassazione e non è incorso perciò nella denunciata violazione dell'articolo 384 c.p.c. 4.3. Neppure poi è ravvisabile la violazione delle norme sull'onere della prova e sulla prova presuntiva. La violazione degli articolo 2727 e 2729 c.c. può essere denunciata alla Corte di legittimità solo allorché ricorra un vizio di sussunzione, vale a dire quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso Cass. 13.2.2020, numero 3541 e nella specie la Corte territoriale ha escluso in radice che sussistessero tali elementi indiziari che potessero condurre, attraverso un ragionamento presuntivo, a ritenere provati i fatti addebitati. 5. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'articolo 13 comma 1 bis del citato D.P.R. numero , se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'articolo 13 comma 1 bis del citato D.P.R. numero , se dovuto.