Lui ignora il desiderio di verginità della compagna: condannato per violenza sessuale

Decisiva e attendibile la versione fornita dalla ragazza e confermata dal fidanzato, il quale ha riconosciuto che, ancor prima del loro incontro, la ragazza gli aveva precisato di non volere un rapporto vaginale per ragioni che, in quanto legate alla cultura di provenienza comune, secondo cui costituisce ancora un valore la condizione di illibatezza della donna fino al matrimonio, lui era pienamente in grado di comprendere.

Sesso sì, ma evitando il rapporto vaginale. Il paletto fissato - per motivi religiosi - dalla ragazza e ignorato dal ragazzo costa a quest’ultimo la condanna per violenza sessuale . Ricostruito l’episodio oggetto del processo, i giudici di merito hanno ritenuto hanno condannato il giovane a due anni di reclusione per violenza sessuale ai danni della compagna. Decisivo il racconto della vittima, la quale ha sottolineato di avere spiegato al fidanzato di voler fare solo sesso anale per preservare la propria verginità . Invece, pur avendo la ragazza espresso il suo consenso ad intrattenere un rapporto sessuale soltanto anale, così da preservare la sua verginità fino al matrimonio , in osservanza alla cultura del proprio Paese di origine, l’uomo si è spinto, al di là dell’ esplicito diniego espresso dalla ragazza, a commettere una penetrazione vaginale . Opposta, ovviamente, la versione fornita dall’uomo. Nello specifico, nel ricorso in Cassazione egli sostiene che la ragazza, conosciuta sui social, si era appositamente recata presso la sua abitazione con il fine di intrattenere rapporti sessuali, avendo acconsentito sia quelli anali che a quelli vaginali, salvo poi negare a posteriori il consenso, una volta realizzato che egli non l’avrebbe mai sposata, così come lei si era illusa potesse accadere nel corso del loro appassionato e focoso amplesso . A dimostrazione del mutato intendimento della ragazza, volto a far ricadere su di lui la colpa della perdita della verginità vi è, secondo l’imputato, il tempo trascorso tra l'episodio e la formalizzazione della denuncia nei suoi confronti, tempo in cui la ragazza aveva realizzato la mancanza di intenzioni da parte del connazionale di sanare con il matrimonio quanto accaduto . Per I Giudici di Cassazione, tuttavia, le obiezioni proposte dall’imputato sono assolutamente prive di fondamento, a fronte della versione fornita dalla ragazza e, paradossalmente, da lui confermata riconoscendo che la ragazza, ancor prima del loro incontro, gli aveva precisato di non volere un rapporto vaginale per ragioni che, in quanto legate alla cultura di provenienza comune, secondo cui costituisce ancora un valore la condizione di illibatezza della donna fino al matrimonio , lui era pienamente in grado di comprendere . Invece, non sono emersi elementi tali da consentire di desumere una diversa sopravvenuta volizione della ragazza in ordine alla tipologia dei rapporti sessuali cui avrebbe prestato il suo consenso, avendo l’uomo dichiarato di non averle mai fatto una promessa di matrimonio né prima né durante il loro congiungimento carnale . Infine, pienamente coerente con la condizione di vergogna e di paura provata dalla giovane per le gravi conseguenze che avrebbe portato la perdita della sua verginità anche per la sua famiglia quando fosse stata scoperta è il fatto che ella si sia confidata soltanto con la zia, la quale, comprendendo appieno lo stato d'animo della nipote, ha cercato di trovare una soluzione accertandosi delle effettive intenzioni dell’uomo e che solo dopo aver parlato con lui, il quale aveva addirittura sostenuto che già prima del loro approccio sessuale la ragazza non fosse più vergine, le ha consigliato di denunciare la violenza subita .

Presidente Ramacci Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 29.11.2022 la Corte di Appello di Ancona ha integralmente confermato la pronuncia resa all'esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Urbino che ha condannato A.A. alla pena di due anni di reclusione ritenendolo responsabile del delitto di violenza sessuale nell'ipotesi di minore gravità di cui all' art. 609 bis ultimo comma c.p. commesso in data […] ai danni di una sua connazionale. Nello specifico i giudici di merito hanno ritenuto che, pur avendo la ragazza espresso il suo consenso ad intrattenere un rapporto sessuale soltanto anale, così da preservare la sua verginità in osservanza alla cultura del proprio paese di origine fino al matrimonio, il giovane si fosse, invece, spinto, al di là del suo esplicito diniego, a commettere una penetrazione vaginale. 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, un primo ricorso per cassazione, cui ha fatto seguito un ulteriore atto in rinnovazione ai sensi dell' art. 585 comma 1 bis c.p.p. con il quale lamenta, articolando un unico motivo, la manifesta illogicità della motivazione che ha basato il verdetto di colpevolezza sulle sole dichiarazioni della p.o., senza spiegare per quali ragioni le stesse dovessero prevalere rispetto alla ben diversa versione fornita dall'imputato, secondo il quale la ragazza, conosciuta sui social, si era appositamente recata presso la sua abitazione con il fine di intrattenere rapporti sessuali, avendo acconsentito sia quelli anali che a quelli vaginali, salvo poi negare a posteriori il suo consenso una volta realizzato che egli non l'avrebbe mai sposata, così come lei si era illusa potesse accadere nel corso del loro appassionato e focoso amplesso. Evidenzia come dimostrazione del mutato intendimento della vittima, volto a far ricadere sul prevenuto la colpa della perdita della sua verginità, fosse il tempo trascorso tra l'episodio incriminato e la formalizzazione della denuncia querela nei suoi confronti nel quale costei aveva realizzato la mancanza di intenzioni da parte del giovane di sanare con il matrimonio quanto accaduto. Contesta altresì che gli arrossamenti della pelle della ragazza costituiscano conferma della costrizione fisica subita, considerato che la digitopressione non ha tale specifica connotazione e che per contro un'aggressione violenta ha ben più gravi conseguenze. 3. Con memoria trasmessa via Pec in data 24.5.2023 la parte civile, nel rilevare come il ricorso si compendiasse in censure meramente fattuali volte a contestare l'attendibilità della vittima profilo che era stato ampiamente valutato dalla sentenza impugnata, ha concluso per la sua inammissibilità o, in subordine, per il suo rigetto. Considerato in diritto Le censure che il ricorrente rivolge alla sentenza impugnata non attengono all'invocato vizio motivazionale che, com'è noto si sostanzia in incongruenze o lacune dell'apparato logico-argomentativo del provvedimento contestato, che non risultano, al di là del nomen juris della rubrica, neppure profilate, ma si fio, invece. in una diversa valutazione, in termini più favorevoli per la, difesa, delle risultanze istruttorie che hanno portato la Corte distrettuale a confermare l'affermazione di responsabilità dell'imputato. Deve al riguardo osservarsi, richiamando il consolidato orientamento di questa Corte, che il compito del giudice di legittimità non è quello di valutare ex novo le emergenze processuali sulle quali i giudici di merito hanno fondato il proprio convincimento così da rendere un terzo grado di giudizio, ma quello di stabilire se detti giudici abbiano fornito una corretta interpretazione di esse, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre cfr. Cass. Sez. 1 n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507 e Cass. Sez. 1 n. 1507 del 17/12/1998, Rv. 212278 . Dovendo, invero, il controllo di logicità rimanere all'interno del provvedimento impugnato che deve risultare congruo rispetto a se stesso, deve ritenersi irreversibilmente preclusa, in ragione del circoscritto orizzonte cui è confinato il giudizio di legittimità, la possibilità per questa Corte di procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi di fatto, tra cui rientra l'apprezzamento dell'attendibilità della vittima, su cui si fonda la decisione, nè di opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica Sez. U, n. 16 del 19/06/1996 -dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 20562101 , potendo la denunciata manifesta l'illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio deducibile ai sensi dell'art. 606 lett. e c.p.p., riferirsi esclusivamente alla mera correttezza del discorso giustificativo della decisione, e non al suo contenuto valutativo ex multis, tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 . Il controllo di legittimità concerne in altri termini, il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria ad essa sottesa, che, in quanto riservata a giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Sulla base di tali premesse, devono essere considerati inammissibili tutti i motivi a sostegno dei ricorsi che fanno leva sul confronto tra brani della motivazione della sentenza impugnata, riferibili a valutazioni probatorie, e l'alternativa interpretazione difensiva, senza, tuttavia, denunciare, con la necessaria specificità, travisamenti probatori ossia possibili errori del giudice di appello sul significante dei dati probatori indicati. Va considerato, inoltre, che è estraneo al vizio denunciato ex art. 606, lett. e , c.p.p. ogni discorso di mera contrapposizione dimostrativa quanto al senso delle prove, considerato che nessun elemento probatorio, per quanto significativo, può essere interpretato per brani o per stralci, ossia al di fuori del più generale contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti, attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa Sez. U, sentenza n. 22242 del 27/01/2011, Scibè, Rv. 249651 Sez. 5, sentenza n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168 . Conseguentemente, immuni da censure, stante la approfondita valutazione e la logica consequenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione, risultano le argomentazioni ivi addotte a fronte dei singoli rilievi difensivi sull'attendibilità della p.o. venendo evidenziato che a era stato proprio l'imputato ad aver riconosciuto nel corso della sua audizione dibattimentale ad aver riconosciuto che la p.o. ancor prima del loro incontro gli aveva precisato di non volere un rapporto vaginale per le ragioni che, in quanto legate alla cultura di provenienza comune, ovverosia alla comunità marocchina secondo cui costituisce ancora un valore la condizione di illibatezza della donna fino al matrimonio, lui era pienamente in grado di comprendere b non erano emersi elementi che consentissero di desumere una diversa sopravvenuta volizione della ragazza in ordine alla tipologia dei rapporti sessuali cui avrebbe prestato il suo consenso avendo lo stesso imputato dichiarato di non averle mai fatto una promessa di matrimonio nè prima nè durante il loro congiungimento carnale c il referto di Pronto Soccorso attestante l'iperemia delle cute con la forma delle dita al braccio sinistro e i graffi a livello epigastrico e del torace era pienamente compatibile con la dinamica degli eventi da costei riferita, ovverosia di una sopraffazione intervenuta nel corso del rapporto dove la vittima cercava di respingere l'uomo che, sovrastandola, le bloccava le braccia per costringerla a subire un rapporto vaginale d pienamente coerente con la condizione di vergogna e di paura provata dalla giovane per le gravi conseguenze che avrebbe portato la perdita della sua verginità anche per la sua famiglia quando fosse stata scoperta condizione peraltro riscontrata anche dall'assistente sociale che l'aveva successivamente presa in carico -, era il fatto che si fosse confidata soltanto con la zia, la quale, comprendendo appieno lo stato d'animo della nipote, aveva cercato di trovare una soluzione accertandosi delle effettive intenzioni dell'imputato e che solo dopo aver parlato con lui, il quale aveva addirittura sostenuto che già prima del loro approccio sessuale la ragazza non fosse più vergine, le abbia consigliato di denunciare la violenza subita e la condizione di effettiva illibatezza della vittima, desunta dall'analisi delle macchie di sangue trovate su un asciugamano utilizzato per asciugarsi dopo il rapporto sessuale, collimanti con il suo, così come di tracce ematiche riscontrate all'esito della visita vaginale. A fronte di tale puntuale e coerente ricostruzione della vicenda criminosa prive di consistenza si rivelano perciò le doglianze articolate dalla difesa volte soltanto a fornire una giustificazione alternativa dei segni rinvenuti sul corpo della vittima o a sostenere la diversa versione dell'imputato, priva di alcun riscontro fattuale e, ancor prima logico, che consenta di accreditare a sentimenti di vendetta che possano minare la credibilità della narrazione della p.o. e conseguentemente di ravvisare alcuna frizione nel ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale, del tutto conforme peraltro a quello emerso dalla sentenza del giudice di prime cure. Al contrario, la valutazione della credibilità oggettiva e soggettiva della vittima è stata condotta dai giudici di appello con logica puntuale ed adeguato rigore secondo i corretti canoni di giudizio indicati dalle direttrici interpretative indicate dalla giurisprudenza, all'esito di un percorso motivazionale che costituisce il fisiologico approdo di un esame coordinato e complessivo di tutto il compendio probatorio, sollecitato proprio dalle considerazioni critiche provenienti dalla difesa. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, seguendo a tale esito, a norma dell' art. 616 c.p.p. , l'onere delle spese processuali, nonché in difetto di elementi che consentano di escludere profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo. A carico del ricorrente vanno altresì poste, secondo la regola della soccombenza, le spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile in relazione alle quali, stante la sua ammissione al gratuito patrocinio, può essere pronunciata nella presente sede di legittimità la sola condannai generica in favore dell'Erario, mentre è rimessa al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione dei relativi importi mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R. n. Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, De Falco, Rv. 277760 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Appello di Ancona con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115/2000, disponendo il pagamento in favore dello Stato.