Ne bis in idem: la specificazione del dato temporale costituisce condizione imprescindibile per garantire il rispetto di tale principio

Con sentenza n. 35876, depositata il 28 agosto 2023, la Corte di Cassazione si espressa in tema di maltrattamenti in famiglia, in particolare sulla violazione del principio del ne bis in idem .

Un imputato, accusato del delitto di lesioni volontarie e ritenuto responsabile del delitto di maltrattamenti in famiglia , ricorre in Cassazione deducendo, in particolare, la violazione del divieto di bis in idem . La doglianza è fondata. Con la sentenza n. 200/2016, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 649 c.p.p. , per contrasto con l' art. 117, comma 1, Cost. , in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU , nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale , chiarendo, in particolare, che la Convenzione Europea impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente. Il diritto vivente, con una lettura conforme all'attuale stadio di sviluppo dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU , impone di valutare, con un approccio storico-naturalistico, la identità della condotta è dell'evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima . Dunque, ai fini della preclusione del giudicato, l'identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell'attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa Cass. n. 18020/2022 . Nel caso di specie, la pronuncia impugnata non approfondisce il thema probandum collocando nel tempo e nello spazio gli episodi che si assumono maltrattanti e dai quali far scaturire la pronuncia in merito nel rispetto del principio in questione. Ne consegue che la Corte territoriale non ha evidenziato la valenza dimostrativa rispetto alle condotte poste in essere dall'imputato nello specifico arco temporale indicato dalla sentenza rescindente. Pertanto, la specificazione del dato temporale costituisce , nel caso di specie, condizione imprescindibile per garantire il rispetto del principio di ne bis in idem , rendendosi necessario ai fini della pronuncia di merito, il riferimento dei dati probatori a condotte eventualmente sopraffattrici abitualmente poste in essere dall'imputato nei confronti della vittima, in quel determinato arco di tempo e non, genericamente, a condotte vessatorie che, in quanto tali, potrebbero corrispondere alle condotte di stalking oggetto del giudicato assolutorio .

Presidente Petruzzellis – Relatore Aielli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 27/5/2022, la Corte d'appello di Lecce, decidendo in sede di rinvio a seguito della pronuncia della Corte di cassazione, emessa in data 1/3/2018, che aveva annullato la sentenza della Corte d'appello di Lecce, con la quale era stata confermata la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva assolto C.F. dal delitto di cui all' art. 572 c.p. e lo aveva condannato per il delitto di lesioni volontarie, ha dichiarato l'imputato responsabile del delitto di maltrattamenti in famiglia, limitatamente al periodo che va dal 1/8/2013 al 12/3/2015 ed ha altresì dichiarato non doversi procedere in ordine al medesimo reato, quanto al periodo da giugno 2011 al 31 luglio 2013, perché coperto da precedente giudicato confermando la precedente condanna per il delitto di cui all' art. 572 c.p. , commesso nel periodo antecedente a giugno 2011. 2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato il quale dopo avere ricostruito l'iter processuale della vicenda, con il primo motivo deduce nullità della sentenza in relazione all' art. 518 c.p.p. , ad avviso della difesa la sentenza impugnata avrebbe valutato fatti nuovi, esorbitanti dal capo di imputazione, cristallizzato con la sentenza di primo grado. 3. Con secondo e terzo motivo, tra loro connessi, deduce inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o decadenza e vizio di motivazione in riferimento alla doglianza relativa alla violazione del divieto di bis in idem. Rileva la difesa come la condanna relativa al delitto di maltrattamenti in famiglia, asseritamente posto in essere dal C. nel periodo 1/8/2013 - 12/3/2015, abbia ad oggetto fatti del tutto sovrapponibili a quelli valutati dal GUP del Tribunale di Brindisi con la sentenza in data 24/6/2015, passata in giudicato, con la quale C. è stato assolto dal delitto di atti persecutori. Sul punto osserva la difesa come, tanto la Corte costituzionale con la sent. 200/2016, quanto la giurisprudenza sovranazionale che quella della Suprema Corte di cassazione, abbiano precisato che ai fini della verifica della identità del fatto occorre tenere conto del fatto storico inteso come condotta, nesso di causalità ed evento verificatosi nella dimensione materiale empirica. 4. Con i successivi motivi IV e V deduce vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all' art. 572 c.p. Secondo il ricorrente la Corte d'appello avrebbe valorizzato esclusivamente ed aprioristicamente gli elementi probatori provenienti dalla p.o., omettendo di considerare gli argomenti difensivi con i quali si tentava di dimostrare che la condotta del SiPq si inseriva in un contesto di conflittualità reciproca ed era volta a difendere un proprio diritto in giudizio con riguardo alla gestione dei figli. 5. I successivi VI e VII motivo riguardano vizi dú motivazione e violazione di legge in particolare dell' art. 192 c.p.p. , avuto riguardo alla omessa valutazione dell'attendibilità della p.o., a fronte della documentazione prodotta dalla difesa, dimostrativa del clima di conflittualità vigente tra le parti e dell'animosità della dichiarante. 6. L'ultimo motivo attiene alla omessa motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche posto che non sarebbero stati valutati gli elementi difensivi addotti a sostegno della richiesta. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato avuto riguardo al secondo e terzo motivo, dal che consegue l'assorbimento dei successivi rilievi, mentre infondato è il primo motivo. 2. Non si ravvisa la dedotta violazione dell' art. 518 c.p.p. posto che la Corte d'appello, a fronte di una contestazione c.d. aperta che non indica la data della cessazione della permanenza, ha limitato il proprio giudizio alle condotte poste in essere fino alla pronuncia di primo grado, emessa nel 2015, ancorché successive alla cessazione della convivenza cfr. pag. 9 , con ciò conformandosi al dictum della sentenza rescindente e ponendosi in linea con la giurisprudenza di legittimità peraltro richiamata anche nel ricorso , secondo cui la contestazione del reato permanente, per l'intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l'elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale o la data dell'accertamento e non quella finale, la permanenza - intesa come dato della realtà deve ritenersi compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale . Nell'affermare detto principio la Corte ha precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perché in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, sibbene solo perché le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l'omogeneità e l'assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione Sez. U. n. 11021 del 13/07/1998, Rv. 211385 . La Corte d'appello ha, quindi, correttamente, preso in esame anche i fatti successivi alla cessazione del rapporto di convivenza e commessi fino al momento della sentenza di primo grado del 12 marzo 2015 , poiché quest'ultima è stata emessa in data antecedente alla sentenza di divorzio tenendo presente che, secondo quanto indicato dalla sentenza rescindente una parte della condotta e cioè quella compresa tra il 13 gennaio 2010 ed il 29 giugno 2011, era coperta da giudicato cfr. pag. 9 della sentenza rescindente .Pertanto il perimetro del nuovo giudizio di appello, secondo quanto indicato nella sentenza di annullamento, doveva necessariamente comprendere fatti verificatisi nel periodo intercorrente tra il 31 luglio 2013 ed il 12 marzo 2015 considerato che questi non erano coperti dal giudicato assolutorio relativo al reato di cui all' art. 612 bis c.p. , consumato nel periodo da giugno 2011 fino al 31 luglio 2013. 3. Fondati sono, invece, il secondo e terzo motivo con i quali si lamenta la violazione del divieto di bis in idem. Occorre ricordare che con la sentenza n. 200 del 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 649 c.p.p. , per contrasto con l' art. 117, comma 1, Cost. , in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU , nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. La Corte chiarisce, in particolare, che la Convenzione Europea impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente. II diritto vivente, con una lettura conforme all'attuale stadio di sviluppo dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU , impone di valutare, con un approccio storico-naturalistico, la identità della condotta è dell'evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima. Dunque, sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, sicché non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un'unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell'integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico. In altri termini, deve essere respinta la tendenza ad espandere il concetto di identità del fatto fino a richiedere, quale presupposto per la sua sussistenza, la sola generica identità della condotta è invece necessario che l'interprete proceda ad analizzare tutti gli elementi costitutivi, seppure riferendosi a un confronto fra fatti materiali e non semplicemente a un confronto fra disposizioni sanzionatorie. Ai fini della preclusione del giudicato, l'identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell'attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa Sez. 5, Sentenza n. 18020 del 10/02/2022, Rv. 283371 . 4. Nel caso in esame, la sentenza impugnata, in via di principio, recepisce tali linee ermeneutiche, tanto che delimita l'oggetto del nuovo giudizio al periodo 31/7/2013 12/3/2015, date corrispondenti, la prima, alla consumazione del reato di stalking contestato come commesso dal giugno 2011 fino al 31 luglio 2013, la seconda, relativa alla consumazione del delitto di maltrattamenti consumato sino alla data della sentenza di primo grado 12/3/2015 e tuttavia, nell'applicare dette regole non approfondisce il thema probandum collocando nel tempo e nello spazio, gli episodi che si assumono maltrattanti e dai quali far scaturire la pronuncia di merito nel rispetto del principio di ne bis in idem. In altri termini la Corte territoriale, pur richiamando specifici elementi probatori dichiarazioni della p.o. e dei testi , non ne ha evidenziato la valenza dimostrativa rispetto alle condotte poste in essere dal C. nello specifico arco temporale indicato dalla sentenza rescindente. Le dichiarazioni della p.o., come quelle dei testi, appaiono genericamente richiamare condotte asseritamente maltrattanti, senza alcun riferimento all'arc o temporale oggetto del nuovo giudizio la p.o. invero richiama un episodio del 31.10.2013 non indicativo in sé del reato abituale di maltrattamenti in famiglia . In altri termini la specificazione del dato temporale costituisce, nel caso di specie, condizione imprescindibile per garantire il rispetto del principio di ne bis in idem, rendendosi necessario ai fini della pronuncia di merito, il riferimento dei dati probatori a condotte eventualmente sopraffattrici del C. abitualmente poste in essere nei confronti della R. , in quel determinato arco di tempo e non, genericamente, a condotte vessatorie che, in quanto tali, potrebbero corrispondere alle condotte di stalking oggetto del giudicato assolutorio. La sentenza va dunque annullata con rinvio alla Corte d'appello di Lecce per nuovo giudizio. p.q.m. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Lecce.