Collare antiabbaio al cane: condannato il padrone

Decisiva la constatazione che l’apparecchio funzionava in modo automatico, con scosse elettriche inflitte all’animale appena quest’ultimo provava ad abbaiare.

Condanna inevitabile per l'uomo che impone al suo cane un collare ‘no bark' , ossia un collare che infligge una scossa elettrica all'animale appena quest'ultimo comincia ad abbaiare. Scenario della vicenda è la provincia di Treviso. A dare il ‘la' all'avvio del procedimento giudiziario è l'operato di un agente di polizia giudiziaria, il quale ritrova un cane smarrito e nota che l'animale porta un collare antiabbaio , provvisto di due pioli di metallo che, a contatto diretto con il collo del quadrupede, emettono scosse elettriche ad ogni vibrazione delle corde vocali , con conseguente dolore, così di fatto impedendo al cane di abbaiare. La testimonianza dell'agente è ritenuta decisiva dai giudici di merito, poiché egli ha potuto verificare che quella funzionalità del collare era attiva al momento del controllo e rilevando il codice impresso sul collare poi sottoposto a sequestro , ha acquisito il relativo manuale d'uso che confermava l'automatico funzionamento dell'apparecchio. Sacrosanta, quindi, secondo i giudici del Tribunale, la condanna del padrone del cane. Nello specifico, l'uomo viene ritenuto colpevole di maltrattamenti ai danni dell' animale e viene sanzionato con 3mila euro di ammenda. Con il ricorso in Cassazione l'avvocato che difende il padrone del cane prova a ridimensionare l'episodio oggetto del processo e in questa ottica sostiene che non si tratta di un collare antiabbaio, bensì di un collare da addestramento, suscettibile di provocare scosse elettriche e quindi dolore all'animale nel solo caso di utilizzo attraverso un apposito comando azionato a distanza . Di conseguenza, secondo il ragionamento del legale, per parlare di maltrattamenti ai danni del cane occorre dimostrare il concreto utilizzo dell' apparecchio in modalità produttiva di scossa elettrica con conseguenti gravi sofferenze inflitte all'animale . Per replicare alle obiezioni difensive i magistrati di Cassazione richiamano il dato di fatto accertato in Tribunale il collare portato dall'animale non apparteneva alla tipologia di quelli suscettibili d'essere comandati a distanza - per i quali soltanto è necessario accertare se essi siano stati o meno azionati al fine di verificare la concreta produzione di gravi sofferenze per l'animale - bensì a quelli che determinano in automatico scosse elettriche al primo latrare del cane . Inevitabile , quindi, la condanna del padrone del cane . Anche tenendo presente che nel non breve tempo in cui il cane si era allontanato dal padrone, percorrendo almeno 7 o 8 chilometri e vagando in strada così da ostacolare il traffico, esso aveva ragionevolmente abbaiato, così azionando gli impulsi elettrici produttivi di quelle gravi sofferenze che certamente integrano il contestato reato di detenzione dell'animale in condizioni incompatibili con la sua natura , concludono i magistrati.

Presidente Ramacci – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16 settembre 2022, il Tribunale di Treviso ha condannato N.A. alla pena di Euro 3.000 di ammenda per il reato di cui all' art. 727 c.p. . 2. A mezzo del difensore fiduciario l'imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con due motivi - in parte sovrapponibili - il vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, e la violazione della legge incriminatrice. In particolare, il ricorrente lamenta che la sentenza sii fondi su una prova inesistente - o comunque travisata - avendo erroneamente ritenuto che il collare apposto al cane dell'imputato fosse un collare c.d. no bark piuttosto che un collare da allenamento. L'errore - indotto dalle affermazioni del teste escusso emergerebbe dal fatto che il collare in sequestro reca un codice riconducibile alla seconda tipologia di collari e non alla prima. Ne risulta quindi scardinata la tenuta logica della sentenza, che ha ravvisato la penale responsabilità ritenendo che, al momento del controllo, l'animale portasse un collare no bark , automaticamente produttivo di scosse elettriche all'abbaiare dell'animale e, dunque, incompatibile con la sua natura e produttivo di gravi sofferenze. Per contro - allega il ricorrente - il collare apposto al cane poteva essere attivato, con diverse funzionalità, soltanto con un comando a distanza, nel caso di specie mai utilizzato per indurre scosse elettriche. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché generico, manifestamente infondato e proposto per ragioni non consentite. 2. Richiamando la prova testimoniale dell'ufficiale di polizia giudiziaria che ebbe a ritrovare, disperso, il cane dell'imputato - prova non illogicamente ritenuta attendibile - la sentenza ricostruisce il fatto nel senso che, al momento del controllo, l'animale portasse un collare antiabbaio c.d. no bark , provvisto di due pioli di metallo a contatto diretto con il collo, i quali emettevano scosse elettriche ad ogni vibrazione delle corde vocali, con conseguente dolore, così di fatto impedendo al cane di abbaiare. Il teste - attesta la sentenza - ha verificato che quella funzionalità del collare era attiva al momento del controllo e, rilevando il codice impresso sul collare medesimo poi sottoposto a sequestro , ha acquisito il relativo manuale d'uso che confermava quell'automatico funzionamento. Facendo buon governo degli insegnamenti ricavabili dalle pronunce di questa Corte, la sentenza ha conseguente ritenuto la sussistenza della contestata contravvenzione in termini, cfr., ad es., Sez. 3, n. 3290 del 03/10/2017, dep. 2018 , n. m. per un'interpretazione più rigorosa, che ha ravvisato addirittura la sussistenza del delitto di cui all' art. 544 ter c.p. , cfr. Sez. 3, n. 15061 del 24/01/2007 , Sarto, Rv. 236335 . 3. Il ricorrente non contesta tale interpretazione - condivisa dal Collegio ma, come rilevato, deduce il vizio di travisamento della prova, sostenendo che nella specie non si tratterebbe di un collare antiabbaio, bensì di un collare da addestramento, suscettibile di provocare scosse elettriche e quindi dolore all'animale nel solo caso di utilizzo attraverso un apposito comando azionato a distanza, sicché, in conformità all'orientamento di questa Corte, per ritenere l'integrazione del reato occorreva dimostrare il concreto utilizzo dell'apparecchio in modalità produttiva di scossa elettrica con conseguente produzione delle gravi sofferenze inflitte all'animale cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 10758 del 11/02/2021 , Spaccapeli, Rv. 281328 . 4. La doglianza, reputa il Collegio, poggia, tuttavia, su un'eccezione di travisamento della prova - e di conseguente manifesta illogicità della motivazione - non dimostrata, che si risolve in una contestazione della ricostruzione del fatto in questa sede inammissibile. Il ricorrente - il quale neppure allega di aver specificamente sottoposto al giudice di merito la censura proposta in ricorso - addirittura richiede, in questa sede, che la cancelleria del tribunale provveda alla allegazione del collare in sequestro in modo tale, par di capire, da consentire a questa Corte di effettuare un accertamento in fatto che le è sicuramente precluso. Per contro, la sentenza impugnata si è doverosamente confrontata con l'indirizzo ermeneutico affermato nella sentenza invocata dal ricorrente e da ultimo richiamata, ma ne ha escluso l'applicabilità al caso di specie attestando che il collare portato dall'animale dell'imputato non apparteneva alla tipologia di quelli suscettibili d'essere comandati a distanza - per i quali soltanto è necessario accertare se gli stessi siano stati o meno azionati al fine di verificare la concreta produzione di gravi sofferenze - bensì, appunto, a quelli che determinavano in automatico scosse elettriche al latrare del cane. Con giudizio di fatto sorretto da non illogica motivazione - non specificamente contestata - la sentenza pag. 3 argomenta inoltre le ragioni che inducevano a ritenere come, nel non breve tempo in cui il cane si era allontanato dal padrone, percorrendo almeno 7-8 Km. e vagando in strada sì da ostacolare il traffico, lo stesso aveva ragionevolmente abbaiato, così azionando gli impulsi elettrici produttivi di quelle gravi sofferenze che certamente integrano il contestato reato di detenzione dell'animale in condizioni incompatibili con la sua natura. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell' art. 616 c.p.p. , oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.