Decelera al segnale di precedenza ma non riesce ad evitare l’impatto con una moto: condannata

Inutile il tentativo della difesa di invocare una rilettura delle risultanze della perizia l’imputata, pur avendo decelerato in corrispondenza del segnale di precedenza, si è accostata a questo imprudentemente e ha avviato la manovra di immissione senza assicurarsi, con la diligenza e la prudenza dovuta, dell’eventuale provenienza di altri veicoli.

A seguito di un sinistro stradale tra un'auto, che non aveva dato precedenza, ed una moto il centauro coinvolto era deceduto. Il Tribunale di Pavia confermava, in sede di rinvio, la condanna della conducente dell'auto per omicidio con la pena della reclusione di 10 mesi e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un 1 anno e 6 mesi. La Corte d'Appello ha ridotto la durata della sospensione della patente ad un anno, confermando per il resto la decisione. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione lamentando la violazione dell' art. 589, comma 2, c.p. e il vizio di motivazione in relazione alla responsabilità penale invocando le risultanze della perizia svolta nel giudizio di rinvio dalla quale risultava l'alta velocità della moto. Inoltre, la sentenza di merito, sempre secondo il ricorso, non dava atto degli elementi probatori da cui aveva tratto il convincimento che l'imputata aveva solo decelerato all'incrocio, quando invece i testi e il perito avevano affermato che l'auto si era arrestata al segnale di precedenza. Il ricorso si rivela inammissibile. Occorre chiarire in primo luogo che all'esito del giudizio rescindente la Cassazione aveva delimitato il perimetro del giudizio rescissorio alla ricostruzione della dinamica del sinistro, con particolare riferimento alla concreta possibilità che la moto viaggiava ad una velocità superiore e alla presenza del sistema frenante ABS. E la Corte territoriale si è uniformata a tale richiesta, avendo approfondito, tramite perizia, la ricostruzione dinamica del sinistro. Il perito ha dato atto che della presenza del sistema frenante ABS che, notoriamente, non rilascia sull'asfalto tracce evidenti di frenata. Tuttavia, ha in ogni caso concluso che nessuna frenata sia stata azionata infatti, la velocità di 87 km/h, alla quale è avvenuto l'impatto, deve ritenersi, con alto grado di probabilità, la velocità di marcia tenuta dal motociclista immediatamente prima dell'impatto, e ciò in ragione di ulteriori rilievi, questi obiettivi e incontestati, integrati dalla determinazione della velocità all'urto della vettura, stabilita in circa 18 km/h, e dal tempo impiegato dall'automobilista per percorrere il tratto di carreggiata che va dall'attraversamento all'impatto, misurato in 1,7 secondi . Il perito ha inoltre osservato che se la velocità di marcia del motoveicolo è quella indicata, a fronte di un intervallo psicotecnico di reazione del conducente, convenzionalmente stabilito in 1 secondo, al medesimo è residuata una frazione temporale di 0,7 secondi, insufficiente per porre in essere manovre di emergenza, inclusa un'eventuale frenata . In definitiva, appare coerente su un piano logico ritenere che l'imputata, pur avendo decelerato in corrispondenza del segnale di precedenza, si sia accostata a questo imprudentemente ovvero abbia avviato la manovra di immissione senza sincerarsi , con la diligenza richiesta dall'altrui diritto di precedenza e la prudenza dovuta alla specifica pericolosità del sito stradale, della eventuale provenienza di veicoli da sinistra, veicoli che sarebbero stati in ogni caso avvistabili da lei ad una distanza di 140 mt. e, con certezza, da non meno di 125 mt . Il ricorso mira sostanzialmente a proporre un tentativo di rilettura del quadro istruttorio, precluso in sede di legittimità. Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Presidente Liberati – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano, nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento disposto dalla Corte di cassazione con sentenza 21 settembre 2021, n. 37798 , ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata in data 26 giugno 2018 dal Tribunale di Pavia, con la quale - per quanto qui rileva - l'imputata era stata riconosciuta colpevole del reato di cui all' art. 589, comma 2, c.p. - per avere cagionato, mentre era alla guida della propria autovettura, la morte di una persona, omettendo di dare la precedenza a un incrocio - e condannata alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre che alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un anno e sei mesi. La Corte di appello ha ridotto la durata della sospensione della patente ad un anno, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso la sentenza l'imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per Cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, la violazione dell' art. 589, comma 2, c.p. e il vizio della motivazione in relazione alla responsabilità penale. Secondo quanto ritenuto della difesa, il perito, nel corso del giudizio di rinvio, ha affermato che le ipotizzate violente frenate poste in essere dai motociclisti non erano avvenute, perché altrimenti non si spiegherebbe il motivo per il quale la moto che seguiva, alla stessa velocità della moto coinvolta nello scontro, avesse subito la stessa evoluzione. La ricorrente censura tali conclusioni sostenendo che è invece plausibile che entrambi i motociclisti, dotati dello stesso sistema frenante, abbiano effettuato in contemporanea una frenata decisiva, che ha ridotto l'altissima velocità di marcia tenuta sino a quel momento nè si comprende a quali dati obiettivi e tecnici abbia fatto riferimento il perito per argomentare la sua tesi, avendo egli richiamato esclusivamente congetture. L'illogicità della motivazione del provvedimento impugnato risulterebbe dimostrata alla luce delle dichiarazioni rese dai testi A. e B. , i quali avrebbero riferito di aver visto le due moto superarli ad una velocità molto elevata, posto che l'automobile dove si trovavano viaggiava ad una velocità di almeno 80 km/h in particolare, la teste B. avrebbe affermato di aver guardato sul contachilometri la velocità dell'auto condotta dal marito proprio perché letteralmente scioccata dalla velocità delle moto. Sarebbe illogica la motivazione resa dalla Corte territoriale poiché sarebbe impossibile ipotizzare che due moto procedenti a 90 km/h possano superare un'autovettura marciante alla medesima velocità e percorrere la distanza di 500 metri scomparendo letteralmente dalla visuale di chi invece, stando alla motivazione della sentenza impugnata, avrebbe dovuto procedere allineato alle stesse. Risulterebbe illogica la motivazione resa dai giudici milanesi al fine di escludere la rilevanza delle dichiarazioni dei testi sul rilievo che non avrebbero assistito all'impatto, nè all'avvicinamento dei motociclisti all'incrocio. Per la difesa, se l'automobilista viaggiava a 90 km/h ed era sopraggiunto sul luogo dell'impatto a sinistro già drammaticamente concluso, non sarebbe stato possibile che anche i due motociclisti viaggiassero a soli 90 km/h, altrimenti sarebbero arrivati sul punto in contemporanea. La ricorrente sostiene di non comprendere da quale elemento probatorio la Corte di appello abbia tratto il convincimento che ella abbia solo decelerato all'incrocio, quando invece il teste F. e il perito avevano affermato che la conducente dell'autovettura si era fermata al segnale di precedenza. Sostenere che il comportamento dell'imputata sia stato imprudente integrerebbe violazione della legge penale, perché si pretenderebbe che un automobilista oltre a fermarsi al segnale di precedenza, debba di fatto, non ripartire mai più. La motivazione risulterebbe carente e si affiancherebbe a forzature argomentative, essendo caratterizzata da mere ipotesi e congetture. Con memoria successivamente depositata, la difesa ribadisce quanto già dedotto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. All'esito del giudizio rescindente, la Corte di cassazione ha delimitato il perimetro del giudizio rescissorio all'onere di rispondere relativamente alla doglianza concernente l'omessa valutazione in ordine alla presenza su entrambe le moto, del sistema frenante ABS, e all'approfondimento della concreta possibilità che i due motoveicoli, in virtù di energiche frenate adottate poco prima del tragico urto, sino a quel momento avessero proceduto ad una velocità di gran lunga superiore a quella di 87 km/h. La Corte territoriale si è uniformata alla richiesta contenuta nella pronuncia di annullamento, avendo approfondito, tramite perizia, la ricostruzione dinamica del sinistro, al fine di valutare la concreta possibilità che i due motociclisti avessero viaggiato ad una velocità di gran lunga superiore a quella di 87 km/h, ridottasi all'urto per effetto del sistema frenante di emergenza ABS. La Corte di appello di Milano ha rinnovato il giudizio alla luce della specifica valutazione dei profili censurati in sede di legittimità rafforzandone la motivazione, da considerare in questo caso pienamente soddisfacente. Il perito, con argomentazione convincente in quanto tecnicamente fondata ed immune da vizi logici, ha dato atto che i motoveicoli condotti da C.F. e da G.E. montavano il sistema frenante ABS che, notoriamente, non rilascia sull'asfalto tracce evidenti di frenata. Tuttavia, ha in ogni caso concluso che nessuna frenata sia stata azionata dai due conducenti infatti, la velocità di 87 km/h, alla quale è avvenuto l'impatto, deve ritenersi, con alto grado di probabilità, la velocità di marcia tenuta dal motociclista immediatamente prima dell'impatto, e ciò in ragione di ulteriori rilievi, questi obiettivi e incontestati, integrati dalla determinazione della velocità all'urto della vettura, stabilita in circa 18 km/h, e dal tempo impiegato dall'automobilista per percorrere il tratto di carreggiata che va dall'attraversamento all'impatto, misurato in 1,7 secondi. Il perito ha osservato che, se la velocità di marcia del motoveicolo è quella indicata, a fronte di un intervallo psicotecnico di reazione del conducente, convenzionalmente stabilito in 1 secondo, al medesimo è residuata una frazione temporale di 0,7 secondi, insufficiente per porre in essere manovre di emergenza, inclusa un'eventuale frenata. Relativamente alla moto condotta da G.E. , risulta pacifico che i due amici motociclisti viaggiassero in parallelo, il C. più avanti di qualche metro, e procedessero ad una velocità uniforme. Analizzata la posizione del motociclo guidato da G.E. , a circa 46 metri dal punto d'urto - posizione raggiunta dalla moto in parte in posizione eretta ed in parte per strisciamento al suolo - il perito ha constatato che la stima della velocità media post urto esprime un valore effettivamente compatibile con l'assunta velocità anche per G.E. , di 87 km/h. Il perito prosegue il suo ragionamento spiegando che l'ipotesi che il C. viaggiasse a velocità ben superiore ad 87 km/h e che abbia violentemente frenato appare inverosimile, in quanto identica manovra di decelerazione avrebbe dovuto compiere anche il secondo motociclista, che viaggiava alla stessa velocità, ma neanche di tale manovra si ha traccia. Il perito ha poi ipotizzato i vari scenari che si sarebbero verificati ove i motociclisti avessero viaggiato a 120 e 140 km/h ma, anche in queste ipotesi risulta dimostrato, con motivazione logica ed immune da vizi, che le moto sarebbero state in ogni caso avvistabili dalla conducente dell'autovettura in rispettivamente 3,8 e 3,57 secondi, ovvero un tempo superiore a quello di manovra della vettura, 2,67 secondi. Venendo poi all'esame delle dichiarazioni dei testi A. e B. , bisogna ritenere del tutto logica la valutazione della loro valenza probatoria operata dalla Corte di appello. Infatti esse, anche se genuine, non possono acquistare rilievo dirimente, alla luce del fatto che i due testi non hanno assistito all'impatto e neanche all'avvicinamento dei motociclisti all'incrocio, e anche perché non possono che esprimere sensazioni soggettive relativamente alla velocità delle due moto, piuttosto che elementi di fatto. In definitiva, appare coerente su un piano logico ritenere che l'imputata, pur avendo decelerato in corrispondenza del segnale di precedenza, si sia accostata a questo imprudentemente ovvero abbia avviato la manovra di immissione senza sincerarsi, con la diligenza richiesta dall'altrui diritto di precedenza e la prudenza dovuta alla specifica pericolosità del sito stradale, della eventuale provenienza di veicoli da sinistra, veicoli che sarebbero stati in ogni caso avvistabili da lei ad una distanza di 140 mt. e, con certezza, da non meno di 125 mt. A tale ricostruzione dei fatti la difesa oppone un ulteriore tentativo di rilettura del quadro istruttorio, precluso in sede di legittimità, non essendo riscontrabili, anche sulla base della semplice prospettazione difensiva, vizi riconducibili alle categorie dell' art. 606 c.p.p. . 2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell' art. 616 c.p.p. , l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.