Se l’avvocato vince la causa contro i medici il palmario va calcolato sul risarcimento complessivo ottenuto

A causa della condotta negligente dei medici durante il parto e il travaglio, una neonata rimaneva paralizzata. La famiglia si rivolgeva dunque ad un avvocato per ottenere il risarcimento del danno, azione che ha avuto successo. La vicenda – dolorosa – è unica per genitori e figlia, unica è la causa da vincere e il risultato da conseguire così la Cassazione afferma il diritto del legale al palmario pattuito.

Al termine del contenzioso avviato dai genitori di una bambina affetta da tetraparesi per anossia cerebrale, dovuta al comportamento negligente e imperito dei medici durante il travaglio e il parto, il Tribunale riconosciuto un risarcimento del danno per la cifra complessiva di oltre 3milioni di euro 2mlioni e mezzo in favore della minore, 342mila euro per ciascuno dei genitori in proprio e poco più di 13mila euro a favore della sola madre . In appello, le parti revocavano il mandato al difensore poco prima della pronuncia, con la quale veniva confermato il risarcimento e venivano liquidate le spese per 57mila euro. L’ avvocato chiedeva dunque ai clienti il pagamento del suo compenso per la difesa svolta nel giudizio di appello e del palmario di 100mila euro previsto dalla lettera di impegno nel caso in cui le parti avessero ottenuto un risarcimento complessivo di almeno 1 milione di euro. Era inoltre previsto il riconoscimento di altri 50mila euro nel caso di liquidazione di un importo maggiore. La richiesta del legale rimaneva però senza esito, ragion per cui egli si è rivolto al Tribunale. La domanda veniva accolta solo parzialmente. Dall’ interpretazione della lettera di impegno risultava infatti, secondo i Giudici, che i coniugi si fossero impegnati al palmario solo in proprio e non in rappresentanza della figlia. Inoltre, avendo essi ottenuto un risarcimento inferiore alla soglia minima prevista per il compenso aggiuntivo 1 milione di euro , l’avvocato si vedeva liquidato un compenso di circa 106mila euro in base alle tariffe relative al rapporto professionista-cliente e non secondo la liquidazione operata in sentenza. La pronuncia è stata impugnata dinanzi alla Cassazione. Il legale con il suo ricorso lamenta l’ erronea interpretazione delle espressioni utilizzate dalle parti nella lettera di impegno. Il ricorso risulta fondato. Pur considerato corretta la decisione dei giudici di merito nell’ escludere l’obbligatorietà del patto anche nei confronti della figlia minore seppure i due coniugi nel giudizio in corso erano costituiti anche nell’interesse della minore, nella lettera di impegno erano spesi unicamente i loro due nomi in proprio e non vi era alcun riferimento alla posizione processuale della figlia , la Corte ritiene fondato il ricorso nella parte relativa alla corretta individuazione della soglia minima prevista come condizione per la corresponsione del palmario. Alla luce del significato letterale della convenzione e dell’intero contesto contrattuale, che richiede una considerazione complessiva delle singole clausole contrattuali ai sensi dell’art. 1363 c.c., risulta contraddittoria la decisione del Tribunale di considerare singolarmente gli importi ottenuti a titolo di risarcimento in capo a ciascun coniuge escludendo di conseguenza il raggiungimento della soglia prevista dalla lettera. Come scrive la Cassazione, nel corpo dell’atto sono utilizzate le espressioni la nostra causa , la nostra vicenda , la vittoria della causa , il risarcimento complessivo e non è mai posta alcuna distinzione tra quanto riconosciuto a titolo risarcitorio all’uno e all’altro coniuge e alla loro figlia all’epoca ancora minore la vicenda – dolorosa – è unica per genitori e figlia, unica è la causa da vincere e il risultato da conseguire . Concludendo, la Corte accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio al giudice di merito.

Presidente Di Virgilio – Relatore Papa Fatti di causa 1. L'avv. M.A. aveva assistito V.M. e C.M., in proprio e quali legali rappresentanti della figlia minore C., nel giudizio instaurato dinanzi al Tribunale di Cagliari nei confronti della Gestione Stralcio Liquidatoria della soppressa USL Omissis e della R.A.S., diretto ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al comportamento negligente e imperito tenuto durante la gestione del travaglio e del parto di C., affetta in conseguenza, dalla nascita, da tetraparesi mista per anossia cerebrale. Il processo, iniziato nel 2002, era durato sette anni in primo grado in pendenza di giudizio, il Omissis , i coniugi avevano firmato in favore dell'avv. M. una lettera di impegno alla corresponsione di un palmario, stabilito in Euro 100.000, oltre l'importo delle spese poste a carico di parte soccombente, nel caso di risarcimento complessivo di Euro 1.000.000, con il riconoscimento di ulteriori Euro 50.000 nel caso di liquidazione di un importo maggiore. In primo grado il Tribunale aveva accolto la domanda, riconoscendo in favore dei coniugi e della minore un risarcimento complessivo pari ad Euro 3.278.185,34 di cui Euro 2.579.333,34 in favore della minore C., Euro 342.776,50 per ciascuno dei genitori in proprio, Euro 13.299,00 in favore della sola madre C.M. , oltre Euro 46.200,00 per spese all'avv. M. erano stati corrisposti gli onorari stabiliti in sentenza e pagati dalla Gestione liquidatoria che, tuttavia aveva proposto appello. L'avv. M., in adempimento del nuovo mandato difensivo, si era costituito nel giudizio di secondo grado e aveva svolto la sua difesa sia nella fase cautelare della sospensione della pronuncia che nel giudizio, fino alle memorie conclusionali e di replica. La causa era stata rimessa in istruttoria e quindi, dopo alcuni mesi in cui le parti non avevano più risposto ad alcuna comunicazione, all'avv. M. era stato revocato l'incarico. Nel settembre 2015 la Corte d'appello aveva rigettato l'impugnazione avversa e liquidato le spese in Euro 57.000 in favore dei coniugi e della figlia C L'avv. M. chiese ai coniugi V. il pagamento del suo compenso per la difesa svolta nel giudizio di appello e del palmario secondo la lettera di impegno, senza esito. 2. Con ricorso ex art. 702 bis del 15/9/2016, l'avv. M. chiese al Tribunale di Cagliari la condanna in solido di V.M. e di C.M. in proprio e quale amministratrice di sostegno della figlia C., divenuta maggiorenne in pendenza del giudizio, a corrispondergli Euro 57.500 - o la maggiore o minor somma ritenuta di giustizia - a titolo di compenso per l'assistenza svolta nel giudizio di appello ed Euro 150.000 a titolo di palmario. 2 .1. Con ordinanza del 9/10/2017, il Tribunale accolse parzialmente la domanda in particolare, escluse la debenza del palmario perché ritenne avessero promesso soltanto i coniugi in proprio e non in rappresentanza della figlia e rilevò che il risarcimento nei confronti dei coniugi era stato inferiore a Euro 1.000.000, soglia minima prevista per il riconoscimento del compenso aggiuntivo a tale titolo aggiunse che in ogni caso l'impegno della minore avrebbe richiesto l'autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. , trattandosi di atto di straordinaria amministrazione liquidò perciò Euro 106.499,12 oltre interessi, per compenso dell'attività di difesa svolta nel giudizio di appello, in base alle tariffe relative al rapporto professionista-cliente e non secondo la liquidazione operata in sentenza, ponendolo a carico dei coniugi in solido e compensando le spese per metà. 3. Avverso questo decreto l'avv. M. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi C.M., in proprio e quale amministratrice di sostegno della figlia C. ha resistito con controricorso, affidato a due motivi V.M. non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, l'avv. M. ha prospettato, in riferimento dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1324,1362,1363,1366,1369 c.c., per non avere il Tribunale interpretato correttamente l'atto di impegno alla corresponsione del palmario in particolare, il ricorrente ha sostenuto, con un primo profilo di censura, che i coniugi si sarebbero impegnati anche per la minore e che, in ogni caso, con un secondo profilo, la somma conseguita, posta quale limite minimo di riconoscimento del palmario, era da calcolarsi complessivamente e non soltanto per ciascun coniuge, attese le espressioni utilizzate. 1.1. Il motivo è fondato nei limiti di seguito precisati. Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra Cass. Sez. 1, n. 28479 del 22/12/2005 Sez. 3, n. 24539 del 20/11/2009 Sez. 1, n. 27136 del 15/11/2017 . Ciò posto, il Tribunale ha escluso che i coniugi si fossero impegnati anche nell'interesse della minore perché non hanno in alcun modo speso il nome della figlia C. , né si è fatto cenno alla posizione dell'allora minore così in sentenza . Sul punto, il ricorrente ha censurato l'interpretazione sostenendo che il criterio letterale non sia stato correttamente utilizzato perché il Tribunale non avrebbe considerato la dichiarazione che ogni impegno fosse finalizzato alla cura della nostra C. , che i coniugi all'epoca ne avevano la legale rappresentanza perché minore, che nel corpo dell'atto sono utilizzate le espressioni la nostra causa e la nostra vicenda , la vittoria della causa , il risarcimento complessivo , che non vi è nell'atto alcuna espressione che induca a ritenere la volontà di scindere le posizioni dei tre soggetti e, infine, che ad ulteriore conforto vi è la considerazione che anche il Tribunale ha pronunciato una condanna unitaria e complessiva. Deve allora considerarsi che, in tema di interpretazione del contratto - che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione - ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa Cass. Sez. 3, n. 18180 del 28/08/2007 . Ciò precisato, il Tribunale ha correttamente applicato questi criteri nell'escludere l'obbligatorietà del patto anche nei confronti di C. ha considerato, infatti, che, seppure i due coniugi in realtà nel giudizio in corso erano costituiti anche nell'interesse della minore, nella lettera di impegno erano spesi unicamente i loro due nomi in proprio e non vi era alcun riferimento alla posizione processuale della figlia rappresentata. Il minore, quantunque titolare di diritti, non ne ha il libero esercizio perché sprovvisto di capacità d'agire, con la conseguenza che si rende necessaria l'interposizione soggettiva di un rappresentante legale l' art. 75 c.p.c. , individua, al comma 2, nella rappresentanza in giudizio lo strumento con il quale rimediare al difetto di capacità, attraverso la previsione di un soggetto che agisca in sostituzione e per conto di chi resta comunque unico titolare del rapporto sostanziale e in capo al quale si produrranno tutti gli effetti. Alla sottrazione dei poteri attinenti al libero esercizio dei diritti sostanziali la legge fa normalmente corrispondere il conferimento legale dei corrispondenti poteri ad altri soggetti, che si qualificano come rappresentanti legali in tutti gli atti civili l' art. 320 c.c. , individua questi soggetti, per il minore, nei genitori. Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la minore conservava comunque una sua distinta titolarità sostanziale sicché non poteva essere individuata come coobbligata sebbene non fosse stato speso il suo nome nella lettera di impegno, soltanto in conseguenza della qualità di rappresentanti processuali rivestita dai due coniugi nel giudizio diversamente non può ritenersi neppure considerando che il palmario è corrispettivo conseguente ad una prestazione giudiziale, perché comunque costituisce un compenso di carattere straordinario ed ulteriore. Non e', allo stesso modo, significativo che la condanna sia stata pronunciata in favore dei coniugi per una somma complessiva, non potendo ravvisarsi nella pronuncia giudiziale un comportamento delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto . 1.2. E', invece, fondata la censura, articolata nel secondo profilo, sulla interpretazione della individuazione della soglia minima convenuta dalle parti quale requisito di corresponsione del palmario. Il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev'essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell' art. 1363 c.c. , e dovendosi intendere per senso letterale delle parole tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato Cass. Sez. 3, n. 18180/2007 cit. . Proprio l'applicazione del criterio letterale come adoperato in decreto , allora, fa risultare contraddittoria la considerazione separata - che il Tribunale ha invece compiuto - degli importi riconosciuti ai due coniugi rispetto a quello riconosciuto alla figlia, sì da escludere il raggiungimento della soglia rilevante al riconoscimento del palmario nel corpo dell'atto, come fondatamente rilevato dal ricorrente per questo profilo, sono utilizzate le espressioni la nostra causa e la nostra vicenda , la vittoria della causa , il risarcimento complessivo e non è mai posta alcuna distinzione tra quanto riconosciuto a titolo risarcitorio all'uno e all'altro coniuge e alla loro figlia all'epoca ancora minore la vicenda - dolorosa - è unica per genitori e figlia, unica è la causa da vincere e il risultato da conseguire. Da ciò consegue che non risulta plausibile l'individuazione della soglia rilevante per la corresponsione del palmario nella misura della sola somma riconosciuta a ciascuno dei coniugi invece che nell'intero importo liquidato loro sia in proprio che nella qualità. 2. Dal rigetto del primo profilo del primo motivo, esaminato al punto 1.1., consegue l'assorbimento del secondo motivo, con cui il ricorrente ha sostenuto altresì, in riferimento dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell' art. 320 c.c. , per avere il Tribunale ritenuto pure necessaria l'autorizzazione del Giudice tutelare all'impegno, in rappresentanza della minore, al pagamento del palmario, laddove si trattava invece dell'assunzione di una mera obbligazione di pagamento e non di un atto di straordinaria amministrazione. 3. Con il terzo motivo, è stata denunciata la violazione o falsa applicazione dell' art. 112 c.p.c. , in relazione all' art. 132 c.p.c. , n. 4, e in riferimento dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 e al n. 4, per avere il Tribunale omesso di liquidare i compensi spettanti per il primo grado. 3.1. Il motivo è infondato, perché in ricorso è stato chiesto il pagamento dei compensi stabiliti per il giudizio d'appello e la specificazione della domanda di liquidazione dei compensi per tale grado anche in applicazione dei parametri stabiliti per il rapporto professionista-cliente - come chiarito dal Tribunale pag. 10 del decreto - è stata ritenuta ammissibile in questi limiti. 4. Con il quarto motivo, il ricorrente ha infine lamentato, con un primo profilo, la violazione o falsa applicazione dell' art. 97 c.p.c. , in relazione all' art. 132 c.p.c. , n. 4, e in riferimento dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 e al n. 4, per avere il Tribunale omesso di condannare in solido anche la figlia C. sia al pagamento dei compensi che al pagamento delle spese ha quindi sostenuto che l'accoglimento del motivo concernente anche l'obbligatorietà per C. dell'impegno a corrispondere il palmario esclude la giustificazione della parziale compensazione delle spese. 4.1. La censura, ammissibile perché argomentata comunque compiutamente in relazione alla mancata motivazione della limitazione della condanna al pagamento sia dei compensi che delle spese nei confronti soltanto dei genitori in proprio, è fondata. Come rilevato, la figlia C. ha partecipato al giudizio quale soggetto autonomo, a mezzo della rappresentanza di sua madre C.M., ma il Tribunale ha posto i compensi e le spese di giudizio nei confronti di quest'ultima soltanto in proprio e non anche nella qualità. La questione della compensazione è assorbita. 5. Con il primo motivo di ricorso incidentale, C.M. ha prospettato, in riferimento dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 e al n. 4, la violazione o falsa applicazione degli artt. 702 bis e 702 ter c.p.c. , nonché dell' art. 112 c.p.c. , per avere il Tribunale ritenuto ammissibile la domanda di liquidazione dei compensi in applicazione dei parametri stabiliti per il rapporto professionista-cliente, seppure proposta soltanto nell'udienza successiva alla prima e con un atto intestato quale verbale di udienza , ma in realtà costituente una memoria non autorizzata. 5.1. Il motivo è infondato. Come chiarito dal Tribunale, l'avv. M. aveva chiesto il riconoscimento dei compensi relativi al giudizio d'appello nella misura liquidata dalla Corte d'appello o nella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia. In disparte la considerazione che la specificazione del quantum non costituisce domanda nuova se non implica accertamento di nuovi fatti, deve considerarsi che nella giurisprudenza di questa Corte è incontrastato il principio secondo cui la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese ed agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese tra le parti quali, tra gli altri, il risultato ed altri vantaggi anche non patrimoniali . La stessa esistenza di distinte previsioni normative per la determinazione dei compensi nei riguardi del cliente - ancorché vi sia stata la pronuncia sulle spese da parte del giudice che ha definito la relativa controversia - comprova che non vi è e non vi deve essere corrispondenza tra la liquidazione giudiziale delle spese tra le parti e liquidazione del compenso nel rapporto cliente e difensore. Ciò e', d'altra parte, confermato dalle deliberazioni dei Consigli Nazionali Forensi in base alle quali - come risulta dalla tariffa approvata con il D.M. n. 55 del 2014 artt. 5 e 6 - nella liquidazione degli onorari a carico del cliente può aversi riguardo, tra l'altro, ai risultati del giudizio, ai vantaggi conseguiti anche non patrimoniali, nonché al valore effettivo della controversia quando esso risulti, manifestamente, diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile. Le dette disposizioni integrano una norma di favore del professionista e, al riguardo, questa Corte ha avuto modo di precisare che la differenza in questione è legata al diverso fondamento dell'obbligo di pagamento degli onorari che, per il cliente, riposa nel contratto di prestazione d'opera e, per la parte soccombente, nel principio di causalità Cass. Sez. 6 - 2, n. 25992 del 2018, con richiami . Il Tribunale ha correttamente applicato questi principi provvedendo a liquidare le spese secondo tariffa. 6. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, C.M. ha infine sostenuto, in riferimento dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 e al n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4, 5, e 6, nonché degli art. 702 ter c.p.c. e art. 132 c.p.c. , n. 4, per avere il Tribunale operato la liquidazione dei compensi discostandosi in maniera così importante dai medi tariffari senza adeguata motivazione. 6.1. Il motivo è infondato. Il Tribunale ha compiutamente motivato l'applicazione degli aumenti in riferimento alle previsioni della tariffa il numero di parti difese, il numero delle controparti, il valore dell'affare in particolare ha provveduto all'aumento del 30%, in applicazione dell'art. 6, in relazione ai vari passaggi di scaglione ha quindi, in applicazione dell'art. 4, comma 2, liquidato l'aumento per il numero di parti difese e per il numero di controparti, senza esorbitare dalle percentuali previste. Per principio consolidato, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso Cass. Sez. 2, n. 14198 del 05/05/2022 . 7. Il ricorso principale è perciò accolto relativamente al primo profilo del primo motivo e al quarto motivo il secondo motivo è assorbito e il terzo motivo è rigettato il ricorso incidentale è rigettato. In conseguenza, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione ai motivi accolti con rinvio al Tribunale di Cagliari in diversa composizione anche per le spese di legittimità. In conseguenza del rigetto del ricorso incidentale deve darsi atto - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte accoglie il primo profilo del primo motivo e il quarto motivo di ricorso principale, assorbito il secondo motivo e rigettato il terzo rigetta il ricorso incidentale cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Cagliari in diversa composizione anche per le spese di legittimità. Dà atto - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto.