Autocertificazione Covid- 19 mendace: per la Cassazione è falso ideologico

La questione è stata attenzionata dalla V sezione penale della Cassazione che, con sentenza n. 35276, depositata il 21 agosto 2023, ha riconosciuto la responsabilità penale di due giovani che avevano attestato il falso nell’autocertificazione Covid.

La vicenda nasce da un ricorso in Cassazione proposto dal Procuratore generale presso il Tribunale di Asti all'esito del giudizio celebrato con rito abbreviato nei confronti di due giovani , imputati – e assolti in secondo grado per il delitto di cui all' art. 483 c.p. falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico . I fatti contestati si svolgono in piena pandemia da Covid-19 allorquando i due ragazzi, nel corso di un controllo svolto dalle forze dell'ordine, avrebbero attestato, nella propria autocertificazione , circostanze non rispondenti al vero al fine di giustificare i propri spostamenti. La Cassazione condivide i motivi di doglianza rappresentati nel ricorso, accogliendolo. Ad avviso della Corte, il giudice di prime cure avrebbe erroneamente ricondotto i modelli di autocertificazione nella categoria degli atti di cui all' art. 46 d.p.r. n. 445/2000 e non in quella di cui all'art. art. 47 . Nel caso di specie, il fatto rappresentato dagli imputati doveva infatti essere ricondotto agli atti contemplati dall'art. 47. E' principio ormai consolidato in giurisprudenza la configurazione del reato di falso ideologico la condotta del privato che dichiara il falso in sede di dichiarazione sostituiva resa ai sensi dell' art. 47 dpr n. 445/2000 Cass. pen., sez. V, n. 24866/2011 , Cass. pen., sez. V, n. 7857/2017 . A ciò si aggiunga il tenore dell' art. 483 c.p. secondo cui sussiste il delitto di falsità ideologica qualora l'atto pubblico , nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati. Ciò precisato, la Corte si spinge ad una valutazione ulteriore dei fatti oggetto del processo de quo , richiamando il canone del nemo tenetur se detegere . Se è pur vero che esiste il diritto di un soggetto a non autoincriminarsi principio desumibile dall' art. 24, secondo comma, Cost. , è pur vero che tale garanzia opera esclusivamente nell'ambito di un procedimento penale già attivato , e non nella fase precedente Cass. pen., sez. III, 53137/2017 . Di conseguenza, osservano i Giudici, il principio in oggetto non dispiega efficacia nel caso di compilazione mendace dell'autocertificazione, trattandosi di una dichiarazione di rilievo meramente amministrativo , che non costituisce ex se una denuncia a proprio carico alla quale, solo in via eventuale, potranno seguire accertamenti in merito alla veridicità o meno dei fatti ivi attestati e alla loro possibile rilevanza penale . Alla luce delle argomentazioni fornite, la Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Presidente Pistorelli Estensore Carusillo Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti propone ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Asti, all'esito del giudizio celebrato con il rito abbreviato, ha assolto P.C.V. e N.S. , imputati del delitto di cui all' art. 483 c.p. perché, nel corso di un controllo svolto da parte delle Forze dell'Ordine nella vigenza della normativa per il contenimento del contagio da Covid-19, attestavano, ciascuno nella relativa autocertificazione, di trovarsi fuori dalla propria abitazione a causa di circostante risultate non corrispondenti al vero. In particolare il P. attestava che, di rientro a casa dal lavoro, il veicolo sul quale viaggiava aveva subito un guasto la N. attestava di essere uscita dall'abitazione per prestare soccorso al P. e ricondurlo a casa. 2. Con un unico motivo di ricorso, proposto per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, il Procuratore della Repubblica lamenta che il giudice di merito ha escluso la penale responsabilità degli imputati in ordine al delitto di falso ideologico ex art. 483 c.p. sull'erroneo presupposto che l'autocertificazione sottoscritta dagli imputati riconducibile non alle categorie elencate nell' art. 46 D.P.R. n. 28 dicembre 2000 n. 445 , ma a quelle di cui all'art. 47 del citato decreto -, non fosse destinata a confluire in un atto pubblico, tale non potendosi qualificare la relazione di servizio compilata dai militi in occasione del controllo, in quanto mancante di efficacia probatoria di fatti direttamente percepiti dagli operatori, essendosi questi limitati a riportare il contenuto di quanto attestato dagli imputati. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Nessun dubbio sussiste in merito alla non veridicità delle circostanze indicate dagli imputati nei modelli di autodichiarazioni al fine di giustificare i rispettivi spostamenti durante il periodo interessato dalla pandemia da Covid-19. 2. Il Tribunale di Asti ha ricondotto i modelli di autocertificazione, compilati e sottoscritti dagli imputati, nella categoria degli atti elencati dall' art. 47 D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000 e non in quella di cui al precedente art. 46. Invero, l'art. 46 del decreto citato, intitolato Dichiarazioni sostitutive di certificazioni , elenca la gamma delle dichiarazioni che l'interessato può sottoscrivere e produrre in sostituzione delle normali certificazioni, là dove, invece, il successivo art. 47, intitolato Dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà , concerne stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato , non espressamente indicati nell'art. 46, di cui il soggetto dichiarante rende edotto il destinatario mediante una dichiarazione sottoscritta. Nel caso di specie, in cui gli imputati hanno reso noto ai militi che li controllavano un fatto rappresentato dal motivo per il quale, in orario non consentito dalla normativa volta al contenimento del contagio da Covid-19, si trovavano fuori dalla loro abitazione, appare corretto l'inquadramento dei documenti redatti nella categoria di quelli elencati dall' art. 47 D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000 . 3. È opportuno evidenziare che, comunque, l'inquadramento dell'attestazione resa dagli imputati nell'una o nell'altra delle categorie indicate agli artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445 del 2000 non rileva ai fini della valutazione della pronuncia in verifica, in quanto l'art. 76 del citato decreto, che attribuisce rilevanza penale alla condotta di colui che rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico , prevede il medesimo trattamento sanzionatorio sia nel caso in cui il mendacio sia reso nelle dichiarazioni elencate nell'art. 46, sia nel caso in cui si tratti di dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 47. 5. Ciò premesso, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico la condotta di colui che dichiara il falso in sede di dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell' art. 47 D.P.R. n. 445 del 2000 Sez. 5, n. 24866 del 25/2/2011, Antibo, Rv. 250915 Sez. 5, n. 7857 del 26/10/2017, dep. 2018, Marchetti, Rv. 272277 Sez. 5, n. 30099 del 15/3/2018, Gaiera, Rv. 273806 . Infatti, in merito alla natura di atto pubblico dell'autocertificazione rilasciata ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445 del 2000 , nella giurisprudenza di legittimità si osserva che il concetto di atto pubblico agli effetti della tutela penale ha una portata più ampia rispetto ai parametri normativi dettati, in ambito civilistico, dall' art. 2699 c.c. , sicché rientrano in detta nozione non soltanto i documenti redatti da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato, nell'esercizio delle loro funzioni, per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, purché aventi l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, dep.2019, Esposito, Rv. 275415 Sez. 5, n. 9358 del 24/4/1998, Tisato, Rv. 211440 Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, Rv. 281041 . Ne deriva che sono atti pubblici anche gli atti interni e quelli preparatori di una fattispecie documentale complessa, come le autocertificazioni redatte dal privato ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445 del 2000 e rese a pubblico ufficiale, essendo la qualità del destinatario del tutto idonea a sancirne la destinazione a essere trasfuse in atto pubblico e, dunque, a dimostrare stati, qualità personali o fatti che siano nella diretta conoscenza del dichiarante. 6. La norma penale di riferimento per le condotte vietate dall' art. 76 D.P.R. n. 445 del 2000 , che punisce ai sensi del codice penale il privato che, ai sensi degli artt. 46 e 47 del medesimo decreto, rilascia dichiarazioni mendaci o forma atti falsi o ne fa uso, si individua nell' art. 483 c.p. . Infatti, il delitto di falsità ideologica di cui all' art. 483 c.p. sussiste qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e, cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente Sez. U, n. 6, del 17/2/1999, Lucarotti, Rv. 212782 Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, Gabrielli, Rv. 215413 Sez. 5, n. 5365 del 15/1/2018, Guidi, Rv. 272110 Sez. 5, n. 39215 del 4/6/2015, Cremonese, Rv. 264841 Sez. 5, n. 18279 del 2/4/2014, Scalici, Rv. 259883 . 7. La fattispecie concreta posta all'esame del Collegio nella quale gli imputati, in occasione di un controllo da parte dei militi, attestavano circostanze risultate non corrispondenti al vero al fine di giustificare la loro presenza per strada per ragioni e in orari non consentiti dalla normativa di contenimento della pandemia da Covid-19 rientra nei parametri ermeneutici appena descritti attesa l'evidente e specifica funzione probatoria della dichiarazione resa ai sensi dell' art. 47 D.P.R. n. 445 del 2000 , dimostrativa di stati, qualità personali o fatti che siano nella diretta conoscenza dell'interessato , che solo quest'ultimo può documentare, della quale il pubblico ufficiale prende semplicemente cognizione attraverso l'attestazione del privato, tenuto all'obbligo di verità Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, dep. 2000, Gabrielli, Rv. 215413 Sez. 2, n. 4970 del 12/01/2012, Yu, Rv. 251815 Sez. 6, n. 23587 del 28/02/2013, Ceciliani, Rv. 256259 Sez. 5, n. 5365 del 15/01/2018, Guidi, Rv. 272110 . 8. Ciò detto, l'accertata non veridicità delle circostanze attestate dagli imputati nelle rispettive autocertificazioni, impone una riflessione in merito alla rilevanza, nel caso di specie, del canone nemo tenetur se detegere, sul quale si è espresso anche il Giudice delle leggi affermando che lo ius tacendi, pur non espressamente riconosciuto nella Carta fondamentale, costituisce un valore costituzionale in quanto corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa di cui all' art. 24, comma 2, Cost. Sul tema sia pur con riferimento a questioni differenti da quella oggetto della sentenza in verifica si è affermato che, al di fuori di espresse previsioni normative operanti nel campo sostanziale, il principio del nemo tenetur se detegere si qualifica come diritto di ordine processuale che non dispiega i suoi effetti al di fuori del processo penale, ma opera esclusivamente nell'ambito di un procedimento penale già attivato, Sez. 5, n. 8252 del 15/01/2010, Bassi, Rv. 246157 Sez. 5, n. 38085 del 05/07/2012, Luperi, Rv. 253545 Sez. 5, n. 9746 del 12/12/2014, Fedrizzi, Rv. 262941 Sez. 3, n. 37107 del 7/3/2017, Griotti, non mass. , senza che, tuttavia, ciò determini la violazione di norme costituzionali e convenzionali Sez. 5, n. 12697 del 20/11/2014, dep. 2015, Strazimiri, Rv. 263034 . Ne deriva che il canone nemo tenetur se detegere, posto a conferma e garanzia irrinunciabile dell'equo processo, se, per un verso, giustifica la non assoggettabilità dell'individuo ad atti di costrizione tendenti a provocare un'autoincriminazione e, per altro verso proprio in ragione della sua ratio, consistente nella protezione dell'imputato da coercizioni abusive da parte dell'autorità opera esclusivamente nell'ambito di un procedimento penale già attivato e non nella fase ad esso precedente e relativa alla commissione di un reato, tuttavia non legittima anche la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva Sez. 3, n. 53137 del 22/09/2017, Cecchini, Rv. 271827 Sez. 3, n. 53656 del 03/10/2018, A., Rv. 275452 . 9. Il principio processuale del nemo tenetur se detegere, dunque, non dispiega efficacia nel caso di compilazione mendace dell'autocertificazione, trattandosi di una dichiarazione di rilievo meramente amministrativo che non costituisce ex se una denuncia a proprio carico alla quale, solo in via eventuale, potranno seguire accertamenti in merito alla veridicità o meno dei fatti ivi attestati e alla loro possibile rilevanza penale. 10. Alla luce dei suesposti canoni interpretativi, si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata in merito alla configurabilità del reato di cui all' art. 483 c.p. , con rinvio per nuovo esame sul punto alla corte di appello territorialmente competente. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per il nuovo giudizio alla Corte di Appello di Torino.