Litiga con l’insegnante del figlio e la offende: secondo la Cassazione si tratta di “giustizia fai da te”

Non costituiscono legittima difesa bensì un’intollerabile giustizia fai da te” le offese proferite da un genitore all’insegnate del figlio lo stabilisce la sentenza n. 24848 depositata in data 11 agosto 2023.

La vicenda vede come protagonisti il genitore di un alunno e l' insegnante di quest'ultimo il padre interveniva in difesa del figlio in quanto il minore avrebbe pianto a seguito dei rimproveri mossi dalla professoressa la quale, a suo dire, avrebbe esercitato un abuso nei mezzi di correzione . Pertanto, al termine delle lezioni e in occasione della consegna degli alunni ai genitori, il padre in questione avrebbe affrontato l'insegnante, proferendo offese sia personali che professionali. La vicenda approdava nelle aule di giustizia e vedeva, nei primi due gradi di giudizio, pronunce di segno opposto. La diatriba viene pertanto risolta dalla Corte di Cassazione, a cui la professoressa fa ricorso. Il Collegio accoglie le doglianze della ricorrente. La legittima difesa di cui all' art. 2043 c.c. , come invocata dal resistente e come erroneamente riconosciuta nel giudizio di secondo grado, non può essere invocata nel caso di specie. La scriminante in parola, infatti, esige il concorso di due elementi la necessità di difendere un diritto proprio od altrui dal pericolo attuale di un'offesa ingiusta , e la proporzione tra l'offesa e la difesa . Il tribunale, dunque, è incorso in un grave errore nel ritenere che l'aggressione verbale del padre nei confronti dell'insegnante integrasse gli estremi della legittima difesa e che fosse proporzionata all'azione dell'insegnante. Difatti, osserva la Corte, nel caso di specie è del tutto assente il requisito della contestualità della condotta , posto che il diverbio tra le parti avveniva a tre giorni di distanza dal fatto contestato. Secondo i Giudici, il fatto che il padre si sia recato– dopo un lasso di tempo di tre giorni dall'insegnante per affrontarla e proferirle insulti costituisce un inammissibile modello di giustizia fai da te ”, come sempre più frequentemente è tristemente dato riscontrare nei rapporti d'oggi tra genitori ed insegnanti . Alla luce delle predette argomentazioni, la Corte cassa la sentenza con rinvio al tribunale di Catania in diversa composizione.

Presidente Travaglino Relatore Pellecchia Rilevato che 1. A.R. conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di Giarre, P.G.al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito all'aggressione verbale avvenuta in data Omissis . A fondamento della propria pretesa, l'attrice deduceva di essere stata offesa sul piano personale e professionale da parte del P. in occasione del termine delle lezioni e della consegna degli alunni della propria classe ai rispettivi genitori. Si costituiva in giudizio P.G., il quale chiedeva l'accertamento del reato di abuso dei mezzi di correzione perpetrato dall'insegnante nei confronti del figlio G. nonché, in via riconvenzionale, la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in proprio e in qualità di genitore del minore. Il Giudice di Pace di Giarre, con la sentenza n. 95/2018 del 14 maggio 2018, respingeva la domanda principale dell'attrice nonché quella riconvenzionale proposta dal convenuto e compensava le spese di lite fra le parti. In particolare, il Giudice di prime cure riteneva che il comportamento nervoso e concitato del P. potesse giustificarsi alla luce delle circostanze del caso concreto, rappresentate dal vedere il proprio figlio piangere e prostrato per i rimproveri rivoltigli dall'insegnante. 2. Il Tribunale di Catania, con la sentenza n. 1117/2021, pubblicata in data 10 marzo 2021, rigettava l'appello principale e accoglieva parzialmente l'appello incidentale. Il Giudice di secondo grado, in particolare, sussumendo la condotta del P. nella fattispecie della legittima difesa, escludeva la configurabilità dell'illecito civile di cui all' art. 2043 c.c. ai danni dell'insegnante. Riteneva, infatti, che il genitore, nel pronunciare le parole offensive nei confronti dell'A., avesse agito per tutelare il figlio minore dal pericolo che le condotte lesive della sua dignità potessero essere reiterate, con possibile, ulteriore, lesione del suo onore. Inoltre, escludeva ogni tipo di responsabilità del P. a titolo di provocazione, non essendo in ogni caso punibile la condotta di chi reagisce al fatto illecito altrui in applicazione dell' art. 2046 c.c. Il Tribunale di Catania, infine, in accoglimento dell'appello incidentale e rinvenendo nel comportamento dell'insegnante gli estremi del reato di cui all' art. 571 c.p. , condannava la A. al risarcimento dei danni riportati dal piccolo G. in seguito all'accaduto. 3. Avverso tale sentenza A.R.propone ricorso per Cassazione sulla base di due motivi. Resiste con controricorso P.G Tutte le parti hanno depositato memorie. Considerato che 4.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente censura la violazione di legge per falsa applicazione degli artt. 2044 e 2046 c.c. , in relazione all' art. 360, I comma, n. 3, c.p.c. Il Tribunale avrebbe erroneamente applicato le scriminanti della legittima difesa e dell'incapacità di intendere e di volere alla condotta illecita del P. A giudizio della ricorrente, infatti, in relazione alla legittima difesa, mancherebbe il requisito dell'attualità del pericolo, avendo il P. agito a distanza di tre giorni rispetto al rimprovero perpetrato dalla stessa nei confronti del figlio. Del pari, appare inadeguato il riferimento allo stato di incapacità di intendere e di volere quale giustificazione alla reazione del P., in assenza di qualsiasi provocazione ricevuta sul momento dall'insegnante. 4.2. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta, ai sensi dell' art. 360, I comma, n. 3, c.p.c. , la violazione degli artt. 115 e 345 c.p.c. La sentenza impugnata, nel ritenere integrato il reato di abuso dei mezzi di correzione, avrebbe fondato la decisione solo sulle prove prodotte dal convenuto, senza considerare quelle prodotte dalla ricorrente, tra cui, in particolare, la testimonianza dell'insegnante di sostegno S.G. La relativa condanna al risarcimento dei danni, inoltre, si fonderebbe su prove nuove introdotte dal Petrelli nel giudizio di appello, con una grave violazione dell' art. 345 c.p.c. 5. Il primo motivo è manifestamente fondato. Per orientamento costante di questa Corte, infatti, la legittima difesa, idonea ad escludere la responsabilità per fatto illecito, esige il concorso di due elementi la necessità di difendere un diritto proprio od altrui dal pericolo attuale di un'offesa ingiusta, e la proporzione tra l'offesa e la difesa. Mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza di siffatta scriminante comporta l'assoluzione dell'imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p. , nel giudizio civile, al contrario, il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova Cass. n. 18094/2020 . In particolare, in tema di risarcimento dei danni, l' art. 2044 c.c. rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa, quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all' art. 52 c.p. , che richiede, come già osservato poc'anzi, la sussistenza della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempreché vi sia proporzionalità tra la difesa e l'offesa, da valutarsi ex ante. L'identità concettuale tra l' art. 52 c.p. e l' art. 2044 c.c. , deve, comunque, confrontarsi, oltre che con il favor rei che ha valenza generale in materia penale, con le diverse regole che presiedono alla formazione della prova nel processo civile e penale, con la conseguenza che, mentre nel giudizio penale la semiplena probatio in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l'assoluzione dell'imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p. , nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova Cass. n. 4492/2009 . Nel caso di specie, il Tribunale dopo aver opinato che, per il minore, costituisse offesa ingiusta la condotta della docente, ha poi ritenuto, del tutto erroneamente, che l'aggressione verbale del padre all'insegnante integrasse gli estremi della legittima difesa e fosse proporzionata alle azioni dalla stessa poste in essere, pur nella totale assenza del requisito della contestualità della condotta, volta che risulta fatto non contestato che la reazione violenta, aggressiva e certamente non più giustificata nè inquadrabile nel perimetro applicativo dell' art. 2044 c.c. per essere trascorsi ormai tre giorni dal fatto non fosse avvenuta entro un tempo ragionevolmente compatibile con il requisito della contestualità rispetto al rimprovero della docente. Tra il comportamento dell'insegnante e l'aggressione verbale del P. si era frapposto, difatti, un lasso di tempo tale da consentire di attivare non altro che le eventuali, legittime forme di tutela del minore i.e. il ricorso all'autorità giudiziaria al fine di ottenere eventualmente un provvedimento idoneo alla predetta tutela. Risulta, per altro verso, del tutto incomprensibile con conseguente, mera apparenza della motivazione il riferimento operato dal Tribunale ad un preteso benché mai allegato dalla parte, finanche nella forma del mero flatus vocis stato di incapacità del resistente, il quale, a distanza di tre giorni dal fatto, si era coscientemente e consapevolmente determinato a recarsi appositamente presso l'istituto scolastico al deliberato fine di insolentire l'insegnante, in attuazione di una forma comportamentale qualificabile non certo in termini di legittima difesa come ritenuto dal giudice di merito in spregio ai più elementari principi posti a fondamento dell'esimente in parola bensì caratterizzata inequivocamente da una sorta di inammissibile ricorso ad un inammissibile modello di giustizia fai da te , come sempre più frequentemente è tristemente dato riscontrare nei rapporti d'oggi tra genitori ed insegnanti. 5.1. Il secondo motivo risulta assorbito dall'accoglimento della censura che precede. 6. Pertanto la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, in esso assorbito il secondo motivo, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, al Tribunale di Catania che, in diversa composizione, applicherà i principi di diritto di cui in motivazione. P.Q.M. la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio al Tribunale di Catania, in diversa composizione.