L’amministrazione deve acquisire d’ufficio i documenti comprovanti il versamento d’imposta

L’amministrazione finanziaria acquisisce d’ufficio i documenti comprovanti il versamento delle imposte e il diritto al relativo rimborso. L’amministrazione non può richiedere al contribuente informazioni di cui è già in possesso.

Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza 23666 del 3 agosto 2023 , con cui ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate Scomputo delle ritenute onere probatorio e documenti rilevanti Il presupposto che determina il diritto a scomputare le ritenute d'acconto, cioè a considerarle in diminuzione delle imposte da versare in base al modello Unico , è dato dalla circostanza che queste siano state effettivamente operate dal sostituto d'imposta. Lo scomputo delle ritenute prescinde totalmente, oltre che dall'esibizione all'erario delle certificazioni attestanti il prelievo tributario, anche dall'effettivo versamento delle somme trattenute. Una tale interpretazione, peraltro, è conforme con il dato letterale dell' art. 22 del d.P.R. n. 917/1986 , che prevede la possibilità di scomputare le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate , senza fare alcun riferimento alle ritenute certificate o versate. Dello stesso orientamento è la giurisprudenza prevalente, che tende a non attribuire valore sostanziale alla certificazione commissione tributaria di II grado di Treviso, decisione 2999 del 3 febbraio 1995 commissione tributaria di II grado di Piacenza, decisione 72 del 30 maggio 1989 commissione tributaria provinciale di Milano, sentenza 490 del 9 ottobre 1998 commissione tributaria regionale della Lombardia, sentenza 188/2001 . La stessa Corte di Cassazione, con una sentenza piuttosto datata , ma ancora oggi condivisibile, ha ritenuto che il mancato rilascio della dichiarazione attestante l'avvenuta ritenuta da parte di colui che ha effettuato la ritenuta medesima non può comportare per il contribuente che ha subìto la ritenuta l'obbligo di pagare nuovamente l'imposta Cassazione civile n. 3725/1979 . La giurisprudenza citata ha affermato che le ritenute sono legittimamente scomputabili , anche laddove il contribuente non sia in possesso delle certificazioni previste dall' articolo 4 del d.P.R. n. 322/1998 , sulla base di una serie di mezzi di prova alternativi. In sostanza, il contribuente può comunque dimostrare , anche con altri mezzi oltre le certificazioni , di aver comunque subìto le ritenute stabilite dalla legge e tale circostanza è sufficiente per ottenerne il riconoscimento. Ad esempio, sono in grado di sostituire le certificazioni che deve rilasciare il sostituto di imposta le ricevute emesse dal contribuente all'atto del pagamento del compenso con la distinta indicazione dell'importo lordo spettante, della ritenuta operata e del netto corrisposto. La prova può essere fornita anche tramite l'estratto conto del libro delle entrate, dal quale sia desumibile che le ritenute sono state operate o, in alternativa, tramite la lettera di trasmissione dell'assegno recante il compenso, nella quale viene anche indicato l'ammontare della ritenuta operata. La ritenuta sarebbe comunque scomputabile dall'imposta dovuta in tutti quei casi in cui, dalla documentazione prodotta dal contribuente, è chiaramente desumibile che una parte del compenso è stato trattenuto a titolo di ritenuta. A tal proposito la commissione tributaria centrale n. 1303 del 3 aprile 1995 ha affermato che qualora il contribuente, per fatto omissivo del sostituto d'imposta, non è posto in grado di produrre la documentazione necessaria per provare di aver subìto le ritenute d'acconto, le somme dovute non possono essere richieste anche allo stesso sostituito, stante il divieto di doppia imposizione posto dagli articoli 7 e 67 del d.P.R. n. 600/1973 . L' Agenzia delle Entrate ha aperto ad una soluzione favorevole con la risoluzione 68/E del 19 marzo 2009 . Secondo il documento di prassi, l'espressione certificazioni richieste ai contribuenti , utilizzata dall' articolo 36- ter del d.P.R. n. 600/1973 non si riferisce alle sole certificazioni rilasciate dai sostituti di imposta. Infatti, ad essa dev'essere attribuita una portata più ampia, cioè idonea a riconoscere anche la validità di certificazioni diverse. Il contribuente può fornire la dimostrazione delle ritenute subite non certificate con l'esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente da banche e da intermediari finanziari, idonea a comprovare l'importo del compenso effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla fattura stessa. Inoltre, dev'essere allegata una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui il contribuente dichiari, sotto la propria responsabilità, che la documentazione attestante il pagamento si riferisce a una determinata fattura regolarmente contabilizzata. Caso concreto Col proprio ricorso l'ufficio sosteneva che la contribuente avrebbe dovuto produrre copia della documentazione inerente i versamenti effettuati in eccesso dai quali sarebbe scaturito il credito ai fini del rimborso dell' IRES e, in particolare, unitamente alle ritenute a titolo di acconto, anche i correlativi versamenti. Secondo la Cassazione l'ente impositore non può chiedere al contribuente documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria, anche ove l'onere probatorio sia a carico di questi cfr. Cass. n. 10724/2021 e Cass. n. 13822/2018 . Nel processo tributario , l' obbligo dell' amministrazione di prendere posizione sui fatti dedotti dal contribuente è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario. Infatti, le disposizioni degli articoli 8 legge n. 241/1990 , e 6 legge n. 212/2000 , secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d'ufficio quei documenti che, già in possesso dell'amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l'espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale. Dunque, qualora il contribuente , che agisca per il rimborso di tasse o diritti non dovuti, eccepisca che documenti comprovanti il pagamento, o la richiesta di rimborso, siano in possesso dell'amministrazione, questa è tenuta a pronunciarsi in modo specifico e motivato sul punto, perché, in difetto, il giudice potrà desumere elementi di prova da tale comportamento cfr. Cass. n. 21209/2004 . Sul punto si ricorda che ai fini dello scomputo della ritenuta d'acconto , l'omessa esibizione del certificato del sostituto d'imposta che attesta la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, per evitare un duplice prelievo cfr. Cass. n. 18910/2018 . Secondo i giudici, la norma dedicata allo scomputo delle ritenute d'acconto ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state operate art. 22 d.P.R. 917/1986 . Rileva un fatto storico decurtazione del corrispettivo , che, seppur viene provato tipicamente mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere provato con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subìto. Anche la norma sul controllo formale art. 36- ter del d.P.R. n. 600/1973 quando stabilisce che gli uffici possono escludere lo scomputo delle ritenute d'acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d'imposta, deve essere interpretata nel senso che gli uffici finanziari possono apprezzare anche prove diverse dal certificato , ad esso equipollenti cfr. Cass. n. 14138/2017 .

Presidente Giudiciepietro – Relatore Anagrano Rilevato che 1. L'Agenzia delle Entrate ricorre, con due motivi, nei confronti di Unicredit s.p.a., che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest'ultima la C.t.r. ha rigettato l'appello spiegato dall'Ufficio avverso la sentenza con la quale la C.t.p. di Agrigento aveva accolto il ricorso della contribuente avverso il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso del credito Irpeg derivante dalla dichiarazione dei redditi, per l'anno di imposta 1989, presentato dalla Omissis . 2. La Omissis , poi fusa nella Cassa Rurale ed Artigiana Popolare di Palma di Montechiaro, nella dichiarazione dei redditi per l'anno 1989, indicava un credito di lire 1.589.314.000, di cui lire 1.578.003.000 derivante dalle ritenute d'acconto subite e lire 11.311.000 dal credito di imposta sui dividendi, di cui chiedeva il rimborso, compilando il rigo 07 Mod. 760/MB. Successivamente, la società contribuente, che aveva già cambiato la denominazione in Cambiaria s.c.a.r.l. cedeva l'azienda bancaria al Omissis s.p.a., poi incorporato nell'Unicredit s.p.a. 3. Dopo vane richieste, avanzate prima dal Omissis e poi da Unicredit, quest'ultima proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto. 4. La C.t.p. accoglieva il ricorso con sentenza confermata in appello. La C.t.r., in particolare, rigettava l'eccezione di inammissibilità del ricorso originario che l'Ufficio aveva sollevato assumendo la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21 . Rilevava che il provvedimento di diniego che assumeva di aver emesso non poteva qualificarsi come rifiuto dell'istanza di rimborso. Precisava sul punto che la contribuente si era limitata a manifestare la propria disponibilità a ricevere le somme pretese a mezzo titoli di Stato. Nel merito, rilevava che non si era in presenza di una cessione di crediti erariali, bensì di una cessione di azienda ivi incluso il credito rimborsabile non soggetta agli adempimenti ex D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 43 e D.M. n 30 settembre 1997 n. 384 , 1. 5. In data 31 maggio 2023 la società contribuente ha depositato memoria. Considerato che 1. Con il primo motivo l'Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 112 c.p.c. . L'Amministrazione ricorrente, facendo valere un error in procedendo, esclusivamente sotto il profilo dell'omessa pronuncia, censura la sentenza impugnata asserendo che quest'ultima, dopo aver ritenuto opponibile la cessione del credito, non si era pronunciata sulla ulteriore questione posta in corso di giudizio con memoria illustrativa, ovvero che la pretesa di rimborso della contribuente non era fondata in quanto del tutto carente di prova. Aggiunge che la questione, ancorché proposta solo in appello mediante memoria ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, integrava una mera difesa sulla quale la C.t.r. non si era pronunciata. 2. Con il secondo motivo l'Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell' art. 2697 c.c. . La ricorrente, in via subordinata, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto fondata la domanda di rimborso pur in assenza della prova del credito. Assume che la contribuente, su cui gravava l'onere probatorio in quanto attore in senso sostanziale, avrebbe dovuto produrre copia della documentazione inerente i versamenti effettuati in eccesso dai quali sarebbe scaturito il credito e, in particolare, unitamente alle ritenute a titolo di acconto, anche i correlativi versamenti. 3. Il primo motivo è infondato. 3.1. Questa Corte ha chiarito che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, n. 2151 Cass. 02/04/2020, n. 7662 Cass. 30/01/2020, n. 2153 . E' stato quindi ritenuto che Non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un'espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto Cass. 04/06/2019, n. 1525 . 3.2. Si e', altresì, precisato che il vizio di omessa pronuncia differisce dal vizio di omessa motivazione. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, mentre il secondo presuppone l'esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificazione Cass. 05/03/2021, n. 6150 3.3. Nel caso di specie, il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza che aveva riconosciuto il diritto al rimborso comportava, evidentemente l'implicito rigetto della eccezione dell'Ufficio secondo cui la pretesa del contribuente non era fondata perché carente di prova documentale. Deve pertanto concludersi che, nel caso di specie, non vi è stata omessa pronuncia sull'eccezione de qua, ma rigetto implicito della stessa. 4. Il secondo motivo è infondato. 4.1. Questa Corte, nella vigenza del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3 nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 31 maggio 1994, n. 300 , convertito con modificazioni dalla L. 27 luglio 1994, n. 473 , aveva ritenuto che la certificazione relativa alla ritenuta alla fonte, rilasciata dal sostituto d'imposta, non ammettesse equipollenti cfr. Cass. 05/09/2014, n. 18734 . Con riferimento al quadro normativo successivo alle modifiche di cui al D.L. n. 300 del 1994, art. 1, che ha attenuato la rilevanza formale della certificazione, ha affermato che, ai fini dello scomputo della ritenuta d'acconto, l'omessa esibizione del certificato del sostituto d'imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo. Si è evidenziato, in proposito, che l'attestato del sostituto è prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza non è in grado di esporre il sostituito a preclusioni difensive Cass. 07/6/2017, n. 14138 e, tra le più recenti, Cass. 07/06/2022, n. 18179 . L'attestazione del sostituto d'imposta costituisce, pertanto, per il sostituito prova tipica - ancorché non esclusiva - della ritenuta subita. Tale assunto trova conforto anche nella giurisprudenza della Corte che, in tema di legittimazione del sostituto o del sostituito a richiedere il rimborso delle imposte versate mezzo ritenuta questione sulla quale è consolidato l'orientamento che la riconosce ad entrambi - ha precisato, da un lato, che la mancanza di documentazione in allegato alla domanda di rimborso, e quindi, in sostanza, la carenza di prova per determinare l'an ed il quantum del rimborso, non sono considerati dal legislatore direttamente motivo di rigetto o di inammissibilità dell'istanza, dando vita piuttosto ad un confronto con l'ufficio ed alla possibilità di integrazione dei documenti rilevanti dall'altro lato che per i lavoratori dipendenti, qualora presentino il mod. 740, la prova dell'effettuazione delle ritenute, ai fini del rimborso, consiste nella sola indicazione di esse nella suddetta dichiarazione Cfr. Cass. 22/05/2019, n. 13771 . 4.2. A ciò deve aggiungersi che, per giurisprudenza costante della Corte, in virtù del principio di collaborazione e buona fede che, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente a quest'ultimo non possono essere richiesti, anche ove l'onere probatorio sia a carico dello stesso, documenti ed informazioni già in possesso dell'Ufficio Cass. 22/04/2021, n. 10724 , Cass. 31/05/2018, n. 13822 . 4.3. Infine, va evidenziato che nel processo tributario, l'obbligo dell'amministrazione di prendere posizione sui fatti dedotti dal contribuente è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario, in quanto le disposizioni della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 18, e L. 27 luglio 2000, n. 212 , 6 , secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d'ufficio quei documenti che, già in possesso dell'amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l'espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale. In applicazione del principio, la Corte ha perciò affermato che, qualora il contribuente, che agisca per il rimborso di tasse o diritti non dovuti, eccepisca che documenti comprovanti il pagamento, o la richiesta di rimborso, siano in possesso dell'amministrazione, questa è tenuta a pronunciarsi in modo specifico e motivato sul punto, perché, in difetto, il giudice potrà desumere elementi di prova da tale comportamento Cass. 05/11/2004, n. 21209 . 5 . In conclusione, il ricorso va rigettato. 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza 7. Poiché è soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna l'Agenzia delle Entrate a corrispondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 15.000,00 per compenso, oltre 15 per cento rimborso spese generali, iva e cap come per legge.