False attestazioni dell’esperto qualificato nella perizia giurata dinanzi al cancelliere: è falsità ideologica in atto pubblico

Integra il reato di falsità ideologica in atto pubblico la condotta del tecnico che attesti falsamente in una perizia giurata dinanzi al cancelliere l’esistenza ovvero l’inesistenza di circostanze di fatto oggetto di percezione diretta da parte dello stesso come, nella specie, la presenza sui luoghi di un manufatto già demolito .

A chiarirlo è la Quinta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 34414, depositata il 4 agosto 2023. I fatti traggono origine da una sentenza della Corte d'appello di L'Aquila che confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente per il reato di cui all' art. 483, comma 2, c. p. poiché, nella sua qualità di architetto , in una perizia di stima , giurata in cancelleria, allegata al contratto di compravendita di un bene acquistato dalla persona offesa il giorno successivo, attestava falsamente la presenza in loco di un laboratorio artigianale non più esistente, indicato nel rogito per un valore di oltre 10mila euro. Avverso la richiamata sentenza della Corte d' appello di L'Aquila l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, a firma del suo difensore di fiducia, articolando quattro motivi di impugnazione. L'annotata sentenza è di particolare interesse perchè pone l'accento sull'istituto della perizia giurata stragiudiziale , introdotta nel nostro ordinamento dall' art. 5 r.d. 9 ottobre 1922 n. 1366 , e al quale più volte il legislatore ha fatto ricorso nel delegare al cittadino quelle funzioni di accertamento, una volta riservate alla pubblica amministrazione, ed aventi ad oggetto presupposti di fatto essenziali, connessi all'esercizio di diritti soggettivi ovvero ad interessi legittimi, ugualmente meritevoli di adeguata tutela. La Quinta Sezione non condivide le argomentazioni difensive dell'imputato , tali da ritenerli manifestamente infondati. In particolare, non condivide la prospettazione dell'imputato, dedotta col primo dei quattro motivi di impugnazione, quella secondo cui la decisione impugnata non avrebbe, come già quella di primo grado, fornito chiarimenti circa la possibilità di ascrivere la condotta contestata al delitto ex art. 483 c.p. quanto alla natura meramente privatistica della perizia di parte, cui la giurisprudenza attribuisce valenza solo indiziaria ai fini probatori, e non amministrativa. Inoltre la Corte, non condivide la censura per la quale la Corte territoriale non avrebbe reso alcuna motivazione sulla sussistenza del dolo, così ascrivendo al medesimo ricorrente una condotta al massimo negligente e dunque colposa. La S.C. ha osservato innanzitutto come la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze, integrano una c.d. doppia conforme. Su tali presupposti la S. C. ha dunque ritenuto corretta la sussunzione giuridica della condotta contestata all'imputato nel reato di cui all' art. 483 c.p. Così, appare quindi necessario per la Corte muovere da un orientamento che è rimasto fermo nella giurisprudenza di legittimità successiva, e su cui è fondata l' oggettività del reato ex art. 483 c.p. Ne consegue secondo le conclusioni della Cassazione, che se la falsa attestazione riguarda - come è nella fattispecie venendo in rilievo la presenza, o no, del laboratorio artigianale sui luoghi oggetto della perizia - circostanze di fatto oggetto di percezione diretta, e non valutazioni conseguenti alla utilizzazione di regole d'esperienza, è ravvisabile, nei suoi aspetti oggettivi, l'ipotesi delittuosa prevista dall' art. 483 c.p. , atteso che la formula del giuramento prestato al cancelliere attribuisce al contenuto della perizia, nella parte relativa alla attestazione di fatti oggettivi, la efficacia probatoria conseguente alla natura pubblicistica dell'atto Sez. V n. 12128/1987 Sez. V n. 12733/2020 . Nell'ipotesi in esame la S.C. ha ritenuto che il reato di falsità ideologica in atto pubblico non può essere escluso perché la perizia giurata dall'imputato che ha attestato la presenza in loco del manufatto già demolito era destinata ad essere allegata a un contratto di compravendita rogato da un notaio poiché ad essere responsabili di quanto dichiarato su determinate caratteristiche oggettive dell'immobile non rispondenti al vero sono i privati che effettuano la dichiarazione, sulla cui veridicità il notaio non ha alcun obbligo di compiere verifiche. Ma la Corte fornisce un ulteriore e rilevante precisazione in ordine alla sussistenza dell' elemento soggettivo del reato ex art. 483 c.p. Nel suo percorso motivazionale, la S.C. parte da una premessa non può ritenersi che il ricorrente, professionista esperto, sia incorso in un errore rilevante sulla valenza delle proprie attestazioni non rispondenti al vero tale da far escludere l'elemento soggettivo del reato e ciò stante, la peculiare natura pubblicistica riservata alla perizia stragiudiziale giurata, dall'ordinamento proprio per asseverare determinate circostanze da parte di un soggetto avente particolari cognizioni tecniche. La consapevolezza della falsità in capo al ricorrente è emersa difatti dalla lettura congiunta delle motivazioni delle due decisioni di merito, dalle prove documentali acquisite e dalle dichiarazioni rese dai testi nel corso del dibattimento risultati che all'uopo, hanno rilevato per la punibilità. E, in tale contesto, la Corte ha chiarito come elemento decisivo, della consapevolezza è stata la presentazione da parte dello stesso imputato di una DIA al Comune relativa al medesimo compendio immobiliare con allegazione di fotografie dalle quali si evinceva che già in quel momento il laboratorio non era più esistente. Nel caso al vaglio della Corte, l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione non ha consentito pertanto, di ritenere il ricorrente immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità Corte Cost. n. 186/2000 . Così, disvelati tutti gli altri motivi inammissibili, per genericità e manifesta infondatezza, alla dichiarazione di inammissibilità la Corte di Cassazione ha fatto seguire la condanna del ricorrente, al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3mila in favore della Cassa delle ammende.

Presidente Scarlini – Relatore Giordano Il testo integrale della sentenza sarà disponibile a breve.