Violazione della quarantena: quando scatta la responsabilità penale?

Affinchè la violazione del dovere di autoisolamento per i soggetti positivi all'infezione da Coronavirus abbia rilievo penale occorre la violazione di un ordine individualmente impartito dall'autorità sanitaria.

Così ha stabilito il GUP presso il Tribunale di Pavia con la sentenza depositata il 5 giugno 2023. L'amore non conosce ostacoli nè porta né serratura, a passare sempre riuscirà” Così scriveva Kerstin Gier, autrice di molti romanzi particolarmente graditi dal pubblico femminile. In quel di Vigevano il protagonista della vicenda che ci occupa ha preso alla lettera il motto della scrittrice teutonica il COVID , dal quale era rimasto contagiato senza conseguenze apprezzabili, pare di capire, tant'è che era ormai praticamente guarito , non lo ha arrestato ha infilato la porta e ha raggiunto l'abitazione della propria morosa, che per sua sfortuna si trovava nel medesimo stabile dove abitava un Carabiniere. Il prosieguo potete immaginarlo da voi segnalazione ai colleghi, pattuglia, saluto militare e domanda a bruciapelo al nostro giovane innamorato . Sarà quest'ultimo a confermare la propria condizione di Covid-positivo e l'asserita violazione della cosiddetta quarantena ” così è scritto in sentenza . La comunicazione della notizia di reato nullificava il romantico movente del giovane e ne scolpiva la sorte col burocratico grigio della videoscrittura. L'ipotesi di reato contestata era quella dell' art. 4, comma 7 d.l. n. 19/2020 , in relazione all'art. 260 del regio decreto n. 1265/34, meglio noto come T.U. delle leggi in materia sanitaria. Un guazzabuglio di norme che si rincorrono l'un l'altra Ricorderete senz'altro che il periodo dell'emergenza COVID è stato caratterizzato da un diluvio di norme contenute in decreti-legge, fonti secondarie, d.p.c.m. e quant'altro. Il ginepraio che ne è derivato – oltre a rendere difficoltosa la consultazione delle fonti – provoca in chi volesse azzardarsi a metterle in fila il disorientamento più assoluto. Il GUP di Pavia si è lanciato in quest'avventura – immaginiamo non senza fatica – e ha, prima di tutto, ordinato le norme che disciplinano la violazione della disciplina , chiamiamola così, Anticovid . Innanzitutto, scrive il giudice, occorre distinguere tra misure di contenimento , quarantena e misure di isolamento. Le prime due servono a prevenire la diffusione di una malattia esse hanno natura cautelare e rispondono allo scopo di fronteggiare situazioni dalle quali potrebbe, con qualificata probabilità, derivare un'ulteriore diffusione del virus. Diversamente, l' isolamento riguarda soggetti già contagiati la cui condizione con certezza provocherebbe ulteriori contagi. Al netto della confusione normativa, il legislatore ha scelto quasi subito si era tentata una strada panpenalistica poi abbandonata di criminalizzare soltanto la violazione delle norme in materia di auto isolamento. Per la mancata osservanza della disciplina in materia di contenimento e quarantena si è fatto invece ricorso alla sanzione amministrativa. La norma che formava oggetto del capo di imputazione sanziona la violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione e si rivolge ai soggetti positivi al virus, destinatari della quarantena ” imposta dal Sindaco in funzione di autorità sanitaria locale. Fin qui, la norma. Per un sincero sentimento di pietà nei confronti del lettore, ometteremo di dare conto della raffica di provvedimenti normativi successivi basterà dire che essi, comunque, menzionavano la quarantena correlandola a un provvedimento dell'autorità sanitaria che ne sancisse l'inizio. Molta altra acqua sarebbe infatti transitata sotto i ponti, e su di essa avrebbero galleggiato altrettanti decreti-legge nei quali la violazione dell'isolamento individuale sarebbe rimasta penalmente sanzionata. L'epilogo liberatorio In quella che sembrava, dato l' incipit sentimentale, una storia d'altri tempi non poteva mancare il lieto fine . Si mostrava clemente il Pubblico Ministero, invocando la non punibilità per particolare tenuità del fatto il difensore arringava chiedendo l'assoluzione del proprio assistito e in via subordinata si associava alle conclusioni del suo avversario processuale. Il giudice, però, ancorandosi al dato letterale della norma e facendo appello alla sua limitatissima esegesi giurisprudenziale assolveva l'imputato con la formula perchè il fatto non sussiste. La ragione dell'assoluzione risiede nella mancanza, nel caso di specie, di un provvedimento individuale dell'autorità sanitaria che impedisse all'imputato di uscire di casa fino all'accertata negatività dal COVID. L' art. 2 del Codice penale , per l'occasione tinto di rosa, ha trionfato.

Giudice Leo Motivi della decisione 1. Il presente giudizio è scaturito da una denuncia o, meglio, dalla segnalazione di un appartenente all'Arma dei Carabinieri che, nel primo pomeriggio del 16 gennaio 2022, ha notato la presenza nella palazzina bifamiliare ove abita di un giovane da lui conosciuto, e del quale gli era noto lo stato di infezione da Covid-19. Giunto sul luogo un equipaggio di militari, era stato lo stesso interessato cioè, l'odierno imputato a confermare la propria condizione e l'asserita violazione del cosiddetta quarantena la condizione di positività, accertata il 5 gennaio precedente, sarebbe stata ancora in atto . A suo dire, il giovane aveva lasciato la propria abitazione per raggiungere quella della sua ragazza, abitante nello stesso stabile del Carabiniere citato in apertura. Di qui la denuncia per il reato di cui all'art. 4, comma 7, del decreto-legge numero 19 del 2000, in relazione all'art. 260 del regio decreto numero 1265 del 1934, cioè del T.u. delle leggi in materia sanitaria. A seguito della mera comunicazione della notizia di reato, il Pubblico Ministero ha chiesto ed ottenuto l'emissione di un decreto penale di condanna, la cui concreta parte motiva concerne solo la quantificazione della pena tre mesi di arresto ed euro 600,00 di ammenda, diminuita di un terzo per effetto di attenuanti generiche, convertita la pena detentiva ex art. 53 della legge numero 689 del 1981 nell'ammenda per euro 2.250,00 tenuto conto del rito , e sommate le due sanzioni a carattere pecuniario, con conseguente condanna per decreto alla pena di euro 2.450,00 di ammenda. Il decreto è stato personalmente notificato al B.F. in data 1 ° febbraio 2023, ed il giorno successivo il Difensore dell'imputato, già munito di procura speciale, si è opposto, sollecitando la revoca del provvedimento e la pronuncia di sentenza ex art. 129 c.p.p. oppure l'instaurazione del giudizio abbreviato con assoluzione nel merito, o per speciale tenuità del fatto. Con la dichiarazione di opposizione è stata depositata la copia di alcuni documenti. Per la data odierna è stata fissata l'udienza camerale a norma dell' art. 464 c.p.p. , aperta dalla Difesa con la rinnovata richiesta che il decreto penale fosse revocato e che si procedesse mediante rito abbreviato. Il Pubblico Ministero ha sostanzialmente aderito, nulla obiettando. Il decreto è stato dunque revocato e si è proceduto alla discussione secondo il rito speciale. Il Pubblico Ministero ha sollecitato una sentenza di improcedibilità dell'azione, fondata sul disposto dell' art. 131-bis c.p. e sulla considerazione che B.F. si trovava ormai alla fine della propria condizione di positivo infra . Il Difensore si è associato in subordine alla richiesta appena descritta, chiedendo però, in principalità, una sentenza assolutoria nel merito. 2. In effetti, ritiene questo Giudice che l'imputato debba essere assolto perché il fatto non sussiste, cioè - conviene subito precisare - perché non sussiste un fatto conforme al modello legale tracciato nella figura incriminatrice evocata nella contestazione. In verità la Difesa ha posto anche questioni concernenti la ricostruzione storica della condotta tenuta dal B.F., muovendo dalla certificazione che il giovane si era sottoposto già a due vaccinazioni contro il Covid, e che non avrebbe potuto assumere la terza, all'epoca dei fatti, data la necessità di attendere 120 giorni dopo la seconda. Inoltre, B.F. aveva contratto il virus durante il periodo di attesa, esattamente alla data del 7 gennaio 2022 primo test positivo . Secondo la Difesa, la cd. quarantena avrebbe dovuto durare solo sette giorni, e quindi aver termine il 14 gennaio. Comunque, il 15 gennaio, un giorno prima di uscire di casa, il giovane si sarebbe sottoposto ad un test casalingo , constatandone l'esito negativo si veda la fotografia allegata sub 3 all'atto di opposizione , e solo per effetto di tale rassicurazione avrebbe deciso di uscire, prenotando comunque un test ufficiale per il successivo lunedì 17 gennaio. In effetti, secondo la copia prodotta dal Difensore, almeno questo test, a data certa e con esito certificato, era poi risultato negativo. Nulla proverebbe, in definitiva, che B.F. fosse ancora portatore dell'infezione al momento del controllo presso l'abitazione della sua ragazza. Per inciso, le circostanze indicate soprattutto la prova che per il giovane la malattia fosse già terminata o comunque si trovasse alla fine del proprio decorso , sottendono alla tesi del Pubblico Ministero secondo cui il fatto sarebbe comunque non punibile per la sua speciale tenuità. V'è da dire - ma brevemente, solo perché ne ha fatto specifica questione la Difesa - che la ricostruzione proposta non è compatibile con la dichiarazione di attualità della malattia che l'imputato avrebbe reso ai militari intervenuti presso il luogo del controllo. Si sostiene, a questo proposito, che quella dichiarazione sarebbe inutilizzabile. In effetti, nella relativa annotazione della polizia giudiziaria, non viene dato conto d'una ipotetica spontaneità dell'affermazione attribuita al B.F Vi si legge anzi che il giovane era stato interpellato in merito alla sua condizione. E la sua risposta, oltretutto, non è stata riportata in un atto da lui personalmente sottoscritto Cass., Sez. 1 - Sentenza numero 37676 del 03/05/2022, riv. Cass, Rv. 283740-01 . Per altro, questo profilo del fatto non risulta decisivo ai fini della deliberazione, posto che la condotta, quand'anche conforme alla ricostruzione accusatoria, non assumerebbe rilievo secondo la norma incriminatrice contestata. Conviene dunque senz'altro procedere alla ricostruzione della disciplina della cd. violazione della quarantena. 3. A quest'ultimo proposito va preliminarmente richiamata la distinzione tra misure di contenimento, condizione di quarantena e misure di isolamento. Le prime due sono fattispecie tipicamente cautelari, mirate a prevenire, con progressiva determinazione, il diffondersi di una malattia. Con la quarantena, in particolare, si fronteggia il caso di una malattia non ancora palese nel soggetto preso in considerazione, ma suscettibile, con qualificata probabilità, di manifestarsi entro un dato periodo ad esempio per il contatto intrattenuto con un soggetto infetto e quindi, in astratto, particolarmente idonea a produrre ulteriore diffusione del virus. La misura dell'isolamento riguarda invece persone già contagiate, la cui libertà di movimento deve essere contenuta con severità ancora maggiore, poiché provocherebbe certamente o quasi la malattia di altre persone. Il legislatore dell'emergenza ha concettualmente distinto le varie situazioni, pur senza realizzare una netta scansione, ed anzi generando una certa confusione di linguaggio della sua stessa produzione normativa. Comunque, per la violazione delle misure di contenimento e di quarantena, si è scelta con chiarezza - ben prima dei fatti per cui si procede in questa sede - la strada della sanzione solo amministrativa, riservando il trattamento penale ai casi di violazione del dovere di autoisolamento. Questa constatazione ricorre nella dottrina e nella giurisprudenza, senza eccezioni. All'inizio della pandemia, suscitando un acceso dibattito sulla tecnica legislativa e sul principio di legalità, il Governo aveva scelto la strada della penalizzazione generalizzata della violazione delle misure adottate contro la diffusione del contagio Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell' articolo 650 del codice penale art. 3, comma 4, del decreto-legge 23 febbraio 2020, numero 6 , in seguito convertito dalla legge numero 13 del 2020 , e poi modificato senza variazioni qui rilevanti, fino alla sostanziale abrogazione mediante il decreto-legge numero 19 del 2020 . Tuttavia quasi subito, proprio a seguito delle polemiche evocate, era stata scelta una strada opposta, percorsa tuttora. La svolta si deve già all' art. 4 del decreto-legge numero 19 del 2020 convertito dalla legge 22 maggio 2020, numero 35 , ove si trova un duplice rinvio alle misure anti-pandemiche indicate al precedente art. 1. Per le misure generali a carattere precauzionale limiti territoriali di circolazione, divieto di assembramenti, ecc. , da precisare ed integrare mediante provvedimenti dell'autorità politica od amministrativa, i primi due commi dell'art. 4 prevedono infatti sanzioni amministrative e solo amministrative . Altrettanto va detto con riguardo alla quarantena propriamente intesa lettera d del comma 2 dell'art. 1 , definita quale misura applicata ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano . Invece al comma 6 - nomina oggetto dell'odierna contestazione - è comminata una sanzione penale mediante rinvio all'art. 260 del T.u. delle leggi sanitarie , limitatamente alla violazione di una sola tra le misure elencate nella disciplina precedente la violazione, cioè, correlata alla lettera e del comma 2 dell' art. 1 dello stesso decreto-legge numero 19 del 2020 . Si tratta del caso di chi violi il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena [sic], applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus . Per la precisione va specificato che il nuovo decreto-legge aveva centrato l'area residua del trattamento sanzionatorio penale sulla condizione di contagio dell'interessato, senza far cenno esplicito al provvedimento sindacale e per altro dando luogo ad una palese incongruenza di linguaggio la sanzione coglieva la violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus lettera e dell'art. 1, cui rinviava l'art, 4, comma 6, del decreto in questione . Tuttavia, già con il decreto-legge numero 33 del 16 maggio 2020 convertito dalla legge numero 74 del 2020 , intervenuto addirittura prima della conversione del decreto numero 19, si era introdotto un riferimento alla misura della quarantena per provvedimento dell'autorità sanitaria adottata nei confronti di persone in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata comma 6 dell'art. 1, in relazione al comma 3 dell'art. 2 . Poi, in sede di conversione del decreto numero 19, la norma precetto era stata modificata nel senso poco sopra indicato, e dunque integrata dall'inequivoco riferimento alla misura applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale , in conseguenza dell'accertata condizione di contagio dell'interessato. Ora, il reato di cui all' art. 4, comma 6, del decreto-legge numero 19 del 2020 è quello contestato all'odierno imputato. In verità l'addebito avrebbe dovuto essere riferito ad una fattispecie ancora successiva. Prima della sua condotta, infatti, era stata nuovamente modificata la fonte normativa del precetto. Il decreto-legge 16 maggio 2020, numero 33 convertito dalla legge 14 luglio 2020, numero 74 aveva regolato la violazione del divieto di mobilità per i contagiati sempre a seguito di provvedimento dell'autorità sanitaria con il comma 6 dell'art. 1, ancora sanzionato penalmente, mediante la tecnica del rinvio, in forza del successivo comma 3 dell'art. 2. L'odierna contestazione trascura il novum. C'è da dire per altro che si era determinato un pacifico caso di continuità normativa, tanto che la Corte costituzionale, con l'ordinanza numero 220 del 2022 , ha trasferito d'ufficio sulla norma sopravvenuta una questione erroneamente sollevata per un fatto non più regolato dalla norma originaria perché commesso nel 2021 situazione analoga a quella odierna . Per inciso, compiuta questa operazione, la Corte ha poi confermato il proprio giudizio di compatibilità della disciplina con l' art. 13 della Costituzione , negando per le misure in questione la natura di provvedimenti coercitivi della libertà personale, e dunque escludendo la necessità dell'intervento giudiziale per la loro applicazione. La questione era stata appunto già affrontata e risolta, nel senso della infondatezza, con la precedente sentenza numero 127 del 2022. 4. Un passaggio della sentenza appena citata consente di risolvere, alla luce del principio di continuità, anche il problema della interferenza di modifiche del quadro normativo, sopravvenute alla condotta del B.F È noto infatti come il legislatore, intervenendo sul decreto-legge numero 52 del 2021 attraverso l'introduzione nel medesimo di un art. 10-ter a decorrere dal 1 ° aprile 2022 , ma con effetto in realtà databile all'entrata in vigore della legge di conversione del nuovo provvedimento d'urgenza , abbia per l'ennesima volta rimodulato il quadro normativo. In particolare, con l' art. 4 del decreto-legge 24 marzo 2022, numero 24 come convertito dalla legge 19 maggio 2022, numero 52 , il già citato art. 10-ter è intervenuto a regolare Isolamento e autosorveglianza . Per quanto rileva qui, comunque, è rimasta ferma la struttura del divieto, che concerne le persone sottoposte alla misura dell'isolamento per provvedimento dell'autorità sanitaria in quanto risultate positive al SARS-Co V-2, fino all'accertamento della guarigione, salvo che perii 1icovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata comma 1 , mentre la quarantena connessa ai contatti stretti è stata regolata dal comma 2 della medesima norma. La violazione dell'isolamento individuale - e solo essa - è rimasta penalmente sanzionata, perché, con l' art. 11, comma 1, lettera b dello stesso decreto-legge numero 24 del 2022 , si è introdotto nel corpo del decreto-legge numero 52 del 2021 anche un articolo 13, il quale, al comma 2-bis, recita Salvo che il fatto costituisca reato punibile ai sensi dell' articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 10-ter, comma 1, è punita ai sensi dell' articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, numero 1265 . Insomma, nulla di nuovo, e può chiudersi l'argomento citando il rilievo svolto, a fini ovviamente diversi e cioè per stabilire la perdurante rilevanza della questione sollevata riguardo al decreto-legge 33 del 2020 , il sintetico deliberato della Consulta è palese che lo ius superveniens non interferisce con l'attuale questione di legittimità costituzionale § 1 del Considerato della citata sentenza numero 127 del 2022 . Non si pone cioè un problema di depenalizzazione del fatto astrattamente evocato, e la sua riqualificazione come reato punito dall' art. 1, comma 6, e dall'art. 2, comma 3, del decreto-legge numero 33 del 2020 non comporterebbe alcun effetto pratico. 5. Alla luce dei rilievi che precedono, va stabilito se B.F. abbia tenuto una condotta effettivamente conforme alla fattispecie sanzionatoria penale, diversa essendo la questione d'una ipotetica sanzione amministrativa connessa alla violazione degli obblighi conseguenti a contatti stretti , tema non indagato ed evocato solo, senza effettiva pertinenza, dalle produzioni difensive. Questo Giudice ritiene di aderire all'opinione, sostenuta maggioritariamente in dottrina, e ribadita più o meno direttamente nei pochissimi provvedimenti noti della giurisprudenza, che la violazione di rilievo penale attenga - quanto meno a far tempo dall'entrata in vigore della legge numero 35 del 2020 , di conversione del decreto-legge numero 19 del 2020 - a misure di isolamento individuale, adottate dall'autorità sanitaria competente in base alla disciplina fin qui evocata ed alla disciplina di tutela della salute pubblica. Ne consegue che non sarebbe sufficiente neppure una accertata condizione di positività al virus per giustificare, direttamente, l'affermazione di responsabilità del soggetto sorpreso a violare misure di contenimento generale dell'epidemia. Così come perde rilievo ai fini penalistici, per ragioni simmetriche, la questione principalmente agitata dalla Difesa, e cioè se l'imputato fosse o no guarito nel momento in cui era uscito di casa. Potrebbe discutersi se una scelta legislativa siffatta sia sufficiente a garantire effettività alla prevenzione del comportamento più rischioso nella prospettiva epidemica. Ma che il legislatore abbia scelto in tal senso appare chiaro, nonostante la confusione indotta dal frazionamento e dalla continua innovazione degli strumenti normativi. Non è un caso che il richiamo ad un provvedimento presupposto sia stato reiterato in tutte le occasioni di intervento normativo. D'altronde, l'opzione asseconda principi e tendenze del diritto penale, in punto di residualità della sanzione criminale e di sua corrispondenza ad un livello elevato di colpevolezza si deve ben ammettere che, specie in un quadro normativo tanto confuso, la violazione di un ordine personalmente ricevuto è ben altra cosa, anche alla luce del principio di colpevolezza, dalla mera convenzione per la quale l'ignoranza della legge penale non scusa . In ogni caso, il principio di legalità impone che la norma penale non venga interpretata ed applicata eliminandone il riferimento ad un requisito essenziale di fattispecie. Né sarebbe possibile ipotizzare che il provvedimento preteso dalla legge consista nei decreti del Presidente del Consiglio o nelle altre fonti di introduzione degli obblighi e dei divieti si tratta qui con i noti problemi sul piano della legalità formale di precisare ed introdurre, con efficacia generale, prescrizioni consentite in astratto dalla legge di rango primario, ben diversi dalla applicazione della misura ad un singolo individuo, che spetta all'autorità sanitaria. 6. L'indicazione più autorevole proviene, nello stesso senso, dalla già citata sentenza della Corte costituzionale numero 127 del 2022 . La Consulta, pur richiamando la diversa scelta· sottesa al testo del decreto-legge numero 19 del 2020 supra , ha chiaramente riferito l'incriminazione alla inosservanza del provvedimento che sottopone la singola persona alla quarantena a seguito di positività del test al virus Covid-19 § 6.1. del Considerato . Se la disciplina non viola l' art. 13 della Costituzione , ciò si deve al fatto che la limitazione della libertà di locomozione non è coercibile né comporta la degradazione giuridica di chi, per un fatto soggettivamente incolpevole, deve essere raggiunto da misure restrittive necessarie e proporzionate. Manca lo stigma, tipico dei provvedimenti coercitivi, ma non il provvedimento individuale che accerta e comunica i presupposti per la limitazione. L'intero percorso della sentenza numero 127 palesa la convinzione della Corte circa il ruolo del provvedimento individuale nell'integrazione della fattispecie punibile. Che il discorso valga non solo per le recenti norme sindacate in quella sede i già citati artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge numero 33 del 2020 , ma anche per le norme qui contestate del decreto-legge numero 19 del 2020 , è poi attestato dalla successiva ordinanza numero 220 del 2022, che ha definito traslate tali norme nella disciplina successiva e già sindacata. Nell'occasione, si è dato per acquisito il presupposto interpretativo espresso dal giudice rimettente, per il quale le norme censurate e poi traslate sanzionano penalmente la condotta di chi, risultato positivo al virus [ . ] e sottoposto per tale ragione alla misura della quarantena da parte del sindaco, si allontani dalla propria dimora o abitazione . 7. La solidità della conclusione rende conto della conformità riscontrata nei pochi precedenti editi sul punto. V'è da dire, sulle tracce di rilievi dottrinali in tal senso, che l'argomento più rilevante in senso contrario consiste nella incuria legislativa circa gli aspetti procedurali ed organizzativi dell'attività sindacale presupposta dalla norma. È notorio che per lungo tempo ed in moltissimi casi nessun provvedimento individuale è stato adottato, o comunque comunicato, a seguito dell'accertamento ufficiale del contagio, ad esempio presso presidi sanitari o in esercizi abilitati alla certificazione. V'è ampia traccia al proposito, anche nelle cronache giornalistiche, delle preoccupazioni dei sindaci, e delle incertezze generate dalla continua successione di norme. Ciò concorre a spiegare perché, dopo un periodo in cui venivano effettuate denunce a carico di persone soprese in pubblico nonostante la condizione di contagio, le stesse notizie si sono progressivamente rarefatte. Si spiega soprattutto perché, di fronte ad un fenomeno che certamente ha avuto dimensioni massicce, i provvedimenti giudiziari siano molto scarsi, e per quanto risulta sempre segnati da decisioni liberatorie per gli imputati. In alcuni casi le particolarità della fattispecie concreta, o del percorso argomentativo seguito dal giudice come riprodotto , non facilitano la rilevazione e la generalizzazione di un principio ad esempio, G.i.p. Tribunale Milano, 25 febbraio-1 ° marzo 2021, Gip Tribunale Lodi 29 agosto 2022 . In altri casi, hanno concorso alla soluzione liberatoria vari argomenti, tra ì quali comunque, chiaramente, l'asserita necessità di un provvedimento sindacale individuale presupposto alla violazione del divieto di circolare per i positivi al virus G.i.p. Tribunale Milano, 12 dicembre 2022 . 8. In definitiva, ai finì del presente provvedimento, pare sufficiente il rilievo circa l'esistenza iniziale dì incertezze normative e dubbi interpretativi sulla portata del presidio penale necessario per garantire effettività alle misure di contenimento e sui presupposti, in particolare, di attivazione della quarantena obbligatoria la cui violazione resta penalmente sanzionata obbligatoria per significare isolamento individuale, secondo il linguaggio normativo più evoluto, e per distinguerla da quella facoltativa , connessa a situazioni qualificati di rischio di insorgenza della malattia . Non sembra però discutibile, a far tempo dalla entrata in vigore del decreto-legge numero 33 del 2019, e comunque della legge di conversione del decreto-legge numero 19 del 2019, che la fattispecie richieda la disobbedienza ad un ordine individualmente impartito dall'Autorità sanitaria. Si tratta di una opzione esplicita, anche se alla luce del parere di più Autori non realmente innovativa, la quale dispiega pienamente i propri effetti con riguardo alla condotta di B.F., di quasi due anni successiva, sia che la si qualifichi come recita l'odierna imputazione, sia che si aggiorni quest'ultima citando la fattispecie di traslazione della norma evocata. Si è già anticipato. Non essendovi prova che l'imputato fosse stato oggetto di intimazione sindacale ed anzi ricorrendo prova logica del contrario , non è dimostrata la sussistenza di un fatto corrispondente alla figura incriminatrice. Ne consegue dunque l'assoluzione dell'imputato con formula di insussistenza del fatto. P.Q.M. visti gli artt. 438 e segg. e 529 segg. c.p.p., ASSOLVE B.F. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. RISERVA Il deposito della motivazione entro il quarantesimo giorno successivo alla deliberazione del presente dispositivo.