L’avvocato non può fare anche il dentista

Per il CNF non ci sono dubbi la professione di avvocato è incompatibile con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo, anche con quella dell’odontoiatra. E’ irrilevante, ai fini dell’incompatibilità, il suo effettivo esercizio.

I fatti si svolgono ad Asti, e vedono coinvolto un legale con la passione per l' odontoiatria , iscritto contemporaneamente ai due albi professionali quello degli avvocati e quello degli odontoiatri. A seguito di segnalazione, il competente COA apriva un procedimento disciplinare che terminava con la cancellazione del professionista dall' albo degli avvocati. A sostegno del provvedimento il COA deduceva, tra l'altro, la violazione dell'art. 6 del Codice Deontologico Forense e l' art. 18 della legge n. 247/2012 Legge professionale , secondo la quale la professione forense è incompatibile con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluso quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale e con l'esercizio dell'attività di notaio. Si tratta di un elenco tassativo e, come ribadito dalla Cassazione, le eccezioni costituiscono un numero chiuso e non sono interpretabili analogicamente Cass., Sez. Unite, civ., n. 26996/2016 . L'avvocato si opponeva alla delibera di cancellazione e proponeva ricorso dinnanzi al CNF. A propria difesa, il ricorrente rilevava di non aver mai esercitato la professione di odontoiatra, nonostante l'iscrizione nell'apposito albo ma che tale iscrizione fosse propedeutica alla prosecuzione degli studi e della formazione post-laurea in tale ambito sanitario. A tale proposito, il ricorrente rileva che proprio la citata sentenza delle Sezioni Unite posta a fondamento della delibera di cancellazione dall'albo, si limita a prevedere l'incompatibilità della professione forense con qualsiasi altra attività di lavoro e, quindi, con l'effettivo esercizio di tale attività e non già, con la mera iscrizione in altro albo. Inoltre, sollevava, ai sensi dell' art. 23 l. n. 87/1953 , questione di legittimità costituzionale dell' art. 18, comma 1, lettera a della l. n. 247/2012 per contrasto con gli artt. 3, 4, 18, 33, 34 della Costituzione , chiedendo al CNF la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Il ricorso è infondato. Il CNF rileva che l' art. 18, comma 1 lett.a , l. 247/2012 stabilisce che la professione di avvocato è incompatibile con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l'esercizio dell'attività di notaio mentre permette l'iscrizione nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell'elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell'albo dei consulenti del lavoro . La norma in esame, fissando il regime delle incompatibilità ostative all'esercizio della professione di avvocato, esplicitamente tratteggia, per di più, le eccezioni, che, costituendo un numerus clausus , non sono assoggettate ad interpretazione analogica . I soli casi nei quali è consentita l'iscrizione sono quelli attinenti agli albi dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dei consulenti del lavoro, all'elenco dei pubblicisti ed al registro dei revisori contabili. Siccome nella norma , prosegue il Collegio, la sola simultanea iscrizione ad un altro albo professionale è ostativa di per sé, non occorre neanche verificare la continuità dell'esercizio in concreto della professione ritenuta incompatibile, per questo motivo è sufficiente la sola l'iscrizione in un albo professionale, diverso da quelli esplicitamente elencati, per poter determinare l'incompatibilità con quella nell'albo degli avvocati, non essendo necessario, affinché tale condizione si realizzi, che la differente attività di odontoiatra sia effettivamente esercitata . Bisogna evidenziare, inoltre, che la disciplina dell'incompatibilità stabilita dalla legge professionale forense è volta ad assicurare la professionalità dell'avvocato e la sua indipendenza. Ne discende che non ricorrono i presupposti per sollevare una questione di legittimità costituzionale o che possano sussistere dubbi di compatibilità con i principi dell'Unione Europea. Il CNF rigetta in conclusione il ricorso.

CNF, sentenza 27 marzo 2023, n. 46