Il bancario non avvisa l’investitore delle perdite: è truffa?

È configurabile il delitto di truffa, quando la condotta omissiva della vittima, determinata dal comportamento ingannevole dell’imputato consulente, porti ad una gestione in perdita dei propri investimenti, sulla scorta del fatto che all’investitore venga data una rappresentazione diversa ed erronea, di incremento degli investimenti stessi, attraverso una artificiosa documentazione contabile appositamente creata.

Il caso Nel caso di specie, l'imputato, direttore di un'agenzia di Private banking, originariamente accusato per diversi reati di furto e truffa , veniva prosciolto, per prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena, in ordine ad un reato di truffa aggravata commessa, nei confronti di facoltosi clienti , predisponendo rendicontazioni fittizie che rappresentavano una situazione dei loro investimenti difforme rispetto a quella reale, con conseguente riconoscimento di premi produttività, invece, inesistenti. Veniva condannato al pagamento del risarcimento del danno delle costituite parti civili e proponeva ricorso per cassazione. Tra i vari motivi deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'assenza di alcuni elementi tipici della truffa, quale la mancanza dell'atto di disposizione patrimoniale da parte della vittima ingannata, la mancanza del danno-profitto ingiusto , che non può essere identificato con l'andamento negativo dell'investimento, atteso che la falsa rendicontazione ha celato le perdite ma non le ha certamente create. La Corte, con la sentenza in commento ha dichiarato complessivamente inammissibile il ricorso, pronunciandosi, altresì, su varie questioni, interessanti e variegate, sottoposte dall'imputato, cui si ritiene utile fare cenno. Accertamento della presenza di querela per taluni reati a seguito della l. n. 150/2022 Tra i reati contestati al ricorrente vi erano alcuni furti aggravati per i quali lo stesso riteneva non essere stata presentata la querela. Ebbene, la Corte ha precisato che, nel caso di specie, le persone offese si sono costituite parti civili, esprimendo sia con gli atti di costituzione, che con successive memorie, la propria volontà di querela . Successivamente all'entrata in vigore della Riforma Cartabia , che ha previsto un diverso regime di procedibilità per taluni reati, la costituzione di parte civile esprime la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa. Tale volontà non richiede formule particolari, ma può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione. Furto e appropriazione indebita La Corte, tra l'altro, si pronuncia sul rapporto tra i reati di furto aggravato e appropriazione indebita, atteso che l'imputato aveva richiesto una riqualificazione del primo nel secondo. Secondo i giudici di legittimità, per giurisprudenza costante, risponde di furto aggravato e non di appropriazione indebita il funzionario di banca che, come nel caso di specie, disponga del denaro depositato sul conto corrente, in assenza di delega del correntista alla gestione delle somme o senza il rispetto dei vincoli derivanti da tali deleghe Cass. n. 2098/2022 . Truffa e omissione di informazioni alla vittima La questione riguarda la possibilità di ritenere sussistente il danno patrimoniale e la disposizione patrimoniale, conseguente alla condotta artificiosa, atteso che nel caso di specie sarebbe del tutto mancata una vera e propria attuazione di comportamenti dispositivi idonei a bloccare gli investimenti in perdita. Ebbene, come precisa la Corte, nel delitto di truffa , il danno della vittima non deve necessariamente conseguire a condotte attive del raggirato o della persona offesa ove non coincidano . Infatti, il danno può realizzarsi non solo per effetto di condotte attive”, ma anche quando la vittima, indotta in errore, ometta di compiere attività finalizzate a fare acquisire al proprio patrimonio una concreta utilità economica, alla quale ha diritto e che rimane invece acquisita al patrimonio altrui Cass. n. 4349/2008 . Nel caso specifico, il comportamento omissivo della vittima è stato determinato dalla condotta ingannevole dell' imputato . In tal modo, la persona offesa ha cumulato un danno nel proprio patrimonio, costituito dalla gestione in perdita dei propri investimenti, attribuibile alla circostanza di una erronea rappresentazione di una situazione di incremento degli investimenti stessi, indotta dalla rendicontazione falsa presentata allo stesso dal consulente. Perdita di chance Se è vero che tale falsa documentazione non ha creato perdite ma le ha solo celate e che il danno ingiusto non può identificarsi nell' esito negativo degli investimenti , la Corte evidenzia come è pur sempre necessario tenere conto della perdita della base patrimoniale investita dai correntisti ” e della perdita di chance ” di disinvestire da un tale investimento negativo. La perdita della possibilità di essere informato e di orientarsi verso un disinvestimento, nel caso in cui ci sia un reale e notevole abbattimento del valore del proprio stato patrimoniale, configura senza dubbio quella concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un vantaggio, ancorchè di non ulteriore perdita di denaro. È dunque, in questi casi, si configura il reato di truffa quando il danno nei confronti della vittima sia causato da un suo comportamento omissivo determinato dalla condotta ingannevole dell'imputato che, a sua volta, si concretizzi nella continuata gestione finanziaria in perdita dei propri investimenti, ad insaputa dell'investitore.

Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. E' impugnata la sentenza della Corte d'Appello di Brescia del 14.6.2022, che, in parziale riforma della decisione di primo grado, emessa all'esito di rito abbreviato condizionato, ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti dell'imputato M.B., in ordine - al reato di furto aggravato e continuato, commesso, nella sua qualità di direttore dell'agenzia di Omissis dell'Istituto Private banking Intesa San Paolo, ai danni di alcuni correntisti della filiale, limitatamente alla disposizione di bonifico bancario eseguita il 3.10.2007 capo 1 - ad un'ipotesi di truffa aggravata commessa predisponendo rendicontazioni fittizie che, esibite ai clienti dell'istituto, vittime dei furti di cui al capo 1, rappresentavano una situazione dei loro investimenti difforme da quella reale, con conseguente riconoscimento di premi di produttività per il periodo 2008/2012 non dovuti e pari a 42.700 Euro capo 4 . Si e', di conseguenza, rideterminata la pena nei suoi confronti, avuto riguardo alle residue imputazioni ascrittegli al capo 1, in anni tre, mesi due di reclusione e 600 Euro di multa la Corte territoriale ha anche ridotto l'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno in favore delle parti civili Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. alla somma di Euro 40.000 ciascuna ed ha rigettato, invece, l'appello del pubblico ministero e delle parti civili P.M. e G.S L'imputato, all'esito del giudizio d'appello, quindi, è stato condannato soltanto per le condotte ascrittegli al capo 1 dell'imputazione, tranne quella prescritta già indicata e quelle relative alle operazioni su conti correnti intestati o cointestati a G.G., in relazione alle quali è stato assolto perché il fatto non sussiste sin dal primo grado il Tribunale di Bergamo aveva dichiarato, altresì, anche non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al delitto di cui al capo 3 un'ipotesi di sottrazione di corrispondenza in danno di clienti dell'istituto per difetto di querela nonché aveva pronunciato assoluzione anche in relazione al delitto di cui al capo 2 falso in scrittura privata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato - ed al capo 5 un'ipotesi di truffa aggravata posta in essere redigendo lettere di costituzione in pegno di una polizza azionaria del valore di 5.000.000 di Euro, in favore di una società di cui M. era amministratore di fatto, a garanzia di una linea di apertura di credito presso la filiale Intesa San Paolo di Omissis . 2. Avverso la citata sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo sei distinti motivi. 2.1. Il primo motivo di censura eccepisce violazione di legge, avuto riguardo all'ammissione della costituzione di parte civile di G.S. e G., nonché di P.M., impugnando la parte di motivazione della sentenza di secondo grado con cui è stato rigettato il motivo d'appello dedicato a contestare l'ordinanza del Tribunale di Bergamo del 22.12.2015, ammissiva della costituzione di parte civile. Il ricorrente definisce, invece, tardiva la seconda costituzione di parte civile, datata 27.11.2015, poiché la fase degli atti preliminari si sarebbe esaurita, in relazione ai capi 1,2,3 e 5 dell'imputazione, già alla prima udienza del 27.5.2015 in cui G.S. e P.M. comunque si erano già costituite parte civile con un primo atto notificato fuori udienza , della quale l'udienza del 22.12.2015, in cui è stata ammessa la nuova costituzione depositata da G.S. e G., nonché da P.M., costituiva un rinvio in attesa di completare la citazione per il capo 4, dichiarata nulla in prima battuta e bisognevole di integrazione con successiva riunione del processo nell'udienza infine fissata per dicembre 2015. Il rinvio dell'udienza del 27.5.2015, infatti, era stato disposto solo per la trattazione delle questioni preliminari in vista della riunione del procedimento stralciato relativo al capo 4, ma non per la verifica della regolare costituzione delle parti civili, già esaurita, poiché può avvenire, a norma dell' art. 79 c.p.p. , solo fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall' art. 484 c.p.p. sulla regolare costituzione delle parti e non fino al termine ultimo per l'apertura del dibattimento fissato dall' art. 491 c.p.p. , come sostenuto dal giudice di primo grado. Se l'unica costituzione di parte civile validamente ammessa è quella in vista dell'udienza del 27.5.2015, vale a dire il primo atto notificato fuori udienza, la difesa ribadisce la sua inammissibilità perché effettuata da soggetto privo di procura speciale ex artt. 76 e 122 c.p.p. , l'avv. Bertino Lorenzo, e perché depositata in cancelleria da soggetto delegato non compiutamente identificato indicato solo come P.L. il ricorrente contesta la soluzione del giudice di primo grado sull'eccezione in tal senso proposta, che ha dichiarato il deposito in cancelleria atto di natura materiale a chiunque delegabile, anche ai sensi dell' art. 78 c.p.p. . Peraltro, si denuncia il medesimo vizio di mancanza di procura speciale regolare ai sensi degli artt. 76 e 122 c.p.p. anche in relazione al secondo atto di costituzione di parte civile, di cui, in via prioritaria, si eccepisce la tardività, come già segnalato. Un ulteriore profilo di inammissibilità viene, poi, segnalato dal ricorso gli atti di costituzione di parte civile avrebbero illegittimamente frazionato la domanda giudiziale, concentrandola sui soli danni morali, lasciando così intendere che si sarebbe agito separatamente per il danno patrimoniale. Il ricorrente censura sia il merito della soluzione di rigetto delle questioni sollevate in sede di eccezione all'ammissibilità della costituzione di parte civile, sia l'incompletezza delle argomentazioni dell'ordinanza del giudice di primo grado, che non avrebbe risposto ad alcune delle obiezioni difensive vale a dire tutte quelle non trattate espressamente . Il ricorso eccepisce anche la tardività e l'inammissibilità, quindi, della costituzione di parte civile degli istituti bancari Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a., avvenuta alla prima udienza del 27.5.2015, ma che, in relazione al capo 4 stralciato, avrebbe dovuto essere proposta tempestivamente per l'udienza fissata ai fini della rinotifica del decreto di citazione completo e della riunione con il processo principale, vale a dire l'udienza del 21.10.2015. La costituzione, invece, che avveniva solo in data 21.12.2015, con notifica all'imputato dell'atto che riportava, oltre alle procure speciali rilasciate il 10.12.2015, il timbro di deposito in cancelleria del 16.12.2015 era tardiva. La difesa, peraltro, ripropone anche rispetto a tale atto di costituzione di parte civile le stesse eccezioni già esaminate in relazione a quello delle parti private G. e P., quanto all'irregolare deposito da parte di collaboratore di studio delegato dal procuratore speciale, laddove l'atto non sarebbe delegabile affatto e comunque la delega non era prevista dalla procura speciale e mancava delle generalità del procuratore speciale. Inoltre, si contesta anche la nomina del difensore, che non sarebbe stata conferita con atto di procura alle liti autenticato in calce alla costituzione di parte civile, ai sensi dell' art. 100 c.p.p. , comma 2, e si denuncia, altresì, che l'atto di costituzione di parte civile non sarebbe stato depositato in copia conforme ma semplice e che il procuratore speciale di Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. non aveva il potere di nominare procuratori speciali ex artt. 76 e 122 c.p.p. per l'esercizio dei poteri sostanziali conferitigli. Infine, si denuncia l'inammissibilità della costituzione di parte civile da parte di Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. che ha frazionato le azioni, instaurando prima un giudizio civile nei confronti dell'imputato, funzionale ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e, successivamente, si è costituita parte civile nel per ottenere il risarcimento dei danni di carattere non patrimoniale, quanto meno del danno all'immagine. Il motivo di ricorso si chiude con la contestazione sintetica e riepilogativa delle risposte della Corte d'Appello alle obiezioni difensive già esposte e chiedendo l'annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata. 2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce, in relazione al capo 1, violazione di legge quanto alla mancata assoluzione del ricorrente perché il fatto non sussiste oppure alla mancata declaratoria di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, chiedendo la riqualificazione giuridica dei fatti nel reato di appropriazione indebita. La tesi difensiva è che il ricorrente abbia realizzato legittimamente, su autorizzazione delle persone offese P. e G.S., le operazioni bancarie ritenute predatorie con abuso della sua qualità, così come riconosciuto in suo favore per le operazioni bancarie relative al marito e padre delle due donne, G.G., il quale avrebbe avuto l'incarico dai familiari di gestire gli investimenti comuni ed in tale veste, di incaricato, appariva all'imputato. Opererebbe, quindi, in favore del ricorrente, la scriminante del consenso ex art. 50 c.p. , anche nella forma putativa eventualmente art. 59 c.p. , visto l'affidamento ingenerato nel ricorrente dall'operato di G.G. mentre non è idoneo a sostenere l'esclusione del consenso l'argomento utilizzato dalla Corte d'Appello, secondo cui dal dolersi delle persone offese degli ammanchi subiti, si evincerebbe la loro mancata delega al familiare ad agire per proprio conto a fini di investimento e, quindi, la loro contrarietà. Si eccepisce, in particolare, anche il vizio di motivazione della sentenza là dove non indica i criteri di valutazione della prova, né enuncia le ragioni per le quali non sono stati tenuti in considerazione alcuni elementi favorevoli al ricorrente, esponendo passaggi del provvedimento impugnato e rilevandone le asserite irragionevolezze motivazionali, avuto riguardo soprattutto alla coerenza nell'esame delle dichiarazioni testimoniali di G.G. rispetto a sua moglie P.M. ed a sua figlia S Si invoca, anche nell'alveo del vizio di contraddittorietà motivazionale, il mancato superamento del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio e si chiede la riqualificazione giuridica dei fatti a lui ascritti come residuano all'esito della condanna in appello, evidentemente nel reato di appropriazione indebita piuttosto che in quello di furto ritenuto sussistente vi sarebbe, a monte delle condotte, un potere di gestione dei fondi patrimoniali conferito al ricorrente molto ampio per le operazioni di investimento della famiglia G., diverso da quello ritenuto fondante il delitto di furto in simili ipotesi secondo la giurisprudenza di legittimità. Peraltro, si evincerebbe la mancanza di dolo del reato di furto dai fatto che l'imputato non ha mai spostato le somme sottratte su un conto corrente proprio, ma ne ha disposto con bonifici bancari completi di causali e con assegni circolari. 2.3. Il terzo motivo di censura eccepisce, in relazione ai capi 2 e 3, violazione di legge quanto alla mancata assoluzione del ricorrente con formula più favorevole perché il fatto non sussiste o non costituisce reato . La Corte d'Appello ha ritenuto che le statuizioni di proscioglimento in primo grado, rispettivamente per difetto di querela capo 2 e perché il fatto non è previsto dalla legge come reato capo 3 , non fossero appellabili, ai sensi dell' art. 443 c.p.p. , né potesse valere la disposizione di cui all' art. 580 c.p.p. . Il ricorrente denuncia l'erroneità di tale impostazione, richiamando Sez. 3, n. 23480 del 2014 ed il principio di unitarietà delle statuizioni decisorie, quando con l'appello siano impugnati legittimamente anche altri capi della sentenza relativi a diversi reati, evocando la medesima ratio della sentenza della Corte costituzionale n. 274 del 2009 in tema di appellabilità delle pronunce di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente. Inoltre, si ripropongono gli argomenti di appello avverso la decisione di proscioglimento per i capi 2 e 3, neppure esaminati dalla Corte territoriale, che li ha ritenuti erroneamente inammissibili, evidenziando la possibilità che la Cassazione decida direttamente su di essi, assolvendo il ricorrente con formula più favorevole. 2.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione del ricorrente, quantomeno parziale, dai fatti a lui ascritti al capo 4, riguardo al quale è stata emessa sentenza di prescrizione, sottolineando l'assenza di alcuni elementi tipici del reato di truffa, vale a dire la mancanza dell'atto di disposizione patrimoniale da parte della vittima ingannata la mancanza di prova del danno-profitto ingiusto, che non può identificarsi con l'andamento negativo dell'investimento, poiché la falsa rendicontazione ha celato le perdite ma non le ha create, si dice. L'accertamento del danno avrebbe dovuto, in particolare, prevedere il raggiungimento della prova che i clienti, laddove fossero stati correttamente informati circa la propria situazione, avrebbero disinvestito, diversamente da quanto accaduto, e che il mantenimento dell'investimento si fosse rivelato effettivamente fonte di ulteriore perdita rispetto all'andamento negativo del titolo. Si passano in rassegna, quindi, le motivazioni della Corte d'Appello, contestandole nei vari passaggi, anche sul tema dell'ingiustizia del profitto del reato. 2.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Si eccepisce - l'insussistenza dell'aggravante di cui all' art. 625 c.p. , comma 1, n. 2, poiché le condotte non avrebbero quell'insidiosità necessaria anche per la giurisprudenza di legittimità, tenuto conto del lungo lasso di tempo in cui sono state effettuate le operazioni contabili contestate e del fatto che esse sono state accompagnate dalle indicazioni causali e comparivano sugli estratti conto dei clienti, regolarmente inviati a costoro. In particolare, si eccepisce la coincidenza tra l'aggravante e la condotta di reato necessaria a compiere la sottrazione del danaro, vale a dire la falsificazione della contabile, che costituisce parte necessaria dell'azione sottrattiva - l'eccessività della dosimetria della pena, ai sensi dell' art. 133 c.p. - l'ingiustificato diniego del bilanciamento delle attenuanti generiche in prevalenza sulle aggravanti, che ha sottovalutato il comportamento collaborativo dell'imputato e la sua revisione critica riguardo all'accaduto il ricorrente ha anche formulato una proposta transattiva con Intesa San Paolo, mettendo a disposizione il proprio patrimonio. Si chiede, altresì, la sospensione condizionale della pena, qualora dovessero essere accolte le censure relative al trattamento sanzionatorio in senso compatibile con la concessione del beneficio. 2.6. Il sesto motivo di censura denuncia violazione di legge, contraddittorietà della motivazione e mancata revoca delle statuizioni civili quanto al danno patrimoniale, nei riguardi di G.S. e P.M. non avrebbe dovuto essere liquidato tale danno, non richiesto dalle parti civili, che si limitavano all'istanza relativa al danno morale. Si denuncia, altresì, mancata revoca o riduzione delle statuizioni civili a favore dei due istituti bancari - parti civili, operando l' art. 1227 c.c. richiamato dall' art. 2056 c.c. , che esclude il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Nel caso di specie, le banche avevano già in passato attivato controlli nei confronti del ricorrente per sue condotte irregolari, senza alcun intervento diligente per porvi fine, sicché o si deve escludere del tutto il danno, non avendo il creditore utilizzato l'ordinaria diligenza, oppure il danno va sensibilmente ridotto in ragione dell'atteggiamento gravemente colpevole degli istituti bancari rispetto alla situazione. Inoltre, si sottolinea che avrebbe dovuto operare il principio di compensatio lucri cum damno, tenuto conto che il ricorrente, con le sue condotte, ha comunque evitato alle banche disinvestimenti in periodi sfavorevoli, facendo sì che gli istituti mantenessero un consistente portafoglio clienti circa 1 milione e 200 mila Euro . Si eccepisce l'illogicità della motivazione utilizzata dalla Corte d'Appello per disattendere la richiesta difensiva addotta nei termini predetti in sede di impugnazione di secondo grado, richiamando l'incertezza della prognosi sul comportamento dei correntisti. Infine, si eccepisce violazione di legge in relazione alla mancata acquisizione di prova decisiva costituita dalla verifica della duplicazione delle voci di danno risarcite in favore dei due istituti bancari, in conseguenza della causa civile in corso presso la sezione lavoro del Tribunale di Bergamo avrebbe dovuto verificarsi la definitività dell'eventuale statuizione al riguardo e, di conseguenza, il suo contenuto. 3. Su richiesta del difensore dell'imputato, è stata ammessa la trattazione orale del ricorso. 3.1. In vista dell'udienza, le parti civili costituite hanno depositato memorie conclusive. G.S. ha rappresentato l'inammissibilità del ricorso dell'imputato, segnalando che l'unica delega allegata , che aveva conferito al padre per operare sui suoi investimenti, si riferiva ad un conto corrente in relazione al quale non sono risultati ammanchi. Gli istituti di credito costituiti parte civile hanno depositato corposa memoria difensiva con cui, ripercorrendo le linee essenziali dei fatti del processo, chiedono il rigetto del ricorso, avuto riguardo alle statuizioni civili disposte in loro favore allegano anche la memoria in vista dell'appello . Depositano in udienza nota spese. 3.2. Il Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa P.S. ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente inammissibile. I fatti possono essere così sintetizzati l'imputato, nella sua qualità di direttore dell'agenzia di Omissis dell'Istituto Private banking Intesa San Paolo, all'esito delle assoluzioni pronunciate nel corso del processo, è accusato di aver commesso alcune condotte di furto di somme depositate sui conti correnti di alcuni dei suoi clienti più facoltosi - tra i quali i componenti della famiglia G. - mediante falsificazione di contabili bancarie ed al fine di occultare perdite sugli investimenti effettuati per loro conto a detti clienti veniva sottratta anche la corrispondenza relativa ai risultati di gestione ed offerta fittizia rendicontazione sulla carta intestata della banca, da lui stesso falsamente formata, per convincerli di essere detentori di consistenze superiori a quelle attestate dai rendimenti ufficiali, con una differenza nelle valorizzazione del portafogli pari a circa 24 milioni di Euro, 12 milioni dei quali sottratti a G.G. ed alla figlia ed alla moglie di questi, costituite parti civili. I trasferimenti di danaro illeciti dai conti correnti sono stati al centro della confessione dell'imputato, mentre le sottoscrizioni dei correntisti sulle disposizioni bancarie disconosciute si sono rivelate apocrife. Le accuse afferenti alle somme sottratte a G.G., poi, sono state ritenute non provate, per la mancanza di attendibilità della persona offesa, coinvolto in modo opaco in affari con l'imputato e autore di un'autorizzazione ad operare sui propri conti correnti conferita a quest'ultimo, le cui finalità non sono state del tutto ricostruite ma inscrivono in un contesto di finanziamenti in favore di due società riferibili allo stesso G. e in decozione. Si è ritenuto, poi, scarsamente credibile che, a sua insaputa, il ricorrente abbia sottratto ad un correntista importante come G.G., somme di denaro per circa 10 milioni di Euro, considerando il suo accesso privilegiato a qualsiasi informazione o servizio della banca, anche con rapporti personali di frequentazione. 2. Preliminarmente è opportuno chiarire, anche in risposta alla sollecitazione svolta in udienza dalla difesa del ricorrente, che non è necessario compiere alcun accertamento da parte del Collegio relativamente alla presenza in atti delle querele relative alle condotte di reato di cui al capo 1, per le quali residua la condanna nei suoi confronti. Infatti, è pur vero che, in seguito all'adozione del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 , il delitto di furto, ancorché aggravato tranne che per le eccezioni previste dell'aggravante ex art. 625, comma 1, n. 7 - fatta salva l'esposizione a pubblica fede - e 7-bis , è procedibile a querela di parte. Tuttavia, nel caso di specie, le costituzioni di parte civile - e le memorie depositate dai difensori di alcune delle parti civili, in vista dell'udienza dinanzi alla Cassazione, oltre alla presenza stessa del difensori in udienza - compendiano la volontà di querela, come in più occasioni ha ricordato questa Corte regolatrice, anche qualora sia previsto un termine per proporre quest'ultima da una novella legislativa che abbia rimodulato la precedente procedibilità d'ufficio di un reato ciò perché l'atto di costituzione nel processo penale esprime la volontà della persona offesa di punizione dell'autore del reato si veda, in diversa fattispecie, Sez. 6, n. 29546 del 7/10/2020, A., Rv. 279690 nonché Sez. 2, n. 5193 del 5/12/2019, Feola, Rv. 277801 . Già le Sezioni Unite, nella sentenza Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, Rv. 273551, hanno evidenziato, richiamando Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Cosenza, Rv. 220259, che la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione sicché tale volontà può essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio cfr., Sez. 2, n. 19077 del 03/05/2011, Maglia, Rv. 250318 Sez. 5, n. 15691 del 06/12/2013, dep. 2014, Anzalone, Rv. 260557 Sez. 5, n. 21359 del 16/10/2015, dep. 2016, Giammatteo, Rv. 267138 Sez. 5, n. 29205 del 16/02/2016, Rahul Jetrenda, Rv. 267619 . Deve ribadirsi, quindi, che, anche successivamente all'entrata in vigore del diverso regime di procedibilità a querela, previsto per alcune fattispecie di reato dal D.Lgs. n. 150 del 2022 , la costituzione di parte civile esprime la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, che non richiede formule particolari, ma può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione. Senza contare che l'inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare la sopravvenuta improcedibilità a querela, per effetto dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 , poiché tale improcedibilità non opera quale ipotesi di abolitio criminis e non incide sul cd. giudicato sostanziale. 3. Il primo motivo di ricorso è aspecifico, poiché reitera le medesime questioni già ampiamente dibattute dalla sentenza d'appello, senza confrontarsi realmente con gli argomenti del provvedimento impugnato, nonché, soprattutto, manifestamente infondato. Quanto alla tardività della costituzione di parte civile per G.S. e P.M., anche se si aderisce alla tesi del ricorrente espressione dell'opzione giurisprudenziale dominante, secondo cui la costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, non già in un momento antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in cui il giudice ha esaurito l'accertamento della regolare costituzione delle parti e deciso le questioni sollevate ai sensi dell' art. 491 c.p.p. , comma 1, bensì entro il termine stabilito dall' art. 484 c.p.p. e, dunque, fino a che non siano stati compiuti gli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti tra le più recenti, cfr. Sez. 5, n. 31974 del 13/3/2019, Rv. 277248, in motivazione Sez. 6, n. 16394 del 20/02/2018, Z., Rv. 272984 Sez. 6, n. 10958 del 24/02/2015, PC in proc. L, Rv. 262988 Sez. 5, n. 38982 del 16/07/2013, Zoccali, Rv. 257763 , nel caso di specie, le costituzioni di parte civile sono state tempestive. Per come risulta dai relativi verbali, infatti, e per quel che consta dalla ampia motivazione della sentenza d'appello, gli adempimenti inerenti alla regolare costituzione delle parti non si sono esauriti all'udienza del 27.5.2015, ma il processo, che ha subito uno stralcio, relativamente al capo 4 dell'imputazione funzionale a consentire la rinnovazione del decreto di citazione a giudizio, affetto da nullità , ed un rinvio per consentirne la riunione nuovamente con la tranche principale, è stato rifissato per la prima udienza successiva a tale iniziale separazione, definita virtuale dalla stessa difesa, ad una nuova prima udienza del 21.10.2015 - in cui alcuna attività è stata svolta in ragione del mancato rispetto dei termini di notifica nei confronti dell'imputato, con rinvio alla successiva udienza del 22.12.2015. Solo in tale data il processo, finalmente regolarmente riunito, ha avuto inizio e solo quella udienza può essere considerata come prima utile al fine di regolarizzare la costituzione delle parti non importa se in qualche modo anticipata alla precedente udienza di maggio, ma superata dagli sviluppi processuali successivi . In vista dell'udienza del 22.12.2015, quindi, le parti civili G.S. e P.M. hanno ritualmente depositato in cancelleria, in data 27.11.2015, la loro costituzione in giudizio, limitatamente ai capi di imputazione che le vedevano come persone offese capi 1, 2, 3, 5 il processo va inteso, infatti, come luogo giuridico di sviluppo delle richieste delle parti - pubblica e privata - che, nel caso di specie, ha visto compiersi il suo definitivo assetto nella citata udienza di dicembre. Proprio perché la costituzione di parte civile di G.S. e P.M. è tempestiva, sono superate le eccezioni difensive di ordine formale riferite alla prima costituzione di parte civile. Eccezioni che, tuttavia, sono state riproposte anche in relazione al secondo atto di costituzione di parte civile, ancorché manifestamente infondate. Difatti, nella fattispecie in esame, non sussiste un vizio di mancanza di procura speciale regolare ai sensi degli artt. 76 e 122 c.p.p. la costituzione è stata depositata direttamente nella cancelleria del Tribunale, senza che, per tale adempimento, sia necessario che il delegato sia munito di procura speciale al deposito. Inoltre, nell'atto di costituzione è contenuta la chiara indicazione del rilascio di procura speciale al fine di costituirsi ai sensi dell' art. 83 c.p.c. e art. 100 c.p.p. , come ha evidenziato la sentenza d'appello, senza che rilevi il mancato, formale riferimento alla disposizione dell' art. 122 c.p.p. , posto che, nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all'effettiva portata della volontà della parte così, ex multis, Sez. 4, n. 3445 del 11/9/2019, dep. 2020, Piazza, Rv. 278026, in una fattispecie relativa a dichiarazione di costituzione di parte civile sottoscritta dal solo difensore di fiducia e recante, in calce, la sola procura ad litem , con cui erano stati conferiti i poteri di rappresentanza tecnica ai sensi dell' art. 100 c.p.p. , in cui la Corte ha ritenuto che la volontà della parte di farsi rappresentare potesse evincersi dall'esplicito riferimento, contenuto nella procura, all'intento di costituirsi . 3.1. Le medesime obiezioni, nel loro nucleo essenziale, vengono proposte anche rispetto alla costituzione delle parti civili Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a sicché esse devono essere tutte dichiarate, per le ragioni già esposte, inammissibili, quanto alla mancanza di procura speciale del soggetto delegato al deposito dell'atto di costituzione prima dell'udienza del 22.12.2015, alla tardività della costituzione depositata il 16.12.2015 con l'unica differenza che, per tali parti civili, si mette in dubbio la tempestività della costituzione soltanto in relazione al capo 4 dell'imputazione . Manifestamente infondate e reiterative di ragioni già superate dalla Corte d'Appello sono le questioni riferite alla nomina del difensore, che non sarebbe stata conferita con atto di procura alle liti autenticato in calce alla costituzione di parte civile, ai sensi dell' art. 100 c.p.p. , comma 2, ma con atto separato, poiché si è correttamente applicato il principio di diritto secondo cui la procura alle liti conferita dalla parte civile al difensore, con scrittura privata l'autografia della cui sottoscrizione è certificata dal difensore medesimo, è valida ed idonea alla rituale instaurazione del rapporto processuale anche se sia apposta in un atto diverso da quelli indicati nell' art. 100 c.p.p. , comma 2, sempre che sia riferita in modo certo al processo in relazione al quale la si allega e siano assicurate la sua certezza e tempestività Sez. U, n. 8650 del 18/6/1993, Depaoli, Rv. 194488 Sez. 6, n. 30713 del 28/6/2016, DN, Rv. 267437 . Irrilevante e generica anche l'eccezione relativa al deposito in copia semplice dell'atto di costituzione di parte civile, tenuto conto del disposto dell' art. 78 c.p.p. , comma 2, che nulla osserva al riguardo mentre, quanto alla mancanza di potere del procuratore speciale di Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. di nominare procuratori speciali ex artt. 76 e 122 c.p.p. , per l'esercizio dei poteri sostanziali conferitigli, il ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione della sentenza d'appello, che ha riportato cfr. pagg. 60 e 61 l'ampio tenore della procura speciale rilasciata, il 5.11.2014, al suddetto procuratore speciale, dall'Istituto bancario, evidenziandone il contenuto di conferimento di poteri sostanziali . Ancora generiche le obiezioni di mancata risposta a non meglio precisate, ulteriori eccezioni sulla costituzione di parte civile, nonché quelle sul frazionamento della domanda risarcitoria da parte degli istituti di credito. A proposito di quest'ultima censura, infatti, deve richiamarsi il principio civilistico secondo cui le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relative ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere formulate in autonomi giudizi se risulti, in capo al creditore, un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata Sez. U civ. n. 4090 del 26/2/2017, Rv. 643111 nel caso di specie, la Corte territoriale ha ben descritto la giustificazione di tale interesse, facendo riferimento al danno patrimoniale da immagine , tutelabile in via principale proprio nel processo penale, ove direttamente si sarebbe accertata l'esistenza e la consistenza dei reati dalla cui consumazione sono discesi i danni risarcibili ex art. 2059 c.c. , e validando la scelta di agire distintamente, per il risarcimento dei danni patrimoniali, in sede civile. 4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché formulato secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimità, che si risolvono in una rilettura, non consentita di aspetti probatori valutati dal giudice di merito secondo parametri motivazionali non afflitti da vizi di contraddittorietà, manifesta illogicità o carenza cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 . Le ragioni di ricorso sono, poi, anche manifestamente infondate. La Corte d'Appello, nella scia della sentenza di primo grado, ha ritenuto del tutto priva di sostegno probatorio la tesi difensiva del ricorrente avuto riguardo al capo 1 della contestazione, tesi che disegna uno scenario in cui il suo agire era stato autorizzato da G.G. ad operare sui conti delle persone offese P. e G.S., sicché, pur volendo ammettere che il primo non avesse avuto realmente delega in tal senso dalle vittime, in ogni caso nei confronti del ricorrente rileverebbe la scriminante del consenso putativo dell'avente diritto. Le prove relative ai rapporti interni alla famiglia G., infatti, hanno accertato la totale inconsapevolezza delle due donne rispetto all'operato di M. ed hanno consentito di appurare che non è stata ritrovata alcuna delega in favore di G.G. ad operare sui conti personali intestati esclusivamente alla moglie ed alla figlia conti che sono oggetto dell'imputazione in relazione alla quale il ricorrente è stato condannato . Ne' è sostenibile e nemmeno plausibile la tesi del consenso putativo, immaginato dal ricorso come convinzione fondata da parte dell'imputato di operare sui conti delle vittime grazie alla capacità gestoria dell'amico G.G. è stato, infatti, logicamente ritenuto del tutto inverosimile che un funzionario esperto come M. potesse ritenersi legittimato a prelevare somme per importi di centinaia di migliaia di Euro dai conti di due correntiste in assenza di specifica interlocuzione con loro e della sottoscrizione di deleghe o degli atti necessari. E ciò anche se si ritenesse vero - ma piuttosto dalle prove testimoniali emerge il contrario - che il ricorrente fosse convinto che G.G. fosse il deus ex machina delle scelte patrimoniali/finanziarie del nucleo familiare e nonostante la sentenza d'appello abbia, in via dubitativa, ritenuto possibile che G.G. - il quale ha sempre negato tale circostanza - avesse un accordo con il ricorrente funzionale a gestire in modo informale e senza autorizzazioni scritte i conti delle proprie società o suoi personali, sì da confermare l'assoluzione di M. per i furti relativi alle somme sottratte proprio al predetto G Il dolo del reato di furto è stato anch'esso ricavato proprio dalla reiterazione delle condotte e dalla loro entità, oltre che dalle circostanze decisive di contesto citate, senza che incidano sulla prova dell'elemento soggettivo le osservazioni circa il fatto che le somme non siano state spostate su conti personali dell'imputato ma le abbia destinate al finanziamento delle società o all'estinzione di debiti verso terzi, che si è accertato, peraltro, comunque collegati ai suoi interessi personali o politici il ricorrente era, nel periodo, sindaco del comune di Valbondione . Quanto alla richiesta di riqualificazione giuridica delle condotte contestate nella fattispecie di appropriazione indebita, il Collegio rammenta che, per giurisprudenza costante, risponde del reato di furto aggravato, e non di appropriazione indebita, il funzionario di banca che disponga del denaro depositato sul conto corrente, in assenza di delega del correntista alla gestione delle somme o senza il rispetto dei vincoli derivanti da tali deleghe Sez. 2, n. 2098 del 13/11/2022, dep. 2023, Maniscalco, Rv. 283897 Sez. 5, n. 10758 del 21/12/2015, dep. 2016, Tanzi, Rv. 266334 Sez. 6, n. 32543 del 10/5/2007, Varriano, Rv. 237175 . Senza contare, poi, la genericità del motivo di ricorso, che verte tutto sulla contestazione della porzione di condotta di reato riferita alle vittime appartenenti alla famiglia G., dimenticando la maggior ampiezza dell'imputazione che si rivolge alla sottrazione di somme di denaro ingenti dai conti correnti anche di altre persone, diverse. 5. Il terzo motivo di censura, compresa la questione di costituzionalità, peraltro solo genericamente evocata, sono manifestamente infondati. In tema di giudizio abbreviato, costituisce un'indicazione ermeneutica condivisa ritenere che sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso la sentenza assolutoria pronunciata con la formula perché il fatto non costituisce reato , al fine di ottenere una formula di proscioglimento più ampia in quanto la limitazione prevista dall' art. 443 c.p.p. si applica al solo appello cfr. Sez. 6, n. 16843 del 1/3/2018, Acquavella, Rv. 273179 Sez. 5, n. 4349 del 28/10/2008, dep. 2009, Carloni, Rv. 242954, in motivazione . Inoltre, deve ritenersi manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2,3,24 e 111 Cost. , la questione di legittimità costituzionale dell' art. 443 c.p.p. - come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 10, successivamente dichiarato costituzionalmente illegittimo sent. n. 320 del 2007 , nella parte in cui escludeva l'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento - nella parte in cui esclude l'appellabilità, da parte dell'imputato, della sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio abbreviato, in quanto il secondo grado di merito non gode di garanzia costituzionale e detta limitazione appare, peraltro, bilanciata dalla rapidità e completezza nella definizione del processo oltre che ragionevole in relazione ai benefici premiali derivanti all'imputato dalla scelta di tale rito Sez. 5, n. 4349 del 28/10/2008, dep. 2009, Cartoni, Rv. 242954 . 6. Il quarto motivo di ricorso è egualmente inammissibile, perché reitera ragioni di denuncia alle quali la sentenza impugnata ha già fornito ampia risposta, e perché rivalutativo e in fatto, oltre che manifestamente infondato. La censura riguarda la mancata assoluzione del ricorrente, quantomeno parziale, dai fatti a lui ascritti al capo 4, e configurati come truffa aggravata, in relazione al quale è stata emessa sentenza di prescrizione. La tesi del ricorrente, che sostiene l'assenza di alcuni elementi tipici del reato, è priva di fondamento. La contestazione riguarda le condotte attraverso le quali M. nascondeva ai correntisti indicati nel capo di imputazione le perdite maturate sugli investimenti, consegnando loro prospetti excel da lui redatti, che falsamente ne indicano la redditività, provvedendo poi, quando il cliente aveva bisogno di realizzare la liquidità così fittiziamente rappresentata, ad indebiti trasferimenti di somme dai conti di ignari correntisti vittime del capo uno, al fine di costituire la necessaria provvista. Sussistono gli elementi tipici del delitto di truffa contestato. Ed infatti, ferma la configurabilità degli artifici e raggiri realizzati attraverso rappresentazioni false di situazioni finanziarie floride dei correntisti-vittime, il problema giuridico posto dal ricorrente è quello relativo alla possibilità di ritenere sussistente il danno patrimoniale e la stessa disposizione patrimoniale, conseguente alla condotta artificiosa, poiché nel caso di specie tali dati si risolvono in una omessa attuazione di atti dispositivi, idonei a bloccare gli investimenti in perdita. 6.1. Ebbene, come ha sottolineato la Corte d'Appello, quanto all'obiezione difensiva riferita alla mancanza di un vero e proprio atto di disposizione patrimoniale della vittima, è sufficiente osservare che la truffa si compone, sul piano oggettivo, se si è in presenza di artifici o raggiri che procurino a sé o ad altri un ingiusto profitto, con altrui danno, e non richiede che il profitto o danno discenda da condotte attive del raggirato o della persona offesa, se non coincidenti. Già in passato, infatti, si è chiarito che, nel delitto di truffa, il danno della vittima può realizzarsi non soltanto per effetto di una condotta commissiva, bensì anche per effetto di un suo comportamento omissivo, nel senso che la vittima, indotta in errore, ometta di compiere quelle attività intese a fare acquisire al proprio patrimonio una concreta utilità economica, alla quale ha diritto e che rimane invece acquisita al patrimonio altrui Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008, dep. 2009, Bedino, Rv. 242649, in una fattispecie nella quale l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, indotta in errore sull'identità dell'effettivo primo acquirente del latte prodotto, causato da fittizia interposizione di società cooperative tra produttore del latte e acquirente finale, aveva omesso di richiedere il pagamento dei prelievi supplementari sull'eccedenza delle relative quote vedi anche, Sez. 2, n. 38049 del 16/7/2019, Paoletti, Rv. 277219 e, in passato, in diversa fattispecie, Sez. 2, n. 5465 del 23/2/1972, Pozzi, Rv. 121775 . 6.2. La peculiarità del caso oggi in esame attiene al fatto che il comportamento omissivo della vittima, determinato dalla condotta ingannevole dell'imputato, ha fatto sì che essa cumulasse un danno nel suo patrimonio, costituito dalla continuata gestione finanziaria in perdita dei propri investimenti, sicuramente attribuibile alla circostanza che, all'ignaro investitore, veniva rappresentata una situazione di incremento degli investimenti stessi ampiamente in attivo attraverso l'artificiosa documentazione creata appositamente dal ricorrente. E se è vero che, a monte, la falsa rendicontazione ha celato le perdite finanziarie derivate dalla perdita dei titoli di investimento ma non le ha create - come evidenzia la difesa e che il danno ingiusto non può identificarsi con l'andamento negativo dell'investimento in sé, è pur sempre necessario, da un lato, tener conto della perdita della base patrimoniale investita dai correntisti, di cui il ricorso non si occupa affatto ed in questo sconta una persistente genericità dall'altro, della perdita di chance come voce del danno subito. Infatti, ancorché non sia dato prevedere che, se le vittime raggirate avessero saputo dell'andamento reale dei titoli, avrebbero certamente disinvestito, tuttavia è certo che le persone offese abbiano perso la chance di orientarsi in tal senso, scelta che - secondo quanto risulta dalle sentenze di merito - si sarebbe rivelata di certo economicamente più vantaggiosa. Il dubbio relativo alle determinazioni ed alle scelte personali dei correntisti, in altre parole, non può riverberarsi sulla valutazione della certezza della diseconomica gestione in perdita dei titoli, fortemente decrementati nel valore dei cespiti investiti, con differenze in perdita pari a centinaia di migliaia di Euro e, per taluno, pari a milioni di Euro cfr. pag. 93 della sentenza impugnata . E deve ritenersi che la perdita della possibilità di essere informato e di orientarsi, reagendo con una strategia di disinvestimento, in merito ad un così significativo abbattimento del valore del proprio stato patrimoniale investito in titoli, configuri senza dubbio quella concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un vantaggio, ancorché in termini di non ulteriore perdita di danaro, e non rappresenti invece una mera aspettativa di fatto non tutelabile cfr., sul tema, Sez. 2, n. 18762 del 15/1/2013, Meloni, Rv. 255194 tale perdita di chance si rivela, quindi, in un caso come quello in esame, proprio in quella dimensione di entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, che la giurisprudenza civile ritiene indispensabile al fine di integrare una voce autonoma di danno risarcibile cfr., tra le molte, Sez. L, n. 16877 del 20/6/2008, Rv. 603883 Sez. L, ord. n. 1884 del 21710/2022, Rv. 663644 vedi anche Sez. L, n. 37002 del 16/12/2022, Rv. 666307 . Sempre che, ovviamente, sussista la prova di una concreta ed effettiva occasione perduta, vale a dire di una seria ed apprezzabile possibilità di conseguire il risultato atteso cfr., tra le più recenti in tema, Sez. 6-3 civ., ord. n. 2261 del 22/1/2022, Rv. 663862 , circostanza questa che, nel caso di cui si verte, appare ampiamente ed evidentemente ed accertata. Deve, pertanto, concludersi che, è configurabile il delitto di truffa nel caso in cui il danno della vittima si realizzi per effetto di un suo comportamento omissivo, determinato dalla condotta ingannevole dell'imputato, e si concretizzi nella continuata gestione finanziaria in perdita dei propri investimenti relativi a somme depositate in conto corrente, attribuibile alla circostanza che, all'ignaro investitore, venga rappresentata, dal dipendente dell'istituto di credito, una situazione di incremento degli investimenti stessi ampiamente in attivo, attraverso artificiosa documentazione contabile appositamente creata. 6.3. Quanto all'ulteriore elemento di fattispecie costituito dal profitto ingiusto, poiché esso ricomprende qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, coerentemente la Corte territoriale ha valutato la sua sussistenza, desumendola dal conseguimento, da parte del ricorrente, dei premi di produzione collegati alla gestione del parterre di investimento dei diversi correntisti coinvolti e dallo stesso mantenimento del cospicuo portafoglio-clienti, funzionale al suo credito professionale presso l'istituto bancario datore di lavoro ed alle sue prospettive di carriera interne. 7. Il motivo dedicato alle doglianze circa il trattamento sanzionatorio, ritenuto troppo gravoso ed inadeguato alla fattispecie concreta, ed alla sussistenza dell'aggravante prevista per il capo 1 art. 625 c.p. , comma 1, n. 2 è inammissibile. A prescindere dal fatto che le censure relative all'aggravante appena citata sono inedite nella loro indicazione proposta dinanzi al giudice di legittimità, si tratta di osservazioni del tutto prive di fondamento, posto che, nel reato di furto, l'aggravante dell'uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere nel corso dell'azione delittuosa dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità per tutte, cfr. Sez. U, n. 40354 del 18/7/2013, Sciuscio, Rv. 255974 nel caso di specie, ricorrono senz'altro i caratteri di insidiosità e astuzia della condotta da parte del suo autore, che non ha esitato a sottrarre somme ingenti di danaro dai conti correnti dei clienti, anche grazie ad accorgimenti contabili scaltri. Le circostanze attenuanti generiche sono state giustificatamente bilanciate come equivalenti e non prevalenti rispetto alle aggravanti, poiché si è tenuto conto della particolare, pervicace spregiudicatezza dell'imputato, non elisa dai positivi comportamenti processuali e post-factum il trattamento sanzionatorio, pertanto, è stato adeguatamente motivato in relazione alla sensibile gravità del reato. 8. Inammissibile e', infine, anche l'ultimo motivo di ricorso, dedicato a contestare le statuizioni civili disposte dai giudici di merito in favore delle parti civili. Quanto alle statuizioni civili relative al danno patrimoniale patito da G.S. e P.M., la Corte d'Appello smentisce lo stesso presupposto della censura difensiva le persone offese, infatti, hanno proposto azione risarcitoria in sede penale anche per tale tipologia di danno. Le eccezioni, invece, riferite alla quantificazione del danno all'immagine per gli istituti di credito non trovano spazio nel contesto richiamato dal ricorrente. L'immagine delle banche è stata enormemente compromessa dal disvelamento delle condotte molto gravi di gestione al di fuori di ogni regola dei conti correnti dei clienti, sicché l'effimero, presunto risultato positivo cui il ricorso si aggrappa - vale a dire il mancato depauperamento eventuale del portafoglio dei clienti investitori, conseguente alle sue condotte decettive descritte al capo 4 - certo non riveste alcun ruolo di compensazione del gravissimo danno subito all'emblema di affidabilità, onestà e trasparenza dell'agire che doveva essere proprio degli istituti bancari coinvolti. Del tutto generico, poi, è il riferimento all'entità del vantaggio che, in tesi, le banche avrebbero conseguito per effetto della condotta di reato del ricorrente. Ne' si può addossare a queste ultime la responsabilità di non aver per tempo provveduto a disfarsi di un dipendente che si poteva sospettare in passato fosse stato non all'altezza dei suoi compiti, in termini di correttezza. Generico, infine, è il richiamo alla possibile duplicazione delle voci di danno risarcite in favore dei due istituti bancari, in conseguenza della causa civile in corso presso la sezione lavoro del Tribunale di Bergamo, della quale non si forniscono dettagli specifici, evocando in modo del tutto apodittico l'omessa acquisizione di un prova decisiva . 9. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. 9.1. Deve essere disposta, altresì, la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che ne hanno fatto richiesta, nel presente giudizio, che possono essere liquidate nella misura di Euro 6000, oltre accessori di legge, in favore di Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Intesa San Paolo s.p.a. e Intesa San Paolo Private Banking s.p.a. che liquida in complessivi 6000 Euro, oltre accessori di legge.