Molestie sessuali alla giovane collega: legittimo il licenziamento

Lo ha stabilito la Cassazione dichiarando legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al dipendente che aveva posto in essere molestie sessuali ai danni di una collega.

Aveva molestato la giovane collega in due diverse occasioni chiare allusioni a sfondo sessuale che avevano minato la libertà della ragazza al punto da spingerla a denunciare il corteggiatore presso la direzione aziendale, che lo licenziava per giusta causa . Inutili le giustificazioni fornite dall'uomo a suo parere, le frasi incriminate non avevano alcuna volontà offensiva e si inserivano all'interno di un clima goliardico che si era instaurato tra i due giovani. Le sue ragioni venivano ritenute prive di alcun pregio sia dal giudice di prime cure, sia dalla Corte d'appello il comportamento addebitato al ricorrente era comunque non desiderato dalla collega ed era altresì oggettivamente idoneo a ledere e violare la dignità della donna, costituendo giusta causa di licenziamento. Avverso tale pronuncia, il lavoratore propone ricorso in Cassazione oltre a rimarcare la totale assenza, nelle sue parole, della volontà di offendere la collega, eccepisce altresì l' inattendibilità di quest'ultima, posto il provvedimento di archiviazione disposto dal GIP in riferimento alla denuncia sporta dalla ragazza in ordine al reato di stalking. Il ricorso è infondato. La Cassazione ritiene condivisibili le premesse giuridiche dalle quali è partita la Corte territoriale che si è mossa nella cornice della definizione di molestie come prevista dall' art. 26 del d.lgs. numero 198/2006 . Ha dunque considerato molestie quei comportamenti indesiderati , posti in essere per ragioni connesse al sesso , aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio , ostile, degradante, umiliante o offensivo . Applicando tale definizione al caso di specie, la Cassazione ritiene che la condotta posta in essere dall'uomo verso la nuova collega fosse oggettivamente indesiderata anche se a tale comportamento non erano seguite effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale , e integrasse quel concetto di molestia, definito dalla norma richiamata, che si fonda sulla oggettività del comportamento tenuto e dell'effetto prodotto, con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa . La Corte dichiara dunque inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Presidente Raimondi Relatore Leone Fatti di causa La Corte di appello di Firenze con la sentenza numero 21/2020 aveva respinto il reclamo di M.M. avverso la decisione con cui il tribunale di Arezzo aveva dichiarato legittimo il licenziamento a lui intimato per aver tenuto comportamenti consistenti in molestie sessuali in danno di una giovane collega neoassunta con contratto a termine e assegnata a mansioni di addetta al banco del bar dell'autogrill al pari del ricorrente. La corte territoriale aveva ritenuto che il comportamento addebitato al ricorrente, denunciato in due diverse occasioni dalla lavoratrice alla direzione aziendale, consistito in allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale, comunque indesiderato e oggettivamente idoneo a ledere e violare la dignità della collega di lavoro, costituisse giusta causa del licenziamento, a nulla rilevando che fosse assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse spesso scherzoso e goliardico. Avverso detta decisione proponeva ricorso il M. affidato a 2 motivi cui resistevano con separati controricorsi Autogrill Italia spa e Autogrill spa. La Procura Generale concludeva per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione l -Con il primo motivo è dedotto l'omesso esame di fatto decisivo articolo 360 co.l numero 5 c.p.c. quale la prova documentale della inattendibilità della lavoratrice denunciante costituita dal provvedimento di archiviazione del GIP circa la denuncia di violenze sessuali e stalking. Parte ricorrente sostiene che la corte territoriale, pur richiamando la tardività della querela quale motivo di archiviazione del reato di violenza, avrebbe omesso di valutare la ragione dell'archiviazione circa lo stalking consistente nell'accertamento della non veridicità delle affermazioni della lavoratrice. Pur lasciando in disparte la carenza di specificità del motivo che non riporta il contenuto del documento cui si riferisce, ma solo lo richiama indicandone l'allegazione, deve comunque ritenersi l'inammissibilità dello stesso per l'inconferenza del vizio denunciato. Si osserva preliminarmente che il reato di stalking era estraneo ai fatti di causa ed alle ragioni del licenziamento e dunque non rilevante l'esito del procedimento penale su tali fatti rispetto al recesso datoriale. È rimasta peraltro non dimostrata la oggettiva inattendibilità della lavoratrice e comunque estranea tale valutazione al perimetro del vizio di cui all' art 360 co. 1 numero 5 c.p.c. Si osserva in proposito che questa Corte ha avuto modo di chiarire che In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto 0 punto decisivo ai sensi del' articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ. quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa Cass. numero 18368/2013 Cass. numero 17761/2016 Ha anche specificato che L' articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c. , riformulato dall' articolo 54 del D.L. numero 83 del 2012 conv., con modif., dalla L. numero 134 del 2012 , introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale 0 secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza 0 dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia Cass. numero 23238/2017 La decisività del fatto omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poiché determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione non solo eventuale ma certa . Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l'omissione compiuta ma la sua assoluta idoneità a modificare l'esito del giudizio. Il motivo deve pertanto essere disatteso. 2 Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi con riferimento all'articolo 26 d,lvo 198/2006 e articolo 192 cop.5 lett. F CCNL turismo. Il ricorrente si duole della valutazione di oggettiva idoneità del comportamento addebitato a ledere la dignità. Sostiene che le condotte in questione non integrino il contenuto delle disposizioni richiamate. Deve premettersi che la corte di appello si è mossa nella cornice di definizione di molestie come consegnata dall' articolo 26 del D.Lgs. numero numero 198/2006 ha dunque considerato le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. La corte ha quindi valutato che il carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, risulti integrativo del concetto e della nozione di molestia, essendo questa e la conseguente tutela accordata, fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell'effetto prodotto, con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa. Il giudizio così espresso, basato sulla corretta sussunzione dei fatti accertati attraverso le prove acquisite i testi escussi hanno avvalorato le allusioni verbali e gestuali a sfondo sessuale nella nozione legale di molestie sopra indicata, costituisce la regolare attività valutativa del giudice di merito. La censura proposta risulta pertanto inammissibile poiché deduce, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito Cass.numero 8758/017 18721/2018 . Il ricorso, per quanto esposto, deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono il principio di soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E 5.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese in favore di Autogrill Italia spa ed in E. 4.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese nei confronti di Autogrill spa, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell 'articolo 13 comma quater del D.P.R. numero 115 del 200 2, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto. Così deciso in Roma, il 18 maggio 2023. Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2023