Niente mantenimento paterno per il figlio maggiorenne depresso

Plausibile l’istanza presentata dal padre e volta ad ottenere la revoca dell’obbligo a suo carico di versare ogni mese all’ex moglie un assegno di 500 euro come mantenimento per il figlio che convive ancora con lei. A fronte delle condizioni psicopatologiche del giovane, i giudici ritengono sia più logico fare ricorso a un sussidio sociale oppure chiedere gli alimenti al padre.

Niente mantenimento paterno per il figlio maggiorenne depresso e con problemi nell'approccio al mondo del lavoro. Vi sono però per il ragazzo due strade percorribili, o quella del sussidio sociale o quella degli alimenti. Andamento altalenante per la vicenda che coinvolge un padre, una madre e un figlio che ha oltre 30 anni e che è centrata sul possibile assegno che l'uomo deve versare all'ex moglie per il mantenimento del figlio che, nonostante l'età e una buona esperienza lavorativa, continua a vivere con la madre. In Tribunale viene accolta l'istanza avanzata dal padre. Di conseguenza, viene revocato l'assegno di mantenimento di 500 euro mensili posto a suo carico per il mantenimento del figlio maggiorenne e convivente con la madre. Tale decisione viene ribaltata completamente in appello . I giudici di secondo grado ritengono non dimostrate la significativa esperienza lavorativa e le adeguate capacità reddituali del ragazzo, anche perché il contratto con cui egli era stato assunto a tempo parziale per due mesi non risulta essere stato prorogato . Per completare il quadro, poi, i giudici di seconde cure sottolineano le condizioni psicopatologiche del figlio, condizioni documentate da certificati medici redatti da specialisti del ‘Servizio Sanitario Nazionale' e che hanno comportato la sua presa in carico riabilitativa da parte del ‘Servizio di salute mentale' di un'Azienda sanitaria locale . Secondo i giudici, i problemi psicologici del ragazzo – che, in sostanza, è affetto da depressione – non integrano la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l'obbligo di mantenimento ma sono tali da influire sulla sua difficoltà ad attivarsi efficacemente per reperire e svolgere un'attività lavorativa . Inevitabile la reazione del padre, che impugna in Cassazione la decisione e a questo proposito deduce che le patologie psicologiche del figlio sono potenzialmente idonee a ridurne temporaneamente la capacità di lavoro ma possono trovare sussidio in appositi strumenti pubblici di sostegno , oppure nell'obbligazione alimentare, e non già nell'ordinario contributo al mantenimento in favore del figlio maggiorenne . Questa obiezione coglie nel segno, soprattutto tenendo conto del principio secondo cui il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa , alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore , bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo in condizione di bisogno . Questo principio vale anche laddove il figlio ultra maggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia – depressiva, in questo caso –, ma non tale da integrare la condizione di grave handicap che , osservano i giudici, comporterebbe automaticamente l'obbligo di mantenimento da parte del genitore. Tirando le somme, a fronte delle precarie condizioni psicologiche del figlio, egli può, per soddisfare le essenziali esigenze di vita, richiedere, ove sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure può proporre l'azione per il riconoscimento degli alimenti . Di questa indicazione dei magistrati di Cassazione dovranno tenere conto i giudici d'Appello, chiamati nuovamente a decidere sul mantenimento paterno – sempre meno plausibile – in favore del padre.

Presidente Genovese – Relatore Fidanzia Fatti di causa La Corte d'Appello di Roma, con decreto n. omissis , depositato il omissis , ha riformato il decreto n. omissis con cui il Tribunale di Tivoli, adito in sede di modifica di condizioni di divorzio da M.F. , aveva revocato l'assegno di mantenimento di Euro 500,00 mensili posto a carico di quest'ultimo per il mantenimento del figlio maggiorenne M.M., nato il omissis , e convivente con la madre. La Corte d'Appello ha ritenuto che quanto affermato dal giudice di primo grado, ovvero che era stato dimostrato che il figlio M. avesse maturato una significativa esperienza lavorativa ed adeguate capacità reddituali, non aveva trovato conferma negli atti di causa, non risultando che il contratto con cui M. era stato assunto a tempo parziale dal 5.4.2016 al 31.5.2016 fosse stato prorogato. Inoltre, le ingravescenti condizioni psicopatologiche di M. erano documentate da certificati medici redatti da specialisti del servizio sanitario nazionale - che hanno comportato la sua presa in carico riabilitativa da parte del servizio di salute mentale della ASL - e, pur non integrando la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l'obbligo di mantenimento, erano tali da influire sulla sua difficoltà ad attivarsi efficacemente per reperire e svolgere un'attività lavorativa. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.F. affidandolo a due motivi. A.O. ha resistito in giudizio con controricorso, depositando, altresì, la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. . Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 315 bis c.c. e 337 septies comma 1 c.c Espone il ricorrente che il Collegio di secondo grado non ha tenuto conto della raggiunta età matura del figlio M. , prossima ai trent'anni delle dimissioni volontarie rassegnate dal figlio, dall'assoluta inerzia dello stesso nella ricerca di nuova occupazione. Tali circostanze fattuali avrebbero dovuto condurre il giudice d'Appello ad una diversa decisione. Inoltre, la pregressa esperienza lavorativa del figlio M. maggiorente dimostra l'effettivo ingresso dello stesso nel mondo del lavoro e la propria indipendenza economica. 2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 337 septies e 2697 c.c. , 115 c.p.c. . Deduce il ricorrente che la sussistenza in capo al figlio di patologie psicopatologiche idonee a ridurre temporaneamente la capacità di lavoro può trovare sussidio al più in appositi strumenti pubblici di sostegno, ovvero nell'obbligazione alimentare e non già nell'ordinario contributo al mantenimento in favore del figlio maggiorenne. Il ricorrente allega, altresì, che le certificazioni mediche in atti dimostrerebbero l'insorgenza di uno stato di malessere del figlio, ma non spiegano perché il figlio abbia deciso unilateralmente deciso di dimettersi e, dopo le dimissioni, non sia attivato per la ricerca di una nuova occupazione, restando completamente inerte. 3. Il secondo motivo, da esaminarsi con priorità, è fondato. Va preliminarmente osservato che questa Corte vedi Cass. n. 29264/2022 conf. Cass. 38366/2021 ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui Il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso . Tale principio non soffre eccezioni ove il figlio ultra maggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia nel caso di specie depressiva , ma non tale da integrare la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l'obbligo di mantenimento. In tale fattispecie, per soddisfare le essenziali esigenze di vita del figlio maggiorenne non autosufficiente, ben può richiedersi, ove sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure può proporsi l'azione per il riconoscimento degli alimenti, i quali rappresentano un minus rispetto all'assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di un tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti. 4. Il primo motivo è assorbito. Il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo, assorbito il primo e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 5 2.