Revenge porn: anche la diffusione online di immagini di una persona in biancheria intima è reato

Condanna definitiva per un uomo che ha preso di mira l’ex compagna. Inequivocabile la condivisione nel web di video che ritraevano la donna in biancheria intima e, quindi, nel contesto dello svolgimento di vita sessuale.

Legittimo parlare di revenge porn anche se i video o le foto condivise online ritraggono una persona semplicemente in biancheria intima e non impegnata in espliciti atti sessuali. A finire sotto processo è un uomo, accusato non solo di stalking ai danni della ex compagna ma anche di avere diffuso online alcuni video che la ritraevano vestita solo di biancheria intima. Il quadro probatorio è sufficiente, secondo i giudici di merito, per condannare l’uomo, ritenuto colpevole di atti persecutori e di diffusione illecita di video dal contenuto sessualmente esplicito . Col ricorso in Cassazione, però, l’avvocato che difende l’uomo prova a ridimensionare almeno parte delle accuse a carico del suo cliente e, a questo scopo, sostiene sia palese la mancanza di contenuti sessualmente espliciti nei video diffusi dall’uomo sul web . In aggiunta, poi, il legale osserva che uno dei video non è stato neppure diffuso e sottolinea poi che i video in questione sono stati rimossi, a seguito della richiesta della persona offesa , soltanto dopo svariati mesi dalla relativa pubblicazione in rete, e ciò comprova , a suo dire, il minimo disvalore dei video stessi . Alle obiezioni difensive i Giudici di Cassazione replicano in modo netto, chiarendo che il contenuto sessualmente esplicito , a cui fa riferimento il Codice Penale, non può identificarsi nella riproduzione di rapporti sessuali o di atti di autoerotismo , o ancora di organi propri dell'apparato sessuale-riproduttivo in senso scientifico. Ciò significa che la sessualità di una persona , vittima del reato di revenge porn , può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti erogene del suo corpo diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete in cui vengono ritratte, l'istinto sessuale . Peraltro, nel caso oggetto del processo, osservano i Giudici, proprio i commenti cui si accompagnava la diffusione dei video rendono palese la piena consapevolezza dell’uomo che la diffusione delle immagini della persona offesa, ritratta con la sola biancheria intima, avveniva proprio per sottolineare l'ambito di svolgimento della vita sessuale in cui erano state riprese . Quanto poi al tema della diffusione dei video, integra un invio rilevante ai fini della configurabilità del delitto previsto dal Codice Penale quello che venga effettuato verso chiunque, purché senza il consenso della persona ritratta , da parte di chi, in qualsiasi modo, abbia acquisito l'immagine o il video a contenuto sessualmente esplicito . Difatti, il reato è configurabile come istantaneo , secondo la lettera normativa, e si consuma nel momento in cui avviene il primo invio dei contenuti sessualmente espliciti, non importa se diretto , come nel caso preso in esame, a familiari della vittima, che possano, eventualmente, avere interesse a non alimentare una successiva diffusione. In realtà, con il primo invio la diffusione è già avvenuta . E tale soluzione è coerente con la premessa che il reato è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale e si rivolge alla sfera di intimità personale e della privacy , intesa quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale . Ne discende che non ha alcun pregio il rilievo del carattere privato del profilo Facebook su cui era stato pubblicato un video, poi inviato dall’uomo, tramite l'applicazione Messenger, al padre e al fratello della persona offesa , chiariscono i Giudici, i quali aggiungono poi che nessun dato rilevante può essere tratto dal dato del tempo occorso per la rimozione dei video, tempo che non incide sul tema dell'esistenza degli elementi costitutivi del reato .

Presidente Vessichelli – Relatore Bifulco Ritenuto in fatto 1. È oggetto di ricorso la sentenza della Corte d’appello di Potenza del 3 dicembre 2021, che ha confermato la decisione di primo grado, con la quale D.F.M. è stato dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 612-bis, primo e comma 2, c.p. capo A , 612-ter, primo e comma 3, 61, numero 2, c.p. capo B , 610, 61, numero 2, c.p. capo C , contestati come commessi nei confronti di R.G., costituitasi parte civile. 2. Nell’interesse dell’imputato sono stati proposti due ricorsi, l’uno a firma dell’Avv. A. F. e l’altro a firma dell’Avv. M. R., affidati ai seguenti motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p. 3. Ricorso a firma dell’Avv. A. F. 3.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al travisamento della prova e alla mancata dimostrazione dell’evento di danno richiesto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612-bis c.p. La Corte d’appello avrebbe omesso immotivatamente di esaminare tre files audio legittimamente acquisiti agli atti in primo grado, aventi a oggetto alcune conversazioni intercorse tra la persona offesa e le sue amiche, nelle quali la prima avrebbe sia dichiarato di non aver cambiato abitudini di vita, sia minimizzato l’importanza dei video che l’imputato minacciava di divulgare sul web. L’affermazione della Corte secondo cui i tre files audio non sarebbero mai stati acquisiti al dibattimento ex art. 234 del codice di rito sarebbe del tutto errata irragionevole sarebbe, pertanto, anche l’asserita mancanza di prove offerte dalla difesa a sostegno della propria tesi. 3.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al vaglio della credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa. Omettendo l’analisi delle prove a discarico apportate dalla difesa come indicate nel primo motivo , volte a dimostrare la mancata realizzazione dell’evento richiesto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612-bis c.p. e, segnatamente, il mancato cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa , la Corte territoriale si sarebbe limitata a sostenere l’attendibilità del narrato della donna, con argomentazioni puramente congetturali e sganciate dalle risultanze processuali. La censura coinvolge tutte le numerose condotte ascritte al capo a dell’imputazione. 3.3 Col terzo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione del delitto di atti persecutori in quello di minacce o molestie di cui all’art. 660 c.p., atteso il mancato verificarsi, nel caso di specie, dell’evento richiesto dall’art. 612-bis c.p. 3.4 Col quarto motivo, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di cui all’art. 612-ter cod penumero , attesa la mancanza di contenuti sessualmente espliciti dei video diffusi sul web. La difesa nota anche che uno dei video di cui al punto a-12 dell’imputazione non veniva neppure diffuso. La Corte avrebbe anche illogicamente omesso di considerare che i video in questione sono stati rimossi, a seguito della richiesta della persona offesa soltanto dopo svariati mesi dalla relativa pubblicazione in rete, ciò che comproverebbe il minimo disvalore degli stessi. 3.5 Col quinto motivo, si deduce violazione di legge e vizio d’omessa motivazione in relazione al delitto di violenza privata, atteso che la persona offesa aveva già deciso di abbandonare la propria dimora e trasferirsi dai genitori per motivi legati ai propri impegni di studio, prima ancora della data in cui si sarebbe consumato l’ascritto delitto. 3.6 Col sesto motivo si eccepisce violazione di legge in relazione all’art. 81 c.p. e vizio di motivazione, per mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui al presente ricorso e quelli oggetto di altro procedimento, definito con sentenza numero 37/2020, emessa ex art. 444 del codice di rito dal G.i.p. del Tribunale di Matera, avente a oggetto i reati di detenzione di arma da fuoco clandestina e ricettazione della stessa. L’arma in questione, osserva la difesa, è la medesima menzionata nel capo A , fotografata dall’indagato e inviata alla persona offesa con un messaggio, in cui ii D.F. dichiarava di volersi uccidere. All’argomentata richiesta della difesa, tesa a indicare l’unicità del disegno criminoso, non seguiva alcun riscontro da parte della Corte territoriale. 3.7 Col settimo motivo, si lamenta carenza di motivazione in tema di denegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 3.8 Con l’ottavo motivo, si deduce violazione dell’art. 89 c.p. e vizio d’omessa motivazione in relazione alla mancata riduzione della pena, in vista della documentata patologia sub specie di disturbo di personalità, incidente sulla sfera della volizione dell’indagato. 4. Ricorso a firma dell’Avv. M. R. Il ricorso, nel riportarsi alle censure dedotte dal co-difensore Avv. F. nel precedente atto di impugnazione, lamenta, con unico motivo, violazione di legge in relazione all’art. 81 c.p., e vizio di motivazione. La Corte territoriale avrebbe omesso di motivare adeguatamente il diniego opposto all’argomentata richiesta difensiva di rideterminazione in melius della pena, ritenuta eccessiva in vista degli aumenti di anni uno di reclusione per il reato ex art. 612-ter c.p. e di mesi tre per ii reato di violenza privata. Nel prevedere l’aumento di anni uno per il reato di cui all’art. 612-ter c.p., la Corte d’appello avrebbe surrettiziamente operato un cumulo materiale dei reati, senza considerare gli elementi che, ex art. 81 c.p., avrebbero dovuto condurre a una diversa e più proporzionata commisurazione della pena. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe immotivatamente definito inesistenti le censure difensive relative al delitto di cui all’art. 612-ter cod penumero , che invece la difesa avrebbe estesamente articolato, rimarcando il basso disvalore dei filmati realizzati dall’imputato. 5. È stata depositata memoria nell’interesse della parte civile. All’udienza del 29 marzo 2023 si è svolta trattazione orale del ricorso. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso sottoscritto dall’Avv. F. è infondato. Infatti, l’esame del verbale del 16 ottobre 2020, se consente di appurare che il P.M. aveva richiesto di produrre, tra l’altro, DVD , non dimostra affatto la corrispondenza del contenuto di tale supporto con i files audio dei quali il ricorrente discorre. Ora, il primo motivo di ricorso non lamenta la mancata acquisizione di prove, ma la mancata valutazione di prove che sarebbero ritualmente state acquisite. E, tuttavia, a fronte dell’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale gli indicati files invece non sarebbero mai stati acquisiti, il ricorso insiste nel sostenere il contrario, senza tuttavia riuscire a fornire alcuna specifica deduzione in ordine al momento e al modo in cui i files provenienti dal fascicolo delle indagini preliminari sarebbero transitati al fascicolo del dibattimento . Tali rilievi sono assorbenti, fermo restando che anche il contenuto dei brani che il ricorrente riporta nell’esposizione del motivo in esame, e anche in alcuni dei motivi successivi, non risulta -neanche in astratto idoneo a scardinare la solidità dell’apparato argomentativo della sentenza impugnata. Invero, il tentativo di reazione della donna, così come l’assenza di un totale annichilimento delle capacità di superare le conseguenze della condotta persecutoria dell’imputato, non sono elementi incompatibili con la sussistenza del delitto di cui al capo A , che non richiede siffatte connotazioni dell’evento di danno. 2. Il secondo motivo dello stesso ricorso è inammissibile, perché, attraverso la menzione di una serie di risultanze istruttorie atomisticamente considerate, aspira nella sostanza ad una rivalutazione di dette risultanze, inammissibile in sede di legittimità. Va premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Sez. 5, numero 17795 del 02/03/2017 , S., Rv. 269621 01 . Ora, il ricorso, per un verso, aspira a mettere in discussione la valutazione di credibilità della persona offesa insistendo nel riproporre alcuni brani dei files dei quali si occupa il primo motivo e, per altro verso, nonostante l’ampiezza dell’esposizione, si traduce in proposizioni assertive che reiterano la tesi difensiva dell’ordinaria conflittualità di una coppia in crisi, destabilizzata dalla presenza di un altro uomo. Ne discende che non si coglie alcuna illogicità nella ricostruzione operata dalla Corte territoriale in ordine alle conseguenze sofferte dalla persona offesa, quanto allo stato d’ansia provocato dallo stillicidio di condotte persecutorie, dalla invasiva diffusione a terzi di momenti della vita privata, dalla consapevolezza della disponibilità, da parte dell’imputato, di un’arma, dalla prospettazione di atti non soltanto autolesivi o mi uccido o vado in galera . Al riguardo, va ribadito v., di recente, Sez. 5, numero 17568 del 22/03/2021 che è estraneo all’ambito applicativo dell’art. 606, comma 1, lett. e c.p.p. ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per brani nè fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio Sez. 5, numero 8094 del 11/01/2007 , Ienco, Rv. 236540 conf. ex plurimis, Sez. 5, numero 18542 del 21/01/2011 , Carone, Rv. 250168 . Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa Sez. 5, numero 36764 del 24/05/2006 , Bevilacqua, Rv. 234605 conf., ex plurimis, Sez. 6, numero 36546 del 03/10/2006 , Bruzzese, Rv. 235510 . Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformità allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova Sez. 1, numero 25117 del 14/07/2006 , Stojanovic, Rv. 234167 . 3. Il terzo motivo dello stesso, ricorso, alla luce del mancato accoglimento delle doglianze dei primi due motivi che contestano la sussistenza dell’evento di danno, resta deprivato di fondamento. Infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660 c.p. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato di recente, v. Sez. 5, numero 15625 del 09/02/2021 , R., Rv. 281029 01 . 4. Il quarto motivo dello stesso ricorso è infondato. La giurisprudenza di questa Corte cfr. Sez. 5, numero 14927 del 22/02/2023 , T., Rv. 284576 0, numero m. ha già messo in chiaro che il contenuto sessualmente esplicito , al quale fa riferimento l’art. 615-ter c.p., non può identificarsi, secondo quanto pretende il ricorrente, nella riproduzione di rapporti sessuali o di autoerotismo , o ancora di organi propri dell’apparato sessuale-riproduttivo in senso scientifico. Ciò significa che la sessualità di una persona, vittima del reato, può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo erogene diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l’istinto sessuale. D’altra parte, proprio i commenti cui si accompagnava la diffusione dei video v. i punti 6, 9, 12 del capo A rendono palese la piena consapevolezza dell’imputato che la diffusione delle immagini della persona offesa con la sola biancheria intima avveniva proprio per sottolineare l’ambito di svolgimento della vita sessuale nel quale erano state riprese. Quanto poi al tema della diffusione come sottolineato sempre da Sez. 5, numero 14927 del 22/02/2023, T., cit. integra un invio rilevante ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 612-ter c.p. quello che venga effettuato verso chiunque, purché senza il consenso della persona ritratta, da parte di chi, in qualsiasi modo fatte salve le condotte che rientrano nella sfera di operatività del comma 1 della disposizione abbia acquisito l’immagine o il video a contenuto sessualmente esplicito. Il reato, infatti, è configurabile come istantaneo, secondo la lettera normativa, e si consuma nel momento in cui avviene il primo invio dei contenuti sessualmente espliciti, non importa se diretto a familiari della vittima, che possano, eventualmente, avere interesse a non alimentare una successiva diffusione. In realtà, con il primo invio, la diffusione è già avvenuta, per quanto stabilito dalla disposizione incriminatrice, che non fa questione di reiterazione della condotta diffusiva nè quantifica o qualifica in alcun modo la diffusione lesiva del bene protetto. La soluzione è coerente con la premessa che il reato è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale e si rivolge alla sfera di intimità personale e della privacy, intesa quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale. Ne discende che non ha alcun pregio il rilievo del carattere privato del profilo Facebook sul quale era stato pubblicato un video punto 12 del capo A , poi inviato tramite l’applicazione Messenger al padre e al fratello della persona offesa. Nessun dato rilevante, ai fini della integrazione della fattispecie incriminatrice, può, infine, essere tratto dal dato del tempo occorso per la rimozione dei video tempo che non incide sul tema dell’esistenza o non degli elementi costitutivi del reato. 5. Il quinto motivo dello stesso ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità, dal momento che la Corte territoriale, diversamente da quanto ritenuto in ricorso, muove proprio dalla premessa posta dal ricorrente come presupposto della sua critica che la persona offesa avesse deciso di lasciare l’abitazione di […] in data omissis , ma la correla eziologicamente, attraverso una valutazione delle risultanze istruttorie che non presenta alcuna illogicità tenuto conto delle condotte già poste in essere dall’imputato tra l’altro, si veda la comunicazione del 22 novembre indirizzata ad un’amica della persona offesa, ma con l’evidente intento di raggiungere quest’ultima, alla quale si chiedeva sostanzialmente di sparire da […] , proprio alle minacce del D.F. 6. Il sesto motivo dello stesso ricorso è, nel suo complesso, infondato. Va premesso che, ai fini del riconoscimento della continuazione in sede di cognizione, incombe sull’interessato l’onere di indicazione e allegazione degli specifici elementi dai quali possa desumersi l’identità del disegno criminoso Sez. 2, numero 2224 del 05/12/2017 , dep. 2018, Pellicoro, Rv. 271768 01 , ossia degli indici dai quali desumere l’identità del disegno criminoso perseguito dall’agente, attraverso la previa rappresentazione e l’unitaria deliberazione di una serie di condotte criminose Sez. 1, numero 15955 del 08/01/2016 , Eloumari, Rv. 266615 01 . Il denegato riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto del presente processo e quello di detenzione illegittima d’arma da fuoco e di ricettazione, di cui alla precedente sentenza di patteggia mento, è stato ragionevolmente argomentato dalla Corte territoriale, alla luce di indicatori idonei a dimostrare che l’imputato si fosse procurato l’arma in vista delle condotte che avrebbe tenuto per effetto della fine della relazione con la persona offesa. In questo senso, in assenza di qualunque indicazione fattuale del ricorrente, il riferimento della sentenza impugnata alla data del commesso furto vale a fondare, in termini di carattere generale, il dubbio sulla correlazione cronologica tra la successiva ricettazione e i delitti del presente procedimento. Il ricorso, in termini meramente assertivi, sostiene che vi sarebbe corrispondenza temporale, ma si tratta di affermazioni prive di qualunque base, sia pure sul piano delle mere deduzioni, idonea a rivelare una connotazione di specificità. 7. Il settimo motivo del ricorso sottoscritto dall’Avv. F. di ricorso può essere esaminato, per ragioni di economia espositiva, unitamente all’unico motivo del ricorso sottoscritto dall’Avv. R. Le doglianze sono inammissibili, avendo la Corte territoriale dato conto delle ragioni che l’hanno condotta a confermare la dosimetria della pena, anche con riguardo agli aumenti per i reati in continuazione, alla luce delle modalità particolarmente insidiose della condotta e della particolare pervicacia dimostrata in concreto dall’imputato . Al riguardo, va ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico Sez. 5, numero 5582 del 30/09/2013 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142 , ciò che nel caso di specie non ricorre. 1.8 L’ottavo motivo del ricorso sottoscritto dall’Avv. F. è inammissibile per assenza di specificità. La valutazione espressa dalla Corte territoriale si fonda sulla lucida e cosciente premeditazione delle condotte da parte dell’imputato e sull’assenza di prova che il disturbo bipolare descritto dal consulente di parte fosse sussistente all’epoca dei fatti, anche alla luce della deposizione della madre dell’imputato. Rispetto a tali indicazioni il ricorso insiste sulle conclusioni del consulente di parte, ma non indica da quali elementi si trarrebbe la dimostrazione della correlazione cronologica tra disturbo e condotte oggetto del presente procedimento. Nè, in senso contrario, può valorizzarsi l’incompleta produzione che accompagna il ricorso, quanto al contenuto della deposizione del consulente, che, peraltro, pur nei brani riportati, conferma una valutazione operata a posteriori. 9. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Per quanto concerne il regolamento delle spese nel rapporto tra l’imputato e la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 c.p.p. e 110 del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R. numero Sez. U, numero 5464 del 26/09/2019 dep. 12/02/2020, De Falco, Rv. 27776001 . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Potenza con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. numero 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. numero 196/03, in quanto imposto dalla legge.