PMA: tra il diritto assoluto di diventare madre e la irrevocabilità del consenso dell’uomo

Con la sentenza numero 161/2023 pubblicata dalla Corte Costituzionale in data 24 luglio 2023, la Consulta è stata chiamata a valutare la ragionevolezza del bilanciamento degli interessi in gioco da parte del legislatore con riferimento all’art. 6, comma 3, l. numero 40/2004, che stabilisce l’irrevocabilità, da parte dell’uomo, del consenso, manifestato congiuntamente alla donna all’inizio del percorso di PMA, una volta fecondato l’embrione.

La Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo giudicando non irragionevole il bilanciamento operato dal legislatore sentenza n. 161/2023 . La Consulta, in particolare, ha sancito la irrevocabilità del consenso prestato dall'uomo all'impianto in utero dell'embrione fecondato durante il percorso di Procreazione Medicalmente Assistito, ribadendo quanto già i giudici di merito nei pochi casi loro sottoposti stavano affermando il consenso del futuro padre all'impianto reso all'inizio della procedura di fecondazione assistita è un consenso a vita” che fa nascere esso stesso il rapporto genitoriale con divieto di disconoscimento del figlio nato a seguito di PMA consenso che, pertanto, non può essere revocato una volta fecondato l'embrione, anche in presenza di condizioni sopravvenute mutate, come l'intervenuta separazione della futura coppia genitoriale, finendo, pertanto, l'uomo per diventare padre contro la propria volontà. In particolare, con ordinanza del 5 giugno 2022 reg. ord. n. 131 del 2022 , il Tribunale ordinario di Roma , dubitando della legittimità costituzionale dell' art. 6, comma 3, ultimo periodo, della l. n. 40/2004 , quanto meno nella parte in cui non prevede, successivamente alla fecondazione dell'ovulo, un termine per la revoca del consenso , rimetteva la questione alla Consulta. Il caso trae origine dal giudizio instaurato, ai sensi dell'art. 702- bis c.p.c., dalla donna per ottenere la condanna della struttura sanitaria all'impianto dell'embrione presso tale struttura, infatti, nel settembre 2017, lei e il coniuge, nell'ambito di un percorso di PMA , avevano assentito alla crioconservazione del medesimo embrione, al fine di permettere, sullo stesso, l'esecuzione della biopsia. L'impianto, tuttavia, era stato differito a causa di problematiche mediche. Successivamente, tuttavia, la coppia entrava in crisi e nel 2019 veniva formalizzata tra le parti la separazione consensuale con conseguente mancato impianto dell'embrione fecondato nell'utero della donna. La donna, invano, iniziava a chiedere alla clinica di procedere all'impianto e l'uomo, che nel frattempo aveva depositato ricorso per divorzio, formalmente revocava il consenso all'applicazione delle tecniche di PMA. Tale revoca, essendo intervenuta dopo la fecondazione dell'ovulo , non sarebbe consentita dalla l. 40/2004 e da qui la questione rimessa alla Corte Costituzionale. Le questioni giuridiche sottese a questo interessante e delicato tema sono molteplici e vengono in modo analitico analizzate dalla Corte a partire dal lasso temporale che può intercorrere tra la fecondazione dell'embrione e l'impianto in utero, situazione, questa, non prevista dal legislatore al momento della redazione della norma censurata. La legge n. 40 del 2004 prevedeva che il trasferimento in utero degli embrioni prodotti – che non potevano essere creati in numero superiore a tre art. 14, comma 2 – doveva avvenire entro l'arco temporale dei pochissimi giorni del ciclo della loro sopravvivenza l'ipotesi della loro crioconservazione, in linea generale vietata art. 14, comma 1 , costituiva quindi un'evenienza del tutto eccezionale, consentita solo per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione e in ogni caso l'impianto si sarebbe dovuto realizzare non appena possibile art. 14, comma 3 . La irrevocabilità del consenso prestato era, pertanto, in linea con la velocità della procedura che voleva l'impianto verificarsi il prima possibile. Successivamente, a seguito di interventi della Consulta, la crioconservazione dell'embrione fecondato è divenuta la prassi e dunque anche la circostanza che l'impianto possa avvenire anche a distanza di anni rispetto alla fecondazione. Potendo, oggi, l'impianto in utero avvenire anche a distanza di anni rispetto alla manifestazione del consenso alla PMA inizialmente dato in modo congiunto dalla coppia, il giudice remittente ritiene che la norma censurata pregiudicherebbe il diritto di scelta in ordine all'assunzione del ruolo genitoriale paterno nel caso in cui, in considerazione del decorso del tempo, l'impianto venga chiesto in presenza di una situazione giuridica diversa da quella esistente al momento della manifestazione della volontà, ledendo, pertanto, la norma il diritto di autodeterminazione dell'uomo in ordine alla decisione di non diventare genitore, riconosciuto dall' art. 2 Cost. e dall'art. 8 CEDU , con conseguente violazione anche dell' art. 117, primo comma, Cost. Inoltre, nel caso di specie, secondo il giudice a quo , sarebbe proprio venuto meno quel presupposto iniziale che consente solo alle coppie sposate o conviventi di accedere alle tecniche di PMA l' art. 5, comma 1, l. n. 40/2004 permette di accedere alla PMA solo a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi , nell'ipotesi in cui venga meno il progetto di coppia prima del trasferimento dell'impianto , dovrebbe ritenersi sempre possibile la revoca del consenso . Nel caso di specie, la futura coppia genitoriale non esiste più , essendo intervenuta la separazione personale ed essendo pendente il giudizio di divorzio. Ancora, secondo il giudice a quo , sarebbero, altresì, violati gli artt. 3 e 13, primo comma, Cost. , poiché, consentendo che la donna chieda l'impianto malgrado il sopravvenuto dissenso dell'uomo, la suddetta disciplina normativa irragionevolmente lo costringerebbe a diventare genitore contro la sua volontà . Inoltre, l' art. 3 Cost. sarebbe violato anche rispetto alla parità di trattamento tra l'uomo e la donna, potendo quest'ultima sempre rifiutare il trasferimento in utero dell'embrione formatosi a seguito della fecondazione, che non potrebbe esserle imposto in quanto lesivo della sua integrità psicofisica, trattandosi per lei di trattamento sanitario che, come noto, non può essere imposto contro la sua volontà. Inoltre ed infine, secondo il giudice remittente, tenuto conto del materiale biologico appartenente all'uomo, la norma sospettata si porrebbe in contrasto, infine, con l' art. 32, secondo comma, Cost. , giacché assoggetterebbe l'uomo a un trattamento sanitario obbligatorio. Tutto ruota intorno al consenso come fattore determinante la genitorialità in relazione ai bambini nati a seguito di PMA che non possono essere disconosciuti né è ammesso il parto anonimo, con tutela del nascituro, sotto il peculiare profilo del conseguimento della certezza dello status filiationis . Il consenso, manifestando l'intenzione di avere un figlio, esprime una fondamentale assunzione di responsabilità, che riveste un ruolo centrale ai fini dell'acquisizione dello status filiationis . Proprio con riferimento al consenso, secondo la Consulta il giudice a quo , nel limitarsi a ricordare che il consenso costituisce presupposto legittimante dell'intervento medico e affermando che la norma denunciata, prescindendone, finirebbe per assoggettare l'uomo a un trattamento sanitario obbligatorio, erra ritenendo che l'intervento medico si tradurrebbe, anche per l'uomo, in un trattamento sanitario obbligatorio. Al contrario, l'impianto dell'embrione, incide esclusivamente sul corpo della donna ed è la donna, pertanto, che deve prestare il proprio consenso all'impianto. Con riferimento al lasso di tempo che potrebbe trascorrere prima che si proceda all'impianto rende la situazione delicata perché, consentendo l'impianto dell'embrione o degli embrioni anche in una situazione in cui, per il decorso del tempo, è venuto meno l'originario progetto di coppia, la norma che stabilisce l'irrevocabilità del consenso dopo la fecondazione dell'ovulo si è venuta a collocare al limite di quelle che sono state definite scelte tragiche in quanto caratterizzate dall'impossibilità di soddisfare tutti i confliggenti interessi coinvolti nella fattispecie. In particolare, entrano in conflitto la tutela della salute psicofisica della donna e la sua libertà di autodeterminazione a diventare madre la libertà di autodeterminazione dell'uomo a non divenire padre contro la sua volontà la parità di trattamento tra uomo e donna la dignità dell'embrione i diritti del nato a seguito della PMA. Secondo la Corte, in questi casi estremamente delicati , non è irragionevole il bilanciamento di interessi operato dal legislatore che, di fatto, ha dato preminenza ai diritti della donna a diventare madre considerando recessivo quello dell'uomo a non divenire padre contro la sua volontà. La situazione in cui versa la donna è profondamente diversa da quella dell'uomo è lei che subisce la stimolazione ovarica e tutti gli interventi sanitari e medici a cui si deve sottoporre, solo lei dopo la fecondazione resta esposta all'azione medica , che può sempre legittimamente rifiutarsi di subire , data l' ovvia incoercibilità del trattamento , al quale si contrappone la tutela dell'integrità psico-fisica della donna. L'accesso alla PMA comporta quindi per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità , con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni. Si aggiunga, poi, ad esempio la situazione per la quale, per età o condizioni di vita, la donna non avrebbe altra possibilità di ricorrere alle tecniche di PMA, vanificando ogni sforzo psichico e fisico a cui si è sottoposta per decisione comune al partner che, poi, ha cambiato idea. Ed è proprio tale eterogeneità di situazioni che conduce la Corte ad escludere la violazione del principio di eguaglianza secondo il costante orientamento di questa Corte, si è in presenza di una violazione dell' art. 3 Cost. solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili come è nel caso in esame. Relativamente all' autodeterminazione dell'uomo , quest'ultimo è ben conscio, al momento della sottoscrizione del consenso alla PMA, che il suo consenso sarà per sempre, che non potrà disconoscere il figlio, che sarà possibile crioconservare l'embrione fecondato e che dopo la fecondazione la sua scelta di divenire padre è irrevocabile. L' art. 6 della legge n. 40 del 2004 reca, infatti, un'articolata disciplina dell'obbligo informativo prodromico alla prestazione del consenso, in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa comma 1, ultimo periodo , anche in merito alle conseguenze giuridiche derivanti dall'applicazione delle tecniche di PMA comma 1, primo periodo .