Pubblicato in un articolo giornalistico l’indirizzo di residenza: possibile sempre la corresponsabilità

L'attribuzione della responsabilità per l'illecita divulgazione dei dati personali chiede di essere declinata secondo il criterio della contribuzione causale, indipendentemente dalla qualifica formale eventualmente rivestita in relazione a titolarità, responsabilità del trattamento, relativi conservazione o controllo concreto.

Un cittadino conveniva in giudizio un gruppo editoriale per sentirlo condannare al risarcimento dei danni dallo stesso subiti a seguito dell'illecito trattamento dei relativi dati personali, segnatamente consistito nella indebita pubblicazione sul sito Internet del quotidiano, gestito da tale società, dei dati concernenti la propria residenza propria . Per l'attore questa costituiva un'informazione del tutto irrilevante ed eccedente alle esigenze informative dell'articolo pubblicato sul periodico telematico all'interno del quale era stata data contezza di quei dati. La Corte di appello competente, in accoglimento, per quanto di ragione, dell'appello principale proposto dall'uomo e dell'appello incidentale proposto dal gruppo editoriale, con la stessa decisione rigettava la domanda proposta dal danneggiato per la condanna dei convenuti ai danni asseritamente subiti a seguito della pubblicazione sul medesimo quotidiano, ma di formato cartaceo, di un articolo dal contenuto gravemente diffamatorio. A fondamento della decisione assunta, la Corte di appello ha rilevato come, ferma l'evidente illiceità della pubblicazione sul sito Internet dei dati concernenti la residenza dell'uomo, per l'intuibile carattere eccedente del dato rispetto ai contenuti informativi della pubblicazione , al contrario il testo dell'articolo pubblicato sul quotidiano cartaceo non presentava alcuna espressione oggettivamente tale da risultare lesiva dei principi che circoscrivono i limiti del legittimo esercizio del diritto di manifestazione di pensiero. Osservava, altresì, che l'autore dell'articolo risultava aver rispettato adeguatamente il requisito della verità, anche putativa, dei fatti riportati nonché la continenza dell'esposizione e l'interesse pubblico delle notizie diffuse, con la conseguente correttezza della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva escluso il carattere obiettivamente diffamatorio della pubblicazione . Avverso la sentenza d'appello, il danneggiato proponeva ricorso per cassazione. Il primo motivo di censura consisteva nella critica rivolta alla Corte territoriale per aver riformato erroneamente, secondo la tesi del ricorrente, la sentenza di primo grado pronunciando la condanna al risarcimento dei danni conseguenti all'illecito trattamento dei dati personali relativi alla sua residenza il solo responsabile del trattamento dei dati per il quotidiano in parola, data la sua precipua funzione, senza contestualmente estendere tale condanna nei confronti del gruppo editoriale , in qualità di proprietaria editrice tanto del quotidiano quanto del relativo sito Internet. Al riguardo, la Suprema Corte ricorda come, secondo il più recente insegnamento della giurisprudenza, la responsabilità dei danni determinati dalla illecita divulgazione dei dati personali deve essere ascritta a carico di chiunque , con la propria condotta, li abbia provocati, indipendentemente dalla qualifica rivestita. In breve, l'attribuzione della responsabilità per la illecita divulgazione dei dati personali chiede di essere declinata secondo il criterio della contribuzione causale, conformemente alla ratio che ispira la disciplina ex art. 2050 c.c., richiamato dalla legge sulla privacy d.lgs. n. 196/2003 , applicabile ratione temporis al caso di specie, secondo cui Chiunque cagiona danno ad altri per effetti del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell' articolo 2050 del codice civile . Ciò nel senso che ciascun soggetto il quale con la propria condotta abbia contribuito casualmente alla divulgazione illecita di quei dati, deve ritenersi responsabile oppure corresponsabile di detta divulgazione, salva la prova liberatoria consentita dal richiamato articolo di legge. Tanto, indipendentemente dalla qualifica formale eventualmente rivestita in relazione alla titolarità, alla responsabilità del trattamento, alla relativa conservazione o al relativo controllo concreto. Nel caso di specie , rispetto al fatto dannoso dedotto in giudizio - consistito nella illecita divulgazione online di dati relativi alla propria residenza personale, non giustificata dalla pubblicazione delle fonti informative contenenti tali dati - l'accertamento dell'eventuale contributo causale fornito all'illecita divulgazione dall'editore della testata online non avrebbe dovuto essere trascurato dai giudici di merito, non potendo certamente escludersi, se non altro in via di principio, che l'editore di una testata online sulla quale sia comparsa la pubblicazione di dati personali consistenti in un illecito trattamento degli stessi possa avere in qualche misura concorso o contribuito, sul piano causale, a tale illecita divulgazione. Ciò posto, l'avvenuta limitazione della condanna pronunciata dalla Corte territoriale a carico del solo responsabile della privacy della testata online per l'illecito trattamento dedotto in giudizio deve ritenersi in tal senso ingiustificata da un lato, per essersi il giudice d'appello sottratto all'obbligo di pronunciare sulla domanda proposta nei confronti della società editrice e, dall'altro, per aver il giudice d'appello escluso la relativa responsabilità nell'operazione di divulgazione dei dati personali sul sito di sua proprietà, limitandosi immotivatamente a pronunciare la condanna nei confronti del suddetto uomo in ragione della mera qualifica formale rivestita di responsabile privacy . Per questi motivi la Corte ha cassato la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, rinviando alla Corte di appello competente, in diversa composizione, cui è stato rimesso, altresì, di provvedere alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Presidente De Stefano – Relatore Dell'Utri Fatti di causa 1. Con sentenza resa in data 26/8/2020, la Corte d'appello di Roma, in accoglimento, per quanto di ragione, dell'appello principale proposto da G.R. e dell'appello incidentale proposto dalla GEDI Gruppo Editoriale s.p.a., da M.E., Z.C. e Z.V., ha condannato Z.V. al risarcimento, in favore di G.R., dei danni subiti da quest'ultimo a seguito dell'illecito trattamento dei relativi dati personali, segnatamente consistito nell'indebita pubblicazione, sul sito Internet del quotidiano ‘ Omissis ', dei dati concernenti la residenza del G., costituente un'informazione del tutto irrilevante ed eccedente le esigenze informative dell'articolo pubblicato sul periodico telematico all'interno del quale era stata data contezza di quei dati. 2. Con la stessa decisione, la corte territoriale ha rigettato la domanda proposta dal G. per la condanna dei convenuti ai danni asseritamente subiti a seguito della pubblicazione, sul quotidiano cartaceo ‘ Omissis ' edito dalla GEDI Gruppo Editoriale s.p.a. e diretto da M.E. , di un articolo, a firma di Z.C., dal contenuto gravemente diffamatorio. 3. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come - ferma l'evidente illiceità della pubblicazione sul sito Internet del quotidiano ‘ Omissis ' dei dati concernenti la residenza del G. nella specie apparsi in un'informativa di polizia giudiziaria riprodotta nell'articolo, ma non opportunamente ‘depuratà per la pubblicazione , per l'intuibile carattere eccedente del dato rispetto ai contenuti informativi della pubblicazione - il testo dell'articolo dello Z. pubblicato sul quotidiano cartaceo non presentasse alcuna espressione oggettivamente tale da risultare lesiva dei principi che circoscrivono i limiti del legittimo esercizio del diritto di manifestazione del pensiero, avendo l'autore dell'articolo rispettato adeguatamente il requisito della verità, anche putativa, dei fatti riportati, la continenza dell'esposizione e l'interesse pubblico delle notizie diffuse, con la conseguente correttezza della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva escluso il carattere obiettivamente diffamatorio della pubblicazione. 4. Avverso la sentenza d'appello, G.R. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d'impugnazione. 5. La GEDI Gruppo Editoriale s.p.a., M.E., Z.C., T.A., Z.C.C. e Z.G.G. questi ultimi tre in qualità di eredi di Z.V., nelle more deceduto resistono con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale affidato a tre motivi di impugnazione. 6. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, invocando l'accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, con il rigetto di tutte le restanti doglianze avanzate dalle parti. 7. Tutte le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso principale, il G. censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 20492050 c.c., della L. n. 47-48, art. 11, del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 15,136,137 e 139 in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3 , per avere la corte territoriale erroneamente riformato la sentenza di primo grado, pronunciando la condanna di Z.V. al risarcimento dei danni conseguenti all'illecito trattamento dei dati personali relativi alla residenza del G., senza contestualmente estendere tale condanna nei confronti della GEDI Gruppo Editoriale s.p.a., in qualità di proprietaria ed editrice, tanto del quotidiano ‘ Omissis ', quanto del relativo sito Internet. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente principale censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso, dolendosi altresì della relativa nullità per violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. , per omessa pronuncia ed omessa motivazione in relazione all'art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente omesso di pronunciarsi e di motivare in ordine alla domanda specificamente proposta dall'odierno ricorrente e discussa dalle parti avente ad oggetto la riforma della sentenza del Tribunale di Roma sulla responsabilità della GEDI Gruppo Editoriale s.p.a. per l'illecito trattamento dei dati personali relativi alla residenza del G 3. Entrambi i motivi - congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione - sono fondati. 4. Occorre preliminarmente rilevare come la statuizione di rigetto pronunciata dalla corte territoriale in relazione alla domanda risarcitoria proposta dal G. nei confronti di M.E. non sia stata specificamente contestata dall'odierno ricorrente, essendosi quest'ultimo limitato in questa sede a censurare in modo espresso la limitazione della pronuncia di condanna nei confronti del solo Z.V. per non averla estesa nei confronti della GEDI Gruppo Editoriale s.p.a. ciò che impone di ritenere come sul rigetto della domanda risarcitoria avanzata dal G. nei confronti di M.E. si sia definitivamente formato il corrispondente giudicato interno. 5. Ciò posto, varrà considerare come, secondo il più recente insegnamento della giurisprudenza di questa Corte che il Collegio condivide integralmente e fa proprio, al fine di assicurarne continuità , la responsabilità dei danni determinati dall'illecita divulgazione dei dati personali, ai sensi del d. lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 1 applicabile ratione temporis , dev'essere ascritta a carico di chiunque, con la propria condotta, li abbia provocati, indipendentemente dalla qualifica rivestita cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 11020 del 26/04/2021, Rv. 661185 - 01 . 6. In breve, l'attribuzione della responsabilità per l'illecita divulgazione dei dati personali chiede d'essere declinata secondo il criterio della contribuzione causale conformemente alla ratio che ispira la disciplina dell' art. 2050 c.c. , richiamato dal d. lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 1, applicabile ratione temporis, secondo cui Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell' art. 2050 del codice civile , nel senso che ciascun soggetto che, con la propria condotta in qualunque modo interferente con il trattamento di dati personali , abbia contribuito causalmente alla divulgazione illecita di tali dati, deve ritenersi responsabile o corresponsabile di detta divulgazione salva la prova liberatoria consentita dal richiamato art. 2050 c.c. e tanto, indipendentemente dalla qualifica formale eventualmente rivestita in relazione alla titolarità, alla responsabilità del trattamento, alla relativa conservazione o al relativo controllo concreto. 7. Nel caso di specie, rispetto al fatto dannoso dedotto in giudizio dal G. consistito nell'illecita divulgazione online, nel dicembre del 2007, dei dati relativi alla relativa residenza personale, non giustificata dalla pubblicazione delle fonti informative contenenti tali dati , l'accertamento dell'eventuale contributo causale fornito all'illecita divulgazione dall'editore della testata online non avrebbe dovuto essere trascurato dai giudici del merito, non potendo certamente escludersi, se non altro in tesi o in via di principio, che l'editore di una testata online, sulla quale sia comparsa la pubblicazione di dati personali consistenti in un illecito trattamento degli stessi, possa avere, in qualche misura, concorso o contribuito, sul piano causale, a tale illecita divulgazione. 8. Ciò posto, l'avvenuta limitazione della condanna pronunciata dalla corte territoriale a carico del solo ritenuto responsabile della testata online per l'illecito trattamento dedotto in giudizio deve ritenersi in tal senso ingiustificata da un lato, per essersi il giudice d'appello sottratto all'obbligo di pronunciare sulla domanda proposta nei confronti della società editrice e, dall'altro, per avere il giudice d'appello escluso sia pure implicitamente la relativa responsabilità nell'operazione di divulgazione dei dati personali sul sito di sua proprietà e dalla stessa editato , limitandosi immotivatamente a pronunciare la condanna del solo Z.V. in ragione della mera qualifica formale rivestita. 9. Con il terzo motivo, il ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2043,2056 e 2059 c.c. , della Cost., artt. 2,14,29 e 30, nonché per vizio di motivazione in relazione all'art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente negato l'ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio ai fini della determinazione della componente biologica del danno alla persona subito dal G. nonché in merito alla specifica quantificazione del danno morale ed esistenziale , nonostante la stessa corte d'appello avesse espressamente attestato il carattere indubbio dell'avvenuta verificazione di danni non patrimoniali a carico dell'originario attore come conseguenza dell'illecito trattamento dei dati personali ad opera della controparte. 10. Il motivo è inammissibile. 11. Osserva il Collegio come l'odierno ricorrente si sia doluto della mancata considerazione, da parte del giudice d'appello, dell'entità delle conseguenze dannose che avrebbe subito a carico della propria salute in conseguenza dell'illecita divulgazione dei dati personali relativi alla propria residenza. 12. Nell'avanzare tale doglianza, tuttavia, il ricorrente - oltre a sottacere la decisiva circostanza dell'avvenuta liquidazione in forma onnicomprensiva, da parte del giudice d'appello, dell'intero danno non patrimoniale dallo stesso subito in tal senso evidentemente esteso allo stesso risarcimento del danno biologico - risulta aver completamente trascurato di evidenziare se e in quale modo un'eventuale considerazione ‘tecnicà delle conseguenze dell'illecito sulla propria salute avrebbe consentito con certezza l'accertamento di una superiore entità del risarcimento. 13. Da tale premessa deriva l'inammissibilità della censura, non avendo il ricorrente principale adeguatamente articolato alcuna concreta argomentazione circa l'effettiva rilevanza o decisività della doglianza avanzata. 14. Con il quarto motivo, il ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2043,2056 e 2059 c.c. , della Cost., artt. 2,14,29 e 30, nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi in relazione all'art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente escluso che gli autori della pubblicazione avessero indicato il G. come correo o favoreggiatore o comunque indagato per qualsivoglia reato , e per aver escluso che l'articolo pubblicato sul quotidiano cartaceo ‘ Omissis ' avesse rispettato i criteri di veridicità e di continenza delle forme espressive, indispensabili ai fini del riscontro del legittimo esercizio del diritto di manifestazione del pensiero da parte dell'autore della pubblicazione. 15. Il motivo è inammissibile. 16. Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione e la valutazione dell'esistenza o meno dell'esimente dell'esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione, con la conseguenza che il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell'avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell'interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonché al sindacato della congruità della motivazione, secondo la previsione dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, restando estraneo al giudizio di legittimità l'accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 2605 del 27/01/2023 Sez. 3, Ordinanza n. 18631 del 09/06/2022, Rv. 665016 - 01 Sez. 3, Ordinanza n. 5811 del 28/02/2019, Rv. 652997 - 01 . 17. Nel caso di specie, la corte territoriale ha avuto cura di analizzare il contenuto dell'articolo pubblicato sul quotidiano cartaceo denunciato dal G. alla luce di ciascuno dei parametri evocati dal ricorrente, rilevando come la pubblicazione contestata rispettasse pienamente, tanto il criterio della c.d. verità putativa, quanto quello della continenza espressiva, quanto infine il riscontro del carattere obiettivo dell'interesse pubblico alla divulgazione di quanto pubblicato. 18. Ciò posto, escluso, in forza di tali premesse, il prospettabile ricorso di un'ipotesi di violazione di legge, la critica del ricorrente finisce col circoscriversi entro i limiti del denunciato vizio di motivazione, e dunque di una pretesa erronea ricognizione dei fatti di causa sulla base di un'errata interpretazione dei mezzi istruttori e, pertanto, sulla base sulla base di una prospettiva critica in quanto tale non consentita in sede di legittimità, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall' art. 360 c.p.c. , n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell'omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti. 19. Con il primo motivo della propria impugnazione, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione della Cost., artt. 111, comma 6, e 117 in relazione all'art. 6 CEDU , dell'art. 132 n. 4 c.p.c. e dell'art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2097 e 2697 c.c. in relazione all' art. 360 c.p.c. , nn. 3 e 4 , per avere la corte territoriale erroneamente condannato Z.V. al risarcimento dei danni per l'illecito trattamento dei dati personali relativi al G., non ravvisando, viceversa, il carattere indubitabile della responsabilità di M.E., quale responsabile del trattamento dei dati personali per il quotidiano e/o periodico telematico ‘ Omissis ', dettando sul punto una motivazione meramente apparente in violazione dei parametri normativi espressamente richiamati in ricorso. 20. Il motivo è fondato. 21. Osserva il Collegio come, conformemente a quanto rilevato in corrispondenza della decisione relativa ai primi due motivi del ricorso principale, secondo il più recente insegnamento della giurisprudenza di questa Corte che il Collegio condivide integralmente e fa proprio, al fine di assicurarne continuità , la responsabilità dei danni determinati dall'illecita divulgazione dei dati personali, ai sensi del d. lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 1 applicabile ratione temporis , dev'essere ascritta a carico di chiunque, con la propria condotta, li abbia provocati, indipendentemente dalla qualifica rivestita cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 11020 del 26/04/2021, Rv. 661185 - 01 . 22. In breve, l'attribuzione della responsabilità per l'illecita divulgazione dei dati personali chiede d'essere declinata secondo il criterio della contribuzione causale conformemente alla ratio che ispira la disciplina dell' art. 2050 c.c. , richiamato dal d. lgs. n. 196 del 2003, art. 15, comma 1, applicabile ratione temporis, secondo cui Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell' art. 2050 del codice civile , nel senso che ciascun soggetto che, con la propria condotta in qualunque modo interferente con il trattamento di dati personali , abbia contribuito causalmente alla divulgazione illecita di tali dati, deve ritenersi responsabile o corresponsabile di detta divulgazione e tanto, indipendentemente dalla qualifica formale eventualmente rivestita in relazione alla titolarità, alla responsabilità del trattamento, alla relativa conservazione o al relativo controllo concreto. 23. Nel caso di specie, rispetto al fatto dannoso dedotto in giudizio dal G. consistito nell'illecita divulgazione online, nel dicembre del 2007, anche dei dati relativi alla relativa residenza personale, non giustificata dalla pubblicazione delle fonti informative contenenti tali dati , l'accertamento dell'eventuale contributo causale fornito da tutte le parti convenute in giudizio non avrebbe dovuto essere trascurata dai giudici del merito, non potendo certamente escludersi, in via di principio, che ciascuno di essi potesse avere, in qualche misura, concorso o contribuito, sul piano causale, a tale illecita divulgazione. 24. Ciò posto, l'avvenuta limitazione della condanna pronunciata dalla corte territoriale a carico del solo ritenuto responsabile della testata online per l'illecito trattamento dedotto in giudizio deve ritenersi in tal senso ingiustificata da un lato, per essersi il giudice d'appello sottratto all'obbligo di pronunciare sulla domanda proposta nei confronti degli altri convenuti e, dall'altro, per avere il giudice d'appello escluso sia pure implicitamente la responsabilità di questi ultimi nell'operazione di divulgazione dei dati personali, limitandosi immotivatamente a pronunciare la condanna del solo Z.V. in ragione della mera qualifica formale rivestita. 25. Nel rimettere al giudice del rinvio il compito di procedere all'indagine concreta sull'eventuale responsabilità risarcitoria di ciascuno dei convenuti nei confronti del G., varrà peraltro ribadire come la statuizione di rigetto pronunciata dalla corte territoriale in relazione alla domanda risarcitoria proposta dal G. nei confronti di M.E. non sia stata specificamente contestata dall'odierno ricorrente principale, essendosi quest'ultimo limitato in questa sede a censurare in modo espresso la limitazione della pronuncia di condanna nei confronti del solo Z.V. per non averla estesa nei confronti della GEDI Gruppo Editoriale s.p.a. ciò che impone di ritenere come sul rigetto della domanda risarcitoria avanzata dal G. nei confronti di M.E. si sia definitivamente formato il corrispondente giudicato interno, con definitiva preclusione di ogni ulteriore questione sul punto specifico. 26. Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 137 e 139, nonché del c.d. codice deontologico dei giornalisti, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto illecito il trattamento dei dati personali relativi al G., essendosi i giornalisti del sito Internet de ‘ Omissis ' nella specie limitati alla mera trascrizione integrale dell'informativa di reato elaborata dalla polizia giudiziaria su delega della magistratura inquirente, senza alcun intervento correttivo, nella sua integralità, senza ritocchi, rimaneggiamenti o censure, con la conseguente insussistenza di alcuna lesività di detta pubblicazione, trattandosi di informazioni annotate dagli stessi inquirenti poiché ritenuti di evidente rilevanza ai fini dell'indagine e, conseguentemente, dell'informazione di interesse pubblico relativa ai fatti narrati. 27. Il motivo è infondato. 28. Osserva il Collegio come i principi di diritto che governano il giudizio di liceità del trattamento dei dati personali impongano che tale trattamento avvenga sul presupposto della responsabilizzazione dell'autore del trattamento sia esso titolare o responsabile in relazione alle modalità di esecuzione di tale trattamento. 29. Fra tali principi, assume carattere decisivo in questa sede quello stabilito dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1, lett. d applicabile ratione temporis al caso di specie , ai sensi del quale i dati personali oggetto di trattamento sono pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati . 30. In breve, il trattamento dei dati personali in tanto può ritenersi lecito, in quanto le informazioni divulgate siano limitate ai soli dati strettamente indispensabili rispetto alle finalità informative perseguite si tratta del medesimo principio successivamente formulato nell'art. 5, comma 1, lett. c , del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016 richiamato dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 1, così come riformulato dal D.Lgs. n. 101 del 2018 , secondo cui i dati personali sono . adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati minimizzazione dei dati principio pacificamente fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, là dove ha sottolineato come, in tema di tutela della riservatezza, il trattamento dei dati personali deve essere sempre effettuato nel rispetto del ‘criterio di minimizzazioné dell'uso degli stessi, dovendo cioè essere utilizzati solo se indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 11020 del 26/04/2021, Rv. 661185 - 02 . 31. Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha rilevato come costituisse uno specifico dovere dell'autore dell'articolo intervenire sull'informativa di polizia giudiziaria ricevuta e destinata alla pubblicazione al fine di depurarla dei dati personali nella specie dell'indirizzo della residenza del G. che in nessun modo avrebbero sottratto o aggiunto alcunché di significativo al contenuto informativo dell'articolo. 32. Proprio la circostanza di aver trascurato tale dovere e di non aver provveduto alla divulgazione responsabile di quell'informativa di polizia giudiziaria nella parte in cui riportava il dato della residenza personale del G. ha determinato la manifesta eccedenza del trattamento, rispetto alle finalità della pubblicazione e, conseguentemente, la relativa illiceità. 33. Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2697,2059,2056 e 1226 c.c. , nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3 , per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto comprovata la sussistenza in via presuntiva del danno non patrimoniale asseritamente sofferto dalla controparte, in assenza di alcuna prova rigorosa circa l'esistenza di un nesso di casualità immediato tra il pregiudizio lamentato e le pubblicazioni contestate in questa sede. 34. Il motivo è inammissibile. 35. Osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, i ricorrenti incidentali - lungi dal denunciare l'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate - si siano limitati ad allegare un'erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa operazione che non attiene all'esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l'aspetto del vizio di motivazione cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745 Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171 , neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti incidentali, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo. 36. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell'epigrafe del motivo d'impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l'ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti incidentali deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell'interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti o dei fatti di causa ritenuti rilevanti. 37. Si tratta, come appare manifesto, di un'argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una tipica erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. 38. Ciò posto, il motivo d'impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall' art. 360 c.p.c. , n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell'omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti. 39. Sulla base di tali premesse, devono essere rilevate l'inammissibilità del terzo e del quarto motivo del ricorso principale e del terzo motivo del ricorso incidentale l'infondatezza del secondo motivo del ricorso incidentale la fondatezza del primo e del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale e dev'essere quindi disposta, in relazione a tali ultime censure accolte, la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Dichiara l'inammissibilità del terzo e del quarto motivo del ricorso principale e del terzo motivo del ricorso incidentale rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 maggio 2023. Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2023