La S.C. torna sulla determinazione del compenso unico del commissario giudiziale per l’attività svolta nelle due fasi ante e post omologa

Oggetto della pronuncia in esame è la liquidazione della somma di € 1.350.000, a titolo di compenso finale, ad alcuni commissari giudiziali in una procedura di concordato preventivo liquidatorio di una s.r.l. in liquidazione nominati in occasione del deposito della domanda di concordato con riserva , interrottasi prima dell’omologa per atto di rinuncia della stessa società.

Il Collegio ricorda a riguardo che l' attività del commissario giudiziale è per larghi tratti identica nelle varie tipologie di procedure, specie nella fase ante omologa, essendo questi parimenti tenuto a svolgere funzioni di controllo e consulenza, anche nella fase di preconcordato art. 161, commi 7 e 8 l. fall . , in particolare laddove senza pretesa di esaustività vigila sull'amministrazione del patrimonio e sull'esercizio dell'impresa art. 167 l. fall . , procede alla verifica dell'elenco dei debitori e dei creditori e comunica a questi ultimi le proposte del debitore art. 171 l. fall . , redige l'inventario del patrimonio e relaziona in ordine alle cause del dissesto, alla condotta del debitore ed al contenuto della proposta di concordato art. 172 l. fall . , riferisce al tribunale circa l'esistenza di cause di revoca del concordato art. 173 l. fall . , partecipa attivamente all'adunanza dei creditori art. 175 l. fall . , intercetta l'eventuale mutamento delle condizioni di fattibilità del piano concordatario art. 179 l. fall . , esprime parere motivato sull'omologazione del concordato art. 180 l. fall . , ne sorveglia l'esecuzione art. 185 l. fall . e propone eventuale istanza di annullamento art. 186 l. fall . . Inoltre, può essere sentito dal tribunale in merito al compimento di atti di straordinaria amministrazione art. 167 l. fall . , alle offerte concorrenti”, alla sospensione o allo scioglimento dei contratti pendenti e alle autorizzazioni di finanziamenti interinali o urgenti . Viene anche sottolineato che dopo l'unificazione delle due fasi ante e post omologa ai fini della determinazione del compenso , le eventuali attività ulteriori del commissario giudiziale del concordato in continuità ben possano essere apprezzate nell'ambito della forbice tra la percentuale minima e massima prevista dall' art. 1 d.m. n. 30/2012 , cui l'art. 5 rinvia – nel rispetto del criterio dell'opera prestata ex art. 2, comma 1, d.m. cit., richiamato dal successivo art. 5, comma 5, che consente di scendere anche al di sotto del cd. minimo assoluto ” – e che sia più giusto e ragionevole applicare detta percentuale, per tutti i concordati, sul valore dell'attivo inventariato, senza attingere ad un criterio del tutto diverso e certamente esorbitante dalle funzioni del commissario giudiziale, quale è quello dell'attivo realizzato, che rientra invece nell'orbita delle funzioni del liquidatore giudiziale, poiché anche nella fase post omologa i compiti del commissario giudiziale sono pur sempre di sorveglianza , e non già di liquidazione . Pertanto, per dirimere la controversia in oggetto, i magistrati esprimono il seguente principio di diritto ai fini della determinazione del compenso unico spettante al commissario giudiziale per l'attività svolta nelle due fasi ante e post omologa, così come nella eventuale fase preconcordataria, va disapplicato, per irragionevolezza e disparità di trattamento, l' art. 5, commi 1 e 2, del d.m. n. 30 del 2012 , là dove distingue tra attivo realizzato e inventariato a seconda di due gruppi eterogenei di tipologie di concordato, dovendosi invece fare riferimento, in tutti i casi, all'attivo inventariato .

Presidente Cristiano – Relatore Fidanzia Fatti di causa Il Tribunale di Perugia, con decreto del 20.2.2019, ha liquidato a M.C. , D.F. e M.A. - commissari giudiziali nella procedura di concordato preventivo liquidatorio della OMISSIS s.r.l. in liquidazione nominati in occasione del deposito della domanda di concordato con riserva , interrottasi prima dell'omologa per atto di rinuncia della stessa società - la somma di Euro 1.350.000,00 a titolo di compenso finale, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge, da suddividersi in parti uguali tra i medesimi. Il tribunale ha preliminarmente ritenuto che l' art. 5 D.M. n. 30/2012 - che, nelle procedure di concordato preventivo con liquidazione di beni, prevede la determinazione del compenso del commissario giudiziale sull'ammontare dell'attivo realizzato oltre che sul passivo risultante dall'inventario , diversamente da quanto previsto nelle altre procedure di concordato, in cui il compenso è parametrato sull'attivo risultante dall'inventario -crei un'ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere attività sostanzialmente analoghe identici sono i compiti di verifica e controllo rimessi al Commissario prescindendo dalla tipologia di piano adottata da chi propone il concordato , soprattutto allorquando la procedura si arresti nella fase iniziale prima dell'omologa, e non sia stato quindi realizzato alcun attivo infatti in una tale eventualità il compenso del Commissario Giudiziale dovrebbe essere liquidato sul solo importo del passivo concordatario nonostante siano state portate a termine tutte le significative attività contemplate dagli artt. 171, 172, 173, 175, 178 L. Fall Alla luce di tali considerazioni, il giudice del merito ha ritenuto di disapplicare la disposizione di cui all' art. 5 comma 1 D.M. n. 30/2012 , calcolando il compenso dei Commissari Giudiziali, pur nominati in una procedura meramente liquidatoria, anche sulla base dell'attivo risultante dall'inventario redatto ai sensi dell' art. 172 L. Fall OMISSIS s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso ex art. 111 Cost per la cassazione del decreto, affidandolo a due motivi. M.C. , D.F. e M.A. hanno resistito in giudizio con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 165 L. Fall . e dell'art. 5 D.M. n. 30/2012. La società ricorrente sostiene che il decreto ministeriale in oggetto prevede un diverso criterio di liquidazione del compenso dei commissari giudiziali nelle procedure di concordato preventivo liquidatorie, di cui al comma 1 dell'art. 5, e nelle procedure diverse da quelle di cui al comma 1 , in quanto in queste ultime, tra cui rientra il concordato in continuità, non vi è mai liquidazione dell'attivo, che resta funzionale all'esercizio dell'impresa. Osserva, inoltre, che l'attività di verifica e di controllo del commissario giudiziale nel concordato in continuità è ben più complessa ed articolata rispetto a quella svolta nei concordati meramente liquidatori, essendo estesa a quella parte del piano relativa all'indicazione dei ricavi e dei costi attesi della prosecuzione dell'attività di impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura, in aziende normalmente soggette ad una costante movimentazione di dati numerici e finanziari nel corso di tale procedura il commissario giudiziale deve anche verificare l'effettiva funzionalità della continuità aziendale, come prospettata nel piano, al miglior soddisfacimento dei creditori, formulare pareri su eventuali richieste di finanziamenti prededucibili, ai sensi dell' art. 182 quinquies L. Fall ., formulare eventuali pareri, ai sensi dell' art. 186 bis comma 4 legge fall , strumentali alla partecipazione dell'impresa in concordato a procedure di affidamento di contratti pubblici, etc In definitiva, secondo la ricorrente, il diverso criterio di liquidazione del compenso si giustifica in ragione dell'attività assai più impegnativa che il commissario giudiziale di un concordato in continuità è tenuto a svolgere. 2. Il motivo è infondato. Va preliminarmente osservato che sin dall'emanazione del D.M. n. 30 del 2012, la dottrina sollevò numerose critiche sui nuovi criteri elaborati per la determinazione del compenso spettante agli organi nominati nelle procedure concorsuali, evidenziandone plurime criticità, specie con riguardo alle procedure concordatarie, non senza salutare con favore sia l'eliminazione del cd. doppio compenso al commissario giudiziale, per le fasi ante e post omologa, introdotto dal precedente D.M. n. 570 del 1992 ma ampiamente disapplicato in giurisprudenza sia, ma in minor misura, la lacuna colmata con l'introduzione della disciplina del compenso al liquidatore giudiziale nominato ai sensi del novellato art. 182 L. Fall ., però con integrale assimilazione al compenso del curatore, nonostante la prevalente giurisprudenza dell'epoca gli riconoscesse la sola percentuale sull'attivo effettivamente realizzato, con esclusione di ogni incidenza del passivo, alla cui formazione era ritenuto estraneo Cass. n. 9178 del 2008 , Cass. n. 9864 del 2006 , Cass. n. 16989 del 2004 , Cass. n. 6924 del 1997 . Sennonché, a distanza di ormai oltre dieci anni, delle segnalate criticità il legislatore di rango secondario non si è ancora fatto carico, nè si è peritato di adeguare i criteri dettati dal D.M. n. 30 del 2012 alle sopravvenute innovazioni della legge fallimentare , tra le quali va menzionata l'enucleazione della figura del concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis L. Fall ., introdotto dall' art. 33 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 e successivamente integrato da ulteriori interventi legislativi. La criticità più eclatante riguarda la liquidazione del compenso del commissario giudiziale nelle ipotesi di arresto anticipato della procedura di concordato preventivo per revoca, esito negativo della votazione dei creditori, diniego di omologa, o anche risoluzione o annullamento del concordato prima della realizzazione dell'attivo - e magari proprio grazie ad una solerte attività di verifica e controllo svolta scrupolosamente dallo stesso commissario giudiziale - dal momento che, per alcune forme di concordato, l' art. 5, D.M. n. 30 del 2012 assume il parametro dell'attivo realizzato in luogo di quello dell'attivo inventariato. Ed infatti, l'art. 5 D.M. n. cit., nel richiamare le percentuali dettate dall'art. 1 per il compenso al curatore, fissa un unico parametro per quanto attiene al passivo e cioè l'ammontare del passivo risultante dall'inventario , mentre opera una distinzione per quello relativo all'attivo. In particolare, il comma 1 fa riferimento all'attivo realizzato per ogni concordato preventivo in cui siano previste forme di liquidazione dei beni , e perciò non solo il concordato con cessione dei beni, ma anche quello che contempli una continuità aziendale accompagnata da anche marginali forme di liquidazione di beni cd. concordato misto e finanche il concordato cd. in continuità indiretta, dove la cessione dell'azienda ha indubbiamente connotati liquidatori. Il comma 2, invece, prevede che nelle procedure di concordato preventivo diverse da quelle di cui al comma 1 costituite non solo dal concordato in continuità aziendale, ma anche da un concordato con garanzia o con assuntore - si faccia riferimento all'attivo inventariato. Ritiene questo collegio - così condividendo quindi l'impostazione del Tribunale di Perugia - che esista un aspetto di irragionevolezza nell' art. 5 del D.M. n. 30/2012 , laddove esso fissa, ai commi 1 e 2, due diversi criteri per la liquidazione del compenso del commissario giudiziale, peraltro accomunando alcune tipologie di concordato preventivo anche assai diverse tra loro. Quella differenziazione poteva forse avere un senso quando, nel precedente D.M. n. 570 del 1992 , si distingueva tra fase ante e post omologa, prevedendosi che per l'opera prestata prima dell'omologazione il compenso del commissario giudiziale fosse calcolato in maniera identica, a prescindere dal tipo di concordato, mentre per l'attività prestata dopo l'omologazione si dovesse distinguere fra concordato liquidatorio e concordato in continuità. Come è noto, la disapplicazione di quel criterio da parte della giurisprudenza di merito è stata avallata da questa Corte per l'irragionevolezza, ai sensi dell' art. 3 Cost. , del conseguente raddoppio del compenso del commissario giudiziale rispetto a quello del curatore fallimentare v. Cass. Sez. U, n. 4670 e n. 5887 del 1997 Cass. sez. 1, n. 7147 del 1997 , n. 10745 del 1998, n. 13886 del 1999, n. 13922 del 1999, n. 3691 del 2000, n. 693 del 2001 cfr., da ultimo, Cass. sez. 1, n. 26897 del 2020 . Dopo oltre tre lustri, quella soluzione di diritto vivente è stata recepita dal legislatore nel D.M. n. 30 del 2012, il cui art. 5 prevede ora un unico compenso spettante al commissario giudiziale anche per l'opera prestata successivamente all'omologazione . Di fatto, quel giusto accorpamento ha finito però per sbilanciare il precedente assetto dei parametri ove poteva avere un senso distinguere tra attivo inventariato e attivo realizzato, tenuto conto della tipologia dei compiti espletati nelle fasi ante e post omologa delle diverse procedure , dando la stura ad un'ulteriore e opposta irragionevolezza per disparità di trattamento, particolarmente accentuata in riferimento all'attività svolta nella fase ante omologa. Difatti, basta che il concordato preventivo contempli una qualsiasi forma di liquidazione come avviene nel concordato cd. misto per far scattare il riferimento all'attivo realizzato, che potrebbe però essere poco o nulla per ragioni oggettive, non riconducibili all'impegno profuso dal commissario giudiziale. Per contro, basta che non vi sia attività di liquidazione ad esempio nel concordato con assuntore, che per il commissario giudiziale può ben essere meno oneroso di quello liquidatorio per far scattare il riferimento all'attivo inventariato, di regola più alto. In realtà, l'attività del commissario giudiziale è per larghi tratti identica nelle varie tipologie di procedure, specie nella fase ante omologa, essendo questi parimenti tenuto a svolgere funzioni di controllo e consulenza, anche nella fase di preconcordato art. 161, commi 7 e 8 L. Fall . , in particolare laddove senza pretesa di esaustività vigila sull'amministrazione del patrimonio e sull'esercizio dell'impresa art. 167 L. Fall . , procede alla verifica dell'elenco dei debitori e dei creditori e comunica a questi ultimi le proposte del debitore art. 171 L. Fall . , redige l'inventario del patrimonio e relaziona in ordine alle cause del dissesto, alla condotta del debitore ed al contenuto della proposta di concordato art. 172 L. Fall . , riferisce al tribunale circa l'esistenza di cause di revoca del concordato art. 173 L. Fall . , partecipa attivamente all'adunanza dei creditori art. 175 L. Fall . , intercetta l'eventuale mutamento delle condizioni di fattibilità del piano concordatario art. 179 L. Fall . , esprime parere motivato sull'omologazione del concordato art. 180 L. Fall . , ne sorveglia l'esecuzione art. 185 L. Fall . e propone eventuale istanza di annullamento art. 186 L. Fall . . Può inoltre essere sentito dal tribunale in merito al compimento di atti di straordinaria amministrazione art. 167 L. Fall . , alle offerte concorrenti art. 163-bis L. Fall . , alla sospensione o allo scioglimento dei contratti pendenti art. 169-bis L. Fall . e alle autorizzazioni di finanziamenti interinali o urgenti art. 182-quinquies, commi 1-4 L. Fall . . È pur vero che il concordato con continuità aziendale richiede costanti e impegnative analisi di tipo economico-aziendalistico, anche prospettiche ad esempio sulla capacità dell'impresa in going concern di realizzare un margine operativo lordo, cd. MOL o EBTIDA , per verificare che la prosecuzione dell'attività sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori e comunque non risulti mai manifestamente dannosa per gli stessi. E del pari è vero che, dopo la tipizzazione dell'istituto ora ancora più marcata nel nuovo CCII , sono state enucleate nuove ipotesi di pareri di competenza del commissario giudiziale, in vista della partecipazione dell'impresa in concordato a procedure di affidamento di contratti pubblici art. 186-bis, comma 4, L. Fall . , o del pagamento dei creditori anteriori cd. strategici art. 182-quinquies, comma 5, L. Fall . . È infine un dato di fatto che, a distanza di un decennio, di tali peculiarità così come delle criticità evidenziate in dottrina e giurisprudenza il Ministro della giustizia non ha inteso farsi carico. In ogni caso, occorre tener conto che la complessità della procedura concordataria varia piuttosto in relazione al caso concreto che non alla forma prescelta che molti dei suddetti pareri sono solo eventuali che vi è una corposa base imprescindibile di attività comune a tutte le tipologie di concordato che il valore dell'attivo inventariato, preso come base di calcolo del compenso spettante al commissario giudiziale, è sicuramente superiore nel concordato in continuità aziendale rispetto al concordato liquidatorio, sicché, anche applicando la medesima percentuale, il risultato sarebbe comunque e giustamente diverso ma soprattutto che il discrimine tra primo e comma 2 dell' art. 5, D.M. n. 30/2012 non risiede affatto nella distinzione tra concordato in continuità aziendale ed altre forme di concordato bensì, come visto, sul discrimine della presenza o meno di una qualsivoglia forma di liquidazione di beni . Ebbene, tutto ciò considerato, deve ritenersi che, specie dopo l'unificazione delle due fasi ante e post omologa ai fini della determinazione del compenso, le eventuali attività ulteriori del commissario giudiziale del concordato in continuità ben possano essere apprezzate nell'ambito della forbice tra la percentuale minima e massima prevista dall'art. 1 D.M. n. cit., cui l'art. 5 rinvia - nel rispetto del criterio dell'opera prestata ex art. 2, comma 1, D.M. n. cit., richiamato dal successivo art. 5, comma 5, che come detto consente di scendere anche al di sotto del cd. minimo assoluto - e che sia più giusto e ragionevole applicare detta percentuale, per tutti i concordati, sul valore dell'attivo inventariato, senza attingere ad un criterio del tutto diverso e certamente esorbitante dalle funzioni del commissario giudiziale, quale è quello dell'attivo realizzato, che rientra invece nell'orbita delle funzioni del liquidatore giudiziale, poiché anche nella fase post omologa i compiti del commissario giudiziale sono pur sempre di sorveglianza, e non già di liquidazione. Il che porta ad evidenziare, per completezza d'indagine, come il disposto dell' art. 5 D.M. n. 30/2012 abbia creato un'ulteriore irragionevolezza là dove, ai commi 1 e 3, equipara clamorosamente i criteri di determinazione del compenso tra il commissario giudiziale di un concordato preventivo liquidatorio e il liquidatore del medesimo concordato, nonostante le loro attività siano oggettivamente diverse v. Cass. n. 7973 del 2016 , per cui è ragionevole che il tribunale riconosca al commissario giudiziale somme maggiori rispetto a quelle attribuite al liquidatore, posto che l'attività espletata dal primo prende avvio già dal decreto di ammissione alla procedura ex art. 163 l.fall. e si protrae anche dopo l'omologa del concordato, dovendo egli sorvegliarne l'adempimento ex art. 185 l.fall. , mentre il ruolo del liquidatore è necessariamente ristretto alla sola fase esecutiva del concordato, successiva rispetto all'omologa della proposta cfr. Cass. n. 6806 del 2021 , per cui commissario giudiziale e liquidatore giudiziale sono organi che svolgono attività di differente natura e consistenza nell'ambito della procedura per un lasso di tempo non coincidente . A ben vedere, infatti, solo per il liquidatore ha senso fare riferimento all'attivo realizzato, rientrando tale attività nei suoi compiti, mentre il commissario giudiziale non ha il compito di realizzare l'attivo, bensì solo di sorvegliare la fase esecutiva del concordato. Da ultimo, e sempre per completezza, si evidenzia che il richiamo dell'art. 5, comma 3, D.M. n. cit. ai criteri stabiliti dall'art. 1 per il compenso del curatore fallimentare, avuto riguardo non solo al comma 1 che fa riferimento all'ammontare dell'attivo realizzato dalla liquidazione , ma anche al comma 2 che riguarda l'ammontare del passivo risultante dall'inventario , integra un'ulteriore irragionevolezza del D.M. n. 30/2012, come detto segnalato in dottrina già all'indomani della sua emanazione, poiché, a differenza del curatore, il liquidatore non procede affatto alla verifica dei crediti, che rientrano nella sua sfera di attività ai più limitati fini, di stampo prettamente operativo, della ripartizione dell'attivo. Alla luce di quanto precede, ritiene questo collegio che, per porre rimedio agli aspetti di irragionevolezza e disparità di trattamento rinvenuti nell' art. 5 del D.M. n. 30/2012 , nella parte in cui fissa, nei primi due commi, due diversi criteri per la liquidazione del compenso del commissario giudiziale, a seconda della tipologia di concordato preventivo, sia necessario disapplicare le disposizioni in questione - perché´ inficiate da eccesso di potere e violazione di legge per contrasto col principio di ragionevolezza e di uguaglianza - seguendo, in loro vece, il criterio unitario sopra indicato, con i correttivi evidenziati. Si tratta, per vero, di un'operazione ermeneutica che risulta essere stata già seguita, nell'ultimo decennio, da vari giudici di merito, ma sulla quale questa Corte non ha ancora avuto modo di pronunciarsi. Invero la Corte costituzionale, con ordinanza n. 484 del 1993 , ha già chiarito che l' art. 39 L. Fall ., prevedendo che il compenso al curatore fallimentare e per il tramite dell' art. 165 L. Fall . al commissario giudiziale preposto al concordato preventivo sia liquidato secondo le norme stabilite con decreto ministeriale, opera un rinvio formale e non già materiale alla fonte regolamentare, e quindi non modifica la natura di quest'ultima, nè conferisce forza di legge alle sue disposizioni. Perciò, la disciplina di tali compensi - in quanto contenuta in un atto sprovvisto di forza di legge - è insuscettibile di formare oggetto di questione di costituzionalità innanzi alla Consulta, mentre l'eventuale contrasto di detta disciplina con l' art. 3 Cost. può essere accertato incidentalmente dal giudice ordinario, al fine della disapplicazione della norma regolamentare. Proprio con riguardo all'analoga disapplicazione del precedente D.M. n. 570 del 1992 sulla liquidazione del compenso al commissario giudiziale per violazione dell' art. 3 Cost. , le sezioni unite di questa Corte hanno osservato che il sindacato del giudice ordinario sull'atto amministrativo, ai soli fini della sua disapplicazione al caso concreto, non è limitato alla mera violazione di legge, ma si estende anche all'accertamento del vizio di eccesso di potere, non comportando tale controllo l'esame delle ragioni di opportunità e di merito rientranti nei poteri della P.A., incensurabili da parte dell'A.G.O. , bensì l'accertamento circa il rispetto di quei criteri generali ed astratti che debbono presiedere all'esercizio dei poteri peculiari della P.A. Pertanto, l'atto amministrativo può essere legittimamente disapplicato dal giudice ordinario per dedotta violazione dell' art. 3 Cost. , che, costituendo un principio generale di diritto condizionante l'intero ordinamento nella sua obiettiva struttura ed esprimendo un generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo, individua proprio l'eccesso di potere dell'organo amministrativo, il quale, se non si uniforma a tale principio, finisce per eccedere i limiti della propria competenza Cass., Sez. U, n. 4670 del 1997 conf. Cass., n. 26897 del 2020 . La presumibile maggiore onerosità di un concordato in continuità puro o misto , dovuta al lavoro aggiuntivo che il commissario giudiziale di una simile procedura deve svolgere per controllare le modalità di esercizio dell'attività di impresa ed evitare il rischio che la stessa diventi dannosa per i creditori, potrà essere apprezzata all'interno del range esistente fra i minimi e i massimi di tariffa, tenendo conto della natura dell'attività svolta nel concreto e della possibilità di scendere anche al di sotto di detti minimi, così come del minimo assoluto, in caso di cessazione anticipata della procedura. Ne resta corroborata la necessità di ancorare la liquidazione del compenso del commissario giudiziale nel concordato preventivo all'apprezzamento circa la concreta ed effettiva natura, qualità e quantità dell'opera prestata, e con essa anche l'orientamento consolidato di questa Corte per cui il tribunale investito della relativa richiesta è tenuto a strutturare il provvedimento di liquidazione in termini specifici e puntuali cfr. ex multis, Cass. n. 3871 del 2020 , Cass. n. 26894 del 2020 , Cass. n. 6806 del 2021 onde dar conto, con la dovuta precisione, anche delle ragioni che hanno condotto all'individuazione del compenso all'interno dei margini previsti dalla legge, ovvero di scendere al di sotto sia dei minimi relativi, che del minimo assoluto. La divisata disapplicazione dell'atto regolamentare in questione esclude la necessità di confrontarsi con i precedenti di questa Corte, evocati dal P.G., nei quali si è deciso sulla scorta dell'inequivocabile tenore letterale dell' art. 5 del D.M. n. 30/2012 v. Cass. n. 4711 del 2021, Cass. n. 21221 del 2021 e Cass. n. 33364 del 2021 . In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto Ai fini della determinazione del compenso unico spettante al commissario giudiziale per l'attività svolta nelle due fasi ante e post omologa, così come nella eventuale fase preconcordataria, va disapplicato, per irragionevolezza e disparità di trattamento, l' art. 5, commi 1 e 2, del D.M. n. 30 del 2012 , là dove distingue tra attivo realizzato e inventariato a seconda di due gruppi eterogenei di tipologie di concordato, dovendosi invece fare riferimento, in tutti i casi, all'attivo inventariato . 3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 165 L. Fall . e degli artt. 1 e 5 D.M. n. 30/2012. La ricorrente deduce che, tenuto conto che i compensi quantificati con i criteri di cui ai primi due commi dell'art. 5 comma 1 D.M. n. 30/2022 spettano ai commissari giudiziali anche per l'opera prestata successivamente all'omologazione, nel caso di specie, il Tribunale con l'intervenuta disapplicazione nei termini di cui sopra, ha liquidato il compenso che sarebbe loro spettato se la procedura non solo fosse approdata all'omologa, ma avesse visto anche successivamente liquidati tutti i suoi cespiti dell'attivo. Inoltre, il Tribunale di Perugia avrebbe errato nel ritenere l'incongruità della disposizione poi disapplicata nel caso in cui la procedura si arresti nella fase iniziale, atteso che l'ipotesi della cessazione delle funzioni del Commissario prima della chiusura delle operazioni è espressamente disciplinata dall'ultimo comma dell'art. 5 DM cit., il quale prevede che in tali ipotesi il compenso è liquidato, al termine della procedura, secondo i parametri fissati, rispettivamente dai commi 1,2 e 3 del presente articolo e conformemente ai criteri previsti dall'art. 2 comma 1 la quantificazione dei compensi in caso di mancata omologa è stata dunque adeguatamente disciplinata in sede regolamentare. 4. Il motivo è fondato. Non vi è dubbio che laddove la procedura di concordato preventivo con cessione dei beni si arresti prima della sua ultimazione nel caso di specie, la procedura di concordato si è interrotta per effetto della rinuncia alla domanda, intervenuta prima della fase di omologa l'interprete non può limitarsi ad applicare il principio di diritto appena enunciato sub 2 con la mera disapplicazione dell'art. 5 comma 1 D.M. n. D.M. n. 30 del 2012 , ma deve necessariamente combinare tale principio con la regola sempre rinvenibile nell'art. 5, ma al comma 5, del D.M. n. cit., secondo cui, qualora il commissario o il liquidatore giudiziale cessino dalle funzioni prima della chiusura delle operazioni, il compenso è liquidato - sulla base dei parametri fissati nei primi tre commi - conformemente ai criteri previsti dall'art. 2, comma 1 , il quale a sua volta impone di provvedere alla determinazione del compenso tenuto conto dell'opera prestata . Come si è già precisato, si viene così a introdurre un criterio di proporzionalità del compenso, rispetto alla natura e alla quantità dell'attività prestata, che può consentire di ridurre lo stesso anche al di sotto delle percentuali minime per scaglioni previste dall'art. 1, richiamate dall'art. 5 ex multis, Cass. n. 14581 del 2010 e Cass. n. 13336 del 2013 , e finanche al di sotto del compenso minimo fisso cd. di sussistenza di Euro 811,35 previsto dall'art. 4, comma 1, che infatti fa espressamente salvo proprio il caso previsto dall'art. 2, comma 1 Cass. n. 26894 del 2020 , fermo restando il rimborso forfettario delle spese generali, il rimborso delle spese vive e l'eventuale trattamento di missione, nei limiti fissati dal comma 2 dell'art. 4, D.M. n. cit. L'applicazione del principio di proporzionalità comporta, come ovvie conseguenze, che il compenso del commissario il cui incarico si sia interrotto prima del compimento naturale della procedura non potrà mai essere pari a quello di chi l'abbia espletato sino alla sua ultimazione, e che la riduzione del compenso del primo sarà tanto maggiore quanto prima la sua attività si sia interrotta e quanto minore sia stato l'impegno in essa profuso. Il Tribunale di Perugia non ha fatto buon governo di questo principio, avendo liquidato un compenso che non ha tenuto minimamente conto dell'interruzione della procedura di concordato preventivo, così equiparando irragionevolmente, ai fini del compenso, l'attività svolta dal Commissario Giudiziale fino all'ultimazione della procedura di concordato preventivo con quella svolta dal Commissario Giudiziale in un concordato che non ha raggiunto la fase dell'omologazione. Il decreto impugnato deve essere quindi cassato con rinvio al Tribunale di Perugia, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il primo e accoglie il secondo motivo di ricorso cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Perugia, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.