La riparazione per ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità

La pronuncia in esame ha ad oggetto l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione promossa da un imputato, assolto dall’accusa di cui ai reati 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, per non aver commesso il fatto, con riferimento all’errata considerazione del periodo di custodia cautelare subito.

La doglianza è infondata. Il Collegio ricorda a riguardo che la riparazione per l'ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà persona . Le stesse SS.UU. hanno sottolineato come l'equa riparazione per ingiusta detenzione non abbia carattere risarcitorio , in quanto l'obbligo dello Stato non nasce ex illecito ma dalla solidarietà verso la vittima di un'indebita custodia cautelare . Il suo contenuto consiste nella corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, valga a compensare l'interessato delle conseguenze personali di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che la custodia cautelare abbia prodotto Cass. n. 1/1992 . Ne consegue, quindi, che qualora la parte istante alleghi la sussistenza di danni che travalichino la medietà della lesione – quali ad esempio quelli derivanti da una grave compromissione dell'attività lavorativa, dal prodursi di danni psicofisici scaturiti dalla detenzione e da particolati situazioni di pubblica esposizione, dovuti al clamore delle accusa e della carcerazione – se è vero che la motivazione che si limiti a determinare il quantum sulla base del criterio meramente aritmetico non può risolversi in una petizione di principio, in quanto l'equità, seppure contiene un elemento di discrezionalità, non può sconfinare nella mera enunciazione Cass. n. 39773/2019 è altrettanto vero che le doglianze fatte valere in ordine alle conseguenze personali devono non solo essere allegate, ma – va ribadito – circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita . E ciò nel caso di specie non è avvenuto. Per tutti questi motivi la S.C. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Presidente Ciampi – Relatore Ferranti Ritenuto in fatto 1.La Corte di Appello di Messina, con l'ordinanza in epigrafe indicata, ha accolto l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione promossa da C.M. , disponendo il pagamento in suo favore della somma di Euro 113.361,06, a titolo di indennizzo per l'ingiusta detenzione patita nel procedimento 6148/13 RGNR e n. 3704/14 RG Gip dal 20.07.2016 al 9.06.2018, in relazione a giorni 184 giorni di carcere e 506 giorni di arresti domiciliari. 2. La Corte territoriale nel ricostruire l'iter processuale evidenziava che l'istante era stato assolto dall'accusa di cui ai reati 73 e 74 D.P.R. n. 309 del 1990 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto del 9.06.2018 per non aver commesso il fatto in quanto non è stata raggiunta la prova che il riferimento al cognato, captato nelle intercettazioni svoltesi sul veicolo di I.S. con B.F. e G.F., riguardasse proprio lui in quanto cognato dello I. , potendosi trattare anche del cognato dell'altro interlocutore B. , come emerso a seguito degli accertamenti dibattimentali. 3. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Messina ha proposto ricorso per cassazione C.M. a mezzo del difensore. 3.1. Con il primo motivo l'esponente denuncia violazione di legge oltre che la contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento alla errata considerazione del periodo in cui l'istante rimaneva in regime di custodia cautelare in carcere da dal 20.07.2016 al 19.10.2017 e dal 20.05.2017 allorché la sua misura cautelare è stata aggravata con l'applicazione della custodia cautelare in carcere a seguito di perquisizione per altro procedimento e rinvenimento di sostanza stupefacente mentre era agli arresti domiciliari . Il ricorrente ha patito 570 giorni di custodia cautelare in carcere e 120 giorni agli arresti domiciliari. Non è stato inoltre riconosciuto un ulteriore indennizzo per il danno alla salute alla vita di relazione alla reputazione tra cui la frattura dei rapporti familiari e con i figli sfociata nella separazione personale 5.11 Procuratore generale in sede con memoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1.I1 ricorso è infondato. 1.1. Quanto al primo profilo della censura, si rileva che il periodo prel ermesso dal giudice della riparazione, nel senso che è stato computato come arresti domiciliari e non come custodia in carcere riguarda un aggravamento della misura coercitiva degli arresti domiciliari misura sostituita il 19 gennaio 2017 , disposto con provvedimento in data 20 maggio 2017 per trasgressione avvenuta il 1 maggio 2017 delle prescrizioni imposte con la custodia in carcere. Pertanto, del tutto correttamente il periodo oggetto di aggravamento non è stato considerato come custodia in carcere, ma come arresti domiciliari, ai fini della liquidazione dell'indennizzo, non potendo tale detenzione sotto il profilo dell'aggravamento considerarsi ingiusta, siccome derivante dalla trasgressione degli obblighi imposti con la misura coercitiva applicata. Cass., sez. IV, 7 giugno 2016, n. 30578 , CED Cass., n. 267542 01 . E a fronte delle logiche argomentazioni del giudice della riparazione, il ricorrente tende a sollecitare una nuova valutazione degli elementi addotti a sostegno dell'istanza di riparazione che non è consentita in questa sede di legittimità. La Corte di legittimità ha avuto modo di affermare che, fermo restando il tetto massimo fissato dalla legge in Euro 516.456,90, il giudice della riparazione può discostarsi dall'ammontare giornaliero di Euro 235,82 Euro 117,91 per gli arresti domiciliari, cfr. Sez. 4, n. 34664 del 10/6/2010 , Rv. 248078 , valorizzando lo specifico pregiudizio, di natura patrimoniale e non patrimoniale, derivante dalla restrizione della libertà, dimostratasi ingiusta cfr. fra le tante, Sez. 4 n. 10123 del 17/11/2011 , Rv. 252026 6.10.2009 n. 40906 25/2/2010, 10690, Rv. 246425 . deve rispondere alle regole della logica e deve conformarsi ai principi stabiliti in sede di legittimità . Come chiarito da Cass., sez. IV, 16 luglio 2021, Rv. 281513 03, va premesso che il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell'indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta Sez. 4, n. 10690 del 25/2/2010 , Cammarano, Rv. 246424 conf. Sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015 , Pappalardi Rv. 263721 Sez. 4, n. 26388 del 18/4/2007, Leonello, Rv. 236941 Sez. 4, n. 8144 del 20/01/2006 , Utano ed altro, Rv. 233666 . E ciò, come si dirà, nel caso che ci occupa non è avvenuto. Il sindacato della Corte di legittimità viene pertanto esperito sulla congruità della motivazione sottesa al provvedimento che deve rispondere alle regole della logica e deve conformarsi ai principi stabiliti in sede di legittimità . Come evidenziato dallo stesso provvedimento impugnato, la riparazione per l'ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà persona. Ancora attuale appare la pur risalente decisione con cui le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito la natura dell'istituto e la possibilità di graduazione dell'indennità, affermando che l'equa riparazione per ingiusta detenzione non ha carattere risarcitorio, in quanto l'obbligo dello Stato non nasce ex illicito ma dalla solidarietà verso la vittima di un'indebita custodia cautelare. Il suo contenuto, pertanto, non è la rifusione dei danni materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante, ma nel limite predeterminato la corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, valga a compensare l'interessato delle conseguenze personali di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che la custodia cautelare abbia prodotto. Ai fini della relativa valutazione equitativa debbono essere presi in considerazione tutti gli elementi disponibili da valutarsi globalmente con prudente apprezzamento Sez. Un., n. 1 del 6/3/1992, Favilli, Rv. 191147 . La riparazione di cui agli artt. 314 e 315 c.p.p. va dunque ravvisata nella ingiusta detenzione . E la genesi e la regolamentazione di detto istituto deve essere individuato nelle norme processuali penali, con la conseguenza che sono estranee allo stesso le norme civilistiche che regolamentano il risarcimento dei danni da fatto illecito ex art. 2043 c.c. in questo senso, Sez. 6, n. 1755 del 09/05/1991, Mangiò, Rv. 1.90148 cfr., altresì, Sez. Un, n. 24287 del 09/05/2001, Caridi secondo cui la liquidazione dell'indennità deve avvenire in via equitativa . La delicatezza della materia e le difficoltà per l'interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita ha indotto il legislatore a non prescrivere al giudice l'adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario s'intende, entro i confini della ragionevolezza e della coerenza ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto. Ebbene, nel caso in esame il giudice della riparazione ha logicamente e congruamente motivato sull'applicazione dei criteri di liquidazione e la somma liquidata non assume carattere arbitrario e tanto meno simbolico. Va aggiunto che nel caso in esame relativamente alla carcerazione preventiva, il ricorrente non ha allegato la sussistenza di danni che travalicassero la medietà della lesione e corretto, in tal senso, è il rilievo che la sofferenza nel ritrovarsi, incarcerato lontano dai propri familiari, rientra nel nucleo tipico della lesione che merita indennizzo , per cui difettano i presupposti per discostarsi dallo standard giornaliero offerto dal criterio aritmetico. Analoghe conclusioni possono operarsi in questa sede, in quanto, alla stregua di quanto sopra evidenziato, la mera produzione dell'avviso di fissazione dell'udienza per la separazione personale dei coniugi C. /I. di per sé non costituisce prova della sicura ricollegabilità di tale vicenda alla detenzione. Si può perciò oggi affermare che, qualora la parte istante alleghi la sussistenza di danni che travalichino la medietà della lesione -quali ad esempio quelli derivanti da una grave compromissione dell'attività lavorativa, dal prodursi di danni psicofisici scaturiti dalla detenzione e da particolari situazioni di pubblica esposizione, dovuti al clamore delle accuse e della carcerazione se è vero che la motivazione che si limiti a determinare il quantum sulla base del criterio meramente aritmetico non può risolversi in una petizione di principio, in quanto l'equità, seppure contiene un elemento di discrezionalità, non può sconfinare nella mera enunciazione Sez. 4, n. 39773 del 06/06/2019 , Rv. 277510 è altrettanto vero che le doglianze fatte valere in ordine alle conseguenze personali devono non solo essere allegate, ma va ribadito circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita . Il che, come correttamente rileva la Corte messinese, nel caso di specie non è avvenuto in quanto, come si evince dalla domanda di riparazione per ingiusta detenzione, nulla è stato allegato quanto alla diffusione mediatica della notizia dell'arresto e della detenzione subiti dal C. , parlandosi genericamente di gogna . 103.I1 provvedimento impugnato fa buon governo principi della suprema Corte, anche del principio secondo cui il giudice, nel liquidare con criterio equitativo il quantum dell'indennizzo dovuto, non è tenuto ad una analitica motivazione in riferimento ad ogni specifica voce di danno, essendo sufficiente che egli dia conto dei profili pregiudizievoli apprezzati, e di tutte le circostanze che hanno condotto alla conclusiva determinazione equitativa dell'indennizzo determinazione la quale si rende suscettibile di sindacato sotto l'aspetto della motivazione solo sotto il profilo della intrinseca ragionevolezza del risultato cui è pervenuta Sez. 4, n. 2815 del 11/5/2000 , Salamone, Rv. 216937 . -s.2ò Limitando la ricognizione della decisione impugnata agli aspetti esaltati dal ricorso, va rilevato come il giudice della riparazione, nella determinazione della somma, ha compiutamente argomentato i parametri di riferimento in linea con il fondamento normativo dell'istituto della riparazione per l'ingiusta detenzione, rinvenibile nell'intervento solidaristico dello Stato a favore di chi abbia ingiustamente subito la restrizione della libertà personale laddove la lesione di beni od interessi derivanti dalla condizione di indagato e/o di imputato non trova ristoro nell'indennizzo previsto dagli artt. 314 e 315 c.p.p. . Pertanto risulta insindacabile in questa sede anche l'esclusione dell'indennizzo per il danno ulteriore alla vita di relazione e alla salute che sono stati solo genericamente addotti e che non risultano direttamente riferibili allo stato detentivo. Ha esercitato pertanto la sua discrezionalità con un'adeguata motivazione e in modo logico ha determinato ragionevolmente la somma giornaliera da corrispondere in misura sostanzialmente corrispondente al parametro standard, ritenendo che la prova dell'ulteriore danno sia stata ribadita in termini assertivi senza un rigoroso fondamento del nesso causale Correttamente la Corte distrettuale ha osservato che, sebbene in ragione della detenzione sia configurabile una danno esistenziale, per l'incidenza negativa della privazione della libertà sulla vita di relazione del soggetto, esso non può autonomamente formare oggetto di riparazione per la sua coincidenza e sovrapponibilità con il danno derivante dalla mera privazione della libertà personale cfr. Cass. 39815/07 , Bevilacqua, rv. 237837 Cass. 22688/09 , Lastella, rv. 243990 . 2. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.